Analogie e differenze tra le guerre in Ucraina e a Gaza, parlando anche di Napoleon, L'attacco dei giganti, Aristotele, Nanni Moretti, la Storia d'Italia, Wittgenstein, Pico della Mirandola e Epicuro
Mi sono reso conto che nelle ultime settimane ho parlato spesso di scuola, qui, nella newsletter. E non è un caso: mi sono infatti anche reso conto che da quando la scuola è ricominciata, a settembre, ne sono stato totalmente assorbito, nel bene (molte sono state le cose fatte, e spero più che decentemente) e nel male.
Dico “nel male” perché, in realtà, è utile non solo avere qui una varietà ampia di temi, ma anche che io pensi a cose diverse. Per quanto la scuola sia importante, non si può vivere solo di scuola, soprattutto oggi, con due guerre vicine a noi ancora in corso (e innumerevoli altre, più lontane ma non meno drammatiche); con giovani che hanno sempre più problemi anche e soprattutto fuori dalle aule scolastiche; con una società un po’ sfaldata, un po’ sfilacciata, molto intimorita e molto delusa.
Visto poi che l’anno si avvia verso la fine, ho pensato dunque che poteva essere utile, in questa newsletter pre-natalizia, fare il punto almeno sulle guerre a noi più vicine e soprattutto su quello che esse rappresentano, su cosa abbiamo capito e su come, forse, dovremmo cercare di gestirle in futuro.
Prima di arrivare a tutto questo, però, come sempre vi racconterò anche di libri, di film e di tanto altro. E vi faccio anche un piccolo annuncio: domani (o forse già stanotte) arriveremo alla fatidica cifra di 100.000 iscritti su YouTube. Preparatevi ai festeggiamenti.
Ma per ora, cominciamo.
Quello che ho letto
E iniziamo come sempre dalle letture. Un libro oggi ci lascia, uno quasi (nel senso che l’ho praticamente finito) e un altro invece si aggiunge alla lista. Vediamoli.
Tractatus logico-philosophicus di Ludwig Wittgenstein: non ricordo più se ve l’ho già detto, ma il libro del mese che all’interno del Club del Libro abbiamo deciso di affrontare in vista di gennaio è il celebre (e complesso) Tractatus di Wittgenstein. Forse non sapete bene, però, cos’è questo Club del Libro: ebbene, gli abbonati al canale YouTube hanno diritto – a seconda del diverso “pacchetto” che scelgono – anche ad alcuni incontri online con me e con gli altri abbonati dello stesso livello per discutere, tra le altre cose, di libri. In breve: ogni mese si sceglie un volume da leggere e il mese successivo se ne discute assieme. Finora abbiamo parlato di Al di là del bene e del male di Nietzsche, di 1984 di Orwell, del Simposio di Platone; e all’inizio di gennaio (subito dopo le vacanze) toccherà a un libro appunto impegnativo, il Tractatus, scelto come sempre tramite sondaggio tra i nostri abbonati. Così ho dovuto ricominciare a leggerlo, questo saggio che ha poco più di 100 anni di vita, partendo dalla storica introduzione di Bertrand Russell, che è tecnica quasi quanto il testo di Wittgenstein ma che almeno permette subito di decifrare alcuni aspetti del pensiero del filosofo austriaco. Per il momento, sono ancora imbrigliato appunto nell’introduzione, ma presto arriverò al testo vero e proprio (che tra l’altro è veloce, benché “denso”). Ve ne parlerà ancora, e per ora non ho in effetti granché da dirvi. Vi avviso però di due cose: a) non è un libro facile, ed è bene avvicinarvisi almeno con un’introduzione; la mia potete trovarla qui; b) se volete leggerlo o se volete anche solo partecipare alla nostra discussione (si può, volendo, anche solo ascoltare, senza intervenire) potete abbonarvi al livello Roosevelt qui. Comunque il libro, se vi interessa, lo potete comprare qui.
