Ancora una volta sugli Esami di maturità (e sui voti), ma anche su Zerocalcare, Pinguini Tattici Nucleari, Gialappa's Band, Alessandro Manzoni, Cormac McCarthy, il Risorgimento, Galileo e Marx
Ormai gli esami di maturità sogno giunti più o meno tutti alla fine; certo, ci sarà ancora qualcuno, da qualche parte in Italia, che deve ancora sostenere l’orale, ma si tratta ormai di casi rari. Lo dico con cognizione di causa: oltre agli esami che ho fatto in prima persona, quest’anno ho ricevuto messaggi da decine e decine (anzi, sicuramente centinaia) di ragazzi impegnati nelle prove d’esame. Mi ha fatto molto piacere sapere che, nella bolgia dello studio matto e disperatissimo, abbiate trovato anche il tempo per mandarmi qualche parola.
Pubblicare i video su YouTube, d’altra parte, mi ha reso negli ultimi anni l’insegnante virtuale di tantissime persone: loro mi considerano davvero un loro prof e io, anche se non li ho mai incontrati né visti, finisco per considerarli a mia volta miei allievi. Il che implica anche una pesante responsabilità: se i miei alunni reali vanno male all’esame mi dispiace parecchio, ma almeno sono pochi; se però inizio ad avere migliaia di alunni sotto esame comincio a sentire anche una certa pressione.
Insomma, tutto questo per dire che spero che l’esame sia andato bene a tutti, o comunque non troppo male. E ora, cari diciannovenni, mettete in archivio questa prova e preparatevi ad affrontare le prossime: tutta la vita è risolvere problemi, come diceva Popper, e quando se ne supera uno bisogna subito cominciare a guardare avanti in vista del prossimo, senza ansie o fobie.
Detto questo, addentriamoci nella nostra consueta newsletter settimanale: come vedrete, torneremo già tra qualche riga a parlare dell’esame di maturità. Intanto però partiamo.
Quello che ho letto
Il via lo diamo come al solito coi libri. In lista questa settimana c’è un volume che oggi ci lascia, un altro che è vicino alla conclusione e un nuovo ingresso.
Il passeggero di Cormac McCarthy: partiamo dall’ultimo libro pubblicato di Cormac McCarthy, di cui mi manca ormai solo una manciata di pagine. Che dire? Sono molto incerto sul giudizio da dare all’opera. La storia, come anticipavo la settimana scorsa, non mi ha preso quasi per nulla: Robert Western e sua sorella mi sono rimasti fino ad ora – e cioè fino alla fine – distanti, freddi; i loro problemi non sono riuscito a farli miei. Nel caso della sorella sarebbe stato ovviamente difficile, e se avete letto il libro capite cosa intendo; mentre invece nel caso di Bobby forse un qualche scatto empatico era necessario per calarsi all’interno della trama. Se i personaggi principali rimangono distanti, sconosciuti, le pagine scorrono via senza lasciarti granché. Quindi, dal punto di vista del romanzo in sé e per sé, probabilmente Il passeggero mi ha deluso; mentre diverso è il giudizio per tutto quello che dovrebbe essere contorno, ma diventa qui più importante: i personaggi in cui Bobby via via si imbatte, le chiacchierate inutili per la trama assieme ai suoi amici, qualche rilievo buttato qua e là. Lì, in quei dettagli, si vede il vero McCarthy, il grande scrittore. È proprio per questa frattura tra le due anime del libro che diventa difficile, almeno per me, dare una valutazione completa di questo romanzo. Mi riservo ancora qualche giorno per finirlo – adesso, dopo varie peripezie e aver vissuto isolato per qualche mese, Bobby è finito in Spagna – e per rimuginare ancora su tutto quanto prima di emettere il verdetto. Ne riparliamo la settimana prossima. Intanto, se vi interessa, lo potete comprare qui.
