A chi appartiene la scuola? Ma anche qualche spunto su Sanremo, Olivetti, Marx, Dio, Wu Ming, mockumentary, ellenismo, Bolsonaro e, ovviamente, i Muppet
Non so voi, ma io sono abituato a considerare febbraio un mese piuttosto leggero: un po’ perché dura poco, coi suoi 28 giorni; un po’ perché qui da noi, in Veneto, porta con sé anche il Carnevale e anche un breve ponte scolastico che corrisponde proprio alle giornate più importanti di quella festa che, a Venezia, ha un gusto molto particolare; un po’, infine, perché è anche, di solito, un mese di assestamento, dopo che gennaio ci ha catapultati all’improvviso nell’anno nuovo.
Quest’anno, però, per me febbraio sta avendo una natura completamente diversa. Per un motivo o per l’altro si sono accumulati in questo mese svariati progetti che faccio anche fatica a ricordare, da quanti sono: tre o quattro incontri pubblici, un paio di articoli da scrivere, un videocorso da impostare e registrare (al di fuori di YouTube, intendo), varie cose da gestire a scuola (tra compiti in classe, lezioni, dispense e così via) e sicuramente qualcos’altro che adesso non ricordo. Il problema non è tanto trovare il tempo per fare queste cose; è ricordarsi di farle.
La newsletter del lunedì, però, non si dimentica, quindi siamo qui, puntuali, come ogni settimana. E presto tutte queste iniziative, quando arriveranno a compimento, ve le presenterò e racconterò anche qui, in modo da darvi qualche “ricaduta” spero positiva delle varie esperienze. Per ora permettetemi però di elencarvi gli appuntamenti previsti questa settimana:
giovedì 15, alle ore 17:00, a Rovigo dialogherò con lo scrittore Paolo Bricco riguardo alla figura di Adriano Olivetti. Appuntamento in Accademia dei Concordi, Sala degli Arazzi, ingresso libero;
lunedì 20, di mattina (credo dalle 9 alle 13), parlerò di “La filosofia al tempo di internet” all’Assemblea d’Istituto del Liceo Galvani di Bologna, ma ovviamente solo per gli studenti dell’istituto.
Argomenti gustosi, quindi, di cui sicuramente riparleremo presto. E però adesso cominciamo la newsletter col nostro programma tradizionale.
Quello che ho letto
E iniziamo dunque come sempre dai libri, con tre volumi che, tra pause e riprese, sto portando avanti ormai da un po’.
Ufo 78 di Wu Ming: devo dire fin da subito che, per la verità, questa settimana la maggior parte del mio tempo è stata dedicata al libro Adriano Olivetti di Paolo Bricco, di cui parlerò nel prossimo capoverso. L'ho fatto perché, come già anticipato qualche riga più sopra, tra pochi giorni dovrò presentarlo in pubblico e non posso certo arrivare impreparato. Qua e là, però, anche solo per variare un po' il tono e gli argomenti, ho ripreso in mano anche altri libri che sono in lettura da un po'. Il primo è appunto Ufo 78 dei Wu Ming, romanzo ambientato nel mondo degli appassionati di ufologia nell’Italia di fine anni '70. Come dicevo già qualche settimana fa, tutta la prima parte del romanzo sembra raccontare una storia piuttosto personale e intima, seguendo in parallelo le vicende da un lato di uno scrittore di fantascienza che sta organizzando un convegno a Roma su temi ufologici, e dall'altro quelle di suo figlio, un ex tossicodipendente che è entrato in una comunità di recupero piuttosto new age. Come già ho scritto, però, era piuttosto evidente che presto o tardi il libro avrebbe preso una piega più politica, come d’altronde sempre avviene con i libri dei Wu Ming; e questa svolta è finalmente arrivata, visto che proprio nel giorno in cui si deve aprire questo benedetto convegno ufologico, viene rapito Aldo Moro. Non è difficile quindi prevedere che la storia parzialmente fittizia dell'Italia interessata agli alieni si andrà a mescolare con la storia, questa volta vera e sanguinante, degli anni del terrorismo e delle Brigate Rosse. Il racconto finora è intrigante e interessante ma come sempre bisognerà poi vedere quale interpretazione gli autori daranno a tutte queste vicende e quale messaggio vorranno in qualche modo lanciare per il presente. Ne riparliamo tra qualche giorno o settimana. Intanto, se volete comprarlo, lo trovate qui.
