Del futuro di una tecnologia potentissima e privatissima tramite Black Mirror, ma parliamo anche di Conclave, Twisters, la Resistenza, Byung-chul Han, Achille Campanile e Quando volano le cicogne
Stiamo procedendo – se siete insegnanti e studenti – un po’ col singhiozzo, in questi ultimi tempi, non è vero? Ci sono state le vacanze di Pasqua, poi c’è appena stato il ponte del 25 aprile, tra poco comincerà anche il ponte del 1° maggio; e se a questo sommate che poco prima della metà del mese io personalmente sono stato anche cinque giorni in viaggio d’istruzione a Praga, e che in mezzo tra Pasqua e il 25 ho accompagnato (in giornata) la mia quinta a Venezia, alla fine bisogna dire che aprile è decisamente volato.
Adesso però inizia maggio e inizia il vero tour de force verso gli esami. E non solo: anche per il canale e per tutta l’attività ad esso connessa si prospettano settimane impegnative. Avrete forse notato che c’è stata una diretta, ieri sera, di cui trovate traccia anche più avanti in questa newsletter; un’altra occasione di incontro c’è stata poi, proprio stasera, per discutere assieme agli abbonati in videoconferenza (se non sapete come funziona l’abbonamento, info qui). E poi domani pomeriggio alle 18 sarò a Belluno, al Centro Congressi Giovanni XXIII, per presentare Anche Socrate qualche dubbio ce l’aveva; e venerdì 9 alle 18:30 sarò ad Adria (RO), e più avanti, il 22 maggio, a Trieste. Insomma, tante cose: vi terrò informati.
Come vedete, iniziamo a guardare avanti, forse anche perché negli ultimi tempi abbiamo discusso fin troppo di cose accadute nei giorni scorsi: la morte del papa, i festeggiamenti “sobri” sul 25 aprile e via discorrendo. Cose su cui abbiamo già detto, dunque proseguiamo. E anzi cominciamo col nostro solito panorama di libri, film e quant’altro.
Ps.: vi ricordate che vi parlavo, le settimane scorse, del Wrexham, squadra di calcio gallese comprata da due attori di Hollywood e protagonista della docu-serie Welcome to Wrexham? Be’, è notizia di ieri che la squadra ha conquistato la terza promozione consecutiva: l’anno prossimo giocherà in Championship, l’analogo britannico della nostra serie B. Mica male! Ne riparleremo.
Quello che ho letto
E via, allora, coi libri.
Vite di uomini illustri di Achille Campanile: vi ho già descritto come sono venuto in possesso di questo breve saggio pubblicato nel 1975 da Achille Campanile. Vi sono contenuti dei brevi racconti umoristici ispirati alle vicende (note o inventate) di alcuni grandi personaggi del passato: finora mi sono imbattuto in Socrate, Alessandro Magno, Dante, Buridano e altri ancora. Sono circa a un terzo dell’opera, e scorrendo il sommario mi rendo conto che mi mancano ancora pezzi importanti anche dal punto di vista filosofico: mi aspettano Galileo, Pascal, Voltaire, Kant, Bakunin. I racconti sono carini, a volte più riusciti e a volte meno ma comunque spesso in grado di strappare un sorriso. Ve ne parlerò ancora. Intanto, se vi interessa, potete acquistarlo qui.