Mai dire noi della Gialappa’s Band: come vi raccontavo, durante le settimane passate a fare esami dalle parti di Portogruaro non mi sono portato libri cartacei, che in valigia non ci sarebbero stati, ma ho preferito affidarmi agli ebook, che comunque leggo ormai da parecchio tempo e con buona costanza. Tra i libri lasciati a casa c'è stato anche questo volume autobiografico della Gialappa's Band, che a suo tempo era disponibile esclusivamente in versione cartacea e che dunque ho potuto acquistare solo in questo modo; visto che consta di ben 430 pagine, di sicuro non sarebbe stato adatto a una trasferta. Devo dire però che, mentre lontano da casa mi dedicavo a letture abbastanza intellettuali, una volta rientrato all'ovile mi fiondavo immancabilmente su questo volume che di intellettuale ha davvero piuttosto poco. C'è infatti tutta la storia del trio, raccontata però come se si trattasse sostanzialmente di una chiacchierata (e in effetti sul finale si capisce perché: i tre non hanno fatto neppure la fatica di mettersi ad un computer, visto che hanno letteralmente inciso su nastro i loro discorsi, affidando poi ad uno sbobinatore il compito di sistemare il tutto). Niente di trascendentale, dunque, dal punto di vista letterario, né alcuna riflessione profonda sulla comicità o sulla televisione; e però, nonostante tutto questo, il libro l’ho letteralmente divorato, arrivando a finirlo proprio ieri. Da un lato infatti mi incuriosivano tutti i retroscena di tanti anni di televisione, sia per quanto riguarda le carriere dei comici che sono passati sotto le loro grinfie (da Aldo Giovanni e Giacomo ad Antonio Albanese, da Maurizio Crozza a Fabio De Luigi, da Claudio Bisio ad Elio), sia per le questioni in un certo senso politiche riguardanti i vari passaggi da Mediaset alla RAI e viceversa, ivi compresi anche i tentativi di censura operate dalle varie emittenti su alcune battute ritenute scomode. Inoltre i tre hanno sicuramente la capacità di essere corrosivi sia nei confronti di loro stessi, sia nei confronti dei loro collaboratori, cosa che è sempre stata la loro vera e unica cifra stilistica; una durezza che, per loro stessa ammissione, oggi sarebbe molto più difficile da mettere in campo visto che nell'epoca del politicamente corretto ci si tende ad offendere molto più facilmente di prima, a volte a torto ed a volte a ragione. L'impressione che emerge dalla lettura e anche dai dialoghi con alcuni dei loro collaboratori storici è che però la battuta pesante fosse parte del copione, del gioco, e che quindi chi accettava di far parte di quelle trasmissioni doveva implicitamente metterla in conto. Io, ad esempio, ho guardato i programmi della Gialappa's solo per una certa fase della mia vita e mai come un evento imperdibile, tanto che non mi definirei neppure un fan; eppure ho riso molto davanti ad alcuni loro programmi, soprattutto ad esempio davanti alle prime edizioni di Mai dire Grande Fratello, quando il trio milanese sfotteva senza pietà i partecipanti del primo storico reality show italiano. A ripensarci oggi, però, bisogna anche ammettere che era un po' come sparare sulla Croce Rossa, perché prendevano dei personaggi che si esponevano volontariamente al pubblico ludibrio e ne mostravano tutta l'idiozia, calcando anche pesantemente la mano: forse oggi quei personaggi finirebbero per urlare al bullismo, però è anche vero che erano loro stessi ad esporsi a tutto questo cercando una inutile fama televisiva. Insomma, alla fine dei conti non so dire se la comicità della Gialappa’s in quei casi fosse eccessiva o legittima, e d'altronde con il comico stabilire il confine è sempre assai difficile; certo è che erano altri tempi e che oggi la sensibilità su questioni del genere è profondamente cambiata. Non so dire se sia un bene o un male in assoluto: probabilmente in certi casi è stato un bene e in altri è stato un male; ma d'altronde la vita e la moralità sono sempre incerte e bisogna il più delle volte navigare a vista. Comunque una lettura leggera e divertente. Il libro, se vi interessa, lo potete comprare qui.