Adriano Olivetti di Paolo Bricco: come detto, il libro principale di questa settimana è appunto questa biografia molto accurata e ben documentata, scritta da Paolo Bricco e dedicata ad Adriano Olivetti, definito fin dal sottotitolo del volume “un italiano del Novecento”. In effetti, il grande imprenditore piemontese fu in tutto e per tutto un uomo del suo tempo: nella sua vicenda umana si trovano gli slanci ideali di un'Italia che sperava di diventare grande ma allo stesso tempo anche l'ingenuità, i compromessi, e forse anche le compromissioni che quella stessa Italia doveva imputare a se stessa. Olivetti, figlio di un ebreo e di una valdese, fu in gioventù socialista, anche se in maniera forse un po' superficiale; divenne poi fascista, cercando di collaborare al progetto corporativo del regime; divenne poi tutt'altro, immaginando un'Italia diversa, lontana dei partiti, federalista e comunitaria, secondo un progetto fortemente ispirato dal cristianesimo e da Jacques Maritain, che però pareva fin dalle sue origini piuttosto velleitario. Una strana parabola politica, quindi, che tra l’altro si dipanò parallelamente alla parabola industriale, con una Olivetti che nacque come una piccola industria locale di macchine da scrivere; che poi, anche grazie all'appoggio fascista, si ingrandì fino a diventare quasi il monopolista nazionale; per poi aprirsi al mondo intero nel secondo dopoguerra, con un'impostazione decisamente innovativa ma allo stesso tempo di difficile gestione. Adriano Olivetti non creava solo delle macchine da scrivere o delle macchine calcolatrici, ma cercò di creare una sorta di scuola di vita, di filosofia, di stile, assumendo designer, pubblicitari, perfino letterati pagati più per pensare che per produrre, secondo un ideale a metà strada tra il mecenatismo e un’imprenditoria nuova, innovativa, forse perfino troppo avanti coi tempi. Olivetti quindi ha lasciato il suo segno in tanta parte della cultura nazionale, nonostante poi sia stato ampiamente sconfitto da quell'Italia che tanto aveva sognato di cambiare: la sua fabbrica gli è sopravvissuta abbastanza poco, perdendo rapidamente, dopo la sua morte, quel primato mondiale che si era conquistata nei decenni precedenti. E quindi Olivetti forse ha lasciato meno il segno di come avrebbe voluto, o ha inciso in maniera meno diretta sul nostro mondo economico e sociale di quanto il patron avrebbe sperato; e però, se fallimento è stato, il suo è stato indubbiamente un fallimento in grande stile. Il libro, se vi interessa, potete comprarlo qui.
Non siamo mai stati moderni di Bruno Latour: spazio, infine, questa settimana anche per questo strano libro di Bruno Latour intitolato, un po’ provocatoriamente, Non siamo mai stati moderni. Un libro che è estremamente interessante per la tesi che sostiene, cioè l'idea che in realtà la modernità sia molto meno diversa dalle epoche che l'hanno preceduta e seguita di quanto normalmente non si pensi; ma interessante anche perché un po' fuori dagli schemi per il modo in cui l’autore espone le proprie idee. Il libro è infatti segnato da una forte vis polemica, visto che attacca più o meno tutti i filosofi della storia, mostrandone le contraddizioni e così tracciando una sorta di controstoria filosofica dei rapporti tra l'uomo e la tecnica (e quindi anche dei rapporti tra politica e scienza). Da un certo punto di vista, quindi, il libro è piuttosto gustoso e divertente, perché non è frequente che i filosofi si prendano in un certo senso in giro, ma lo stesso tempo è sicuramente una lettura molto complicata perché per capire le accuse di Latour bisogna in primo luogo aver ben compreso cosa dicono i pensatori tirati in ballo, siano essi Hobbes, Kant, Cartesio, Hegel o altri ancora. E mi rendo conto, insomma, che le accuse di Latour possono davvero capirle in pochi. Ora sono circa a metà dell'opera e probabilmente mi ci vorrà ancora un bel po' per finirla, visto che è abbastanza impegnativa, però la lettura procede e sicuramente ve ne parlerò ancora. Se siete interessati, il libro non è facilissimo da reperire ma forse potete riuscire a trovarlo qui.
