Da quelli che dicono la loro su tutto al Gruppo Wagner e la sua marcia su Mosca, da Zerocalcare alla Gialappa's Band, da Chabod alla maturità, da Galileo a Stan Lee, da Feynman a Nievo
Fino a sabato, quando sono tornato a casa dalla settimana passata dalle parti di Portogruaro per gli esami di maturità, non sapevo bene di cosa avrei parlato nella newsletter di questa settimana. Gli esami infatti mi hanno abbastanza assorbito anche dal punto di vista mentale, lasciandomi poco tempo per pensare ad argomenti di attualità o di approfondimento.
Poi sabato, una volta arrivato a casa, ho aperto il computer e immediatamente gli argomenti hanno iniziato a crescere, diventando perfino troppi: c'è stato questo mezzo tentativo di colpo di stato (quasi subito abortito), in Russia; ci sono state le enormi polemiche relative al 9 in condotta dato ai ragazzini che qualche mese fa divennero celebri proprio qui a Rovigo per aver sparato contro una professoressa; e poi altre questioni politiche e sociali che, in questo panorama già piuttosto affollato, sembrano ora di secondaria importanza.
Sulla Russia, in realtà, nel momento in cui scrivo ci sono ancora troppe cose poco chiare, e quindi mi limiterò a fare una veloce panoramica qui, per chi ha passato il weekend al mare e si è perso quello che è successo; e magari ne riparleremo più diffusamente più avanti, quando si capirà meglio anche quali sono i termini dell'accordo tra Prigožin e Putin; mentre nella sezione Quello che ho pensato, che è sempre il punto focale di ogni nostra newsletter settimanale, parlerò per una ulteriore volta di scuola, ma vedrete che sarà anche l'occasione per fare un discorso un po' più ampio sull’opinionismo televisivo e giornalistico italiano.
Partiamo allora dalla questione russa. Nella notte tra venerdì e sabato scorsi si è verificato il primo grande colpo di scena dall'inizio della guerra in Ucraina: il comandante del gruppo mercenario Wagner, Evgenij Prigožin, ha lasciato le sue posizioni sul campo, iniziando a marciare con i suoi uomini prima su Rostov, importante città russa vicina al confine con l'Ucraina, e poi verso Mosca, la capitale, minacciando quello che a tutti gli effetti sembrava un vero e proprio tentativo di colpo di Stato, una sorta di nuova “marcia su Roma” cent'anni dopo.
La rivolta ha portato Putin ad un discorso durissimo in televisione e a prepararsi all'assalto, ma è poi terminata senza grossi scontri nel giro di nemmeno una giornata, con un accordo tra lo stesso Putin e Prigožin che è stato trovato grazie alla mediazione di Lukashenko, il dittatore della Bielorussia e solido alleato del leader russo. Per quel che se ne sa, sembra che questo accordo garantisca l'impunità per tutti i rivoltosi e un esilio, immagino dorato, per Prigožin, per il momento proprio in Bielorussia.
Ma perché dar vita a una rivolta che si è risolta poi in una mezza farsa nel giro di poche ore? E perché rinunciare così in fretta ad un piano che in realtà sulle prime sembrava funzionare, visto che la compagnia Wagner stava marciando pressoché indisturbata lungo le lande della Russia? Il dubbio è proprio questo: il sistema di potere di Putin è così incredibilmente debole da far sì che ogni piccolo oligarca o potente di turno possa far vacillare l’intera struttura dell'apparato? Da far sì che un gruppo di mercenari possa addirittura prendere il potere senza troppa fatica?
Sarebbe, onestamente, uno scenario piuttosto preoccupante, non tanto per Putin in sé, quanto perché renderebbe assai fragile uno dei paesi più potenti dal punto di vista militare del mondo. La Russia investe in armi una parte consistente del proprio PIL e, anche se non è certo uno dei paesi più ricchi al mondo, è sicuramente uno dei meglio armati: che possa essere preda di una banda di criminali più o meno da strapazzo è allarmante, perché disegna un futuro incerto, in mano alle bizze dell'ambizioso di turno.
Non che quest'esito, in realtà, giunga completamente inatteso: è dall'inizio della guerra in Ucraina che tutti gli osservatori un minimo seri sostengono che Putin ha fatto un errore colossale (e, nel nostro piccolo, l’abbiamo sempre ripetuto anche noi), un errore che potrebbe pagare caro sul piano interno. Quell’operazione poteva infatti riuscire solo se era rapida ed indolore, solo cioè se le forze speciali russe fossero riuscite a prendere i palazzi governativi a Kiev nel giro di poche ore, nei primi giorni del conflitto. Quando quella “operazione speciale” si è trasformata in una guerra di logoramento, con l’aggiunta del sostegno del mondo occidentale all'Ucraina, era piuttosto chiaro che per la Russia le cose si mettevano male e che lo stato di Putin avrebbe avuto presto bisogno di una exit strategy.
