Di ritorno da Parigi parliamo di Movimento 5 Stelle, Thor: Love and Thunder, Sandman, Woody Allen, Pascal, l'impresa di Fiume, Heartstopper e il Medioevo
Eccoci qui, di nuovo insieme per parlare di libri, film, storia e filosofia. Come già sapete se avete letto la newsletter della settimana scorsa o se mi seguite sui social network, da lunedì a sabato scorsi sono stato a Parigi, città bellissima e piena di attrazioni culturali. Non ci andavo dal 1995, credo, e a dirla tutta è davvero un sacco di tempo, quasi trent'anni in cui sono cambiate molte cose. Nel 1995 non avevo ancora sedici anni e c'ero andato coi miei genitori, adesso ad avere quasi sedici anni è il mio figlio più grande. Tempus fugit.
È stata una gita molto faticosa, perché quando sei là cerchi di vedere tutto quello che riesci e anche di più, ma ne è valsa la pena. Perfino i figli più piccoli, nonostante qualche inevitabile lamentela per le interminabili camminate, sono tornati molto soddisfatti (o almeno così mi dicono, forse per compiacermi).
Delle cose più belle (e più “storiche”) che ho visto nella capitale francese vi parlerò meglio in almeno un paio di video che sto realizzando e che usciranno nei prossimi giorni. Ora però bando alle ciance, perché la newsletter incombe: nei viaggi in treno verso Versailles e Disneyland (oltre che in aereo) sono riuscito a leggere qualcosa; qualche film o serie l'ho visto tra ieri e oggi, appena tornato in Italia; e poi la situazione politica sta offrendo svariati spunti di riflessione, quindi c'è parecchio da dire. Cominciamo.
Quello che ho letto
Partiamo come sempre dai libri: come vedrete il catalogo di questa settimana è piuttosto variegato, tra una raccolta di racconti (comici), un fumetto per adolescenti e un saggio di psicologia.
Zero Gravity di Woody Allen (2022): il nuovo libro di Woody Allen l'ho scaricato sul Kindle poco prima di partire per Parigi, pensando che poteva essere adatto all’uscita oltralpe. Parigi è infatti una delle città più amate dal regista americano (assieme a New York e Venezia), come dimostrano film come Midnight in Paris, ma poi questo Zero Gravity si presenta come una raccolta di racconti abbastanza brevi, davvero adatti ad essere letti “a spizzichi”, nelle pause tra una coda alla Torre Eiffel e l’altra. Finora non ho letto tantissimo, solo i primi quattro racconti (su un totale di diciannove), ma credo che bastino per cogliere il tono dell'opera: cioè un tono tipicamente alleniano. I racconti sono infatti pervasi da un umorismo surreale, giocato sulle idiosincrasie di un protagonista che è quasi sempre l'alter-ego spudorato dello stesso Allen. Pare insomma di leggere qualche episodio di un film di Woody, soprattutto dei primi, quelli in cui la componente comica era predominante, anche se coniugata a un certo grado di satira intellettuale. Divertente, soprattutto se già apprezzate il sottile umorismo di Woody, anche se non sconvolgente. Lo si acquista qui.