Quello che ho visto
Tra le visioni della settimana ci sono cose tra loro molto diverse, come vedrete: c’è un film per bambini, c’è un mockumentary (e se non sapete di cosa si tratta, tra qualche riga ve lo spiego) e c’è, com’era inevitabile, il Festival di Sanremo.
I Muppet (2011), di James Bobin, con Jason Segel, Amy Adams, Chris Cooper: tra una canzone televisiva e l'altra, questa settimana ho trovato anche il tempo di guardare questo film (non nuovissimo), sicuramente pensato per i più piccoli ma che da tempo avevo messo nella mia watchlist. I Muppet sono stati, infatti, tra i personaggi più importanti della mia primissima infanzia, anche se sulle loro vecchie trasmissioni ho ricordi molto confusi; e così era inevitabile che prima o poi anch’io cedessi all’effetto nostalgia e mi lanciassi nella visione del film. In effetti, mi sento di poter dire che la parola giusta è proprio “nostalgia”: fin dalle prime battute la pellicola infatti punta tutto sulla mia generazione (e su quella immediatamente precedente alla mia), cioè sugli adulti che sono cresciuti con Kermit la rana e adesso in un certo senso spererebbero di poter riproporre quei personaggi ai propri figli, in una veste giusto un po' più moderna rispetto allo show televisivo degli anni '70. Nonostante questo, però, il film regge solo fino ad un certo punto: la storia è davvero striminzita, solo un pretesto per riportare sullo schermo i vecchi pupazzetti, e in generale mi sembra che non si senta la “magia”. La cosa positiva è che il film non fa nulla per nasconderlo, e anzi si prende un po’ in giro, dimostrandosi alla fin fine piuttosto onesto e sincero. Niente di trascendentale, dunque, ma sul mercato c'è anche di peggio. Lo trovate su Disney+.
Il Festival di Sanremo 2023: io lo so: voi oggi vi aspettate che la rubrica Quello che ho pensato sia dedicata a Sanremo; anzi, a una delle molte polemiche uscite da Sanremo. D’altronde ne hanno parlato davvero tutti: pure i miei studenti mi hanno chiesto già due o tre volte se avevo opinioni sulla Ferragni, Fedez, i baci in bocca, Blanco, Paola Egonu e via discorrendo. La verità, però, è che non ne ho troppa voglia. A me è sembrato tutto sommato un Festival organizzato discretamente (almeno rispetto agli standard del Festival), anche ben fatto, ma davvero non mi ha fatto scattare alcuna scintilla: le canzoni erano carine ma nessuna veramente memorabile; le grandi questioni che hanno tenuto banco sui giornali, come i baci tra uomini che indispettiscono Fratelli d'Italia e chicche di questo genere, in realtà non sono nulla di nuovo, perché le abbiamo già viste anche negli anni scorsi; e anche in generale i cantanti, gli ospiti e i presentatori mi sono sembrati un po' sottotono. Insomma, è stato un Festival su cui c'è in realtà poco di interessante da dire: se ne parlassi non farei altro che riproporre cose che avete già letto altrove, o mi lancerei in qualche filippica piuttosto banale. Pertanto, come vedrete, nella rubrica che arriva tra qualche capoverso parleremo di tutt'altro. Qui vi dirò, comunque, che il Festival me lo sono guardato più di altri anni, soprattutto perché ormai è diventato davvero l'evento dell'anno, tra FantaSanremo, figli che mi raccontano di questo o di quel cantante (che poi devo guardare, per capire di cosa cavolo stiano parlando) e giornali che non sembrano discutere d'altro per giorni. Ed è stato, tutto sommato, uno spettacolo discreto, dignitoso, come ho già detto senza picchi clamorosi ma tutto sommato neppure tremendo. Merito di Amadeus, che sicuramente sa riunire un cast piuttosto variegato di cantanti e generi musicali. Se poi volete sapere quali canzoni mi sono piaciute di più e quali invece mi hanno deluso, vi dirò che forse la mia preferita è stata quella di Colapesce e Dimartino, che mi è sembrata ricercata dal punto di vista musicale e non banale dal punto di vista del testo. Molti miei studenti tifavano per Lazza, e, seppure la canzone non fosse troppo nelle mie corde, devo dire che era ben arrangiata e relativamente originale; ho trovato invece Supereroi di Mr. Rain un po' furbetta col suo esagerare col ritornello e con le frasi ad effetto, mentre mi è abbastanza piaciuta Tango di Tananai. Per il resto, tante canzoni più che sufficienti. E Due vite, di Mengoni, è la canzone perfetta per vincere a Sanremo: carina (senza essere veramente bella), molto ben cantata, la favorita ideale. Il guaio è che so già che quella melodia me la dimenticherò nel giro di due settimane: non ricordo neppure come fa L’essenziale, per dire.