La società della stanchezza di Byung-chul Han: ho proseguito nei giorni scorsi anche con la lettura del saggio di Byung-chul Han scelto questo mese dagli abbonati al Club del Libro. Le premesse sono interessanti, anche se a tratti un po’ pericolose: il filosofo coreano, infatti, si ripropone di capire e interpretare il malessere del nostro tempo, un malessere che ritiene primariamente frutto di una società del benessere e dell’opulenza che si è trasformata in società della performance. Mettendo insieme marxismo, tecnologia, esistenzialismo e Scuola di Francoforte, Han sostiene che noi siamo gli artefici della nostra stessa schiavitù, che in un certo senso percepiamo come desiderabile; noi stessi siamo gli artefici del nostro iper-lavoro, a cui siamo indotti dalle sirene della tecnologia; noi stessi siamo cioè i portatori di un regresso nel benessere psicologico come mai prima d’ora. Ecco, davanti a queste tesi – che ho cercato di riassumervi alla meno peggio – io mi trovo sempre un po’ in imbarazzo: perché da un lato mi pare che ci sia sicuramente qualcosa di vero, ma dall’altro anche qualcosa di falso, o comunque di parziale. Sono cioè convinto che gli elementi esposti da Han siano una parte del problema, ma che non costituiscano tutto il problema; e forse addirittura che gli elementi da lui sottolineati siano non la causa profonda, ma piuttosto una delle manifestazioni di qualcosa che è più profondo e che non si riesce (o non si vuole) affrontare. È la stessa percezione che ho davanti al marxismo, di cui Han è in fondo solo un’evoluzione post-moderna: Marx ha fatto delle analisi sacrosante sull’alienazione dell’operaio, sullo sfruttamento dell’uomo sull’uomo; ha capito con lucidità alcuni dei più gravi problemi del suo tempo. Ma poi ha attribuito la causa di tutti quei problemi al capitalismo, mancando – a mio modo di vedere – il bersaglio. La dimostrazione l’abbiamo avuta nei paesi sovietici, o in Cina: tolto il capitalismo, le ingiustizie e lo sfruttamento sono rimasti. Segno (secondo me evidente, anche se pure oggi tutti tendono a prendersela col capitalismo) che il vero problema non è il capitalismo, che casomai è l’ultima forma, l’ultima propaggine di un problema che c’è da sempre: il vero problema è la brama di dominio dell’uomo. Togli il capitalismo, e quella voglia di dominio si sposterà verso altre forme (le burocrazie dei partiti, il militarismo, la tecno-crazia, chi più ne ha più ne metta). Ecco, questo problema – che finisce per inficiare tutto il marxismo nella sua pars costruens – rimane nei post-marxisti e mi pare anche in Han: sto ancora leggendo le sue proposte quindi mi riservo di ritornare sulla questione, ma per ora sembra indicare, come soluzione davanti alla fretta e all’iper-attivismo, un “ritorno alla contemplazione”. D’accordo, bene, mi piace: ma è fattibile? Risolverà il problema? O stiamo di nuovo mancando il bersaglio? Perché la contemplazione di cui parla Han è una contemplazione che è esistita solo in passato, in altri mondi, e solo per pochi: per chi viveva alle spalle degli altri. A contemplare erano i monaci medievali, che non avevano bisogno di lavorare perché sfruttavano il lavoro degli umili e che non avevano bisogno di trovare un senso alla vita perché era già dato loro dalla Chiesa; a contemplare erano i filosofi greci, anche loro sfruttatori di lavoro altrui (degli schiavi) e convinti che la natura e gli dei dell’Olimpo fornissero già un senso. Nel mondo di oggi, in cui si parla a gente che per forza di cose deve lavorare e a gente che un senso nella vita non lo trova, non credo basti dire “contempla”, mi sembra troppo facile, o troppo elitario. Può essere una soluzione “di massa”, aperta a tutti gli uomini? O stiamo parlando, ancora, di piccole élite intellettuali? Il problema c’è, è vero, ne sono convinto; la soluzione mi pare per ora vaga. Ma andrò avanti e vedremo. Intanto, se vi interessa, il libro lo potete acquistare qui.
La via dei lupi di Carlo Grande: questa settimana ho ripreso in mano anche il romanzo di Carlo Grande di cui vi ho parlato per la prima volta qualche settimana fa. Ambientato nel Piemonte medievale, racconta la ribellione di François di Bardonecchia contro il Delfino, che gli sedusse la figlia: e in effetti al momento sono arrivato a questo punto della trama, con il nobile assai arrabbiato che cerca l’alleanza dei Savoia per vendicarsi nei confronti del aristocratico di rango superiore al suo. Storia vera, almeno nelle linee generali, che poi Grande racconta calandosi nella mente degli uomini e delle donne del tempo, con un procedimento per ora anche convincente. La vicenda, insomma, sta cominciando ad entrare nel vivo; e anche se so già come più o meno andrà a finire – perché sulle vicende di Bardonecchia e della sua zona limitrofa, nel Trecento, già mi ero un minimo documentato – sono curioso di vedere come Grande districherà la matassa. Se siete appassionati di storia medievale ma anche di vicende umane, il romanzo unisce l’una e l’altra cosa, oltre a un gusto particolare per i paesaggi piemontesi. Lo potete acquistare qui.