Questo in Italia è stato negato da una serie di commentatori che non guardavano tanto a come la guerra stava effettivamente andando o alla realtà dei fatti, ma a come avrebbero voluto che andasse. È un nostro vecchio difetto: a una parte del nostro mondo intellettuale non interessano i dati, le realtà empiriche, quello che accade davvero, perché i fatti si devono sempre piegare alla teoria (precostituita). Prima decidiamo chi sono i “buoni”, e poi facciamo in modo che la realtà obbedisca ai nostri assunti. È un approccio hegeliano-idealistico, direi anche crociano e gentiliano, che ancora ci segna pesantemente e ci limita nella comprensione del mondo.
Invece i fatti, prima o poi, si fanno sentire. Lo stesso Prigožin, nei primi messaggi con cui annunciava la marcia su Mosca, ha squarciato la patina di propaganda, ammettendo candidamente che la guerra di Putin è stata una guerra completamente sbagliata, fatta solo per alimentare brame di potere e di corruzione che sono evidentemente molto forti all'interno del regime.
Se comunque la parabola di Prigožin probabilmente finisce qui, col gerarca che si ritirerà in una pensione lontana dai riflettori, diventa ora molto interessante capire che ne sarà di Putin: il re mi sembra infatti improvvisamente nudo e non è detto che qualcun altro, vista com'è andata a Prigožin, non voglia provare ad approfittarsene, magari non subito ma nei prossimi tempi. Saranno mesi interessanti e speriamo non troppo instabili.
Ma ora mettiamo in pausa tutto questo e passiamo al nostro consueto menù. Ricordando – se vi piacciono i numeri – che proprio oggi il canale YouTube ha superato la soglia delle 8 milioni di visioni: mica male!
Quello che ho letto
Cominciamo dunque con i libri. Pronti e via!
Mai dire noi della Gialappa’s Band: negli ultimi anni ho cominciato a leggere libri soprattutto in formato digitale: al contrario di molte persone che non si trovano a loro agio con gli schermi, non ho alcun problema a leggere libri sul tablet o sul cellulare, tant'è vero che spesso non riesco neppure a prendere sonno la notte se prima non ho letto per qualche minuto dallo schermo elettronico. D'altronde, questo tipo di lettura offre degli indubbi vantaggi. Sul cellulare hai una serie di libri che porti sempre con te e che puoi leggere nei tempi morti: se ti trovi ad aspettare che l'acqua bolla per poter buttare la pasta, puoi tranquillamente leggere tre o quattro pagine, e allo stesso modo se devi andare in viaggio non serve che riempi la valigia di volumi pesanti. Proprio per questo, quando ho fatto i bagagli per trasferirmi dalle parti di Portogruaro ho deciso di lasciare a casa i pochi libri in cartaceo che sto leggendo e dedicarmi per qualche giorno solo agli e-book. Questo ha significato, nel caso specifico, lasciare a casa il libro della Gialappa's, che a suo tempo avrei voluto comprare in formato digitale ma che, a quanto ne so, esiste solo in cartaceo, tra l'altro con un numero di pagine e quindi anche un peso decisamente importante. Quando sabato sono rientrato a casa per passare un giorno e mezzo con la famiglia, l’ho però visto sul comodino e mi si è riattivata immediatamente la voglia di leggerlo, tanto che ne ho divorato parecchie pagine. Come vi avevo già anticipato, posso dirvi che il libro dal punto di vista puramente letterario è sicuramente di modesto valore: non è altro che la trascrizione una serie di dialoghi tra i tre componenti del gruppo e qualche altro amico che compare di tanto in tanto; ma, al di là di questo, è un libro che si legge col sorriso sulle labbra, interessante per capire tutto quello che c'è dietro a una serie di trasmissioni di così grande successo e di così lunga durata. Inoltre, bisogna ben ammettere che la Gialappa’s ha fatto proprio da trampolino di lancio a una serie di comici che oggi domina la scena in Italia: sotto le loro grinfie sono passati Elio e le Storie Tese, Teo Teocoli, Antonio Albanese, Aldo Giovanni e Giacomo, Claudio Bisio, Maurizio Crozza, Gene Gnocchi, Gioele Dix, Giobbe Covatta, Luciana Littizzetto, Daniele Luttazzi, Fabio De Luigi e decine di altri ancora. Insomma, se anche solo in passato avete seguito le loro trasmissioni, la lettura può essere leggera e interessante. Il volume, rigorosamente in cartaceo, può essere comprato qui.
