Che segnali lanciamo ai giovani e agli studenti, ma prendiamo spunti anche da Glass Onion, Boris, The Bear, la rivoluzione industriale, Parmenide, il libero arbitrio, Ockham, Meneghello e Todorov
Natale è passato, il pranzo coi tortellini in brodo e il cotechino è passato e il nostro tran tran quotidiano sembra quasi già pronto a riprendere piede. E in questo non può mancare, come ogni lunedì, anche la nostra newsletter che fa il punto sui libri, i film, i video e i podcast che in qualche modo c’entrano – a volte molto alla lontana – con la storia e la filosofia.
Non parleremo, però, di senso del Natale, un discorso che lasciamo volentieri ai moralisti. Il tema del giorno, come vi accorgerete scorrendo la mail, è oggi, piuttosto, legato alla gioventù e alle sfide da affrontare: un tema che ritorna nei libri che ho letto (in Libera nos a Malo, in particolare, ma in parte anche in A ognuno quel che si merita, dove si parla di responsabilità), nelle serie TV (soprattutto in The Bear), nella discussione riguardo al futuro della nostra scuola. Perché al momento le lezioni sono in pausa fino al 9 gennaio, ma la scuola in realtà non termina mai, e noi insegnanti non smettiamo mai di pensarci.
E, d’altra parte, non terminano neppure il nostro canale YouTube e i nostri podcast. Il giorno di Natale non ho fatto uscire nulla, per la prima volta dopo più di un anno senza pausa, ma da oggi riprendiamo il ritmo consueto. Le cose da dire e da raccontare sono ancora moltissime. E in più per Natale ho ricevuto (!) un nuovo schermo per computer che mi permetterà, credo, di preparare meglio i miei appunti e le mie lezioni.
Intanto però, qui, ripartiamo dai libri.
Quello che ho letto
Ed eccoci come al solito a presentare i volumi che ho letto in quest’ultima settimana. Non c’è nessuna novità di rilievo rispetto alle settimane scorse, perché, come vi ho già spiegato sette giorni fa, in vista della fine dell’anno sto cercando soprattutto di portare a termine alcuni volumi in sospeso (anche per poter dire: «Nel 2022 ho letto TOT libri», e fare in modo che quel numero sia alto). In effetti, come vedrete, un libro che mi portavo dietro da un po’ di tempo l’ho finalmente concluso.
A ognuno quel che si merita di Daniel Dennett e Gregg Caruso: di questo saggio sul libero arbitrio e sulle sue conseguenze vi ho già parlato varie volte. Ne apprezzo soprattutto l’impostazione di fondo: Dennett e Caruso sostengono due punti di vista diversi sulla questione e discorrono e controbattono l’uno con l’altro – spesso con esempi e controesempi – in un modo che secondo me fa molto bene alla filosofia stessa, perché ci insegna che si ragiona sempre confrontando tra loro posizioni diverse, cercando di convincere l’interlocutore della bontà delle proprie idee e provando a trovare l’argomento giusto per far breccia nella mente del proprio avversario. Quello che forse, ora che sono quasi arrivato alla fine, mi convince meno è il fatto che i due tendono in questo caso un po’ a ripetersi: è ormai chiaro da molte pagine quali siano le due posizioni e su quali punti i due filosofi possano trovarsi d’accordo e su quali invece le loro idee siano inconciliabili, e a questo punto varrebbe forse la pena di chiudere il libro e di passare ad altro; invece continuano a rispondersi a vicenda, senza che il dibattito prosegua davvero. Insomma, mi sembra un libro ormai tirato un po’ per le lunghe. Rimane comunque globalmente interessante. Conto di finirlo quanto prima e di darvene presto conto, anche perché alcune idee che emergono riguardo al consequenzialismo e al retributivismo sono interessanti sia in campo morale che educativo, e quindi si possono applicare anche a scuola. Se vi interessa, lo trovate qui.