Quello che ho visto
E passiamo ora ad esaminare i film di questa settimana.
Twisters (2024), di Lee Isaac Chung, con Daisy Edgar-Jones, Glen Powell, Anthony Ramos: non sono particolarmente appassionato di film d’azione, men che meno mi attirano quelli legati a cataclismi ed eventi meteorologici avversi; però i miei figli più piccoli, negli ultimi tempi, paiono aver sviluppato una certa passione per i tornado e quindi mi sono ritrovato, nei giorni scorsi, a vedere in tv Twisters, sorta di sequel (a distanza di molti anni) di quel Twister, al singolare, che ebbe un certo successo negli anni '90. La trama è più o meno la solita in pellicole di questo tipo: ci sono due personaggi apparentemente molto diversi tra loro, uno dei quali è passato attraverso un difficile lutto, che iniziano a rivaleggiare tra loro; un po’ alla volta, però, si accorgono di essere più simili di quanto credevano e, nel caso in cui siano di sesso opposto (come in questo film), finiscono più o meno per innamorarsi; il tutto mentre cercano di scampare alla morte con tornado che spuntano più o meno dappertutto. Poco credibile, ma abbastanza adrenalinico. Se siete fan del genere, ci può stare; altrimenti è anche abbastanza evitabile. Lo trovate su Sky.
Conclave (2024), di Edward Berger, con Ralph Fiennes, Stanley Tucci, John Lithgow: ho finalmente visto anch’io Conclave, il film di cui molto si era parlato l’anno scorso (soprattutto per le interpretazioni degli attori) e di cui ancora di più si è parlato in questi giorni, dopo la morte di papa Francesco e i discorsi giornalistici attorno al conclave che partirà a breve per eleggere il nuovo vescovo di Roma. Devo dire che sul film ho pensieri contrastanti. Da un lato, ci sono alcuni indubbi elementi di pregio: ad esempio l’interpretazione di un po’ tutti gli attori, che è davvero di ottimo livello, a partire da un Ralph Fiennes che domina la scena riuscendo a trasmettere tutta l’incertezza e la precarietà del suo personaggio. Inoltre è innegabile che il film riesca a creare una certa suspense giocando sulle tensioni e le alleanze interne che sicuramente emergono in ogni situazione di potere. Quello che mi ha convinto meno, invece, sono certe esagerazioni della trama: è chiaro, ad esempio, che per rendere il film un minimo interessante bisognasse introdurre anche qualche scandalo e qualche segreto, ma un conclave con così tante svolte credo sia ormai irrealistico; allo stesso tempo, anche l’ultimo colpo di scena finale – che ovviamente non vi rivelerò – mi è sembrato proprio una forzatura, volta semplicemente a lasciare una morale che, in un racconto del genere, mi è parsa posticcia. Insomma, un film discreto, non rivoluzionario, che si salva soprattutto grazie ai suoi interpreti. Non è disponibile al momento su nessuna piattaforma in modo gratuito, ma lo si può noleggiare a poco meno di 5 euro.