Sta scherzando, mr. Feynman! di Richard Feynman: questa settimana ho finito di leggere questa curiosa autobiografia di scienziato. Come vi ho già raccontato, si tratta in realtà della raccolta di alcuni aneddoti curiosi della vita del Premio Nobel per la fisica Richard Feynman, raccontati da lui stesso. E quando dico curiosi, intendo quasi al limite dell’inverosimile. Nel volume, infatti, si racconta di frequentazioni con prostitute e con boss della malavita, di scherzi ad altri scienziati all'interno della base di Los Alamos durante gli studi per la realizzazione della bomba atomica, di strane conferenze tenute tra il Brasile (dove Feynman entra addirittura in una band di samba) e il Giappone e di polemiche incredibili sollevate per via dello strano senso dell'umorismo del fisico. L'esito del racconto è comunque interessante e divertente, tanto che man mano che si procede nella lettura vien sempre di più la voglia di conoscerlo, questo Feynman, di sentirlo ancora parlare e di ascoltarne qualche conferenza, salvo poi rimanere delusi dal fatto che ormai ha lasciato questa terra da parecchi anni. In ogni caso lo scienziato stupisce per la sua grande originalità e il libro si legge davvero con gusto, rivelandosi una fonte cospicua di informazioni sul mondo della grande fisica contemporanea. Ora che l’ho finito, tra l’altro, sono anche abbastanza curioso di farmi passare da qualche collega il famoso manuale di fisica scritto dallo stesso Feynman e che è anche in adozione in alcune delle nostre scuole: in Sta scherzando, mr. Feynman! c'è un gustoso capitolo, infatti, in cui lo scienziato racconta l'esperienza avuta come membro di una commissione che doveva selezionare una serie di manuali di matematica per le scuole californiane; capitolo in cui Feynman si scaglia con una certa veemenza contro lo stile troppo astratto di questi libri di testo, a suo dire incapaci di far realmente appassionare alla materia. Insomma, voglio vedere se La fisica di Feynman, il libro che circola oggi in Italia, è davvero fedele alle sue idee metodologiche e didattiche, e fino a che punto. Comunque, se siete anche solo minimamente appassionati alla scienza, alla fisica e soprattutto alle storie sorprendenti, questo è sicuramente il libro che fa per voi. Lo potete acquistare qui.
Le confessioni d’un italiano di Ippolito Nievo: complice il fatto che questa settimana mi sono spostato per tutto il Veneto Orientale, tra San Donà di Piave e Portogruaro, ho ripreso in mano la lettura de Le confessioni d’un italiano di Ippolito Nievo, il romanzo risorgimentale che avevo cominciato qualche settimana fa e ambientato proprio in questa zona, in particolare nel castello di Fratta, un piccolo paesino non distante da Portogruaro. E non è un caso che anche alcuni degli edifici in cui mi sono trovato a lavorare in questi giorni siano proprio intitolati a Nievo. Bisogna però anche dire che oggi questo scrittore è ingiustamente dimenticato o quantomeno sottovalutato: quando si parla della letteratura del Risorgimento si pensa sempre a Manzoni, al limite a Foscolo o addirittura a Leopardi, che in realtà col Risorgimento non hanno avuto molto a che fare. Nievo, invece, fu un vero e proprio protagonista di quella fase storica, combattendo assieme a Garibaldi e addirittura morendo giovane durante il processo di unificazione, in circostanze mai del tutto chiarite. Inoltre bisogna anche dire che il romanzo in questione non è per nulla male, anzi: più lo leggo, più mi convinco di essere davanti ad un'opera di alto livello, un vero e proprio grande romanzo nazionale, capace di alternare storie picaresche o quasi comiche ad altre in cui si analizzano la società e la realtà politica pre-unitaria, con un taglio comunque sagace e intelligente. Come ho detto anche nelle settimane scorse, Le confessioni d'un italiano non ha molto da invidiare a I promessi sposi, e anzi proprio su certi versanti gli è decisamente superiore. Il fatto che nelle nostre scuole si legga sempre Manzoni e mai Nievo è forse indicativo non tanto del valore letterario di queste opere, quanto di una scelta politica che ha voluto privilegiare la serietà devota e cristiana di un Manzoni rispetto al sarcasmo e all'ironia di un Nievo, il carattere mite e remissivo di una Lucia rispetto a quello più burrascoso di un Carlo. Nievo non ci racconta di donne che fanno il voto alla Madonna o di sgherri che si convertono sulla via di Damasco, ma di giovani che diventano prede delle prime pulsioni amorose o di briganti eroici che scappano a cavallo lungo le pianure del Veneto. Il problema maggiore, però, davanti al lavoro di Nievo è che si tratta di un'opera mastodontica e virtualmente infinita, cosa che può sicuramente scoraggiare il lettore moderno; ciononostante mi sento comunque di consigliarla, anche solo per capire che l’Ottocento italiano è stato molto più variegato di quanto la lettura scolastica dei cosiddetti classici ci lasci pensare. Se vi interessa, lo potete comprare qui.
Quello che ho visto
Passiamo ora ai film e alle serie TV, anche se per la verità questa settimana di film veri e propri non ce n’è nemmeno uno.