Cunk on Earth episodi 1.01-1.02 (2022), di Charlie Brooker, con Diane Morgan: probabilmente di questa serie non avete sentito parlare, a meno che non bazzichiate, come i miei studenti, i social network, o quantomeno i profili un po' più trasgressivi all'interno di essi. Nemmeno io fino a una settimana fa ne sapevo nulla. Poi appunto i miei studenti me ne hanno parlato, ed è diventato inevitabile darle una possibilità, anche solo per vedere se – come sostenevano le ragazze di quarta – aveva davvero qualcosa di filosofico e di storico al suo interno. In effetti devo dire che i miei studenti avevano ragione: all’interno c'è molto sia di storia che di filosofia; il guaio, casomai, è che quello che c'è è ben poco serio. Cunk on Earth è infatti un mockumentary, cioè un finto documentario: non so se avete presente This Is Spinal Tap, il celebre film degli anni '80, oppure molto più recentemente The Office o Modern Family, serie TV scritte a tavolino da sceneggiatori e recitate da attori professionisti che però sembrano essere riprese dal vero, come se si trattasse in effetti di un documentario. Cunk on Earth funziona in modo simile: sembra un documentario classico sulla storia dell'umanità, un po' alla maniera di Alberto Angela, solo che la presentatrice non è esperta di nulla e anzi incappa in una serie clamorosa di gaffe e assurdità storico-filosofiche. La parte più carina, presente in ogni puntata, è quando intervista quelli che sembrano essere veri esperti (anche se potrebbero essere anche loro degli attori), chiedendo ragione di cose veramente assurde e lasciando questi ultimi interdetti. Solo per fare un esempio, nell'ultima puntata che ho visto la presentatrice spende diversi secondi a chiedersi perché il David di Michelangelo, così perfetto in ogni dettaglio anatomico, sia privo dell'ano. Tra domande che non si potrebbero fare a voce alta e controsensi, la serie procede con un gustoso humor britannico che però gioca proprio con gli argomenti che di solito spiego in classe, citando periodi storici, filosofi, uomini di cultura e altro ancora. Insomma, immagino che i miei studenti si divertano forse a guardarlo perché mi vedono in un certo senso nei panni di uno di quegli esperti intervistati dalla finta documentarista: stralunato e stupito dalle domande che mi fanno, spesso molto stravaganti. In ogni caso la serie è davvero carina e la consiglio: l'unico difetto è che è solo in lingua originale con i sottotitoli in italiano, quindi bisogna un po' abituare l'occhio a leggere. E devo anche dire, purtroppo, che i responsabili dell'adattamento italiano non sono stati molto previdenti: non è raro che i sottotitoli scritti in bianco capitino su uno sfondo altrettanto bianco, pregiudicandone la lettura. La serie la trovate su Netflix.
Quello che ho pensato
Come anticipato, niente Sanremo questa settimana: ne abbiamo avuto fin troppo. Partiamo invece da una domanda secca: «Di chi è la scuola?»
È una domanda, all’apparenza, semplicissima, che però a ben guardare ammette più risposte. E a seconda della risposta che diamo, cambia un po’ tutto.
In primo luogo, ad esempio, la scuola è dello Stato. Lo è quasi sempre, se si escludono le scuole private; ma limitiamoci appunto a quella statale: è pagata dallo Stato, è ordinata e programmata dallo Stato, è in un certo senso funzionale allo Stato. È un servizio che lo Stato offre (più o meno gratuitamente), ma è anche un dovere, o un obbligo, a cui lo Stato chiama i suoi cittadini, almeno fino ad una certa età. Dire che la scuola è dello Stato, quindi, mi sembra di certo corretto: mette in luce il suo aspetto civico, anche il suo stretto legame con diritti e doveri. Ma la scuola non è solo dello Stato.