Heartstopper vol.1 di Alice Oseman (2019): Questo libro a fumetti l'avevo intravisto qua e là in libreria, negli ultimi mesi, e da come veniva promosso avevo intuito che stesse andando molto bene a livello di vendite, ma non me ne ero interessato più di tanto. Poi, un paio di settimane fa, mentre stavamo facendo un giro in libreria, mia figlia (che ha dodici anni) mi ha chiesto di comprarglielo, perché ne aveva sentito parlare. Lei se l'è divorato in un paio di ore, ma poi, incuriosito, ho deciso di leggerlo anch'io, visto che nel frattempo, navigando un po' in internet, mi sono reso conto che è effettivamente un best seller tra le giovanissime. Ebbene, si tratta di un graphic novel molto corposo nelle dimensioni ma che in realtà si legge in grande velocità (l'autrice in genere disegna due o tre vignette per pagina, spesso anche mute), incentrato sulla storia d'amore tra due adolescenti maschi, il primo gay dichiarato, il secondo apparentemente eterosessuale ma che, col procedere della storia, si scopre bisessuale. In mezzo ci sono i fraintendimenti, i "batticuore", le mezze parole: insomma, tutto quello che non può mancare in una storia d'amore adolescenziale. Mia figlia mi dice che ne hanno già tratto anche una serie su Netflix, credo già disponibile almeno nella prima stagione. A livello qualitativo il fumetto è leggibile e simpatico, originale nel trattare le tematiche LGBT, ma anche piuttosto prevedibile nello sviluppo e, a parte la questione dell'omosessualità, non diverso, almeno nel primo volume, da tante altre storie pensate per gli adolescenti. Insomma, se siete adulti potrebbe lasciarvi piuttosto indifferenti, senza entusiasmarvi né provocandovi crisi di rigetto. Leggerlo può, però, essere interessante per un altro aspetto: per capire – con uno sguardo quasi sociologico – come intendono l'amore i ragazzi di oggi. Un modo che, almeno all’apparenza, risente molto anche dell’estetica manga. Forse proprio per questo motivo proverò a leggere anche i volumi successivi (se non ho capito male, al momento in Italia ne sono usciti quattro), e casomai ve li racconterò. Questo primo tomo lo potete comprare intanto qui.
Rumore di Daniel Kahneman, Olivier Sibony e Cass R. Sunstein (2021): Proprio qualche giorno fa qualcuno, sui social, mi ha chiesto un’opinione riguardo all'ultimo libro di Daniel Kahneman, psicologo famoso per i suoi studi sul comportamento umano davanti alle scelte che gli sono valsi anche il Premio Nobel per l'economia. Il libro, scritto con altri due esperti, si intitola Rumore e parla degli errori decisionali, anzi di un particolare tipo di errori decisionali. A volte i nostri errori sono influenzati dai bias, cioè da pregiudizi che ci portano a “mancare il bersaglio”, e questi pregiudizi negli ultimi anni sono stati ampiamente studiati; ma altre volte, e forse anzi più spesso, gli errori non seguono uno schema, non sono cioè influenzati da motivi chiari e individuabili. Dietro a questi errori c'è quello che Kahneman e soci chiamano appunto “rumore”, un errore diffuso e poco chiaro che nel libro si propongono di indagare. Il saggio l’ho iniziato da poco, quindi è presto per dare un giudizio serio sul suo valore e sulla sua utilità; il tema però è sicuramente interessante, sotto diversi punti di vista. Ad esempio, come insegnante mi incuriosisce l’analisi che il libro promette di voler fare riguardo al modo in cui decidiamo le valutazioni; ma m’interessa anche il “rumore” che sembra intervenire nelle decisioni politiche, giudiziarie e in altri campi del nostro vivere civile. Online ho letto recensioni contrastanti: vedremo se il libro – che è abbastanza voluminoso – riesce a mantenere le promesse che lancia nei primi capitoli. Se v’interessa, lo trovate qui.
Quello che ho visto
Anche sul versante dei film c’è, questa settimana, una discreta varietà: si comincia da una nuova serie TV appena lanciata di cui si è discusso molto, si prosegue con un film Marvel di cui si è discusso ancora di più e si conclude con una sitcom.
