Di come non disunirsi davanti al dolore, di Spider-Man, Sorrentino e Maradona, di manuali logica e del nichilismo di Fight Club
Questo dicembre si sta rivelando più difficile del previsto. Pensavo che in casa ci saremmo occupati di alberi, babbi natale, pranzi e cene, e invece per ora ci siamo occupati soprattutto di isolamenti, visto che ben due figli sono stati a casa e in DAD per contatti scolastici. Speriamo si risolva tutto entro Natale, però, anche organizzativamente sono settimane complesse.
In compenso, non ho smesso di fare video e podcast, di leggere libri e di vedere film, quindi la newsletter è anzi oggi più corposa che mai.
Quello che ho letto
Questa settimana ci sono in catalogo due libri impegnativi che sto leggendo già da un po’ e però anche un titolo nuovo, che teoricamente doveva anch’esso mettermi alla prova ma che invece si sta rivelando più semplice del previsto. Partiamo proprio da quest’ultimo:
La buona logica di Paolo Legrenzi e Armando Massarenti: è da un po’ che sto leggendo molti buoni libri, ma proprio perché sono buoni e che mi interessano tutti, li sto portando avanti in parallelo. Così facendo, mi dedico per un giorno a uno e per un giorno a un altro; e visto che sono tutti piuttosto lunghi, vado avanti lentamente, senza riuscire a scorgere la fine. Il che è un bene, quando si è davanti ad un buon libro; ma è anche un male, perché per settimane non si inizia alcun saggio nuovo, e dopo un po’ ci si annoia. Così un paio di giorni fa, stanco dai soliti titoli (che comunque sono belli, e ne parlo dopo) ho deciso di cominciare anche questo manualetto dal titolo La buona logica che avevo comprato, incuriosito, qualche mese fa. Si presenta come una guida elementare alla logica o, come si scopre fin dalle prime pagine, al “pensiero critico”. In realtà, per quanto comunque interessante, mi pare abbia un vistoso difetto: non insegna né la logica, né a ragionare. Piuttosto, mostra alcune elementari strategie per superare i quiz di logica, soprattutto quelli che le università propongono nei test d’ingresso. Per carità, niente di male: ma non lo venderei come un libro che insegna a pensare. Insegna un certo tipo di pensiero, molto funzionale alla risoluzione di alcuni semplici quesiti; ma pensare non è solo quello; e non basta citare qua e là Wittgenstein per nobilitare il tutto. Poi devo anche ammettere che a me Legrenzi e Massarenti, come autori, piacciono, perché hanno uno stile amichevole e alla portata di tutti, però forse un manualetto di logica anche elementare poteva essere pensato in maniera meno episodica e più strutturata, per quel che pare a me. Comunque sono appena a un terzo del volume, vediamo come prosegue.
Le visionarie di Wolfram Eilenberger: come ho scritto la settimana scorsa, ho da poco cominciato a leggere anche questo strano saggio ma mi sembra sempre più interessante man mano che proseguo. La scelta delle quattro donne di cui parlare (Hannah Arendt, Simone de Beauvoir, Ayn Rand e Simone Weil), pur così diverse tra loro, mi pare azzeccata, soprattutto perché tutte affrontano bene o male lo stesso problema: ossia il rapporto tra l’io e gli altri. La Arendt lo affronta da ebrea tedesca in cerca di una propria dimensione in un mondo che non la vuole; la de Beauvoir da esistenzialista in crisi; la Rand da egoista che disprezza le masse; la Weil da altruista che si sacrifica per chiunque. Prospettive assai diverse, dunque, ma ben rese. Sono a un quarto del totale.
Il cinema secondo Hitchcock di François Truffaut: me lo sto portando dietro da mesi, ma è una gioia per gli occhi e per la fantasia, perché mentre Truffaut e Hitchcock discutono dei film di quest’ultimo, io continuo a figurarmeli nella mente e a ripercorrerli col pensiero. Non sempre è facile, perché alcune pellicole del periodo americano non le vedo da molto tempo (e di quelle del periodo inglese ne conosco poche), però è entusiasmante. Dispiace solo che alla fin fine ad ogni film siano dedicate poche pagine – complice la produzione mastodontica di Hitchcock – quando si vorrebbe di più. Comunque ormai sono quasi ai due terzi del computo delle pagine.
Quello che ho visto
Se coi libri ho portato avanti soprattutto letture consolidate, coi film questa settimana mi sono dato alle novità. Ad esempio sono tornato al cinema, dopo un bel po’ di tempo.