La valutazione che educa di Cristiano Corsini: su Facebook, un po' per caso e grazie soprattutto ai commenti di altri professori e presidi che seguo, sono incappato nei giorni scorsi in un libro uscito da poco e scritto da Cristiano Corsini, intitolato La valutazione che educa. L'autore è un pedagogista relativamente giovane che si occupa del complicato tema del voto e della valutazione a scuola, un tema che sento come particolarmente forte soprattutto in questi tempi di esami di stato. Come dicevo prima, ho infatti da poco terminato l'ennesima esperienza da commissario, assegnando voti a destra e a manca, voti che come al solito mi lasciano almeno in parte insoddisfatto: avrò fatto bene ad assegnarli (assieme ai colleghi)? Avrò compreso bene le competenze del ragazzo o della ragazza di turno? Dalle prime pagine che finora ho letto, la tesi del libro, interessante ma allo stesso tempo in parte utopistica, sembra essere quella che si dovrebbe privilegiare la valutazione rispetto al voto, che, cioè, dovremmo smetterla di assegnare ai ragazzi dei numeri e dovremmo invece dare soprattutto dei consigli su come migliorare e come raggiungere gli obiettivi formativi che ci siamo prefissati. Su questo punto, almeno con me, Corsini sfonda una porta aperta: come lui stesso afferma, sono convinto che il voto sia sempre e solo un mezzo e non un fine, che debba servire come stimolo dato ai ragazzi e alle ragazze per migliorare o per capire cosa manchi, e che quindi debba sempre essere accompagnato da una spiegazione e, possibilmente, da una riflessione personale. I miei studenti sanno quanto scriva, nei loro compiti in classe, cercando di segnalare tutto quello che non va e come si sarebbe potuto articolare meglio il discorso; allo stesso modo durante le interrogazioni cerco di far capire dove ho trovato dei limiti e come fare a rimediare. Ho sempre sperato che capissero il perché di un voto, le indicazioni, le direzioni verso cui muoversi. Poi alla fine do anche il voto, ovviamente, perché me lo impongono più o meno tutti, ma spero che quello sia solo il punto d'arrivo di un discorso più ampio. Corsini, quindi, in linea di principio mi trova d’accordo; anche se mi sembra insistere su un'idea di scuola che però si scontra anche con la realtà dei fatti, che è più complicata di quanto sembri. Per quanto ci si sforzi di usare il voto come un'indicazione per lavorare, è anche vero che da parte dei ragazzi c'è sempre la tendenza a considerare il voto come l'unica cosa importante, e che è difficile farli desistere da questa loro convinzione; allo stesso tempo, il sistema ci chiede voti e anzi molti voti: un po' perché la scuola ormai è dominata dalla paura dei ricorsi e il TAR pretende che ci siano molte valutazioni scritte sul registro per poter giudicare valido il voto assegnato dal Consiglio di classe, e un po' perché la scuola vive sospesa da decenni tra una doppia anima, da un lato quella antica, un po' – passatemi il termine – fascista, della selezione, e un po' quella moderna, più democratica, della formazione. A dirla tutta, un insegnante potrebbe non capire bene cosa deve fare a scuola: è chiamato infatti ad avere un doppio ruolo, da un lato di formatore, che ovviamente non può lasciare indietro nessuno e che si deve spendere per adattare il suo programma e i suoi metodi a tutti i ragazzi che ha davanti; dall'altro di selezionatore, che giudica se i ragazzi sono in grado di accedere alla classe successiva o di essere ammessi e infine promossi all'esame di Stato. A me pare una cosa un po' schizofrenica e la legislazione sulla scuola continua a riportare questo doppio aspetto in maniera spesso contraddittoria. D'altronde, tra le righe sembra che anche Corsini stesso sia vittima di questa dicotomia: da un lato scrive riguardo al modello valutativo e alla sua bellezza, ma dall'altro ammette subito nelle prime pagine che all'Università anche lui deve dare i voti e assegnare punteggi. Considerando poi che il voto di laurea è praticamente la media dei voti degli esami, risulta evidente che perfino a Pedagogia il numero prevale su ogni cosa. Come si esce da tutto questo? Serve un ripensamento generale a livello politico più che solo didattico, ma i tempi non sembrano essere affatto maturi per questo: come vedete dalla cronaca, gli italiani sembrano volere soprattutto punizioni e voti, convinti che solo così si salverà una generazione che loro, prossimi alla pensione, giudicano perduta. Pochi mandano i figli a scuola per imparare: la maggior parte li manda perché vuole sentirsi dire che sono bravi, perché vuole che ottengano un certo voto per poi accedere a una certa università e ottenere un certo lavoro; o, al massimo, per sperare che gli altri studenti antipatici vengano bocciati. E noi insegnanti, in questo senso, spesso non siamo da meno. Comunque sono ancora all'inizio del volume e ve ne parlerò probabilmente ancora. Intanto se vi interessa lo potete comprare qui.
Quello che ho visto
Ora passiamo ovviamente ai film. Anzi, alle serie e ai programmi, perché di film veri e propri questa settimana in lista non ce n’è nemmeno uno.