Breve storia d’Italia ad uso dei perplessi (e non) di Mario Isnenghi: di questo libretto vi ho già parlato la settimana scorsa, e devo dire che probabilmente non ve ne parlerò ancora a lungo visto che l’ho praticamente finito (sono arrivato a Berlusconi, e considerando che io possiedo l’edizione aggiornata al 2012 non credo manchi molto al finale). Si tratta di una veloce ricapitolazione della storia d’Italia dal Risorgimento ad oggi, toccando tutti i punti importanti di questo lungo percorso in maniera rapida ma incisiva, e con uno stile piacevole. Il libro era pensato, in origine, per i giovani credo addirittura delle superiori, ma oggi temo che sarebbe complicato per molti liceali: i miei studenti potrebbero leggerlo solo in quinta, ad esempio, alla fine del percorso e vi ritroverebbero praticamente tutto quello che abbiamo fatto in classe (e quasi nulla di più), ma io sono uno che sulla storia insiste (e pretende) parecchio, mentre non credo che oggi tutti gli studenti delle superiori – che spesso col programma arrivano a malapena al 1945 – capirebbero bene certe pagine o certe situazioni. Il pregio ma anche il limite del libro di Isnenghi, infatti, è che è breve: necessariamente, quindi, deve dare per scontati alcuni passaggi, fidandosi del fatto che il lettore, forte delle sue conoscenze pregresse, possa ricostruirli; e però non è detto che sia sempre così facile. Insomma, contrariamente a quel che dice il titolo non è, forse, un libro per tutti; ma è comunque un libro ben scritto, adatto a chi ha già studiato la storia d’Italia discretamente bene e ha bisogno di una rinfrescata, di un grande ripasso, per coglierne anche – a volo d’uccello – gli elementi più significativi. Se vi interessa, il libro lo potete acquistare qui.
Sette brevi lezioni sull’epicureismo di John Sellars: la settimana scorsa vi ho detto che mi mancava poco per finire questo breve saggio del filosofo inglese John Sellars, ed in effetti ne ho concluso la lettura poco dopo aver inviato la newsletter. Come vi dicevo, non si tratta, in sé, di un libro sconvolgente: se avete già studiato il pensiero di Epicuro o se anche solo avete visto il mio video al riguardo (qui), conoscete già tutto quello che c’è nel libro e forse anche di più. Si tratta, infatti, di una serie di lezioni brevissime e molto introduttive al pensiero del fondatore della scuola del giardino, utili per chi è a digiuno della materia e vuole trovarvi qualche indicazione per la vita concreta. Epicuro, da questo punto di vista, era infatti un maestro; e Sellars, forte di un certo stile anglosassone, sa presentare l’argomento con parole semplici ma anche abbastanza incisive. Può essere un buon regalo di Natale, insomma, soprattutto se pensate di indirizzarlo a chi non studia da tanto la filosofia (o non l’ha proprio mai studiata). Lo potete acquistare qui.
Quello che ho visto
E passiamo ora ai film e alle serie. Come noterete, sto proseguendo con un anime suggerito dai miei studenti, ho visto (finalmente) un importante film storico e ho recuperato un classico (un po’ volgare, ma di cui vale la pena comunque di discutere) della mia infanzia.