Spider-Man: No Way Home (2021), di Jon Watts, con Tom Holland, Zendaya, Benedict Cumberbatch: eccolo, il film che ho visto al cinema. Ci ho portato, com’era inevitabile, i figli (tra la fine dell’isolamento di uno e l’inizio dell’isolamento di un altro, nel breve interregno di libertà), ma più che altro ho usato i figli come una scusa, perché a volerlo vedere ero anche io: d’altronde, sono un appassionato di Spider-Man dai tempi in cui si chiamava ancora Uomo Ragno, viveva solo nei fumetti e vedeva le sue fidanzate morire cadendo dal ponte di Brooklyn. Al film ho dedicato un video quasi filosofico, che trovate linkato più sotto, e vorrei riservargli qualche riflessione generale che trovate invece nella sezione Quello che ho pensato. Qui dirò che mi è abbastanza piaciuto (anche se so già che quell’«abbastanza» farà inorridire molti miei studenti): ho trovato convincenti gli attori principali (Tom Holland ormai è una sicurezza, ma anche Zendaya se la cava bene, senza parlare dei “cattivi”) e ben curato l’aspetto emotivo; quello che non mi ha convinto sono stati alcuni buchi di trama secondo me abbastanza clamorosi e l’eccessivo livello di ammiccamento, cioè il numero delle chicche pensate solo per i fan e non per realizzare una buona storia. Quindi film riuscito, certo, ma non del tutto.
È stata la mano di Dio (2021), di Paolo Sorrentino, con Filippo Scotti, Toni Servillo, Teresa Saponangelo: mentre il film di Spider-Man ha suscitato grandissimi entusiasmi (soprattutto perché viene visto, credo, da un buon numero di adolescenti, che sono naturalmente portati all’entusiasmo), sul film di Sorrentino – ospitato su Netflix – ho letto critiche più fredde. Invece a me pare che È stata la mano di Dio sia un buon film; non il migliore di Sorrentino, ma comunque una buona pellicola. Anche di questo dirò qualcosa più avanti, ma mi è piaciuta l’onestà con cui Sorrentino ha deciso di raccontarsi (la storia è estremamente autobiografica), oltre alla bellezza della Napoli che vi viene rappresentata, all’ironia di tutta la prima parte e all’ottima prova del giovane Filippo Scotti. Mi pare che anche qui (come in Spider-Man) tutto il peso della pellicola poggi infatti sul giovane protagonista; e anche qui mi pare che la prova sia ampiamente superata.
L'importanza di chiamarsi Ernest (2002), di Oliver Parker, con Colin Firth, Rupert Everett, Frances O’Connor: l’unico classico della settimana è stato questo film recuperato su Amazon Prime e mostrato ai figli, che non l’avevano mai visto e soprattutto – peccato capitale! – non conoscevano la commedia di Oscar Wilde. La riduzione cinematografica è discreta (soprattutto per la buona intesa da Colin Firth e Rupert Everett), ma il testo di Wilde è sempre una meraviglia, con tutte le frecciatine che riesce a tirare alla società e al perbenismo del tempo.
Quello che ho pensato
Il tema su cui vorrei soffermarmi questa settimana me l’hanno suggerito due dei film di cui ho appena parlato, Spider-Man: No Way Home e È stata la mano di Dio. Due film che – senza rivelare troppi spoiler – hanno molto in comune, pur essendo ovviamente diversissimi.
Lo dicevo proprio ieri, pensandoci, in un tweet apposito, che vi mostro subito:
I due film sono assai diversi per genere, ambientazione, ritmo, e però raccontano alla fin fine la stessa cosa. Parlano del dolore, della famiglia, dei nuovi inizi e perfino, se ci pensate bene, di mani che salvano chi sta cadendo o potrebbe cadere.
In tutti e due i film all’inizio sembra che questi temi non ci siano: tutto procede più o meno bene, più o meno nei binari consueti. Certo, in Spider-Man: No Way Home c’è anche tutto un lungo problema legato al Dottor Strange, alla memoria e alla fama, ma viene presto dimenticato: quello che conta è arrivare al momento in cui il dolore bussa alla porta e chiede di entrare.
Ecco, direi che nonostante le scazzottate e i gol di Maradona, i due film sono due film sul dolore. E quindi sull’esistenza umana, perché non si dà vita senza dolore. La domanda è, casomai: come reagire al dolore? Da ragazzi – perché i protagonisti dei film sono due ragazzi – la reazione più facile e forse scontata è la rabbia, la voglia di spaccare le sedie o di prendere a pugni qualcuno. La voglia anche di incolpare, di trovare delle responsabilità, anche quando queste responsabilità non ci sono o sono in parte nostre.
Al dolore poi segue, di solito, la voglia di scappare, di rifugiarsi su un tetto o di cambiare città, cambiare vita, cambiare tutto. Scappare per dimenticare. Però c’è, davanti a tutto questo, una frase che è forse la frase cardine di È stata la mano di Dio che mi pare valga la pena di citare: «Non ti disunire». La dice Antonio Capuano a Fabio, il protagonista, in una bella (e forse troppo carica di spunti) sequenza nel finale. Anche a Spider-Man dicono qualcosa del genere, anche se in modo più banale e scontato; ma il senso è sempre quello. Non ti disunire: ovvero, non perdere la tua unità, non perdere il tuo senso, non spaccarti in tante facce, in tanti luoghi, in tante storie. Mantieniti. Verrebbe da dire: rimani te stesso; ma non è solo quello, è anche qualcosa di più. L’invito di Capuano non è solo quello a restare fedeli a ciò che si è; è anche quello a cercare, prima di tutto, ciò che si è, e a cercarlo senza andare a caccia di altre cose.