Libera nos a Malo di Luigi Meneghello: finalmente ho terminato questo lungo (e bello) romanzo di Luigi Meneghello. Partiamo dalla trama, per chi si fosse perso le puntate precedenti: e partiamo anzi dicendo subito che non è un romanzo. Non è neppure un saggio, a dirla tutta: è un libro difficile da descrivere. Si tratta, direi, di un libro di memorie, non troppo dissimile, nell’impianto di base, da quei libri che nelle città di provincia (come è anche Rovigo, la mia hometown) di tanto in tanto i vecchietti si mettono a scrivere per ricordare i loro vecchi tempi; libri di solito senza capo né coda, disorganizzati, in cui i ricordi si affastellano e non diventano mai troppo significativi, perché sono i ricordi un po’ di tutti. Libri, insomma, che di solito non vale la pena di leggere, che piacciono solo ai loro autori o al massimo ai loro figli; che vengono stampati in qualche centinaio di copie, donati qua e là e presto abbandonati a prendere polvere nelle librerie o nelle biblioteche di quartiere. Eppure, nonostante Libera nos a Malo assomigli drammaticamente a questi volumetti di memorie, qui siamo anche di fronte a qualcosa di completamente diverso: perché Meneghello dà spazio sì ai propri ricordi d’infanzia e dell’adolescenza, cercando di ridare vita a una Malo (piccolo paesino del vicentino) che non c’è più, ma lo fa con la consapevolezza e il distacco degli studiosi e dei sociologi, mi verrebbe da dire. I ricordi sui giochi dell’infanzia, ad esempio, non si fermano ai giochi in sé, ma cercano di indagare l’origine delle parole dialettali che si usavano, il senso sociale delle paure o delle sfide, il perché si facessero quelle cose e non altre. Insomma, il libro ha un doppio volto: è come se prima il Meneghello narratore avesse scritto un volume da nostalgici, e poi il Meneghello studioso l’avesse ripreso in mano e ci avesse aggiunto, nel mezzo di tutto, le sue note e le sue riflessioni. L’esito è molto felice: il libro scorre via piacevole e divertente, con alcune pagine di grande impatto. A dirla tutta, secondo me è anch’esso forse un po’ lungo e ridondante, ma gli si può perdonare qualche eccesso. Lo si compra qui.
Non siamo mai stati moderni di Bruno Latour: sono andato avanti con la lettura anche del saggio di Bruno Latour di cui vi avevo già cominciato a parlare la volta scorsa. Nonostante io sia ancora ai primi capitoli, l’idea dell’autore è ormai già abbastanza chiara: partendo da una comparazione tra Robert Boyle e Thomas Hobbes, entrambi operanti nell’Inghilterra del Seicento, Latour cerca di mostrare come il concetto di modernità sia nato quando si è cercato di distinguere la sfera della scienza da quella della politica, la sfera della natura da quella dell’uomo. Boyle, infatti, ha in un certo senso inventato il laboratorio e l’esperimento scientifico come lo conosciamo oggi; Hobbes ha inventato invece il laboratorio politico tramite il suo contratto sociale e il suo Leviatano. Il primo ha tentato di – o si è trovato a – creare una scienza slegata dalla politica, il secondo una politica slegata dalla scienza. La separazione, come la chiama Latour, tra umano ed inumano ha così, di fatto, creato la modernità; e forse è il momento, sembra dirci l’autore, di ricomporre quella frattura e ricominciare a guardare a scienza e politica come una rete intrecciata, e quindi di ritornare ad essere pre-moderni. Spunti belli e originali, insomma, considerando soprattutto che sono appena ad un quinto del volume: sono molto curioso di sapere dove andrà a parare con le prossime pagine. Se vi interessa, il libro lo si può acquistare qui.
Quello che ho visto
Parliamo un po’ anche di film e serie TV. Pure in questo ambito sto cercando, in vista della chiusura dell’anno solare, di portare a termine alcune serie che avevo lasciato in sospeso, ma la sera della vigilia di Natale mi sono concesso anche un film di cui si sta parlando molto.
Boris episodi 4.07 e 4.08 (2022), di Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo, con Francesco Pannofino, Pietro Sermonti, Alessandro Tiberi: in primo luogo, ho finito Boris, la storica serie italiana rilanciata quest’anno da Disney+. Devo dire che non avevo grosse aspettative, perché in genere le “minestre riscaldate” mi pare che funzionino poco; in realtà però fin dal primo episodio mi è parso che gli storici sceneggiatori dello show avessero imboccato la strada giusta, con un gusto nostalgico per le stagioni precedenti (sono riapparsi, in piccole parti, tutti i protagonisti de Gli occhi del cuore e non solo) ma anche con qualche idea nuova da mettere sul piatto. Gli episodi un po’ più deludenti sono stati, a mio avviso, proprio gli ultimi, perché forse è stato nel finale che è mancato il guizzo per rendere veramente memorabile quest’ultima stagione: la scelta di trarre un film dalla serie sulla vita di Gesù era abbastanza scontata, mentre alcune scene mi sono parse un po’ sopra le righe perfino per gli standard piuttosto blandi di Boris (mi riferisco in particolare al riferimento a Flashdance). Insomma, una bella serie che piacerà a chi aveva amato la vecchia Boris, ma che rimane con un senso vago eppure presente di incompiutezza. La trovate su Disney+, assieme anche alle vecchie stagioni, se non l’avete mai vista.