Quando volano le cicogne (1957), di Michail Kalatozov, con Tat'jana Samojlova, Aleksej Batalov, Aleksandr Švorin: quanti di voi conoscono dei film russi, a parte La corazzata Potëmkin e forse qualche altro titolo di Ėjzenštejn o al massimo di Andrej Tarkovskij? Credo molti pochi tra i pur molti lettori di questa newsletter. Io stesso, di quella filmografia che credo sia anche numerosa, avrò visto in tutto cinque o sei titoli, un po’ perché non capitano effettivamente mai dalle nostre parti, un po’ perché credo che quelli doppiati in italiano siano effettivamente pochi. Da tempo però sognavo di vedere Quando volano le cicogne, di cui avevo sentito parlare diverse volte per via, soprattutto, di una fotografia che veniva definita ottima. Grazie a una segnalazione sui social network – e poi dicono che i social sono il male del mondo! – ho scoperto che è ora disponibile su Amazon Prime Video e quindi mi sono fiondato a recuperarlo, per fortuna in italiano (anche se è presente qualche breve scena non doppiata, e quindi nell’originale russo). Si tratta di un film patriottico, direi addirittura di propaganda: due fidanzatini, Veronika e Boris, si frequentano e si amano nella Russia del 1941. Arriva però la guerra, con l’invasione dell’URSS da parte dei nazisti, e Boris, per fare il proprio dovere nei confronti della patria, si arruola volontario, partendo proprio nel giorno del compleanno di Veronika. Lei non riesce neppure a salutarlo ma soprattutto, nelle settimane successive, rimane sola per la morte dei genitori e viene sempre più avvicinata da Mark, cugino di Boris, imboscato e innamorato della ragazza. Durante un bombardamento, Mark finisce per violentare Veronika – che fino a quel momento era rimasta fedelmente in attesa di Boris – e successivamente sposarla. Non vi svelo come va a finire il film, per non fare troppi spoiler, ma da quello che avrete capito la trama non è granché: l’intento è quello di dipingere gli imboscati come Mark come dei traditori della patria, sfruttatori del popolo, e i combattenti della Seconda guerra mondiale come dei grandissimi e puri eroi. E ovviamente ci può stare, se si considera che il film fu realizzato nel 1957, dodici anni dopo la fine del conflitto e in fase di de-stalinizzazione. Ma quello che rimane impresso è l’abilità del regista, Michail Kalatozov, coadiuvato in effetti da un grande direttore della fotografia come Sergej Urusevskij: i due imbastiscono inquadrature ardite, sequenze che comunicano molto di più delle parole pronunciate dai pur bravi attori (Tat'jana Samojlova è splendida) e movimenti di macchina che lasciano a tratti stupefatti. Potevano raccontarmi tutto quel che volevano, ma sarei rimasto comunque di stucco. Lo trovate su Prime Video, e ve lo consiglio proprio.
Quello che ho pensato
La settimana scorsa, proprio qui sulla newsletter, vi ho parlato del primo episodio della nuova stagione di Black Mirror, Gente comune, scritto da Charlie Brooker e Bisha K. Ali. Visto che alcune scene di quell’episodio continuano a tornarmi in mente, e visto che in realtà – come spesso accade con Black Mirror – i contenuti filosofici che si possono legare a quelle vicende sono parecchi, vorrei tornare per qualche minuto sulla questione sollevata da quella storia.
Non voglio fare spoiler, però, per farvi capire il senso di quello che sto per dire, ho bisogno di dirvi alcune cose (minime) sulla trama. La vicenda narrata in Gente comune ruota attorno a una possibilità neppure troppo remota nel nostro futuro: immaginate infatti un mondo in cui qualche azienda hi-tech trovi un modo per sostituire parti del nostro cervello con strutture sintetiche, in grado di interfacciarsi con l’esterno tramite una connessione internet. Anzi, in cui non solo siano in grado di farlo, ma siano necessitate a farlo, per ricevere dati ed energia.
Da un lato – come si vede anche nell’episodio – questo potrebbe costituire un progresso interessante, per certi versi formidabile: poter sostituire parti del nostro cervello con tessuti sintetici, capaci di appoggiarsi a copie di backup della nostra personalità e dei nostri ricordi contenute in server esterni, potrebbe permetterci di superare malattie gravose e di vivere più a lungo e meglio. Dall’altro lato, però, questo solleverebbe inquietanti problemi etici, per la verità solo in parte esplorati nell’episodio della serie tv.
Cosa vuol dire, infatti, avere una copia di backup di una parte del nostro cervello? Significherebbe che possiamo isolare la nostra personalità – che è costituita in parte anche dai ricordi, dalle sinapsi, dalle interconnessioni – all’interno di una macchina? E cosa impedirebbe, a quel punto, di impiantare noi stessi (o una parte di noi) dentro a una macchina vera e propria come un robot?