Questo mondo non mi renderà cattivo, episodio 1.03 (2023), con le voci di Zerocalcare, Valerio Mastandrea, Silvio Orlando: Zerocalcare è stato sotto diversi punti di vista la grande novità del fumetto italiano degli ultimi 10 anni. Ha saputo farsi strada partendo praticamente da zero e conquistandosi lungo gli anni un pubblico sempre più ampio, tanto da approdare addirittura su Netflix, prima con la serie Strappare lungo i bordi, acclamata dalla critica, e poi con l'ultimo lavoro da poco uscito e intitolato Questo mondo non mi renderà cattivo. Col passare degli anni le sue storie hanno affrontato diversi temi, legati alla crescita e alla maturazione personale, al mondo della cultura pop, alla politica, fino anche ad alcune spinose questioni internazionali come in particolare quella curda. Tutte questioni che si possono anche tranquillamente affrontare in un mezzo come il fumetto, che si rivolge grosso modo ad un pubblico selezionato, ma che diventano più difficili da trattare quando vengono presentate ad un pubblico generalista (e spesso un po’ impreparato) come quello della televisione. La domanda che lo stesso Zerocalcare si è posto anche all'interno di Questo mondo non mi renderà cattivo è in fondo proprio questa: come fare a parlare di politica – da una posizione di sinistra anche radicale – all'interno di una piattaforma di streaming che è in un certo senso uno dei simboli del capitalismo americano? In questa nuova serie, infatti, l'autore romano cerca proprio di fare il salto di qualità, prendendo spunto da uno dei tanti fatti di cronaca a cui ci siamo abituati negli ultimi anni: l'apertura di un centro di accoglienza per migranti in un quartiere della periferia romana, con tutte le polemiche, gli scontri e le strumentalizzazione politiche che ne conseguono. Questo tema, che è stato sfruttato in lungo e in largo dalla politica italiana negli ultimi anni, viene però declinato nella serie anche in chiave abbastanza personale, tramite il rapporto tra Zerocalcare ed un suo vecchio amico d'infanzia che, dopo qualche anno in comunità, ritorna nel quartiere ed aderisce alla propaganda xenofoba, facendosene anzi uno dei principali propugnatori. Non so se la resa sia del tutto convincente: ho visto solo una parte delle puntate e certo bisognerà trarre le somme alla fine, però a volte mi sembra che il tutto tenda a scadere in un po' di facile retorica, o in una psicologia spiccia che tende a semplificare i problemi invece che raccontarli davvero. Zerocalcare ha questa tendenza anche nei suoi fumetti, ma riesce a stemperarla molto bene grazie all'autoironia, che fa sì che le sue storie non siano mai moralistiche; nella serie quel delicato equilibrio mi è sembra però finora un po' perdersi, con una ironia che viene a tratti dimenticata lasciando spazio soprattutto alle grandi spiegazioni, a volte ridondanti. Forse un po' più di racconto è un po' meno di insegnamento farebbe filare meglio il tutto. Ma, ripeto, è troppo presto per trarre le somme definitive, quindi faremo una sorta di conguaglio alla fine. Intanto, se la serie vi interessa, la trovate come ho già detto su Netflix.
Stan Lee (2023), di David Gelb: ho letto nelle settimane scorse alcuni articoli polemici nei confronti dell'ultimo documentario che Disney+ ha dedicato alla figura di Stan Lee, ormai celebre creatore dell'universo fumettistico della Marvel. Incuriosito dalla faccenda, nonostante abbia letto negli anni migliaia e migliaia di pagine sulla storia di questa casa editrice americana, sono andato a guardarmi questo documentario che è effettivamente esaltatorio di una figura che ormai rappresenta, soprattutto da quando ha cominciato a comparire con vari cameo all'interno dei film del Marvel Cinematic Universe, una sorta di grande protettore spirituale di tutto quell’universo narrativo. Stan Lee di Gelb è interessante e simpatico: non racconta in realtà nulla di nuovo rispetto a quello che già si sa, anche perché non fa altro che ricostruire la vita del fumettista a partire dalle sue stesse parole rilasciate nel corso degli anni in svariate interviste e dichiarazioni; ma il tutto è montato in maniera abbastanza efficace, mostrando anche l'evoluzione lungo gli anni della concezione di supereroe. Ci si finisce, quindi, un po’ per affezionare a questo simpatico vecchietto che ha fatto la storia dei comics. Da dove nascono le polemiche, dunque, in un prodotto che a prima vista sembrerebbe piuttosto innocuo? In realtà riguardano una vecchia questione che nel documentario viene anche per la verità accennata: quella riguardo a chi sia il reale creatore dell'universo Marvel. Come forse saprete, infatti, Lee si è sempre e solo occupato dei testi dei fumetti, non disegnando mai alcunché; inoltre il suo modo di lavorare era piuttosto particolare: per sua stessa ammissione dava ai disegnatori solo una trama generale della storia da realizzare, lasciando poi campo libero agli artisti affinché strutturassero il susseguirsi delle azioni sulla pagina. In ultima istanza, poi, Lee aggiungeva i dialoghi e le didascalie, dando senso e coerenza a un caos creativo che fino a quel momento era stato tutto sommato piuttosto informe. In ogni caso, di norma nei vari fumetti Lee veniva accreditato come scrittore e l’artista di turno, spesso Jack Kirby, veniva accreditato invece come disegnatore, anche se in realtà i due ruoli tendevano quasi a fondersi o comunque a mescolarsi. Stan Lee si è quindi negli anni sempre presentato come il