Glass Onion - Knives Out (2022), di Rian Johnson, con Daniel Craig, Edward Norton, Janelle Monáe: il film del momento è sicuramente Glass Onion, nuovo capitolo della saga di Knives Out iniziata qualche anno fa col convincente Cena con delitto. Comprato da Netflix a suon di milioni di dollari e presentato sulla piattaforma in vista del Natale, il film non è certo una pellicola natalizia (parla di omicidi che si compiono in un’isola greca, davanti ad un assolato clima estivo) ma non stona neppure troppo col 25 dicembre, visto che la celebrazione di una nascita e dell’amore fraterno può stimolare anche la voglia di divertirsi davanti ad omicidi e tradimenti. Il protagonista indiscusso del film è di nuovo Benoit Blanc, curioso detective interpretato da Daniel Craig; un detective che sulle prime ci viene presentato particolarmente annoiato dalla pandemia del 2020 tanto da ridursi a giocare online ad Among Us contro la signora Fletcher (forse nella sua ultima apparizione sullo schermo) e Kareem Abdul-Jabbar. Proprio per scappare a quella noia, il detective accetta di partecipare a una cena con delitto (tanto per cambiare) organizzata dall’eccentrico miliardario Miles Bron nella sua isola sperduta nel Mar Egeo. Visto che Rian Johnson, regista e creatore della serie, ama platealmente giocare con le atmosfere alla Agatha Christie, credevo che all’inizio il film volesse ricalcare in qualche misura le orme di Dieci piccoli indiani (l’isola deserta, l’invito molto strano recapitato a una serie di ospiti diversificati, il fatto che tutti gli ospiti sembrassero avere dei lati oscuri nella loro vita), ma purtroppo non muore (quasi) nessuno e quindi la trama diventa più o meno convenzionale. Certo, ci sono diversi colpi di scena, c’è un’ottima gestione dei flashback e si percepisce la gioia nel proporre una storia che è una sorta di divertissement, ma alla fine dei conti questo secondo capitolo, per quanto discreto, non riesce a raggiungere le vette del primo. La parte più carina è quando – e credo di non fare uno spoiler – si capisce e si dice esplicitamente che il miliardario e visionario ospite è in realtà un completo imbecille: io ci ho visto un riferimento (forse involontario) a Elon Musk, ma magari mi sto facendo dei viaggi. Il film lo trovate, come detto, su Netflix.
The Bear episodi da 1.04 a 1.08 (2022), di Christopher Storer, con Jeremy Allen White, Ebon Moss-Bachrach, Abby Elliott: come ho già spiegato in più occasioni, questa fine dell’anno mi pare l’occasione buona per fare il punto su tante cose che ho letto e visto negli scorsi mesi. E se devo pensare a una serie TV che mi ha molto colpito, se devo scegliere anzi la serie che più mi è piaciuta quest’anno, credo che la mia scelta debba cadere inevitabilmente su The Bear, che ho finito proprio nei giorni scorsi. La trama l’ho più o meno raccontata qualche settimana fa: il protagonista è un giovane chef già piuttosto affermato che è costretto a lasciare il lavoro per tornare nella propria città d’origine, Chicago, e prendersi sulle spalle la tavola calda di famiglia, ora completamente allo sbando dopo il suicidio del fratello maggiore. Le 8 puntate dello show sono quindi ambientate prevalentemente in cucina e si focalizzano sui rapporti tra lo chef e gli altri dipendenti (a volte veramente strani o borderline) del ristorante, ma in realtà quello dei fornelli è solo un pretesto per raccontare una storia di dolore, memoria e accettazione; accettazione del lutto, in primis, ma anche di se stessi, del proprio carattere e della propria storia. Se a questo aggiungete che la serie è diretta e interpretata benissimo, il risultato è un mezzo capolavoro. La trovate su Disney+.