Ma ugualmente inquietante è anche il problema forse più stringente: è molto probabile, per come sta andando il mondo, che tecnologie anche solo vagamente di questo tipo siano in futuro in mano ad aziende private, a startup particolarmente efficienti ed efficaci, come si vede anche nella serie. E i privati, ovviamente, agiscono per fare profitti, non beneficienza. Sarà possibile, insomma, che servizi molto costosi e molto importanti come quelli ipotizzati da Brooker e Ali siano messi a disposizione solo di chi può permetterseli, o di chi è disposto a indebitarsi per permetterseli.
Perché, credo ve ne rendiate ben conto, non stiamo parlando di una piattaforma di streaming che ti offre intrattenimento a cui, tutto sommato, puoi anche rinunciare se non hai i soldi per pagare l’abbonamento; stiamo parlando, letteralmente, di questioni di vita o di morte: puoi anche dire ai tuoi cari «Non ho i soldi per l’abbonamento a Netflix», ma non puoi certo dire (o almeno non puoi farlo con la stessa leggerezza) «Non ho i soldi per pagare l’abbonamento al tuo cervello di riserva».
Queste questioni per ora ci paiono lontane, fantascientifiche, ma lo sono, temo, meno di quanto crediamo. E i filosofi, da questo punto di vista, sono stati profetici. Riflettendo me ne vengono in mente almeno tre che più o meno hanno girato attorno a questo tema e che vale la pena di recuperare.
Il primo è Michel Foucault. Se ricordate (ne abbiamo parlato qui), il pensatore francese è stato il primo a pensare al potere contemporaneo come a un organismo che allunga le mani sui corpi delle persone, disciplinandoli e normalizzandoli. Il biopotere è sicuramente uno dei poteri più invasivi, intriganti e pericolosi della modernità, perché non cerca più di dominare solo le nostre azioni né, come facevano i totalitarismi, i nostri pensieri, ma addirittura i nostri processi biologici: e questo nell’episodio di Black Mirror è inquietantemente vero. Se esisterà in futuro un collegamento tra il nostro cervello e un qualche server esterno e privato, allora anche il nostro umore potrà essere regolato da un’app; e sarà ovviamente un’app a pagamento, dove il rilascio di endorfine sarà possibile solo a fronte del pagamento di un certo quantitativo di denaro. Si dirà: l’uomo ha sempre pagato per ottenere il piacere, e questo è sicuramente vero; ma mai abbiamo avuto un passaggio immediato e automatico tra denaro e piacere fisico, neuronale.
Il secondo pensatore, che cito anche altrove in questa newsletter, è Byung-chul Han, che a Foucault deve molto, pur tentando di superarlo. Il filosofo coreano tenta di farci notare che la biopolitica pensata da Foucault oggi agisce però in modo anche lievemente (e subdolamente) diverso da come forse agiva un tempo: perché il controllo dei corpi non viene in realtà attuato con la coercizione, ma con la seduzione. Il potere non ha bisogno di incarcerarti o di tenerti incollato al tuo banco, come si faceva un tempo; gli basta affascinarti con parole soavi.
Questo lo si vede benissimo anche in Gente comune: la cura miracolosa viene presentata – perché effettivamente lo è – come una fantastica rivoluzione. E i vari pacchetti di abbonamento che vengono via via mostrati ai due protagonisti hanno le tipiche caratteristiche delle piattaforme di streaming, con tanto di strategie di marketing accluse. È un po’ quello che è accaduto e sta accadendo, in questi anni, con tutte le principali innovazioni tecnologiche che sono entrate nella nostra quotidianità: non entrano perché ci vengono imposte, ma perché diventano dei desideri a cui non riusciamo a sottrarci. E se per ora il campo d’azione di queste tecnologie è stato l’intrattenimento – che ha generato sì problemi, ma tutto sommato ancora gestibili –, figuratevi quando il campo d’azione si sposterà, e lo sta già facendo, verso la vita, verso la biologia. Riusciremo a essere abbastanza forti e saggi da gestire questo shift che potrebbe essere rapido e imprevisto?