In secondo luogo, infatti, la scuola è anche di chi ci lavora dentro, cioè di insegnanti, presidi, collaboratori scolastici, impiegati. Ci passiamo lì anni ed anni della nostra vita, qualcuno interi decenni; ci mettiamo radici, visto che abbiamo i nostri cassetti, i libri che abbiamo abbandonato da qualche parte. Lì vediamo passare frotte di studenti, intere generazioni di ragazzi, e a volte poi ci ritroviamo ad insegnare anche ai figli dei nostri primi alunni. Diventiamo quasi pezzi d’arredamento, come i poster ingialliti di una qualche manifestazione che nessuno toglie mai. La scuola però è comunque nostra, e noi insegnanti, ad esempio, cerchiamo anche di far valere questo vincolo quasi di “proprietà”: vogliamo guidarla, dirigerla, giudicarla, eventualmente cambiarla, difenderla. Nel giro di qualche anno maturiamo un forte senso di appartenenza. Alcuni, ovviamente, finiscono anche per odiarla, la scuola: perché il rapporto può diventare simbiotico, troppo stretto, tossico, come si dice oggi. Ma la scuola non è solo dei prof.
In terzo luogo, la scuola è anche delle province o dei comuni. Sì, chi non è del settore di solito non lo sa, ma gli edifici in cui le scuole sono ospitate sono il più delle volte di proprietà dei comuni o, nel caso delle scuole superiori, delle province. Il che vuol dire che quando c’è da fare dei lavori, da alzare la temperatura dei termosifoni, da sistemare le infiltrazioni bisogna rivolgersi a questi enti locali, che con la scuola in realtà hanno ben poco a che spartire. Il che, inevitabilmente, porta a problemi di difficile soluzione: distanza, difficoltà di comunicazione, mancanza di fondi. Ma la scuola non è solo l’edificio che la ospita.
In quarto luogo – e mi sentirei di dire che siamo giunti al punto più importante –, la scuola è infatti anche di chi la frequenta, ossia degli studenti. Perché creiamo tutto questo, d’altronde? Perché lo Stato spende soldi, perché la provincia o il comune cercano di riparare i danni, perché i collaboratori puliscono, gli insegnanti spiegano e gli impiegati sistemano le pratiche? Per loro, per gli studenti. La scuola, dunque, è evidentemente loro: eppure loro, in questa scuola, sembrano sempre degli ospiti, a volte perfino un po’ indesiderati.
Penso in particolare alle superiori, dove ci troviamo di fronte dei ragazzi che hanno all’inizio quattordici anni, ma che quando escono dalla quinta sono maggiorenni, possono votare, possono finire in galera, possono pagare le tasse. A volte mi sorprendo a vedere questi ragazzi di 19 anni trattati come se ne avessero 14, o 8, con noi adulti che parliamo loro dicendo cosa devono fare, cosa possono e non possono dire, come devono star seduti e quando possono alzarsi. Non sto criticando il sistema educativo in toto, ovviamente; dico solo che è ben strano che ragazzi così grandi non abbiano quasi mai voce in capitolo nelle decisioni che li riguardano: non scelgono i programmi, non scelgono gli esami, non scelgono la scansione delle lezioni. Fanno fatica anche a scegliere i temi delle Assemblee d’Istituto, figuriamoci il resto.
Si dirà: è sempre stato così, ed è in parte anche logico che sia così; i ragazzi sono ragazzi, e quindi per definizione inesperti, troppo presi dalla loro adolescenza, ed è bene che professionisti adulti – ovvero gli insegnanti – scelgano per loro. In parte è vero, indubbiamente; ma ciò non toglie che trattiamo i diciannovenni quasi allo stesso modo in cui trattiamo i quattordicenni o i dodicenni, e sembriamo non accorgerci (o non volerci accorgere) del tempo che passa.