Breaking Italy Night - Pinguini Tattici Nucleari (2023), con Alessandro Masala e i Pinguini Tattici Nucleari: giovedì scorso una parte della mia famiglia si è recata a Mestre per assistere alla prima data del tour negli stadi dei Pinguini Tattici Nucleari. Su richiesta di mia figlia, infatti, già qualche mese fa ci eravamo procurati alcuni biglietti, sapendo che comunque non saremmo potuti andare tutti: da un lato ci sono i due figli piccoli, che non sono forse ancora adatti ad un contesto del genere, e dall’altro, soprattutto, al tempo non sapevo ancora quanto sarei stato impegnato con l’esame di Stato e se sarei stato libero per la data mestrina. Alla fine, così, al concerto sono andati mia moglie e i miei due figli più grandi, accompagnati da un'amica della pupa. Sono tornati entusiasti dell'esperienza: d'altronde negli ultimi anni la passione per il gruppo di Riccardo Zanotti è cresciuta parecchio in loro e devo dire che anche io trovo la band piuttosto simpatica. Proprio sulla scorta di quel concerto, mi è capitato di imbattermi il giorno successivo su YouTube in una lunga intervista che il gruppo ha rilasciato qualche mese fa ad Alessandro Masala di Breaking Italy; intervista che vi consiglio di guardare. Contrariamente a quanto si può pensare, non sono in genere troppo appassionato di personaggi che si sono fatti un nome su YouTube, ma devo dire che faccio volentieri un'eccezione per il giornalista sardo che conduce ormai da vari anni la rubrica chiamata Breaking Italy. Masala (o Shy, se vogliamo usare il suo nickname) fa un lavoro per molti versi encomiabile, riuscendo a portare un buon numero di notizie di qualità ad un pubblico di giovani, con un linguaggio ben calibrato e accurato; e da qualche tempo ha anche allargato la sua proposta, realizzando una serie di incontri nei teatri, a Milano, in cui intervista per un paio d'ore personaggi del mondo del giornalismo o della cultura. Appunto nel gennaio scorso si è trovato davanti i sei componenti dei Pinguini Tattici Nucleari e ne è nata una bella chiacchierata, in cui i nuovi divi del pop italiano si sono messi abbastanza a nudo. A parte qualche passaggio a vuoto – soprattutto quando Masala ha tentato di portare il dibattito su tematiche politiche, senza riuscirci granché – la puntata è stata molto interessante, anche perché ha mostrato da un lato la gavetta fatta da un gruppo che ha raggiunto il successo in fondo da appena due o tre anni, ma dall’altro anche quanta complessità ci sia dietro a canzoni che sembrano a volte fin troppo semplici. Se vi interessa, l’intervista la potete vedere per intero qui.
Questo mondo non mi renderà cattivo episodi 1.04, 1.05 e 1.06 (2023), con le voci di Zerocalcare, Valerio Mastandrea, Silvio Orlando: questa settimana ho finito di vedere Questo mondo non mi renderà cattivo, la seconda serie realizzata da Zerocalcare per Netflix. Ne avevo parlato già nelle settimane scorse e, forse nella penultima newsletter, avevo espresso anche qualche vaga perplessità: mi sembrava infatti che il tono del racconto tendesse un po' ad eccedere sul versante della psicologia spicciola, soprattutto nella trattazione del personaggio di Cesare. Dopo aver visto tutte le puntate devo però in parte ricredermi: infatti alla fine dei conti questa serie si rivela bella e convincente, forse anche di più di Strappare lungo i bordi di un paio di anni fa. La trama, in effetti, poteva essere anche piuttosto rischiosa: tutto verte infatti attorno a un centro di accoglienza per migranti da poco aperto nel quartiere del protagonista, a Roma est, centro di accoglienza che attira le ire dei gruppi di estrema destra, qui semplicemente chiamati “nazisti” ma nei quali è facile riconoscere un mondo politico che ormai è diventato quasi mainstream. Zerocalcare, che come è noto proviene da una sinistra anche radicale, nel racconto si schiera apertamente contro le proteste della destra e cerca di intervenire con un gruppo di amici e compagni. La cosa inattesa è che questo schierarsi non è un fatto puramente ideale o d'opinione, come siamo abituati a vedere ormai in tanti prodotti di intrattenimento: Zerocalcare e i suoi prima si recano alla riunione del Municipio di riferimento, non risparmiando critiche anche a politici che è facile identificare negli esponenti del PD e del Movimento 5 Stelle; poi, ancora più nettamente, si preparano a fare a botte contro i neofascisti, senza celare nulla. Ecco, non mi aspettavo minimamente che l'autore romano sarebbe stato in grado di mostrare certe cose su Netflix, di prendere una posizione così netta in un contesto che è estremamente commerciale e per certi versi addirittura, passatemi il termine, “democristiano”. Eppure l'ha fatto, e l'ha fatto in un modo coraggioso e non banale. L'ultima puntata di per sé vale da sola tutta la serie: sia perché per una volta porta la politica vera, con tutte le sue sfaccettature e le sue contraddizioni, in scena; sia, soprattutto, per il personaggio di Cesare, finalmente esplorato in maniera completa e profonda, senza che sia ridotto a macchietta o a luogo comune. Mi è piaciuto anche il finale in parte incompiuto, sospeso, come a dire che a certi problemi non c'è una facile soluzione. Quindi bene, molto bene per essere uno show di questo tipo. La serie la trovate su Netflix.