L’attacco dei giganti episodi 1.05-1.06 (2013), di Tetsurō Araki: in primo luogo, ho visto altre due puntate, questa settimana, della serie anime L’attacco dei giganti, e devo dire che continuo a rimanere sorpreso da quello che vi succede. Come vi accennavo già la volta scorsa, mi sembra che la trama trovi infatti la sua originalità soprattutto nella velocità con cui si dipanano le vicende: normalmente siamo abituati a vedere storie che, soprattutto se drammatiche, procedono lente, con una graduale maturazione dei personaggi, svolte abilmente dosate, pochi ma decisivi momenti topici. In L’attacco dei giganti sembra che tutte queste regole siano saltate: nei primi sei episodi (ed episodi da mezz’ora, non certo da due ore ciascuno) è già successo quello che in una normale serie post-apocalittica accade in tre stagioni. Non vorrei fare troppi spoiler, ma credo di poter dire di aver già assistito a morti di personaggi principali, scene topiche e violentissime, svariati anni condensati in un solo episodio, perfino flashback rivelatori e altro ancora. Insomma, è un vero e proprio turbinio di vicende. Però devo anche dire, allo stesso tempo, che le vicende cominciano a farsi appassionanti e che il tema filosofico di fondo – il ruolo, alla Schopenhauer, di un uomo divoratore di altri esseri – è già pienamente emerso. Vedremo come proseguirà la storia con i prossimi episodi. Intanto, se vi interessa, la trovate su Amazon Prime Video.
Napoleon (2023), di Ridley Scott, con Joaquin Phoenix, Vanessa Kirby, Tahar Rahim: come già sapete se avete guardato i video di questa settimana, ho finalmente visto Napoleon, la tanto discussa ultima pellicola di Ridley Scott dedicata alla vita e alle imprese di Napoleone Bonaparte. Per non ripetere quanto ho detto nel video (che trovate linkato più avanti, nella sezione Quello che ho registrato e pubblicato), qui dirò che il film sinceramente me lo immaginavo migliore. Pensavo che, conoscendo Scott, si sarebbe lasciato ampio spazio alle battaglie, magari mostrando l’abilità del generale Bonaparte, i suoi movimenti di truppe, la sua arroganza politica; immaginavo grandi ed epiche scene di battaglia, insomma, con magari qualche spruzzatina di politica qua e là. Invece di battaglie se ne vedono obiettivamente poche, ed è una scelta francamente abbastanza assurda, visto che Napoleone è stato sicuramente il più grande genio militare dell’età moderna. Piuttosto, si sceglie di concentrarsi sulla vita privata dell’imperatore dei francesi, non tanto per farle fare da contraltare alla vita pubblica, ma proprio perché quella dimensione privata tende a soffocare le altre, come se Napoleone fosse stato esclusivamente un uomo innamorato (e poi innamorato a modo suo) di Giuseppina. Esperimento più che sufficiente, per carità, ma poco rilevante dal punto di vista storico, almeno a mio avviso; ed è forse proprio per questo che gli storici di professione se la sono tanto presa guardandolo sul grande schermo. Forse, comunque, fate ancora in tempo a trovarlo nei cinema, se vi interessa.
Scuola di polizia (1984), di Hugh Wilson, con Steve Guttenberg, Kim Cattrall, G.W. Bailey: gli anni '80 sono stati, ci raccontano i libri di storia del cinema, il primo decennio in cui Hollywood ha cominciato ad occuparsi a pieno titolo degli adolescenti, varando per loro una serie di film più o meno riusciti. Erano pellicole che ammiccavano, di solito, all’immaginario dei teenager: ambientati in scuole e ambienti simili, presentavano alcuni “tipi umani” ricorrenti (il burlone, lo sportivo, l’introversa, il bullo ecc.) e si risolvevano spesso in toni da commedia con una spruzzata di romanticismo. John Hughes ci costruì sopra un’intera carriera, con titoli come Breakfast Club o Una pazza giornata di vacanza (di cui vi ho parlato giusto qualche puntata fa). Ci furono però anche pellicole che, pur giocando sullo stesso canovaccio, scendevano di tono, scivolando anche sulla facile volgarità; avevano spesso un buon successo commerciale, e questo favoriva l’arrivo di sequel o la creazione di vere e proprie saghe. Così è stato anche per il franchise di Scuola di polizia, composto da sette lungometraggi e due serie TV, una delle quali animata; una serie nata nel 1984 col primo film, interpretato da Steve Guttenberg (uno degli attori di maggior successo del periodo), Kim Cattrall (poi celebre per Sex and the City) e l’ex giocatore di football americano Bubba Smith. Poi ovviamente succedeva che questi film ufficialmente pensati per gli adolescenti finissero, in Italia, nelle mani soprattutto dei bambini (grazie, all’epoca, al VHS e ai frequenti passaggi televisivi), che li guardavano in cerca di volgarità e comicità a buon mercato. In effetti, rivisto oggi Scuola di polizia appare come un prodotto abbastanza mediocre, grossolano. Spicca l’interpretazione del veterano George Gaynes (il commissario Lassard), che ho scoperto essere in origine finlandese; e rimane, di positivo, l’idea originale di dissacrare un mondo – quello dei poliziotti – che in quel tempo veniva ancora presentato in maniera sostanzialmente positiva (e ingenua) dal cinema.