creatore di personaggi come Spider-Man, i Fantastici Quattro, Hulk, gli X-Men, Thor, Iron Man, Devil e altri ancora, mentre gli artisti, e in particolare proprio Kirby, hanno più volte rivendicato almeno una co-paternità, ma in certi casi anche la totalità dei diritti di creazione di quei personaggi. La polemica non si è neppure fermata alle parole: in certi momenti si è passati anche alle vie legali, senza in realtà che la situazione si risolvesse in maniera definitiva. Una volta morti i protagonisti principali, tra l’altro, queste polemiche continuano ad essere alimentate dagli eredi, polemiche che si rinfocolano all'uscita di nuovi documentari o di nuovi libri. Io sono sempre stato convinto che la paternità di quei grandi personaggi fosse da dividere abbastanza equamente tra scrittore e disegnatore, ma allo stesso modo credo anche che Stan Lee abbia avuto un ruolo di collante fondamentale nel creare quell'universo narrativo e che quindi possa con una certa ragione affermare di esserne il padre. È vero ad esempio che Spider-Man è stato definito anche – e molto – da Steve Ditko, il suo primo disegnatore, ma è vero anche che quando Ditko lasciò la serie, dopo pochi anni dall’esordio, e venne sostituito da John Romita Sr., le storie del tessiragnatele continuarono ad essere di ottimo livello, e anzi forse addirittura migliorarono. Segno, forse, che alla fin fine in quegli anni l'unico veramente insostituibile era Stan Lee e non Ditko. Probabilmente Lee & Kirby erano in grado di esaltare le caratteristiche migliori l’uno dell’altro, me è anche vero che almeno negli anni '60 Lee è stato quello che più di tutti ha saputo intercettare i gusti del pubblico e rinnovare un genere che aveva bisogno, prima di tutto nei testi, di una ventata d'aria fresca. Certo, per ritornare al documentario in questione bisogna anche dire che quella trasmessa da Disney+ è forse un’opera eccessivamente celebrativa nei confronti di Lee, che tenta di farne quasi un santino; ma può essere comunque interessante guardarla per farsi un'idea di come funzionava il mondo del fumetto dagli anni '30 agli anni '70 negli Stati Uniti. Come detto, lo trovate su Disney+.
Only Murders in the Building episodio 2.09 (2022), di Steve Martin e John Hoffman, con Steve Martin, Martin Short, Selena Gomez: dico la verità, mi ero quasi dimenticato di dover ancora finire la seconda stagione di Only Murders in the Building. La cosa, detta così, non suona troppo bene: una serie TV che fa della suspense il suo punto forte non dovrebbe permettere ai suoi spettatori di dimenticarsi di vedere il gran finale. Ma forse non è tanto colpa della serie, quanto mia: tendo a farmi catturare, come molti, dalle novità e quando la tensione cala appena un attimo nella mia mente è facile che lo spazio di uno show o di una storia venga occupato da qualcosa di nuovo. In effetti l'ultima puntata della serie che avevo visto prima di questa inusuale pausa si chiudeva con un colpo di scena abbastanza netto, che sembrava rivelare un probabile colpevole; e questo, evidentemente, mi era bastato. Ad ogni modo questa settimana l'ho finalmente ripresa in mano, visto anche che mi mancano davvero solo un paio di puntate per chiuderla, e mi sono accorto che il mistero in realtà non era ancora del tutto svelato. La trama di questa seconda stagione è infatti piuttosto complicata, i personaggi sono parecchi e con essi anche i colpi di scena; e gli sceneggiatori se la sono cavata anche piuttosto bene nel tenere in piedi una faccenda complicata. Come ho già raccontato altre volte, lo show è un giallo in cui tre personaggi improbabili – cioè una giovane ragazza coinvolta suo malgrado in casi di omicidio e due arzilli vecchietti che vivono nel suo palazzo – si trovano a dover svelare un mistero, spesso in rivalità o in contrasto con la polizia. Nel fare questo, ovviamente, emergono tutte le idiosincrasie comiche del gruppo, anche perché i personaggi sono ben allestiti e si cimentano addirittura a raccontare le loro disavventure in un podcast. Ormai mi manca solo una puntata per finire il tutto e, se non mi dimenticherò di nuovo di guardarla, probabilmente la settimana prossima chiuderemo anche questo capitolo. Intanto, nell'attesa, potete guardarvela su Disney+.
Quello che ho pensato
Proviamo questa settimana a fare un discorso un po' complicato. Vorrei infatti trattare un tema spinoso e so bene che, se lette di fretta, le parole che sto per dire potrebbero essere ampiamente fraintese.
Allo stesso tempo, però, penso che sia un discorso necessario, per me e per gli altri; vorrei che ci aiutasse a ricordare come si svolge (o si dovrebbe svolgere) un corretto dibattito pubblico.
Il tema non è nulla di nuovo, e forse ne avete letto sui giornali o sentito parlare in televisione: Rovigo è balzata nuovamente agli onori della cronaca in ambito scolastico per un paio di controversi voti di condotta. Se vi siete persi qualche puntata, vi spiego meglio.
Qualche mese fa, nella scuola che sorge esattamente di fianco a quella dove insegno io, si è verificato un fatto decisamente increscioso: alcuni studenti di una classe prima hanno sparato dei pallini di gomma contro una insegnante, colpendola al volto; nel frattempo hanno pure ripreso la scena, ridendo mentre il misfatto avveniva, tant'è vero che quelle immagini sono subito diventate di dominio pubblico, iniziando a girare tramite WhatsApp e altre app di messaggistica, arrivando praticamente a tutti i giovani di Rovigo e oltre.