Quello che ho pensato
L’ho detto tante volte: l’Italia non è un paese per giovani. E continua a non esserlo. Non solo perché da decenni non riesce a varare politiche serie a sostegno dei ragazzi e delle ragazze che vogliono studiare o immettersi nel mondo del lavoro, non solo perché al centro del dibattito politico ci sono sempre le cose che interessano i più vecchi (dalle pensioni alle battaglie ideologiche degli anni '70), ma anche perché perfino i simboli e gli atteggiamenti sembrano remare contro la gioventù.
Me ne sono reso conto qualche giorno fa, poco prima dell’inizio delle vacanze di Natale, in classe. Stavo spiegando storia in quinta ed ero arrivato a trattare il New Deal di Roosevelt. E così, come ogni anno, mi stavo dilungando sulle politiche messe in campo dal presidente americano all’inizio del suo mandato, quando cercò di dare una svolta alla linea governativa, rigettando le politiche messe in piedi dal suo predecessore Hoover e varandone di completamente diverse.
Così, parlando di quei temi, ho citato le mosse de “i primi 100 giorni”, fase a cui gli americani prestano molta attenzione: nei tre mesi successivi all’insediamento alla Casa Bianca, infatti, ogni presidente tenta di far approvare molte delle misure che ne hanno contrassegnato la campagna elettorale, per dare un segnale immediato all’elettorato, alla popolazione, al sistema, ai mercati. Così fece anche Roosevelt, che in fretta e furia si trovò a varare una serie di importanti misure. Ma così – ho detto durante la spiegazione – tenta di fare in fondo ogni governo, anche al di fuori dell’America, perché nei primi giorni di mandato tutto sembra facile, tutto va abbastanza liscio, la maggioranza è di solito molto unita ed è più facile quindi far approvare le proprie proposte. Anche in Italia – ho concluso – è così: non è un caso che l’attuale maggioranza stia investendo molti sforzi sulla Legge finanziaria, che arriva sì in un momento delicato (e che, detta inter nos, magari è anche abbastanza pasticciata) ma che, anche, serve a dare il segno di dove Meloni e soci vogliono andare a parare.
Voleva essere un semplice, e forse perfino banale, riferimento all’attualità e alle cose di casa nostra, ma i ragazzi l’hanno interpretata come un’occasione per chiedermi cosa c’era, davvero, nella Legge Finanziaria attualmente in discussione. E, come forse era prevedibile, buona parte delle domande dei giovani non riguardava gli eventuali tagli alle tasse o l’utilizzo del Pos, ma il bonus 18app, quella particolare carta che da qualche anno dà ai diciottenni 500 euro da spendere in libri e prodotti culturali. I miei ragazzi di quinta appartengono, d’altronde, alla generazione dei nati nel 2004, che ha rischiato il taglio della misura.
A quanto pare, alla fine questo taglio, per quest’anno, non ci sarà, nel senso che da quanto leggo dai giornali i nati nel 2004 alla fine dovrebbero ricevere il bonus classico. Per i nati nel 2005 invece le cose cambieranno: i 500 euro saranno erogati solo se si avrà un ISEE basso oppure se si prenderà 100 all’Esame di maturità; tutti gli altri ragazzi – se ho capito bene – resteranno a secco.
Per i miei studenti di quinta attuali è un sospiro di sollievo, perché su quei soldi spesso i ragazzi fanno i conti per pagarsi quantomeno i libri del primo anno di università; per i miei ragazzi di quarta e per quelli più giovani (tra cui tutti i miei figli, tra l’altro), questa scelta sarà invece una piccola stangata sui denti. Il Ministero dell’Istruzione e del Merito sembra già confermare quello che ci aspettavamo: se sei “meritevole” (cioè se prendi 100, che è poi un criterio estremamente discutibile) ti premiamo, altrimenti grazie e arrivederci.
Questa scelta, d’altra parte, fa il paio con la lettera che proprio il Ministro dell’Istruzione ha inviato qualche giorno fa alle famiglie dei ragazzi che frequentano la terza media, invitandoli a riflettere – nella scelta della scuola superiore – soprattutto in chiave lavorativa e inviando i dati sui mestieri in cui si trova più facilmente occupazione. Certo, sono ragionamenti che è utile fare, perché col mondo (e in particolare col mondo del lavoro) bisogna sempre fare i conti; però che il Ministro dell’Istruzione e del Merito già a 13 anni ti inviti a badare più al lavoro immediato che allo studio a lungo termine fa un po’ impressione. È come se in quella lettera avesse scritto: «Ma sei davvero sicuro di voler studiare? Sicuro sicuro? Perché guarda che lavorare non è male: si guadagna bene! Dai, pensaci bene». Se questo discorso lo fa un imprenditore, lo capisco; se lo fa un navigator, lo capisco anche; ma se lo fa il responsabile più alto dell’Istruzione in Italia mi pare che si scivoli su una china pericolosa.