The Sandman, episodio 1.01 (2022), di Neil Gaiman, David S. Goyer e Allan Heinberg, con Tom Sturridge, Charles Dance, Gwendoline Christie: ho visto il primo episodio di questa tanto attesa serie TV di Netflix tratta dall’omonimo fumetto di Neil Gaiman, che ebbe uno straordinario successo negli anni '90. Gaiman è anche responsabile dell’adattamento, quindi non si può dire, per una volta, che l’opera sia stata “svenduta” o “violata”, perché è stato lo stesso autore a decidere come adattarla per il piccolo schermo, a trent’anni e più di distanza dalla prima pubblicazione su carta. L’episodio pilota è, ovviamente, interlocutorio: serve a creare l’atmosfera e a presentare i personaggi principali. E, a dirla tutta, è in realtà soprattutto una sorta di prologo a quello che avverrà nelle prossime puntate: Morfeo, ovvero Sandman, l’Eterno responsabile del mondo dei sogni, viene catturato, nel 1916, da un occultista britannico, desideroso di ridare vita al proprio figlio morto in guerra. Il protagonista rimane così imprigionato per parecchi decenni in una gabbia di vetro, e quando finalmente riesce a liberarsi trova che il suo intero mondo – quello, appunto, dei sogni – è andato in rovina. Chi ha letto a suo tempo il fumetto realizzato da Gaiman per i testi e Sam Keith e Mike Dringenberg per i disegni sa bene quanto possa essere difficile rendere quelle atmosfere così oniriche e strane, e soprattutto renderle adatte ad un pubblico generalista. Il fumetto, infatti, era destinato a un piccolo gruppo di appassionati, e si permetteva, di conseguenza, delle scelte anche molto originali, estreme, che fecero scuola; se invece si finisce su Netflix è molto più difficile osare alla stessa maniera, perché ti devi per forza relazionare con un pubblico infinitamente più ampio. La scelta di Gaiman è stata quella, mi sembra, di rendere un po’ più “digeribile” la sua creatura, renderla cioè un po’ più adatta al grande pubblico, lasciandone però intatti i temi di fondo; una scelte che a me, per ora, pare abbastanza efficace, anche se è forse presto per giudicare (aspetto almeno di aver visto tutta la prima stagione). Certo lo show, per chi è appassionato di filosofia, mostra e probabilmente mostrerà diversi punti di interesse: Gaiman riflette spesso nelle sue storie sul bisogno dell’umanità di sogni, di miti, cercando anche di mostrare come questi miti si instillino anche nella vita quotidiana e nella contemporaneità. Insomma, da tenere d’occhio.
Thor: Love and Thunder (2022), di Taika Waititi, con Chris Hemsworth, Christian Bale, Natalie Portman: anch’io ho finalmente visto il tanto discusso ultimo film del Marvel Cinematic Universe. Com’era lecito aspettarsi, conoscendo la storia e il talento di Waititi, non si tratta di un classico film di supereroi. Da tempo il regista neozelandese sta cercando di definire un proprio stile, che combina elementi comici ad altri favolistici attraverso cui sdrammatizzare anche gli eventi più tragici. La miglior sintesi di questo approccio è stata, finora, Jojo Rabbit, bellissimo film del 2019, ma anche Selvaggi in fuga e Thor: Ragnarok mi avevano abbastanza convinto. Thor: Love and Thunder, invece, secondo me non funziona del tutto. Sia chiaro: non è un film brutto, ci sono momenti molto divertenti e altri abbastanza epici, ma nell’insieme il tono non mi sembra coerente e mi pare che a volte Waititi si faccia prendere troppo la mano. La commedia – ad esempio – è in certe parti del film, e soprattutto all’inizio, fin troppo spinta, tanto che il tono scivola per qualche sequenza nel grottesco, un genere da cui poi è difficile uscire, rischiando di cadere perfino nel ridicolo. Peccato, perché c’erano spunti molto interessanti da sviluppare: l’idea della ribellione contro gli dei, in un certo senso “alla Nietzsche”, poteva essere approfondita meglio, così come la scelta “dell’amore” sull’odio – che, stando al titolo, doveva fare da filo conduttore a tutta la pellicola – non è sufficientemente sviscerata; senza contare che avere una Thor donna poteva davvero rivoluzionare molte cose. In breve, mi è parso in tutto e per tutto un film incompiuto, a metà, con tante belle idee ma non sempre gestite al meglio. Il che mi lascia con l’amaro in bocca, perché a me Waititi piace molto e condivido buona parte della sua filosofia, soprattutto l’idea – da lui più volte espressa in diversi incontri col pubblico – che la commedia sia la migliore arma contro ogni tipo di fascismo. Però anche la commedia ha i suoi equilibri che vanno rispettati. Se non l’avete visto, fate in tempo a trovarlo ancora al cinema.