La reazione dei due protagonisti della puntata di Black Mirror a me sembra la stessa che, probabilmente, avrebbe ognuno di noi: sono davvero “gente comune”, come il titolo della puntata ben sintetizza. Chi non sarebbe allettato dalla prospettiva di poter sfidare la morte, soprattutto una morte prematura? Chi non sarebbe allettato dalla prospettiva di poter provare più piacere, più gioia? Chi non sarebbe allettato dalla prospettiva di poter viaggiare superando i limiti del proprio corpo? E però queste prospettive, questi desideri, generano dipendenza quando non sono facilmente soddisfabili.
Questo ci porta all’ultimo pensatore che avevo pensato di citarvi, Yuval Noah Harari. L’autore di Sapiens, libro best-seller degli ultimi anni, ha espresso in Homo Deus preoccupazioni che capitano a fagiolo nel nostro discorso. In quel saggio del 2015, Harari ritiene che il futuro dell’uomo lo spingerà verso un prolungamento indefinito della vita tramite la tecnologia. Questa è una prospettiva che, in effetti, sembra presente già oggi, ad appena dieci anni dalla pubblicazione del libro del pensatore israeliano; ed è una prospettiva abbastanza inquietante: se il desiderio di immortalità è il più recondito e forte degli uomini, quello che davvero ci può avvicinare a diventare dei, dobbiamo allora chiederci quanto siamo disposti a mettere sul piatto per realizzarlo. Detta in altri termini: cosa baratteremmo, pur di diventare immortali? La nostra indipendenza economica? La nostra stessa libertà?
L’unica risposta che mi sembra accettabile, davanti alle sirene di un indefinito prolungamento delle nostre esperienze, mi sembra quella di ritornare a un sano epicureismo. Ricordate cosa diceva il grande pensatore greco riguardo alla felicità (se non lo ricordate, guardate qui)? Che la si può ottenere quando ci si libera di quattro “malattie”: la paura della morte, la paura degli dei, la paura che il dolore sia eterno e la paura che il piacere sia difficile da raggiungere.
Le quattro malattie – tutte guaribili, secondo Epicuro, tramite la filosofia – sono interconnesse tra loro. La vera felicità, cioè, può essere raggiunta solo quando si accetta serenamente anche la mortalità, il fatto che «quando ci siamo noi non c’è lei e quando c’è lei non ci siamo noi», come diceva il pensatore greco. Senza quella premessa, tutti i discorsi sul piacere stabile e il piacere in movimento perdono di significato.
Ecco, il problema dei due protagonisti di Black Mirror è proprio la morte (e il finale dell’episodio lo rende molto esplicito). E questo può essere, in prospettiva, anche il nostro problema: nella storia dell’umanità, non abbiamo mai vissuto così a lungo, eppure la morte rimane il nostro tallone d’Achille. Per evitare la morte, ancora oggi saremmo in grado di scendere a compromessi che non faremmo per null’altro al mondo. E questo ci rende deboli, dipendenti, fragili.
Imparare a vivere significa imparare a morire, sostenevano i greci: e forse in questo avevano assai ragione. Chissà, un domani, se questo diventerà il tema centrale: in un mondo di vita indefinita, ciò che ci renderà umani, forse, sarà la nostra accettazione della morte (a patto che si sia in grado, davvero, di sostenere questo peso). Voi che ne pensate?
Quello che ho registrato e pubblicato
Facciamo ora il punto anche sui video e i podcast che sono usciti questa settimana:
Processo alla storia: Winston Churchill: analizziamo la vita e le scelte di Churchill sulla base della storiografia classica e di quella più recente
Il pensiero economico e politico di von Hayek: torna LibSophia, per concentrarsi questa volta su uno degli economisti più importanti del Novecento
Piacere e dolore per Pietro Verri (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
Il dopoguerra e la nascita dell'ONU (per il podcast “Dentro alla storia”)
L'economia di Bretton Woods dopo la guerra (per il podcast “Dentro alla storia”)
Email dall'oltretomba: Celestino V scrive sul totopapa
Email dall'oltretomba: Pertini scrive al governo
@scrip79In occasione dell'ottantesimo anniversario della Liberazione, il governo ha invitato a festeggiamenti sobri, vista la coincidenza col lungo lutto nazionale per papa Francesco. E allora, dall'oltretomba, Sandro Pertini ha mandato il suo messaggio. #resistenza #25aprile #liberazione #luttonazionale #sandropertini #pertini #papafrancescoTiktok failed to load.