Quello che ho pensato
Come vi dicevo nella premessa, penso sia giunto il momento di fare il punto sui due conflitti che hanno segnato quest’anno: quello in Ucraina e quello a Gaza.
Lo dico subito: penso siano due conflitti estremamente diversi. Cercare però di inquadrare, anche schematicamente, le similitudini oltre che le differenze penso possa aiutarci a fare qualche riflessione.
Partiamo dalle differenze. In primo luogo, e mi si scuserà la banalità, il primo è un conflitto europeo, il secondo è un conflitto asiatico, o meglio ancora mediorientale. La geografia, in questo senso, non va sottovalutata.
A seconda di come conteggiamo le varie guerre, lo scontro a Gaza potrebbe essere considerato la nona guerra combattuta in 75 anni di storia in quella parte del mondo: purtroppo, lì non rappresenta affatto una novità. Anzi, è possibile che in futuro, tra un secolo o più, sui libri di storia si parli di un solo, lunghissimo conflitto arabo-israeliano, con diverse fasi e sviluppi ma comunque unitario.
Il fatto che la guerra tra Ucraina e Russia si combatta in Europa la rende, invece, per noi speciale. Per quanto i paesi dell’est abbiano avuto spesso una storia a sé rispetto a quelli dell’ovest, è innegabile che in questo caso c’è, per noi italiani, per noi europei, una percezione diversa; c’è l’impressione che il conflitto venga combattuto a (relativamente) pochi chilometri da casa nostra. All’inizio temevamo che si potesse anche estendere alla Polonia, alla Romania, ad altri paesi, e avvicinarsi ulteriormente a noi.
Scherzi della percezione, verrebbe da dire: in linea d’aria, da casa mia a Charkiv la distanza è più o meno la stessa di Tel Aviv. E i legami culturali che abbiamo con gli israeliani sono forti tanto quanto quelli che abbiamo con gli ucraini, se non di più; eppure, ripeto, uno è un conflitto europeo, l’altro è un conflitto mediorientale. Segno di quanto sia complicata la faccenda.
Seconda differenza: credo sia ormai appurato (e condiviso da tutte le persone non in malafede) che l’attacco di Putin sia stato un attacco non provocato. Non esisteva e non esiste nessuna seria minaccia neonazista in Ucraina, non esisteva e non esiste nessun vero pericolo esistenziale per la Russia: “l’operazione militare speciale” è stata una operazione di stampo imperialista, come Putin ne ha fatte a bizzeffe negli ultimi anni. A Gaza, invece, c’è stato un motivo scatenante, cioè l’attacco – di stampo spiccatamente terroristico – del 7 ottobre 2023 con cui Hamas ha ucciso e rapito a sorpresa moltissimi civili israeliani. Detta in termini più concreti: sul piano del diritto internazionale, l’attacco di Putin non può essere giustificato, quello israeliano in linea di massima sì (anche se poi si può ampiamente discutere sulle modalità di questo attacco).