Ne parlavamo anche in una delle mie classi, proprio qualche giorno fa: i ragazzi si lamentavano che i professori li valutano continuamente, a volte anche sulla base di criteri che i giovani studenti ritengono discutibili, ma per i ragazzi non c’è mai l’occasione di valutare l’operato di un docente, per esprimere – anche in un modo timido o ininfluente – la loro opinione, e restituire pan per focaccia. E hanno ragione: loro non hanno voce in capitolo nell’educazione rivolta a loro. Come potrebbero? I giornali non vedono l’ora di trovare un caso di cronaca da sbattere in prima pagina che ci dimostri che i ragazzi sono indisciplinati, inaffidabili e problematici. Chi vuole starli a sentire, i giovani? Diamo loro uno spazietto giusto a Sanremo, anche se pure lì invitiamo solo ragazzi che sembrano borderline, un po’ strani e fuori dal mondo, in modo da poterli censurare con maggior facilità oppure renderli innocui catalogandoli direttamente come emarginati senza speranza. E quindi no, i ragazzi non possono dire nulla sulle materie che vengono loro insegnate, sui professori che dispensano loro il sapere, sui metodi di valutazione. Al limite se ne possono lamentare i genitori, e lo fanno anche con un certo vigore, ma i ragazzi è meglio che stiano lì ad aspettare che mamma o papà risolvano le questioni per loro.
Bisogna anche dire che spesso sono gli stessi ragazzi i primi a non prendersi sulle spalle la responsabilità dell’azione. Gli strumenti, in fondo, li avrebbero: possono eleggere i loro rappresentanti che siedono in Consiglio d’Istituto e possono far sentire la loro voce in assemblee, iniziative e varie altre occasioni. In generale, lo fanno però piuttosto raramente: da decenni i giovani sembrano più interessati ad organizzare feste o a comprare felpe con il logo della scuola che non a prendere in mano la situazione.
Sono vari anni, ad esempio, che seguo i Rappresentanti d'Istituto della mia scuola e devo dire che, in primo luogo, è già difficile trovare dei ragazzi disposti a mettersi in gioco e ad accettare la candidatura e, in secondo luogo, che questi ragazzi, anche quando sono animati dalle migliori intenzioni, finiscono per essere spesso piuttosto timidi, incerti e forse anche un po’ passivi. Perché poi c’è un altro problema di non poco conto: non hanno nessuno che insegni loro come si diventa “padroni” della scuola, non hanno esempi. Sono perlopiù abbandonati a loro stessi, almeno qui da noi, almeno in provincia.
Non è il problema di un ragazzo o di un altro, di un’annata o di un’altra, ma di tutta l'intera generazione, forse di tutti i giovani di questi anni, che tra Covid, adolescenza che non finisce mai e calo demografico si trovano davvero un po' bloccati.
Eppure la scuola è loro: è proprio questo il paradosso, che loro cioè possono anche disinteressarsi di quello che accade, possono non avere alcuna idea su come gestire la scuola, ma la scuola rimane comunque loro. È come una di quelle proprietà fastidiose che ti tormentano, di cui vorresti sbarazzarti ma che non ti permette di sbarazzarti di lei.
E il bello è che noi insegnanti avremmo proprio bisogno che qualcuno ci desse una mano, che qualcuno ci togliesse dalle mani questa scuola di cui a volte ingiustamente ci riteniamo i padroni. Perché un insegnante, come dicevo anche prima, finisce per affezionarsi al luogo in cui lavora e per sentirlo suo, per affezionarsi alle proprie materie e alle proprie classi e per sentirle solo sue; cosa che lo porta a non accorgersi più del fatto di essere un ospite in quelle mura. E così facendo l'insegnante può finire per sentire che gli ospiti sono i ragazzi e che lui è il padrone, cosa che genera tutta una serie di effetti nefasti per l'educazione e per la scuola in generale. Invece noi insegnanti abbiamo bisogno che qualcuno ci ricordi che siamo noi gli ospiti, che siamo noi quelli che devono entrare in punta di piedi e portare qualche dono, come si fa quando si viene invitati a cena da qualche parte (solo che noi non portiamo il vino o il dolce ma la conoscenza, quando va bene).