Pesci piccoli episodio 1.01 (2023), di Francesco Ebbasta e Alessandro Grespan, con Fabio Balsamo, Gianluca Fru e Aurora Leone: ultimamente inizio troppe serie che poi non sempre riesco a portare a termine. Ad esempio di recente ho visto il primo episodio della nuova stagione di Black Mirror, ma poi mi sono sostanzialmente arenato e anche questa settimana non ho portato avanti la visione. In compenso, per complicarmi maggiormente la vita, di serie ne ho iniziata un'altra: questa Pesci piccoli scritta e realizzata dai Jackal, gruppo di comici campani diventati famosi anche loro grazie a YouTube. A me il gruppo piace e trovo che i suoi punti di forza siano certo le buone idee comiche e l'ottima realizzazione, ma soprattutto il talento degli attori, tutti molto preparati, a volte addirittura con una solida formazione teatrale alle spalle. Il problema è che la loro comicità rende bene, di solito, negli sketch brevi, come in quelli realizzati appunto per YouTube, mentre è più difficile da traslare in altri contesti come ad esempio nei film o nelle serie TV. Ad esempio la pellicola che il gruppo realizzò qualche anno fa, Addio fottuti musi verdi, in effetti non era del tutto riuscita; c'erano sì vare buone idee, ma nel complesso il film non funzionava granché, segno che non basta mettere insieme tanti buoni sketch per realizzare un'opera coerente. Così mi sono accostato a questa nuova serie con qualche dubbio, ma ero anche di curioso di vedere se in questi anni, forti dell'esperienza maturata, i comici napoletani avessero apportato i necessari correttivi per trasferirsi dallo schermo del computer a quello della televisione (anche se pur sempre tramite una piattaforma di streaming: la serie è infatti disponibile su Amazon Prime Video). Il primo episodio ovviamente non basta per dare un giudizio completo, ma tutto sommato mi sembra che dei passi avanti siano stati fatti: in questo episodio pilota infatti vengono presentati quelli che evidentemente saranno i personaggi principali della miniserie e si scherza su alcune delle tipiche idiosincrasie dell'epoca contemporanea (dagli influencer a TikTok); in generale, in ogni caso, sembra di percepire un chiaro intento narrativo e la voglia di portare avanti una trama strutturata e coerente, cosa che forse era mancata nel film già citato. Quindi, da un certo punto di vista, il risultato mi pare buono, perché i Jackal hanno capito che certi eccessi forse lì non funzionano; d'altro canto, però, temo anche che senza quegli eccessi i Jackal rischino di perdere l'aspetto più originale della loro produzione. Il fatto che mi sembra emerga da questo primo episodio è che questa storia, che è carina, l'avrebbe forse potuta raccontare chiunque, e che anche una serie americana o una serie italiana realizzata da qualsiasi altro team creativo avrebbe potuto imbastire una puntata del genere. Insomma, nel tentativo di sembrare un po' più normali, c'è il rischio che i Jackal abbiano finito per risultare troppo normali. Ma, ripeto, si tratta solo di una prima impressione e solo le puntate successive diranno se può essere confermata oppure se lo show regalerà qualche sorpresa. Come detto, trovate tutto su Amazon Prime Video.