Terza differenza: la forza dei contendenti. I due paesi che inizialmente sono stati attaccati, Ucraina e Israele, si trovano in rapporti di forza molto diversi rispetto a chi li ha invasi. L’Ucraina, infatti, è ben più debole della Russia, e dal punto di vista militare non potrebbe competere con le armate di Putin: per quanto abbia saputo resistere molto bene alla prima ondata di attacchi, sul medio periodo sarebbe stata spazzata via, senza un adeguato sostegno internazionale. Israele, invece, è ben più forte di Hamas: non ha bisogno di aiuti particolari per avere la meglio su una compagine che è male armata ed in difficoltà. Questo ovviamente pone anche delle domande: non c’è dubbio che Putin contasse di averla vinta abbastanza facilmente, ma cosa avessero in mente i leader di Hamas è ancora oggi difficile dirlo.
Quarta differenza: il livello del sostegno internazionale. Dal punto di vista politico, l’Occidente in entrambi i casi si è schierato in modo netto, a favore dell’Ucraina da un lato e a favore di Israele dall’altro. Con Israele l’alleanza è salda da diversi decenni, con l’Ucraina è un affare più recente, ma era comunque prevedibile che USA e UE avrebbero assunto queste posizioni. Diverso, come accennavo, è stato però il livello di questo sostegno. In Ucraina abbiamo inviato soldi e armi in gran quantità, di fatto tenendo in piedi il paese dal punto di vista militare nell’ultimo anno e mezzo abbondante; e l’abbiamo fatto perché altrimenti un pezzo di Ucraina (anche piuttosto grande) sarebbe stato annesso alla Russia, ma soprattutto a Kiev si sarebbe instaurato un governo fantoccio filo-putiniano. Israele non ha invece particolarmente bisogno di noi, né dal punto di vista militare, né tantomeno da quello politico. Le forze sono troppo sproporzionate a suo vantaggio – almeno finché se la deve vedere solo con Hamas, visto che gli alleati di quest’ultimo gruppo hanno deciso di star fuori dalla contesa – perché ci sia qualche reale problema per la tenuta del paese.
Quinta differenza (che deriva direttamente dalla quarta): come si è evoluto questo sostegno. Ci siamo schierati al fianco dell’Ucraina da subito (pur con qualche gruppo politico, qua e là, che faceva il tifo per Putin), e questo sostegno, almeno a parole, non è mai venuto meno; piuttosto, si è affievolita la voglia di spendere soldi per un paese che – nonostante la vicinanza geografica di cui parlavamo alla prima differenza – ci appare comunque a distanza di sicurezza. Eravamo tutti convinti, e forse lo erano anche i governi, che la Russia si sarebbe tirata indietro, che il suo sistema economico sarebbe andato enormemente in affanno, che in qualche modo Putin sarebbe stato costretto alla marcia indietro: niente di tutto questo è realmente avvenuto, o almeno non nelle dimensioni che ci aspettavamo. E così, come avrete letto, nelle ultime settimane sono arrivati segnali preoccupanti sia dagli Stati Uniti che dall’Europa riguardo alla mancata erogazione di fondi per i prossimi mesi di guerra. Insomma: il sostegno rimane a livello politico, rischia di farsi più debole a livello economico e militare, ma per cause che direi anche contingenti. Diverso invece è il caso di Israele. Lì il sostegno c’è stato subito, nei giorni immediatamente successivi al 7 ottobre, ma è andato scemando molto più rapidamente, e non solo a livello economico quanto anche, e soprattutto, a livello politico. Perfino gli Stati Uniti, il più forte e tradizionale alleato di Israele, si sono smarcati pesantemente da quello che il governo di Benjamin Netanyahu sta facendo nella Striscia di Gaza, per via di bombardamenti e attacchi che sembrano poco in linea con le norme del diritto internazionale. Le critiche, nelle ultime settimane, sono state via via sempre più esplicite; e anche l’Europa – pur con qualche differenza da paese a paese – non ha mancato di sollevare dei dubbi via via sempre meno timidi verso la condotta del conflitto.
