Come infiltrarsi tra i razzisti, le donne visionarie della filosofia, un po' di Tarantino e di dinosauri e molti compiti in classe ancora da correggere
Siete stanchi? Io sì, abbastanza. Aspettate il Natale? Io sì, molto. Mai come quest’anno, credo, ho avuto un novembre ed un dicembre intensi. Finalmente comincio a vedere la fine, ovvero il 24 dicembre, quando potrò mettere in pausa alcuni degli impegni quotidiani e tirare il fiato, ma qui di fianco a me, mentre scrivo, ci sono ancora diversi pacchi di compiti da correggere, quindi la meta è sì visibile, ma non ancora a portata di mano.
Se siete curiosi, i compiti che mi fissano cercando di provocare il senso di colpa sono compiti di filosofia: si passa da Socrate, i sofisti e Democrito a Marx e i positivisti, passando, nel mezzo, per Cartesio, Pascal e Spinoza. Mica male, a dirla tutta. Ma non siete qua per parlare di verifiche di filosofia (o per farmi sentire in colpa), quindi diamo subito il via alla nostra consueta newsletter, partendo da quello che ho letto negli ultimi sette giorni.
Quello che ho letto
Questa settimana vorrei soffermarmi su tre libri a cui ho dedicato alcune interessanti ore di lettura; due sono romanzi, uno un saggio oserei dire quasi filosofico. Vediamoli.
Le visionarie di Wolfram Eilenberger: il libro mi è stato consigliato un paio di settimane fa, se non erro, proprio da alcuni frequentatori di questa newsletter, e questa settimana l’ho cominciato. Si tratta di una specie di biografia filosofica di quattro donne visionarie, che hanno operato soprattutto negli anni '30 e '40 del Novecento, ovvero Hannah Arendt, Simone de Beauvoir, Ayn Rand e Simone Weil. Quattro donne estremamente diverse tra loro, alcune teoriche dell’egoismo estremo e altre dell’altruismo fino al martirio, tutte però al centro del pensiero filosofico e degli eventi del periodo più caldo del Novecento. Sono circa a un quinto del volume, ma il libro sembra interessante, anche perché riesce a mescolare vicende personali e riflessioni filosofiche, in un’alternanza di voci che pare abbastanza suggestiva. Vi dirò di più quando avrò proseguito con la lettura.
Il Re Ombra di Maaza Mengiste: ne ho già parlato la settimana scorsa e per ora la trama non è andata molto avanti. Al centro della scena c’è il dolore di una donna a cui è morto il figlio, mentre il marito si prepara a guidare i suoi uomini nella guerra contro gli italiani invasori.
Buona Apocalisse a tutti di Neil Gaiman e Terry Pratchett: lo sto leggendo a spizzichi da un paio di settimane. Il tono è leggero ma anche arguto: dopo la nascita di quello che teoricamente dovrebbe diventare l’Anticristo, al momento gli autori si stanno concentrando molto sul confronto tra il diavoletto e l’angelo protagonisti del romanzo.
Quello che ho visto
Per un motivo o per l’altro, i film di questa settimana sono tutti incentrati sul tema della diversità, soprattutto nella chiave del razzismo (ma non solo). Vediamoli.
BlacKkKlansman (2018), di Spike Lee, con John David Washington, Adam Driver, Laura Harrier: non avevo ancora visto questa pellicola di Spike Lee che ha ottenuto, qualche anno fa, il plauso della critica. Ora ho rimediato, complice il fatto che la si possa vedere su Netflix. Il film racconta la storia vera di un poliziotto di colore che negli anni '70 riuscì addirittura ad infiltrarsi – con l’aiuto di un collega ebreo – nel Ku Klux Klan, sventando un attentato. Il film è interessante ed intelligente, ma posso dire che me lo aspettavo migliore? Nel senso: c’era uno spunto iniziale decisamente originale; c’erano gli ingredienti che piacciono molto a Lee e che più sono nelle sue corde; c’erano anche ottimi attori, con John David Washington (quello di Tenet) e Adam Driver (il Kylo Ren di Star Wars). Eppure il film non coinvolge mai davvero, o almeno non ha coinvolto me. È curioso vedere il Ku Klux Klan che cambia strategia, usando parole che oggi, quarant’anni dopo, sono diventate la norma (quante volte sentiamo i nostri politici dire che c’è «un razzismo contro i bianchi», che «i veri discriminati sono gli eterosessuali» e altre scempiaggini del genere, inaugurate da David Duke, leader del Klan, quarant’anni fa), però il pathos mi pare bassino.