Quello che ho pensato
È sostanzialmente da quando ho cominciato ad insegnare che faccio esami di stato: ho infatti sempre almeno una classe terminale, cioè una quinta, e pertanto o sono chiamato a svolgere l'incarico di commissario interno, oppure devo obbligatoriamente fare domanda come commissario esterno. Così, in un modo o nell'altro, nonostante non mi reputi ancora anziano, mi trovo già ad aver fatto esami più di una decina di volte (12, per la precisione).
Quest'anno, come vi ho già più volte raccontato, la cosa si è fatta addirittura più complicata del solito, perché, mio malgrado, sono stato spedito a 140 chilometri da casa, senza una reale motivazione se non una serie di scelte infelici a livello ministeriale e di algoritmi mal impostati nel processo di assegnazione dei commissari.
Devo dire però che nel Veneto orientale, tra San Donà di Piave e Portogruaro, non ho trovato realtà molto differenti da quelle a cui sono abituato. Sarà che il Veneto, nonostante le mille differenze, è più o meno sempre la stessa terra: i nostri studenti e i nostri professori in effetti a volte sanno essere un po' freddi e un po' provinciali (e, si badi bene, in questa descrizione mi ci metto del tutto anch'io), ma generalmente sono anche dei gran lavoratori e ci mettono un discreto impegno in quello che fanno. Così mi sembra che i ragazzi di Portogruaro, di San Donà di Piave, di Jesolo o di Pordenone non siano troppo diversi da quelli di Rovigo, e in effetti devo dire che in generale ho trovato alunni preparati e volenterosi.
La cosa che però ho imparato è che d'ora in poi, quando mi toccherà fare il commissario esterno, sarà meglio fare domanda come presidente, in modo almeno da sfruttare l'algoritmo a mio vantaggio e non finire a fare esami sottopagato in capo al mondo (tanto, con tutti i verbali che ho fatto e tutte le vicepresidenze che ho avuto, potrei assumermi l’onere della presidenza a occhi chiusi).
Al di là della mia esperienza personale, però, la cosa che balza agli occhi è che anche quest’anno si è ripetuto il solito rituale: durante gli esami i giornali e internet si sono trovati infatti di nuovo invasi dai commenti di chi non mette piede nella scuola da almeno un quarantennio e però vuole proporci la sua ricetta per risolverne i problemi. Ad esempio, non so quante volte ho letto che l'esame di Stato andrebbe abolito, sulla base del fatto che i bocciati all'esame sono rarissimi.
La cosa che un po' a me infastidisce di questa tesi che viene proposto e riproposta ogni anno non è tanto la tesi in sé, ma come viene sostenuta. Non voglio infatti difendere a spada tratta l'esame stesso – anzi, sulla questione della sua abolizione potrei essere anche possibilista –, ma quello che mi indispettisce è che l'argomento che viene portato a favore di questa idea non ha alcun senso.
Perché mai il senso di un esame dovrebbe risiedere nel numero di bocciati? E, allo stesso modo, perché il senso stesso della scuola dovrebbe risiedere per forza nella sua selettività? Perché una scuola che boccia il 50% dei suoi alunni dovrebbe essere, solo per questo, migliore di una che ne boccia il 10%?
Se fosse vero quello che dicono questi tanti giornalisti e opinionisti, allora dovremmo abolire anche l'esame di laurea, un esame solenne in cui, almeno a mia memoria, non si è mai bocciato davvero nessuno (mentre ogni tanto alla maturità qualcuno lo si boccia).
Che cos'è la tesi di laurea se non l'esame conclusivo del proprio percorso universitario? Eppure a nessuno verrebbe in mente di bocciare uno studente che è arrivato fino a quel punto, perché si dà per scontato che uno studente che è riuscito a finire tutti gli esami sia sostanzialmente pronto per uscire dall'università. La discussione della tesi serve solo a tirare un po' le somme e ad assegnare un punteggio finale a tutto il percorso.
Ebbene, a me pare che l'esame di Stato che conclude il ciclo delle superiori abbia lo stesso identico scopo: se uno studente riesce ad essere ammesso a questo esame significa che tutti i docenti che l'hanno accompagnato fino a quel punto lo ritengono sostanzialmente idoneo alla conclusione del percorso, e che si tratta casomai solo di stabilire con quale punteggio debba uscire.