Ci sarebbero ancora altre differenze da sottolineare, ma mi sembra che queste siano le principali e quelle su cui vale la pena di riflettere (e non vado oltre, altrimenti questa newsletter rischia di trasformarsi in un saggio breve). Passiamo ora alle similitudini, che in parte abbiamo già sfiorato.
Prima similitudine: non si tratta solo di guerre per un territorio, ma di scontri di civiltà. So che questo inizio può sembrare altisonante ed esagerato, e forse poco realistico, ma entrambi i conflitti ci sono stati presentati – in primo luogo da chi li ha fatti iniziare – come scontri non tanto legati al possesso di una terra, quanto a una filosofia di vita. Putin ha ribadito mille volte che la sua guerra è una guerra contro i valori decadenti dell’Occidente; Hamas non ce l’ha solo con Netanyahu o il suo governo, ma col popolo ebraico nella sua interezza, con quello che esso rappresenta. E, d’altra parte, Zelensky vuole entrare in Europa per smarcarsi dall’influenza russa, mentre il governo israeliano per il momento non sembra neppure contemplare una soluzione a due stati. Non si litiga, detta in altri termini, solo per una questione di vantaggi e svantaggi, ma perché si vuole annullare l’altro (in toto o in parte). Poi, è chiaro che in tutto questo c’è anche una certa dose di propaganda, ma credo che nel fondo questa propaganda attecchisca perché i due mondi sono effettivamente contrapposti.
Seconda similitudine (che deriva direttamente dalla prima): è una lotta tra Occidente e anti-Occidente. In entrambi i casi, infatti, i valori oggetto di discussione sono in parte (anche se non completamente, e non solo) i valori occidentali. Come dicevamo, Putin, dopo aver per qualche anno guardato all’Occidente come un mondo a cui avvicinarsi, ha operato una netta svolta ideologica, rimarcando sempre più nettamente le differenze tra la sua politica (e la sua Russia) e i sistemi liberali della parte più ricca del mondo. Ma anche dietro Hamas c’è una lotta non solo contro gli ebrei, ma contro tutto il sistema tenuto in piedi da Stati Uniti e suoi alleati: un sistema che – viene detto, con toni che richiamano le lotte anticoloniali – ha ghettizzato i palestinesi e, con loro, tutti i paesi arabi. Non è un caso che Cina e Russia guardino con interesse a quello che succede in Medio Oriente e non solo, perché lo vedono come un modo per indebolire la leadership americana. Anche qui potremmo essere più brutali: c’è un regolamento di conti in corso nel mondo, e Palestina e Ucraina sono pedine almeno in parte nelle mani di altri per colpire gli USA (il che non vuol dire che non decidano loro cosa fare; ma che gli interessi internazionali travalicano quello che succede semplicemente lì sul territorio).
Terza similitudine: sono guerre verso cui abbiamo sempre meno sopportazione. Non so quali siano le vostre opinioni politiche, se consideriate questi conflitti (o comunque quantomeno le risposte dei paesi attaccati) come legittimi, ma in ogni caso è probabile che siate stanchi di così tante vite umane perdute, di tanti soldi buttati in pratiche di morte, di ricatti e controricatti di politici assai discutibili. C’è stato un tempo ormai lontano in cui si poteva partecipare emotivamente ad una guerra, oserei dire anche “facendo il tifo” per una parte in gioco (nella Seconda guerra mondiale, molti, giustamente, “facevano il tifo” per gli Alleati contro le potenze dell’Asse); quel tempo è finito da un sacco. Anche quando è possibile identificare un aggressore e un aggredito, la nostra capacità di sostenere chi tenta di resistere non è infinita; e non lo è solo perché ci dispiace perdere soldi in guerre lontane, ma anche perché non riusciamo a sopportare le troppo frequenti notizie sulle morti. Conoscete, probabilmente, la celebre citazione che viene di solito attribuita (erroneamente) a Stalin: «Una morte è una tragedia, un milione di morti è statistica». Ebbene, essa