Fabio e Peter, i due protagonisti, non devono solo rimanere fedeli a loro stessi, perché in realtà non sanno ancora chi sono. Sono due ragazzini incerti, che finora hanno agito in un certo modo, ma non sanno ancora se quel modo è il loro, se si sentono così, se vogliono continuare ad essere così. Capuano chiede a Fabio: «'O cinema! Vonno fà tutte quant' 'stu cazz'e cinema. Ma pe' da' fo cinema ci vonn'e palle. E tu 'e palle le tieni, guaglio'?» E Fabio replica: «Ho fortissimi dubbi», in italiano. Al che Capuano riprende: «E allora ti serve un dolore. 'O tieni un dolore?»
Se non hai le palle, se non sai chi sei, trovati almeno un dolore. Perché il dolore ti aiuterà a capire chi sei. Se non scapperai, ovviamente; se non ti disunirai, cioè se non metterai da parte il dolore facendo finta che non ci sia, facendo finta che non ci sia mai stato. Rimanere uniti vuol dire, mi pare, anche rimanere uniti col proprio dolore, dunque; incorporarlo. Tenerselo dentro, e però allo stesso tempo non farsene mangiare, non farsene divorare.
Ci sono molti modi per disunirsi, per “spezzarsi”, usando una immagine che richiama forse l’analisi di Kierkegaard. Scappare è uno; rinunciare è un altro; farsi divorare è un altro ancora. Restare uniti, allora, è anche restare in equilibrio, mantenere i nervi saldi, le cose al posto giusto – siano esse felici o dolorose. Sapere chi si è perché si decide chi si vuol essere, trovando il proprio equilibrio tra il passato e il futuro. Perché alla fine entrambi i film partono dal dolore per provare a ridefinire gli equilibri interiori e temporali: ogni uomo è passato e futuro insieme. È la sua storia, i suoi ricordi, i suoi molti dolori; ma allo stesso tempo è anche le sue speranze, il suo futuro, le sue molte ambizioni. Unirsi vuol dire unire queste due componenti: fare in modo che il passato forgi il futuro e che il futuro non rinneghi il passato; vuol dire guardare avanti ma senza dimenticare l’indietro. Per questo Capuano invita Fabio a non lasciare Napoli: perché Napoli è il suo passato, la sua storia. Per questo Spider-Man fa male a cercare di cancellare il passato e se ne rende conto a sue spese. Perché senza passato non ci può essere futuro, ma solo un eterno e vuoto presente.
Quello che ho registrato e pubblicato
Torniamo ora a qualche argomento più frivolo. Per chi si è perso qualche video o qualche puntata dei podcast, ecco tutto quello che è uscito questa settimana.
Il nichilismo di Fight Club: dopo tanto tempo, una nuova puntata del Video Club storico-filosofico per parlare di un film (ma anche di un libro) che non lasciano indifferenti
Le guerre di Carlo Magno: iniziamo ad affrontare una delle figure più importanti dell’intero Medioevo, quella di Carlo Magno, partendo dalle sue campagne militari
L’etica di Spider-Man: No Way Home (senza spoiler): l’ho registrato la sera stessa della visione, di ritorno dal cinema, perché i riferimenti a Socrate mi sembravano troppo evidenti per non parlarne
Spencer: sociologia evoluzionistica: concludiamo il micro-percorso su Herbert Spencer parlando delle applicazioni concrete della sua legge dell’evoluzione
Le virtù dianoetiche e l’amicizia (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
La politica di Aristotele (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
L’economia e le guerre di Elisabetta I (per il podcast “Dentro alla storia”)
Cosa c'è in arrivo
Come al solito, vi regalo anche qualche anticipazione su quello che dovrebbe (o sarebbe meglio dire potrebbe) uscire nei prossimi giorni e nelle prossime settimane. Questi gli argomenti che vorrei trattare:
andare avanti coi video su Zarathustra e finire quanto prima la lettura integrale dell’opera;
chiudere anche la pagina su Ottaviano Augusto, con uno o due video;
iniziare finalmente a parlare della filosofia di Gramsci;
realizzare un video speciale dal titolo “Come muoiono i filosofi”;
e poi, per i podcast, concludere Aristotele per quanto riguarda filosofia e iniziare la Guerra dei Trent’anni per quanto riguarda storia.
Non so se riuscirò a fare tutto quello che mi sono ripromesso, ma di sicuro ci proverò. Ma soprattutto, visto che la prossima newsletter uscirà a Natale già passato, tanti tanti auguri a tutti voi e alle vostre famiglie! E non mangiate troppo!