Bastardi senza gloria (2009), di Quentin Tarantino, con Brad Pitt, Christoph Waltz, Mélanie Laurent: a proposito di discriminazione e neonazisti, perché non andarsi a vedere i nazisti veri, quelli della Seconda guerra mondiale, nella ricostruzione immaginifica di Tarantino? Erano anni che non rivedevo questa pellicola che, a una prima visione, mi era sembrata caotica e non completamente riuscita; oggi, a distanza di tanti anni, mi sembra meglio di come me la ricordassi, ma comunque non un capolavoro (per dire, Django Unchained, uscito subito dopo, mi pare molto meglio). La storia, per quei pochi che non l’avessero visto, è quella di un gruppo di soldati americani (perlopiù ebrei) che si fanno paracadutare in Francia per eliminare quanti più nazisti possibile, seminando il panico tra le truppe della Wehrmacht. Alla fine Hitler muore in un attentato della Resistenza, e questo vi fa capire che di storico c’è poco, ma in compenso c’è il classico tocco alla Tarantino.
Il viaggio di Arlo (2015), di Peter Sohn: non parla direttamente di razzismo, di ebrei o afroamericani, ma il problema dell’esclusione – in maniera molto più fanciullesca – c’è anche qua. Si tratta di un cartone animato della Pixar uscito qualche anno fa, che i miei figli ogni tanto vogliono riguardare. Il perché è presto detto: il protagonista è un dinosauro, appunto Arlo. Un dinosauro non terribile come un T-Rex o fastidioso e maledetto come un Velociraptor; no, un pacifico e ingenuo dinosauro insicuro di sé. Simpatico e poco più, e anch’esso, come il film di Tarantino, basato volutamente su uno scarso rispetto dei fatti storici: qui infatti all’inizio si vede il meteorite che avrebbe causato l’estinzione dei dinosauri mancare clamorosamente la Terra.
Quello che ho pensato
Ci sarebbero molte cose di cui parlare, questa settimana (la scuola, i vaccini, il Covid), ma vorrei soffermarmi sui tre film che ho visto e di cui ho appena finito di parlarvi: BlacKkKlansman, Bastardi senza gloria e Il viaggio di Arlo. Sono, come anticipato, tre film sulla discriminazione (dei neri, degli ebrei, dei dinosauri timidi, anche se detta così sembra quasi una battuta comica), ma anche tre film sugli infiltrati. Nel primo, un afroamericano e un ebreo si infiltrano nel Ku Klux Klan; nel secondo, dei soldati alleati si infiltrano nelle fila tedesche (con le famose scene di Fassbender che ordina tre scotch o di Pitt che si finge siciliano, senza contare Shosanna); nel terzo, con il piccolo essere umano Spot che in un certo senso si infiltra tra i dinosauri.
Non sono infatti tre storie di vittimismo, ma di lotta e di redenzione. A modo loro, tutti e tre i film puntano l’obiettivo su una minoranza discriminata o vittima di violenze e crimini che però riesce a uscire dalla propria condizione rovesciando il paradigma: e così abbiamo l’afroamericano che si burla dei suprematisti bianchi, l’ebreo che uccide i nazisti, il dinosauro timido che aggredisce gli aggressori. Infiltrarsi vuol dire assumere le sembianze degli altri, replicarne i metodi e i modi, anche se con un bersaglio diverso. Significa fare a loro quello che loro stanno facendo a te. Che, a pensarci bene, è una regola speculare rispetto alla regola aurea evangelica: invece del “non fare agli altri quello che non vorresti fosse fatto a te”, siamo al “fai agli altri quello che fanno a te”. Così da fargliela pagare, o quantomeno far aprire loro gli occhi.