Anzi, a dirla tutta, la discussione della tesi di laurea è molto più facile dell'esame di maturità in sé: infatti all’università buona parte del punteggio finale deriva dalla media dei voti ottenuti nei vari esami, e la discussione della tesi incide solo per una certa misura; alle superiori, invece, il valore dell'esame in sé costituisce il 60% del voto finale. Per fare un esempio molto concreto, uno studente che all'università ha passato tutti gli esami col 30 e lode uscirà dall’ateneo col 110, e probabilmente anche con la lode, anche se farà una tesi mediocre; uno studente invece che alle superiori abbia superato ogni anno la media del 9, e quindi arrivi con ben 40 punti di credito, potrebbe – e non è affatto raro – non riuscire ad ottenere il 100: basta sbagliare una singola prova scritta, incappare in una giornata no, e il 100 è volato via.
Insomma, il fatto che non si bocci all'esame di Stato sembra l'ultimo dei problemi: le bocciature arrivano più frequentemente negli anni precedenti e, soprattutto nei licei più impegnativi, non sono affatto rare. Solo per fare un esempio, io quest'anno ho esaminato due classi e però ben tre ragazzi erano stati fermati prima dell'esame, non venendo ammessi; e molti altri erano stati fermati o avevano cambiato scuola negli anni precedenti. La bocciatura arriva prima dell'esame, ma non è che non ci sia.
Poi ci sarebbe anche un discorso più ampio da fare, che in parte ho già accennato qualche riga più sopra parlando del libro sulla valutazione. Alcuni in Italia sono convinti che lo scopo della scuola sia sostanzialmente bocciare molti studenti, e che una scuola possa essere seria solo nella misura in cui ferma una discreta percentuale degli studenti, come avveniva ai tempi della Riforma Gentile, quando l'esame di Stato aveva un tasso di bocciatura elevatissimo (anche perché gli studenti venivano verificati su tutte le materie e su tutto il programma di tutti gli ultimi tre anni, con professori che pretendevano una preparazione di livello universitario).
C'è chi rimpiange quella scuola; l’Italia d’altronde è piena di gente che rimpiange perfino Mussolini, quindi non c'è troppo da stupirsene. Più che altro – come per tutti gli altri rimpianti che dominano il nostro paese – sembra che non ci si renda conto che quel modello non solo è un modello sostanzialmente antidemocratico (perché finisce per creare una classe dirigente di pochissimi e lasciare indietro tutti gli altri, destinandoli solo e sempre alla sottomissione e all'obbedienza), ma è anche un modello oggi irrealizzabile e fuori dal tempo.
La società italiana del 2023 non è quella del 1923: oggi non abbiamo bisogno di manovali o di braccianti agricoli che lasciamo nell'ignoranza e teniamo fuori dall’istruzione superiore, ma di gente che sia in grado di assumersi delle responsabilità e di svolgere delle mansioni avanzate. Il sistema selettivo pensato da Gentile poteva funzionare solo in un paese che non era neppure lontanamente vicino al terziario avanzato di oggi, solo in un mondo in cui l'80% della popolazione svolgeva lavori manuali e ripetitivi, un mondo di rigida divisione sociale, un mondo che (per fortuna) non esiste più da decenni.
Le operazioni manuali sono già e saranno sempre più svolte da macchine: l’obiettivo della scuola non può quindi più essere quello di selezionare e basta, impedendo a larghe fette della popolazione di arrivare a un'istruzione avanzata, ma deve diventare quello davvero di elevare chi finora è rimasto ai margini, o non ce l’ha fatta.
Per questo gli appelli alla bocciatura portati avanti anche da personaggi che hanno un certo spazio sui giornali non sono solo problematici dal punto di vista didattico, ma anche completamente fuori dal tempo, incapaci di accettare il mondo che cambia (e infatti, fateci caso, questi appelli provengono sempre da gente che è in pensione o quasi e che rimpiange gli anni '60). Il problema, ancora una volta, è spesso l'età mentale di chi prende decisioni in Italia, persone che hanno sostanzialmente paura del presente e del futuro e non riescono a immaginare nessun’altra strategia per affrontare i problemi se non quella di ritornare a cinquant’anni fa.
Per concludere poi il discorso sull’esame di Stato, come dicevo anche prima io non sono né un difensore né un detrattore a spada tratta di quel tipo di prova.