Tutto questo è accaduto all'inizio dell'anno scolastico ed è finito su tutti i giornali, che hanno calcato la mano sui fatti indicando in essi la prova del fatto che i ragazzi di oggi sono sempre più irrispettosi, del ruolo precario della scuola nel nostro paese e della generale decadenza dei costumi. C'era da aspettarselo: l’accaduto era effettivamente piuttosto grave e l'opinione pubblica italiana, sempre desiderosa di nuovi motivi di indignazione, c'è andata inevitabilmente a nozze.
Col passare dei mesi la polemica si è lentamente spenta, ma è ritornata in auge qualche settimana fa, quando una professoressa di Abbiategrasso è stata accoltellata da un suo studente in preda ad evidenti problemi psicologici. Complice la strana idea che due indizi facciano una prova, buona parte del mondo giornalistico e politico italiano ha trovato conferma di quello che pensava da tempo, che cioè questo mondo di oggi non rispetta più la sacra autorità degli insegnanti.
Infine nei giorni scorsi è arrivata l'ultima mazzata: la professoressa colpita dai pallini ha fatto sapere, tramite i suoi legali, che i ragazzi che l'avevano umiliata a inizio anno non solo sono stati promossi con ottimi voti nelle varie discipline, ma hanno portato a casa addirittura un 9 in condotta. Lei, ha affermato, si aspettava la bocciatura e sicuramente non un voto di condotta così positivo.
Di nuovo il coro di indignazione si è sollevato, puntuale come ogni volta, coinvolgendo questa volta addirittura i ministri Valditara (e ci sta, essendo il ministro competente), Salvini, Crosetto e tutta la lunga lista degli opinionisti che ogni giorno devono trovare qualcosa su cui scrivere e su cui solleticare la pancia degli italiani.
Il guaio è che tutto questo gran parlare, tutta questa indignazione non servono mai a nulla: non risolvono alcunché perché non affrontano neppure il problema, dato che non cercano neppure di capire quale sia questo problema. A ottobre tutti si indignavano perché i giovani non portano rispetto per la scuola, mentre adesso tutti si indignano perché la scuola non porta rispetto per gli indignati, non dà loro quello che volevano. E così non si capisce alla fine se la scuola è la vittima o il carnefice: sembra quasi che per gli opinionisti i professori siano da compatire perché vengono malmenati da tutti, ma subito dopo da accusare perché in fondo se la cercano, visto che non sanno imporre la dovuta disciplina ed infliggere le dovute punizioni.
Ovviamente, in tutto questo panorama, nessuno ha provato ad approfondire un po' di più la questione. Sono mesi che si intervistano la professoressa di Rovigo o quella di Abbiategrasso, ma nessuno ha provato a svolgere un qualche minimo studio sullo stato della violenza nelle nostre scuole, uno studio che cioè non sia solo episodico o aneddotico, ma che fotografi la reale situazione del paese. Quanti attacchi ai prof si verificano ogni anno? Quante denunce? Quante sospensioni? Quanti post vengono pubblicati sui social su questo tema? C’è un osservatorio, una statistica, un qualcosa di anche solo minimamente oggettivo?
Tutti, psicologi compresi, non fanno altro che dire di chi è colpa: a volte additano gli insegnanti, a volte i genitori, a volte i ragazzi, a volte anche tutti quanti insieme. Nessuno, ovviamente, è andato sul posto ad indagare; a cercare di conoscere chi siano quei ragazzi, chi siano quei genitori o chi siano quegli insegnanti, che storia hanno alle spalle o da quali contesti provengano.
Tutti parlano solo ed esclusivamente sulla base dei titoli che compaiono sui giornali, e nessuno va oltre quelle due righe. Si versano fiumi e fiumi di inchiostro sulla base degli strilli di agenzia, mentre nessuno ha davvero interesse ad andare oltre a questa vaghissima superficie. Il che sarebbe anche patetico, se non fosse che quella vaga superficie, quelle due righe sono ciò che più condiziona le azioni di molti politici.
Ora, sia chiaro: sparare a una docente (ma anche sparare a un qualsiasi essere vivente) è un atto inqualificabile e il 9 in condotta mi ha molto, molto sorpreso. Da qualunque punto di vista si guardi la situazione, mi sembra davvero una scelta inopportuna. Ma su tutto il resto (la promozione, i bei voti nelle varie discipline) non lo so: io non lavoro in quella scuola, non conosco quel Consiglio di classe e non so dire quali siano le motivazioni di quelle scelte.
Fossi il ministro, manderei, come ha fatto Valditara, gli ispettori a valutare questo voto di condotta, a sentire gli interessati e ad indagare meglio; ma, fatto questo, aspetterei l'esito dell'inchiesta, perché la scuola deve insegnare in primo luogo ad approfondire e a parlare una volta che si conoscono i fatti.
Certo capisco bene gli studenti che si lamentano di aver avuto 8 in condotta per comportamenti infinitamente meno gravi di quelli riscontrati in quella classe prima; sono uno, anzi, che in quanto coordinatore deve spesso spiegare agli studenti le motivazioni dietro ai voti di condotta, e mi infastidisce vedere che l'Italia è sempre la patria dei due pesi e delle due misure. Mi dispiace che la valutazione sia sempre così aleatoria e che un voto preso in una scuola sia radicalmente diverso dallo stesso voto preso in un'altra scuola.