Superstore, episodi da 1.02 a 1.09 (2015/2016), di Justin Spitzer, con America Ferrera, Ben Feldman, Mark McKinney: di questa serie vi avevo parlato, velocemente, nel maggio scorso, quando – orfano di Brooklyn Nine Nine – avevo provato a guardarne l’episodio pilota su Netflix, desideroso di trovare una nuova serie leggera da guardare con la famiglia negli intervalli di tempo. Allora, però, non ero rimasto troppo colpito: la prima puntata era carina ma nulla più. Alcuni di voi mi hanno però scritto consigliandomi di continuare a guardare la serie perché sarebbe cresciuta col tempo, e così ho fatto, anche perché mia figlia in particolare si è appassionata ai personaggi. In effetti, col passare delle puntate la trama tende a migliorare, con personaggi ben assortiti e alcune gag intelligenti. Non è forse la serie che vi sconvolgerà la mente, ma l’intrattenimento non è stupido e ogni tanto gli sceneggiatori si divertono a sfatare alcuni luoghi comuni (sia del mondo dei grandi negozi e supermercati, in cui lo show è ambientato, sia della stessa società americana); in più tra gli attori c’è una buona alchimia.
Quello che ho pensato
Lo so che è già da un paio di settimane che parlo di politica e oggi, forse, servirebbe qualche argomento nuovo, ma siamo in campagna elettorale e inevitabilmente il mio pensiero finisce su queste questioni. Vorrei però parlarne in modo un po’ più alto, se ci riesco: non focalizzandomi, cioè, sulla diatriba elettorale, ma guardando ad alcuni concetti di fondo.
Non vorrei neppure focalizzarmi troppo, quindi, sugli eventi di queste ultime ore: cioè, da un lato, sui progetti di governo della coalizione di destra o dall’altro sulle alleanze nate e presto abortite al centro e a sinistra. Tutte questioni su cui – a mio avviso – c’è poco da dire.
Vorrei invece soffermarmi su una notizia di ormai qualche giorno fa. Da un po’, infatti, sto pensando alla scelta da parte del Movimento 5 Stelle di non “mollare” riguardo alla regola del cosiddetto “doppio mandato”. Come saprete, fin dalle origini il movimento politico fondato da Beppe Grillo ha portato avanti una forte polemica contro la politica “di professione”, rimproverando ai partiti di aver creato una casta di persone privilegiate che hanno perso il contatto coi cittadini. Per risolvere questo problema, i 5 Stelle hanno iniziato fin da subito a candidarsi alle elezioni promettendo che nessun esponente del Movimento avrebbe mai potuto “occupare una poltrona” elettiva per più di due mandati. A livello parlamentare, questo vuol dire: 10 anni al massimo, visto che le legislature durano 5 anni (a meno di elezioni anticipate).
Questa regole, assieme a svariate altre, era stata fin dall’inizio una di quelle più “identitarie”, come si usa dire, del Movimento, spesso abbinata allo slogan “1 vale 1”: per il gruppo di Grillo, insomma, nessuno doveva ergersi al di sopra del popolo, tanto è vero che i parlamentari stessi si presentavano all’inizio solo come dei portavoce del popolo stesso e si impegnavano a rispettare la volontà degli iscritti, tramite la piattaforma Rousseau. “1 vale 1”, appunto: tra un parlamentare e un cittadino non dovevano esserci differenze, tanto che potevano addirittura essere intercambiabili.
Nelle settimane scorse, visto che ormai si sta procedendo spediti verso le elezioni, si è discusso molto di questa regola e pare che Giuseppe Conte, l’attuale leader del Movimento, abbia provato per un certo periodo a convincere Grillo ad approvare delle deroghe alla regola stessa. Quasi tutti i big del Movimento, infatti, stanno esaurendo in questi giorni il loro secondo mandato e questo vorrebbe dire non poterli candidare alle prossime elezioni, per far spazio a nomi nuovi (ma anche meno famosi a livello nazionale). Una cosa è candidare, soprattutto nei collegi uninominali, dei personaggi riconoscibili, che sono stati ministri o capigruppo; un’altra cosa è invece candidare dei “signor nessuno” che provengono dalla strada, e che difficilmente l’elettorato conoscerà.