Purtroppo, però, tutta questa scarsa fiducia nei confronti dei giovani e delle loro possibilità di crescita culturale non è solo colpa di questo governo. Sono decenni che in Italia si è deciso di non investire più sui giovani e di puntare tutto su altre frange della popolazione. Così, non ci si vergogna nemmeno più di non credere nei giovani; non lo si nasconde neppure. Anzi, lo si rende evidente, lo si mostra. Tagliare un bonus cultura per i diciottenni – a fronte di una spesa che non è poi così ingente – serve solo a dare un segnale, e cioè che non abbiamo a cuore la cultura o i giovani. Fa il paio con la decisione di togliere le giornate gratis ai musei. Perché la cultura deve essere per pochi: per chi se la può permettere o per chi prende 100 alla maturità. Gli altri è meglio che non pensino alla poesia o alla filosofia, alla fisica delle particelle o al calcolo degli integrali; è meglio che vadano a lavorare presto, in fretta, accontentandosi di sapere quanto basta per sopravvivere.
Segnali netti, chiari. E i miei studenti mi guardano sconsolati quando io, davanti alle loro domande, non ho risposte per loro. E poi alla fine, come appunto qualche giorno fa, arriva sempre lo studente che commenta così: «E poi si stupiscono che i giovani se ne vadano all’estero». Me lo dicono già con un mezzo piede sull’aereo, loro che hanno la speranza di andare a fare una parte dell’università (o al limite il dottorato) in qualche altro paese europeo, magari in uno di quelli in cui si trova lavoro in fretta, si viene pagati bene e non bisogna star sempre ad elemosinare un po’ di considerazione.
E dire che non siamo sempre stati così. Come vi ho già raccontato, in queste settimane con alcuni studenti della mia scuola sto intervistando ex allievi del Liceo che hanno frequentato i nostri corsi negli anni '60, '70 o '80. Gente che guarda con affetto agli ormai lontani anni giovanili perché, nonostante il clima fosse molto peggiore di quello di oggi (anche a Rovigo si sparava, c’era la polizia sempre piazzata fuori dalle scuole, arrivavano denunce e controdenunce), erano anno in cui i giovani erano convinti di poter incidere; in cui i giovani erano convinti di contare.
A volte quella passione politica era eccessiva, certo, e oggi lo ammettono senza tentennamenti; però quella passione, raccontano, era anche il segno del fatto che i ragazzi sapevano di avere un ruolo, o di poterselo quantomeno prendere. Volevano cambiare le cose ed erano convinti, forse ingenuamente, di avere la possibilità di cambiarle. Pertanto entravano facilmente in conflitto con l’autorità (fosse il professore o il preside), convinti però sempre di poterla spuntare, o almeno di giocarsela.
I ragazzi di oggi non entrano in conflitto con nessuno, perché sanno di essere sconfitti in partenza. Rinunciano spesso a priori. Abbandonano la partita e se ne vanno via, all’estero. Lasciano quasi sempre senza aver nemmeno provato. A noi adulti piace raccontarci che questo avviene perché le generazioni di oggi sono un po’ fiacche, rammollite, “sdraiate”, come la aveva definite qualche anno fa Michele Serra; in realtà, però, a me paiono soprattutto disilluse. Gli abbiamo fatto capire in tutti i modi che non vale la pena di mettersi contro di noi, gli ex-giovani, perché noi adulti siamo più cattivi di loro nella difesa dei nostri diritti (o privilegi) e siamo pronti a togliere loro i bonus e le prospettive in qualsiasi momento. Noi vecchi siamo tanti, ed esperti, e loro giovani sono pochi, e nati ieri. E così loro se ne vanno giustamente via, perché una partita in cui non c’è possibilità di vittoria non vale neppure la pena di giocarla.
E però, badiamoci bene, questo è il modo giusto per far morire un paese: quando non c’è più la linfa vitale portata dai giovani, quando non c’è più la novità e la voglia di cambiamento di chi non è ancora entrato nel sistema, il sistema si incancrenisce e lentamente muore. Prima o poi dovremmo cominciare a chiederci se, al di là delle nostre pensioni e delle nostre medicine, vogliamo davvero un paese in cui i frequentatori delle case di riposo siano molti di più dei frequentatori degli asili, con tutto quello che questo comporta.