Ma, al di là di questo, non mi lancerei in grandi e sperticate analisi sulla gioventù italiana, sulla classe docente e su mille altre cose di cui si sente continuamente parlare. I giovani sono tutti diversi tra loro, gli insegnanti sono tutti diversi tra loro, le scuole sono tutte diverse tra loro e due casi violenti in un paese da 60 milioni di abitanti non fanno certo una tendenza scientificamente apprezzabile.
Ripeto: se si vuole davvero parlare di violenza nella scuola, tema che potrebbe anche essere estremamente interessante, bisogna indagare più a fondo, raccogliere dati, confrontarli con i dati del passato e vedere quale sia la tendenza. Ma per far questo ci vuole tempo, ci vuole lavoro, ci vuole fatica: e nessuna ha realmente intenzione di farla, questa fatica, perché commentare di pancia è sempre molto più facile; magari non ci si avvicina minimamente alla verità, ma è comunque appagante perché alla fine quello che vogliamo è semplicemente lamentarci di un mondo che non va come vorremmo, trovando un capro espiatorio a cui dare la colpa di tutti i mali.
Purtroppo, tra l’altro, questo è proprio il contrario di quello che dovrebbe insegnare la scuola. La competenza fondamentale di ogni percorso di studi è quella di imparare a non essere superficiali e ad approfondire: non commentare i fatti per sentito dire, sulla base di un titolo di giornale o di una voce riportata da chissà chi, ma andare a vedere più profondità, risalendo a dati fondati e cercando di capire come si può intervenire sui problemi.
Ovviamente tutto questo non lo fa nessuno: non lo fanno perlopiù i giornalisti, non lo fanno perlopiù gli psicologi che sono tutti i giorni sui giornali, non lo facciamo spesso nemmeno noi insegnanti che predichiamo bene e razzoliamo male. La crisi della scuola non sta tanto nella violenza, perché casi del genere in realtà ce ne sono credo sempre stati, ma nel fatto che non riusciamo a trasformare gli italiani in un popolo un po’ meno superficiale.
Tutta la nostra classe dirigente non sa guardare più in là del proprio naso, non sa frenare la propria pancia e cercare le ragioni profonde di ciò che accade, non sa fermarsi un attimo davanti a questo continuo vociare che non porta da nessuna parte. Una parte della nostra classe dirigente non è dissimile (per limiti o per interesse) da quelle persone che passano la loro giornata al bar a commentare i fatti del giorno senza capirci nulla.
E allora, cosa volete che diventino, in tutto questo panorama, i fatti, le notizie? Sono solo stimoli alla lamentela e all’indignazione, non segnali da interpretare. Sono solo motori dell’ennesima inutile dichiarazione, non punti di partenza di ricerche e approfondimenti. E poi dicono che i giornali sono in crisi: in questo panorama, mi stupirei del contrario.
Quello che ho registrato e pubblicato
Parliamo però ora un momento dei video e dei podcast che ho pubblicato negli ultimi sette giorni.
Le tracce di maturità 2023: sono iniziati gli Esami e non sono riuscito a non commentare le tracce della prima prova
Storia dei consumi 4: acqua, luce, gas: continua la nostra panoramica sulla storia dei consumi, parlando addirittura delle forniture
Corso di logica 6 - Campi e subordinazioni: una lezione un po’ tecnica su alcuni termini-chiave della logica proposizionale
"Sulla libertà" di Stuart Mill (parte 4) - Socrate, Gesù, Marco Aurelio: nuove pagine nella nostra lettura integrale di uno dei capolavori del liberalismo politico
La vita di Galileo Galilei (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
La cultura del positivismo borghese (per il podcast “Dentro alla storia”)
Lo sviluppo economico di metà '800 (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che devi fare per seguirmi sui social
Ah, prima di dimenticarci vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
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Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono i nuovi abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri e videocorsi che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
Storia dell’idea d’Europa di Federico Chabod: se avete seguito (o addirittura sostenuto) gli Esami di Stato di quest’anno, sapete che tra le varie tracce proposte in prima prova ce n’era una tratta da un testo di Federico Chabod, forse il più importante storico italiano nell’immediato dopoguerra. Nonostante le sue analisi abbiano ormai qualche anno sulle spalle (cosa che, nell’ambito storiografico, un po’ pesa), il suo stile e le sue ricerche hanno fatto scuola, rinnovando a suo tempo gli studi storici italiani. Recuperare qualcosa di suo può, quindi, essere ancora utile. Proprio per riallacciarci a quello che era previsto nell’Esame di maturità e direi anche per allargare un po’ il tiro, questa settimana vi propongo la sua Storia dell’idea d’Europa, che va anche oltre il principio di nazionalità di cui si è parlato all’Esame. Lo si acquista qui.