Penso che l’esame abbia alcuni pregi e alcuni difetti. Il difetto principale è che effettivamente finisce per dare un peso abnorme ad ogni singola prova: pensate ad esempio che solo un paio di giornate storte durante gli esami incidono per più di tre anni di verifiche, compiti e progressi fatti registrare a scuola. Penso che in quasi nessun lavoro – se non forse nel calcio, dove sbagliare un rigore nella finale dei Mondiali può cambiarti la vita – la singola prova conti così tanto.
Il pregio principale, d'altro canto, è che penso sia utile un qualche meccanismo di controllo esterno, che cioè almeno all'esame arrivi qualcuno da un'altra scuola quantomeno per supervisionare sul buon lavoro fatto dai colleghi, in un meccanismo che spero sia di autocorrezione reciproca. Anche il fatto che le prime due prove siano nazionali e quindi provengano dal Ministero aiuta a ridurre almeno in parte le differenze e obbliga, su certe materie, a lavorare con obiettivi comuni.
Ma, come detto, l'esame non è di per sé né la panacea né lo rovina di questa scuola: è uno strumento come un altro, che può essere continuamente migliorato o sostituito. L'importante è non pensare che il senso della scuola stia lì (o nei suoi voti).
Quello che ho registrato e pubblicato
Dopo tante parole scritte, ora passiamo a quelle pronunciate; ecco i video e i podcast che ho realizzato questa settimana:
“Non siamo mai stati moderni” di Bruno Latour: un libro che mi è stato indicato da molti follower, complicato ma molto interessante
L’Impero romano diventa cristiano: riprendiamo il discorso di storia romana da dove l’avevamo interrotto
Manzoni: vita, opere e storia: Manzoni lo si studia sempre dal punto di vista letterario, ma anche in storia e in filosofia c’è qualcosa da dire
Galileo e le sue scoperte astronomiche (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
Galileo e i due massimi sistemi del mondo (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
Dalle campagne alla classe operaia (per il podcast “Dentro alla storia”)
Marx e la prima Internazionale (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che devi fare per seguirmi sui social
Ah, prima di dimenticarci vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
Il canale YouTube | Instagram | Facebook | Twitter | TikTok
Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono i nuovi abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri e videocorsi che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
Il Risorgimento italiano di Alberto Mario Banti: Banti, professore a Pisa, è probabilmente il più importante storico italiano del Risorgimento; e questo suo libro, edito da Laterza, è il suo lavoro più generale e più accessibile, in cui si fa una vera e propria summa di quell’importante periodo storico. Per chiunque si occupi di storia d’Italia, dunque, si tratta di un volume imperdibile; e se voi non l’avete nella vostra libreria, forse è il momento di correre ai ripari. Tra l’altro, costa meno di 12 euro e lo si può acquistare qui.
sui social ho fatto partire anche una nuova serie di consigli, dedicata ai libri appena usciti che mi paiono più interessanti, una sorta di “lista della spesa” che dovrebbe rivelarsi utile anche in primis per me. Ecco i volumi che ho segnalato nei giorni scorsi, se ve li siete persi:
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né fare corsi, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Quello che c’è in arrivo
Chiudiamo come sempre anche con qualche anticipazione per il futuro. Ora che ho finito gli esami e sono ufficialmente in ferie, dovrei riuscire a programmare con un po’ più di calma i prossimi video e, soprattutto, a portarmi avanti col lavoro in modo da accumulare delle “scorte di magazzino”, cioè un po’ di video già pronti per le giornate più impegnative. Ad ogni modo, ecco quanto prevedo di buttar fuori nei prossimi sette giorni o giù di lì:
in primo luogo, uscirà il quinto capitolo della lettura integrale e commentata di Sulla libertà di John Stuart Mill;
poi arriverà un nuovo capitolo della Storia dei consumi, incentrato sulla nascita dei grandi magazzini nell’Ottocento;
dovrei riuscire poi a pubblicare anche un nuovo video del Corso di filosofia, incentrato su un filosofo vivente e controverso, Peter Singer;
infine, ho messo in programma anche nuovi video del Corso di logica e della Filosofia per ragazzi;
per quanto riguarda i podcast, poi, arriveranno nuove puntate dedicate a Galileo (e alla sua dinamica) e alla crisi economica di fine Ottocento.
E questo è tutto. Ormai siamo quasi a metà luglio e il grande caldo sta arrivando: ci vediamo qui tra sette giorni esatti con un ventaglio o un ventilatore in mano. Ciao!