Quello che ho registrato e pubblicato
Facciamo il punto anche sui video e sui podcast che sono usciti durante la settimana di Natale: come noterete sono solo sei, perché a Natale anch’io ho fatto pausa!
Settimio Severo e la sua dinastia: riprendiamo prima di tutto a parlare di imperatori romani con la dinastia dei Severi
Parmenide: sensi contro ragione [Filosofia per ragazzi 7]: qui ho provato a fare qualcosa di molto difficile, cioè spiegare Parmenide ai giovanissimi
L’Autunno del Medioevo - Audiolibro spiegato parte 15: prosegue inoltre il viaggio nella mentalità tardomedievale, parlando di santi e devozioni un po’ strane
La diretta di dicembre 2022 per gli abbonati con gli auguri di Natale: solo per gli abbonati al canale (dal livello Roosevelt in su), qui trovate lo speciale natalizio da un’ora e venti
Guglielmo di Ockham, i segni e gli universali (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
La rivoluzione industriale si espande (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono i nuovi abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri e videocorsi che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
La conquista dell’America. Il problema dell’«altro» di Tzvetan Todorov: scomparso qualche anno fa dopo una intensa carriera, Todorov – bulgaro naturalizzato francese – è stato uno degli studiosi più influenti e importanti emersi in particolare negli anni '80. Questo è forse il suo saggio più celebre, un saggio storico ma anche sociologico che ripercorre le vicende della conquista europea dell’America, concentrandosi soprattutto però sul modo messo in campo dagli abitanti del vecchio continenti nel rapportarsi con l’«altro», cioè il nativo americano, di concepirlo e di inquadrarlo. Un testo interessantissimo, che ci dice molto non solo della conquista dell’America, ma anche della modernità e dell’umanità in generale. Costa circa 13 euro e lo si può comprare qui.
Introduzione alla scrittura autobiografica: quando si vuole scrivere qualcosa, la tendenza, soprattutto per chi è agli inizi, è quella di buttarsi sul genere autobiografico, perché le storie che abbiamo vissuto di persona ci sembra di possederle meglio. Anche il racconto autobiografico, però, ha le sue regole e questo corso Domestika ci aiuta a conoscerle meglio. Con 14 lezioni al costo complessivo di 14,90 euro si imparerà infatti a impostare il lavoro e ad impadronirsi di tutti gli strumenti necessari per dar forma letteraria alla propria vita. Il corso potete acquistarlo qui.
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né fare corsi, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Cosa c’è in arrivo
Come avrete forse notato, nelle ultime settimane non ho tenuto fede ad alcuni degli impegni che mi ero preso qui nella rubrica Cosa c’è in arrivo nelle puntate scorse; a mia discolpa, devo dire che le ultime settimane prima delle vacanze natalizie sono state davvero molto impegnative. Spero di riuscire a essere più costante nei prossimi giorni, a partire dagli argomenti che trovate qui di seguito:
già domani uscirà il tanto atteso video sui 10 film che più mi sono piaciuti nel 2022 (e nella lista ci saranno anche alcune serie tv);
poi vorrei realizzare un altro video atteso: quello in cui presento tutto Cartesio in una sola ora di lezione (e più in generale vorrei far ripartire questi video di sintesi, visto che ultimamente ne ho fatti pochi);
infine, spero di portare avanti quanto prima la serie di video su Napoleone III, che latita da un po’;
teoricamente, infine, ci sarebbe poi spazio anche per un nuovo video della serie della Filosofia per ragazzi, che sarebbe dedicato a Zenone di Elea, però non sono ancora convinto di riuscirci questa settimana;
per quanto riguarda i podcast, poi, arrivano di sicuro una nuova puntata su Guglielmo di Ockham e un’altra sull’indipendenza dei paesi dell’America Latina.
E questo è tutto. Probabilmente mi prenderò una pausa dai video anche il 1° gennaio, ma per il resto sarò sempre online con nuovo materiale. E in ogni caso noi ci vediamo qui sulla newsletter tra una settimana esatta, il 2 gennaio 2023. A presto; e ricordatevi di finire bene questo 2022 e fare dei buoni propositi (filosofici e non solo) per il 2023!