rende ben conto del nostro atteggiamento davanti alle notizie dal fronte: quando i morti sono pochi, ci indigniamo, vogliamo combattere e chiediamo giustizia; quando i morti sono troppi, spesso non ne possiamo più e non vogliamo più stare a sentire quelle notizie, disinteressandoci al tema. Il caso palestinese è emblematico: quando Israele ha reagito e ha cominciato a bombardare la Striscia di Gaza, moltissimi – perfino quelli che sostenevano Israele – si sono trovati in difficoltà davanti all’elevato numero di morti tra i civili; e questa difficoltà è aumentata via via. Poi, un po’ alla volta, ci si è abituati alla cosa. Certo, rimangono persone che si battono contro queste morti, che chiedono un cessate il fuoco (e anche la politica internazionale, per una volta, pare stia provando a fare la sua parte), ma la loro voce è sempre più debole. Perché, semplicemente, l’opinione pubblica si stufa in fretta anche del dramma, anche del lutto. È la stessa cosa che è accaduta con le morti dei migranti: le prime volte in cui accadeva un naufragio, giustamente, eravamo tutti indignati; ieri ne sono morti 61, di migranti, al largo della Libia, e non ci ha fatto caso nessuno, tutti troppo presi a leggere della polemica tra Giorgia Meloni e Chiara Ferragni.
Quarta similitudine: sono conflitti destinati a rimanere aperti. Comunque vada a finire tra Russia e Ucraina e tra Israele e Hamas, è difficile pensare che queste guerre saranno risolutive, che si arriverà cioè ad un accordo stabile e duraturo tra le parti. Proprio perché le rivendicazioni non sono solo (o tanto) territoriali, ma di civiltà, nessuna pace può essere risolutiva. Tra Russia e Ucraina rimarranno tensioni (a meno che uno dei due paesi non crolli internamente); e tra Israele e palestinesi rimarranno tensioni (ci siamo abituati da 75 anni, e non sarà certo una guerra a cambiare le cose). Il che vuol dire anche che, necessariamente, questi conflitti ora in corso sono inutili: una guerra che lascia le cose come stavano, e anzi le peggiora – perché aumenta ulteriormente l’odio e la conflittualità –, è una guerra che si poteva fare a meno di combattere.
Quinta (e per il momento ultima) similitudine: sono due conflitti stupidi. Da quello che ho scritto sopra, risulterà facile capire che queste due guerre erano evitabili. Putin non era minimamente obbligato ad attaccare l’Ucraina, e il suo è stato – anche da un punto di vista filo-putiniano – un gesto sconsiderato, un errore tattico non indifferente. Può darsi che alla fine ne esca ancora in piedi e forse addirittura rafforzato nel suo potere interno, ma ha rischiato troppo senza che ce ne fosse bisogno. Hamas ha fatto un errore simile, e, se vogliamo, ancora più grave, perché ha probabilmente sovrastimato l’appoggio di cui godeva da parte di alcuni gruppi e paesi vicini e ha compiuto un’operazione quasi suicida. Verrebbe da chiedersi perché gruppi politici del genere – che hanno leader navigati, e dovrebbero avere una certa conoscenza dello scenario – possano incappare in errori così marchiani: eppure, guardando la storia, ci si rende conto che non è affatto raro. Anzi, è più spesso la normalità: da sempre gli uomini commettono errori grossolani quando si tratta di guerra. Ci sono regimi che si reggono su quello, sul fatto cioè di conquistare, di attaccare, di dar sfogo al bellicismo: e quelli di Putin e di Hamas, in questo senso, si assomigliano; ma proprio perché devono fare guerra, a volte fanno l’errore di dichiarare guerra laddove sarebbe più conveniente la pace, o in modi e tempi poco vantaggiosi.
Cinque differenze e cinque similitudini, e ci sarebbe ancora moltissimo da scrivere. Io però per ora mi fermerei qui. Non ho detto niente di sconvolgente, nulla di particolarmente originale: ma fare il punto ha aiutato me, e spero anche voi, a mettere le cose in ordine, e a valutarle in maniera più fredda ed obiettiva.