Grillo pare però essere stato irremovibile sulla questione e quindi persone come Roberto Fico, Alfonso Bonafede, Paola Taverna, Vito Crimi, Fabiana Dadone, Danilo Toninelli, Riccardo Fraccaro e altri lasceranno sicuramente il Parlamento.
Al di là delle scelte interne dei Movimenti e dei partiti, che ovviamente sono legittime, a me pare che ci sia sicuramente qualcosa di buono in quest’idea, ma anche un problema di fondo. Partiamo dalle cose buone: l’idea del doppio mandato vorrebbe dare un’immagine della politica come servizio che è sicuramente encomiabile; allo stesso modo, vorrebbe lanciare il messaggio che chi viene mandato in Parlamento rimane comunque un cittadino come gli altri, pronto a ritornare al suo solito lavoro in ogni momento. Anche lo slogan “1 vale 1” ha una sua bellezza ed efficacia: da decenni gli italiani percepiscono i politici come dei privilegiati, dei potenti che sfruttano i cittadini, dimenticando l’uguaglianza che dovrebbe essere alla base di una sana repubblica.
C’è però, a mio avviso, anche qualcosa che non torna in tutto questo (ma per la verità è un difetto che non riguarda solo il Movimento 5 Stelle, ma tutto il sistema politico). “1 vale 1” a me pare, infatti, un inganno: non è vero che siamo tutti uguali. Non lo è nei fatti: abbiamo redditi diversi, abbiamo competenze diverse. Anche tra gli stessi parlamentari 5 Stelle è stato evidente fin da subito, dieci anni fa, quando fecero il loro primo ingresso in massa nel Parlamento, che non erano affatto tutti uguali: alcuni sono emersi per capacità di leadership, per abilità nel comunicare le loro posizioni, e hanno assunto la guida del Movimento. Grillo che dice “1 vale 1” fa in un certo senso un po’ ridere, visto che lo stesso comico è per certi versi il padre-padrone del Movimento. Dire che l’opinione di un qualsiasi attivista di periferia valga quanto quella di Grillo è un inganno, e lo si è capito negli anni anche tramite le votazioni sulla piattaforma Rousseau: è vero che ufficialmente vinceva la mozione che prendeva più voti, ma è diventato subito evidente che una dichiarazione di Grillo o del Fatto Quotidiano faceva automaticamente pendere l’asticella da una parte o dall’altra. Ma questa, ripeto, non è una prerogativa solo del Movimento 5 Stelle: chiunque abbia fatto parte di un’assemblea deliberativa sa bene che le opinioni delle persone più stimate, più potenti o più influenti hanno un loro peso sull’esito del voto. In nessun caso al mondo, “1 vale 1”: le democrazie pure esistono solo negli slogan elettorali.
Posta questa premessa, anche la regola del doppio mandato finisce per incrinarsi. Portare in Parlamento continuamente dei neofiti non ha molto senso: avrai sempre persone che non conoscono i regolamenti parlamentari, che non capiscono molto della politica combattuta dagli scranni del Parlamento, che sono anche facilmente manipolabili. A voler essere maligni, si potrebbe anche accusare Grillo di una mossa che gli consente di mantenere il controllo del Movimento: appena un politico inizia a farsi conoscere e ad accumulare esperienza, lo si caccia dalla Camera o dal Senato, in modo che non possa minacciare chi davvero decide. Insomma, se “1 vale 1” è un mezzo inganno, anche la regola del doppio mandato non sembra in grado di assolvere davvero alla sua funzione. Anche perché la vera domanda è: ora Fico, Taverna, Fraccaro e gli altri torneranno ad essere cittadini comuni? Oppure troveranno posto (lavorando, di fatto, come politici) in qualche altro ruolo pubblico non elettivo? Se la regola serviva a non creare dei “politici di professione”, siamo sicuri che funzioni?
Il discorso più interessante, però, è secondo me un altro. È proprio lo slogan “1 vale 1”, così affascinante all’apparenza, a risultare secondo me sbagliato. Dà l’illusione che le opinioni siano tutte uguali, che le competenze siano tutte uguali; che, cioè, uno che non ha mai studiato nulla, che non legge e non segue la politica ne capisca tanto quanto uno che invece la studia da una vita. È una china pericolosa, questa, soprattutto in tempi di fake news, di scarsa fiducia nella scienza e via discorrendo. Capisco bene il valore dello slogan, ma ne comprendo anche i pericoli.