Il meccanismo è curioso. Quasi che si debba giocare al loro gioco, per sconfiggerli. L’afroamericano non può mettere in crisi il Ku Klux Klan se non da dentro all’organizzazione; l’ebreo non può mettere in crisi il nazismo se non fingendosi un alleato e sedendosi nella platea di un cinema in mezzo a centinaia di nazisti; Arlo non può liberarsi dei bulli se non mostrando di saper essere forte quanto e più di loro.
E questo mi ha portato a pensare ad alcuni video che ho realizzato di recente sul linguaggio, in particolare a quelli su Quine e, in parte, su Putnam. Quine afferma che il nostro linguaggio è la nostra teoria sul mondo, il nostro modo di vedere le cose, il nostro paradigma con cui interpretiamo la realtà. E i linguaggi di popoli diversi, storie diverse, mondi diversi non sono tra loro paragonabili, tanto che non è possibile una reale traduzione da un linguaggio all’altro. I tre film, in un certo senso, sembrano dire la stessa cosa: il linguaggio (e la filosofia e il modo di essere) delle Pantere Nere e quello del Ku Klux Klan non erano solo linguaggi nemici, ma anche incommensurabili; allo stesso modo, il linguaggio degli ebrei e dei nazisti non erano solo linguaggi nemici, ma anche incommensurabili. Usavano parole simili, ma dicevano cose in realtà incomprensibili, nel profondo; l’unico modo per capirsi era infiltrarsi, era entrare nel mondo altrui in primo luogo tramite il loro linguaggio. È emblematico, in questo senso, che in BlacKkKlansman l’infiltrazione cominci al telefono, col protagonista, Ron, che usa solo le parole per avvicinare i razzisti; e che questi sentano in lui una “voce da bianco”, che usa “parole da bianco”. La parola conta più del colore della pelle, quasi.
Ci sarebbero, credo, delle conclusioni da trarre da questi pochi appunti, anche per il nostro modo di comunicare: ad esempio, che dovremmo cercare di assumere non tanto le idee dell’altro, quanto il linguaggio dell’altro per cercare di capirlo ed eventualmente disarmarlo? Che solo infiltrandoci tra le sue fila possiamo capire l’avversario? Bisognerà rifletterci con calma. Voi, quali conclusioni trarreste da questo discorso?
Quello che ho registrato e pubblicato
Solita carrellata dei video della settimana, prima di chiudere.
Storia del Rinascimento: cosa è stato il Rinascimento, dal punto di vista storico? In quali città si è diffuso maggiormente? Appoggiandosi a quali classi sociali?
Putnam e il cervello in una vasca: il mondo esiste davvero? Così come ci appare? Sono domande che i filosofi si pongono dai tempi di Cartesio e a cui il contemporaneo Putnam ha tentato di dare risposte piuttosto articolate
Herbert Spencer e l’evoluzionismo: Spencer è stato il più importante esponente del Positivismo evoluzionistico, corrente nata sull’onda delle dottrine di Charles Darwin. Ecco un’introduzione al suo pensiero
Così parlò Zarathustra: audiolibro e spiegazione parte 15: chiudiamo la terza parte dell’opera di Nietzsche e apriamo la quarta e ultima
Augusto: riforme e politica estera: una volta giunto al potere, Augusto dovette occuparsi anche della gestione di un territorio così vasto. Ecco come operò
Le virtù etiche e il giusto mezzo (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
Elisabetta I sul trono inglese (per il podcast “Dentro alla storia”)
Cosa c’è in arrivo
Questa settimana non ho tenuto molto fede a quello che avevo promesso nella scorsa newsletter, quindi non fidatevi troppo di quello che andrò a scrivere: questioni contingenti spesso mi costringono a cambiare i piani al volo. Comunque, per i più curiosi, ecco cosa al momento avrei in mente di fare la prossima settimana:
un secondo video su Spencer;
il video su Carlo Magno già più volte promesso;
la conclusione del percorso sulle organizzazioni umanitarie;
una nuova puntata del ciclo su Zarathustra, in modo da avvicinarmi al gran finale;
magari una diretta, su argomento ancora da decidere;
ovviamente poi i podcast su Aristotele e l’Inghilterra elisabettiana.
Questo è quanto. Ci rivediamo qui tra sette giorni esatti!