In ogni caso, di nuovo, gli ospiti siamo noi e i padroni sono gli studenti: se ce ne ricordassimo, gli studenti potrebbero anche proporre strategie nuove, idee innovative, anche un arricchimento dell'offerta formativa che sia più alla loro portata, più vicino ai loro interessi che non ai nostri. Purtroppo in molte scuole ancora oggi si imbastisce un arricchimento dell'offerta formativa che è completamente calato sugli insegnanti e non sugli studenti, si propongono programmi anche curricolari che sono completamente calati sugli insegnanti e non sugli studenti, si organizzano iniziative, conferenze, PCTO, incontri che sono completamente calati sugli insegnanti e non sugli studenti. E tutto deriva dal fatto di non sapere di chi è la scuola.
Quanto sarebbe diversa, questa benedetta scuola, se ci ricordassimo ogni giorno che appartiene a loro?
Quello che ho registrato e pubblicato
Ecco ora tutti i video, i podcast e i video brevi che sono usciti questa settimana.
Le prove su Dio 1 - La prova cosmologica: cominciamo una rivisitazione organica di tutte le principali prove elaborate riguardo all’esistenza di Dio
Il Brasile recente di Lula e Bolsonaro: l’ultima puntata della serie dedicata alla storia contemporanea del Brasile
L’Ellenismo ad Alessandria d’Egitto: dopo la fine dell’epoca delle poleis e per tutta la lunga fase del dominio romano, la Biblioteca di Alessandria rappresentò un baricentro culturale e filosofico
La natura e la nascita della scienza moderna (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
La Rivoluzione scientifica nel Rinascimento (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
Il cattolicesimo sociale nell’Ottocento (per il podcast “Dentro alla storia”)
Il socialismo utopistico (per il podcast “Dentro alla storia”)
Blanco e lo spirito dionisiaco
Quello che devi fare per seguirmi sui social
Ah, prima di dimenticarci vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
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Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono i nuovi abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri e videocorsi che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
Manifesto del Partito Comunista di Karl Marx e Friedrich Engels: nei podcast storici ho appena parlato del socialismo utopistico, e anche in classe in questo periodo, soprattutto nelle mie due quarte, sto presentando più o meno gli stessi argomenti, cioè le grandi ideologie politiche dell'Ottocento. È inevitabile, quindi, che in questo periodo avrei finito per proporvi un classico non solo della filosofia politica del XIX secolo, ma di ogni epoca: il Manifesto del Partito Comunista di Karl Marx e Friedrich Engels, libro che ha segnato un'epoca e che continua ad essere stampato e venduto ancora con discreto successo. Il volumetto è piuttosto agile, visto che fu pensato proprio per un pubblico di operai; allo stesso tempo, però, consente di avvicinarsi alle grandi lotte politiche di due secoli fa e alle teorie che poi avrebbero portato alla nascita del socialismo organizzato, del comunismo e di alcuni dei momenti più importanti della storia del '900. Il saggio lo potete comprare qui.
Cartoleria illustrata: come vendere sul mercato la tua arte: vi piacerebbe creare stampe, adesivi o cartoline a partire da un vostro disegno? Questo corso – che costa 14,99 euro e si compone di ben 17 lezioni – vi permette di imparare a muovervi piuttosto bene in questo intricato mondo e realizzare alcune creazioni molto originali. Lo trovate su Domestika, qui.
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né fare corsi, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Quello che c’è in arrivo
Chiudiamo come sempre con un veloce elenco dei video in arrivo nei prossimi giorni:
già domani dovrebbe uscire un nuovo video di storia romana, incentrato su Diocleziano;
per quanto riguarda filosofia, invece, ancora non sono sicuro: potrebbe essere la volta di un video della serie Grandi filosofi in un’ora, oppure toccare a un filosofo medievale minore che devo ancora recuperare;
arriverà poi di certo anche una nuova puntata de L’Autunno del Medioevo;
spero pure, infine, di preparare il secondo video dedicato alle prove dell’esistenza di Dio;
per quanto riguarda i podcast, invece, spazio all’uomo rinascimentale in filosofia e a Marx ed Engels in storia (ma poteva essere anche il contrario, Marx in filosofia e il Rinascimento in storia, per dire di come queste due materie si intreccino).
E questo è tutto. Festeggiate un buon San Valentino e ci ritroviamo qui tra sette giorni, puntuali come sempre. Ciao!