Enable 3rd party cookies or use another browserEmail dall'oltretomba: Calamandrei scrive alle forze dell'ordine
Quello che devi fare per seguirmi sui social
Ah, prima di dimenticarci vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
Il canale YouTube | Instagram | Facebook | Twitter/X | TikTok | Threads
Quello che puoi fare per sostenere il progetto
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono gli abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i consigli della settimana.
Lettere di condannati a morte della Resistenza italiana: abbiamo da poco festeggiato il 25 aprile e non si può non segnalare, questa settimana, un libro inerente a quella memoria. Si tratta di un classico: la raccolta di alcune delle più toccanti lettere di condannati a morte della nostra Resistenza, pubblicata ormai da diversi anni da Einaudi. Lettere piccole, oneste, commoventi, importanti, che prima o poi bisognerebbe che tutti leggessero. Lo si può acquistare qui.
sui social questa settimana ho segnalato come al solito diversi libri appena usciti che mi paiono interessanti, una sorta di “lista della spesa” che dovrebbe rivelarsi utile anche in primis per me. Ecco i volumi, se ve li siete persi (se vi interessano, cliccate sopra alle immagini per altre informazioni):
C’è poi un ulteriore modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ce n’è uno chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate, passando anche per il Club del Libro e il Simposio. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
È inoltre da poco ufficiale la notizia di un mio nuovo libro. Solo che questa volta io, più che scrivere, ho registrato. DeA Scuola e Garzanti Scuola stanno infatti per far uscire un nuovo manuale di storia per le superiori intitolato La storia in scena, scritto da Giuseppe Patisso, Daniela De Lorentiis e Fausto Ermete Carbone, a cui ho collaborato anch’io per una cospicua parte video. Al grande progetto lavoriamo da molti mesi, ma ormai siamo in dirittura d’arrivo e, se siete docenti, potrete adottarlo se vorrete già dal prossimo anno scolastico. Tra l’altro, oltre a me ci ha messo le mani anche Aldo Cazzullo, ma non mancano anche gli storici di fama internazionale. Io in particolare ho realizzato decine di videoreel che introducono tutti i capitoli dell’opera, e in più ho preparato un ciclo di venti videolezioni specifiche (e inedite) sulla storia delle donne dal Medioevo ai giorni nostri. Ecco intanto la copertina del primo volume, ma nelle prossime settimane vi mostrerò anche altri dettagli:
Ultima cosa da ricordare: in tutte le librerie è presente il mio nuovo libro, Anche Socrate qualche dubbio ce l’aveva. Il sottotitolo rende piuttosto chiaro di cosa si occupa: Come lo scetticismo filosofico può salvarti la vita nell’epoca della performance. In pratica riprendiamo il pensiero di alcuni grandi filosofia (Socrate, Occam, Montaigne, Hume, Popper e altri ancora) e cerchiamo di trarne degli insegnamenti per vivere meglio oggi, in un mondo in grande cambiamento; e cerchiamo di farlo tramite uno stile non difficile ma stimolante. Il libro è disponibile sia in formato cartaceo che ebook. Ecco qualche link per l’acquisto:
Quello che c’è in arrivo
E chiudiamo come sempre anche con qualche anticipazione su quello che dovrei riuscire a proporvi nei prossimi giorni:
domani arriva intanto uno short dedicato nientemeno che a Wittgenstein, nell’anniversario della sua morte;
mercoledì e giovedì sarà il turno dei podcast, con l’inizio di Cesare Beccaria da un lato e l’inizio della Guerra fredda dall’altro;
venerdì vorrei proporvi, poi, un video sulla storia e la filosofia della disobbedienza civile;
sabato dovrei riuscire quindi a realizzare un nuovo video di storia greca;
domenica punteremo su un filosofo che non abbiamo ancora trattato sul canale, John Dewey;
lunedì prossimo, infine, cercheremo nel podcast filosofico di concludere la trattazione su Cesare Beccaria.
E questo è tutto. Ci vediamo sul web o a Belluno. E qui, ovviamente, tra sette giorni esatti.
Grazie professore, sempre ottime analisi e riflessioni!!))