Quanto dureranno ancora queste guerre non lo sa obiettivamente nessuno. Il 2024, però, potrebbe essere un anno decisivo, di svolta. Vedremo.
Quello che ho registrato e pubblicato
Facciamo anche il punto ora, come sempre, sui video e sui podcast che sono usciti in questi ultimi sette giorni:
Napoleon, il film: una recensione storica: uno dei film di cui si è più discusso nelle ultime settimane, dal mio punto di vista
Filosofia e storia di Nanni Moretti: i film di Moretti hanno rappresentato, in un modo o nell’altro, un pezzo dell’Italia degli ultimi 50 anni
L’autoironia che salva dal dogmatismo: nuovo capitolo della serie dedicata alla filosofia neoscettica e a come sopravvivere al mondo attuale
La filosofia di Pico della Mirandola: il pensiero di uno dei più rappresentativi filosofi del Rinascimento italiano
Storia dei consumi 11: tra le due guerre mondiali: negli anni '20 e '30, il consumo assunse sempre più una dimensione politica
Arnauld e la logica di Port-Royal (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
La Belle époque e le sue contraddizioni (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che devi fare per seguirmi sui social
Ah, prima di dimenticarci vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
Il canale YouTube | Instagram | Facebook | Twitter/X | TikTok
Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono gli abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
Etica nicomachea di Aristotele: in questi giorni mi sono reso conto che, nonostante questa newsletter abbia quasi due anni e mezzo di vita, non ho ancora mai consigliato, come libro della settimana, un’opera di Aristotele. Sicuramente nei primi mesi ho cercato di suggerirvi qualcosa di più accessibile, di più “soft”, però la mancanza comincia a farsi grave ed è il caso di rimediare in fretta. Partiamo dall’Etica nicomachea, uno degli scritti aristotelici più noti e belli, oltre che di quelli – forse per il tema – più accessibili. Si parla ovviamente di etica, di buon comportamento, di virtù e di anima; per certi versi il libro può anzi sembrare, sulle prime, parzialmente superato, ma in realtà a leggerlo con attenzione vi si trovano ancora oggi molte cose estremamente interessanti. E costa anche poco: meno di 15 euro. Lo potete acquistare qui.
sui social questa settimana ho segnalato come al solito diversi libri appena usciti che mi paiono interessanti, una sorta di “lista della spesa” che dovrebbe rivelarsi utile anche in primis per me. Ecco i volumi, se ve li siete persi (se vi interessano, cliccate sopra alle immagini per altre informazioni):
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Quello che c’è in arrivo
Chiudiamo con il programma dei video dei prossimi giorni:
se tutto va come deve andare, domani (o forse già nei prossimi minuti) il canale YouTube supererà quota 100.000 iscritti: in serata dovrebbe arrivare una diretta per celebrare il grande traguardo, quindi tenetevi liberi;
mercoledì invece non usciranno nuovi video, perché si svolgerà il Simposio filosofico per gli abbonati del canale;
giovedì e venerdì arriveranno i podcast, con Gassendi per filosofia e la Germania guglielmina per storia;
sabato ultimo video prima di Natale, dedicato, se tutto va come previsto, a Boezio;
domenica e lunedì, cioè nel giorno della vigilia e a Natale, ci prenderemo una meritata pausa.
Se avete già fatto i conti, saprete che il prossimo appuntamento con la newsletter sarà esattamente il giorno di Natale, il 25 dicembre; e quello successivo sarà addirittura il 1° gennaio, salutando l’anno nuovo. Cercherò di preparare qualcosa di speciale per quelle due occasioni, anche per festeggiare ancora una volta i 100.000 iscritti. Ci vediamo là, così ci scambieremo virtualmente anche gli auguri. Intanto, buona settimana!