Strategia di comunicazione per social network: i social network si evolvono assai rapidamente, ma per fortuna ormai sappiamo come gestirli. O, meglio: gli esperti sanno come gestirli, mentre noi poveri profani ci troviamo a volte in balia del caso o dei nostri stessi incerti tentativi. Se volete invece avventurarvi in questo mondo con un po’ più di cognizione di causa, c’è per fortuna un bel corso Domestika che potrebbe fare al caso vostro: con 11,90 euro vi portate a casa 20 lezioni per pianificare meglio la vostra presenza social. Il corso lo trovate qui.
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né fare corsi, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Quello che c’è in arrivo
Concludiamo come sempre anche con un veloce elenco di quello che mi piacerebbe riuscire a realizzare (esami e famiglia permettendo) nella prossima settimana:
vi avevo promesso, credo, un video su Christopher Nolan, e sappiate che sicuramente questo arriverà, penso già domani;
poi vorrei riuscire a completare i video sul mio modo di prendere le note, con la seconda puntata della serie;
infine spero di riuscire a fare un nuovo video di filosofia per ragazzi (cominciando a parlare di Platone) e un altro video di storia romana;
sul versante podcast, inoltre, aspettatevi la seconda puntata dedicata a Galileo Galilei e un podcast storico sulle città dell’Ottocento.
E questo è tutto. Passate una buona settimana, riposatevi e divertitevi (e, se riuscite, studiate pure, che male non fa) e ci rivediamo qui tra sette giorni esatti.
Buongiorno prof. Ferretti. La ringrazio per i suoi preziosi spunti settimanali. Mi permetta però di dissentire sulle affermazioni riguardanti i Promessi sposi. Lucia non è una Madonnina infilzata mite e remissiva che se la cava facendo un voto alla Madonna, bensì una donna dalla fede solida e rigorosa, che non piega le regole secondo la sua convenienza. Lucia non accetta il matrimonio a sorpresa perché è sbagliato e fa di tutto per mandarlo a monte, nei limiti imposti dalla decenza a una contadina del '600. Lucia è antipatica perché, diversamente dai più, non predica bene e razzola male, ma è perfettamente coerente coi suoi principi. Quanti di noi sono davvero capaci di tanto rigore morale? Lucia non piace perché ci mette di fronte alle nostre meschinità, al nostro scendere a compromessi per convenienza. Per questo è tutt'altro che mite e remissiva.
Allargando il discorso ai grandi romanzi della letteratura italiana, è certamente vero che oltre ai Promessi sposi ve ne sono molti altri meritevoli di essere letti; tuttavia derubricare la preferenza accordata all'opera manzoniana a una scelta motivata dalla fede dell'autore mi sembra ingiusto verso l'autore stesso e verso l'opera.
Per cominciare, nel romanzo non mancano le critiche alla chiesa come istituzione (don Abbondio, il padre provinciale, la monaca di Monza) e a certe superstizioni legate alla devozione, tant'è che perfino il cardinale Borromeo è criticato nel momento in cui autorizza la processione per pregare contro la peste, di fatto favorendone la diffusione.
Oltre a queste osservazioni, mi permetta di aggiungerne un'altra, forse non irrilevante. Gli autori della letteratura italiana hanno una - oserei dire - congenita incapacità di comprendere i fenomeni economici. Da Carducci agli Scapigliati, da Pascoli a D'Annunzio, da Verga ai Crepuscolari, ai Futuristi e così via, è tutto un criticare la società borghese che si afferma grazie all'industrializzazione, un rimpiangere il buon tempo antico in cui l'intellettuale aveva ruolo di guida, un vagheggiare un futuro eroico che sia palcoscenico per uomini straordinari a scapito degli ordinari.
Manzoni si distacca da questa visione, comprende perfettamente i meccanismi economici, anche grazie alla sua formazione internazionale e ai contatti con gli Ideologues, e sa perfino apprezzare l'importanza del lavoro onesto delle persone comuni, anche la tanto snobbata attività commerciale (“Così il padre di Lodovico passò gli ultimi suoi anni in angustie continue, temendo sempre d’essere schernito, e non riflettendo mai che il vendere non è cosa più ridicola che il comprare, e che quella professione di cui allora si vergognava, l’aveva pure esercitata per tant’anni, in presenza del pubblico, e senza rimorso” Promessi sposi cap. IV).
A questo aggiungo che Luigi Einaudi considerava i Promessi sposi uno dei migliori trattati di economia mai scritti, per la chiarezza con cui Manzoni spiega l’ineludibile legge della domanda e dell’offerta e le conseguenze inintenzionali distorsive degli atti volti a piegare tale legge.
E a proposito di legge, e con questo concludo, come dimenticare la lezione manzoniana sulla necessità di avere norme chiare e non farraginose, di non inasprire le leggi aggiungendone altre, quando già non si riescono ad applicare le prime, spesso avendo come unico scopo la ricerca del consenso pubblico e non la soluzione del problema? Che si tratti della gestione dei bravi o del prezzo del pane nel 1600, o del codice della strada nel 2023, il senso non cambia.
Per questo, oltre che per mille altri motivi, non ultimo dei quali l’indubbio valore letterario, i Promessi sposi sono un romanzo da leggere e spiegare a scuola, a condizione di farlo con competenza e passione.
Se però il valore dell’opera, al di là della trama, non è compreso o apprezzato, allora, ne convengo, è meglio leggere altro.