Piuttosto, mi piacerebbe uno slogan (molto meno efficace dal punto di vista propagandistico, ma più vero) del tipo: “Facciamo in modo che 1 valga 1”. Uno slogan che ammetta che non è affatto vero che “1 vale 1”, ma che allo stesso tempo si impegni per ridurre il gap tra i cittadini. Che si impegni, ad esempio, a ridurre il salto enorme che c’è tra il reddito di una parte della popolazione e quello di un’altra parte della popolazione; che si impegni a elevare chi non ne capisce molto di politica, scienza e cultura, migliorando la scuola e l’istruzione; che, cioè, non faccia finta che la regola del doppio mandato risolva la situazione, che non la usi come uno specchietto per le allodole, ma che si impegni davvero e saggiamente per affrontare questi problemi. “Facciamo in modo che 1 valga 1” può essere un impegno, un progetto, un programma di governo; “1 vale 1” è una forma di adulazione.
Anzi, visto che questi sono problemi atavici che tutte le democrazie occidentali si trovano ad affrontare, forse servirebbe gente capace, gente esperta, gente preparata per darsi da fare con cognizione di causa. Si fa presto ad elencare i problemi dell’Italia; un po’ meno facile è risolverli. L’idea che qualsiasi persona, presa dalla strada, possa finire in Parlamento e mettere a posto l’economia italiana è di un’ingenuità che fa paura; ma è un’ingenuità che è in fondo già racchiusa nello slogan “1 vale 1”.
Abbiamo bisogno, in tutti i settori della nostra società, di gente competente, che studi, che provi, che si ingegni, che si formi e che maturi esperienza. E che poi aiuti anche gli altri a fare lo stesso. Ne abbiamo bisogno nella scuola, nella sanità, nell’economia e ovviamente anche nella politica. Ma anche nelle attività produttive, nei servizi, dal ruolo più umile a quello più elevato. Senza dimenticare che dobbiamo ovviamente anche fare in modo che queste persone non si dimentichino del “paese reale”, di chi quell’esperienza non ce l’ha e non può averla. Ma le competenze servono, le qualità servono. “1 vale 1” ti dice “vai bene così come sei”; “Facciamo in modo che 1 valga 1” ti dice “io ti aiuto, ma tu datti da fare”.
Chi insegna nella scuola non può pensarla in maniera diversa da così: passiamo tutta la vita a cercare di imprimere negli studenti l’idea che lo studio e la fatica siano necessarie al bene comune. Noi non possiamo dire: “1 vale 1”. O meglio, possiamo dirlo in un certo ambito, non in un altro: per noi gli studenti devono essere tutti uguali per quanto riguarda l’impegno che dedichiamo loro, la dedizioni con cui li seguiamo; ma allo stesso tempo sappiamo bene che ci sono studenti che lavorano di più e studenti che lavorano di meno, ragazzi più portati ed altri meno portati. I nostri voti sono variegati perché i ragazzi sono diversi. Sarebbe un inganno dir loro che sono tutti uguali a livello di profitto, e dare a tutti lo stesso voto. Sarebbe una bugia che non li aiuta a crescere.
Anche nella scuola, lo slogan non può essere “1 vale 1”, ma piuttosto “Facciamo in modo che 1 valga 1”. Cioè: io insegnante proverò a portarvi tutti a un livello eccellente nelle mie materie. Poi, già so che con qualcuno raggiungerò l’obiettivo, con altri arriverò ad un livello buono ma non eccellente e con altri ancora forse ad un livello solo discreto o sufficiente. Ma io ci proverò con tutti, con lo stesso impegno; senza annullare le vostre differenze. Chiaramente, un discorso del genere può reggersi solo sue due elementi imprescindibili: da un lato, serve un docente motivato, perché non puoi mettere alla guida di una classe il primo che trovi per strada; dall’altro, servono studenti che capiscano che devono darsi da fare, che con l’impegno possono arrivare a buoni traguardi.
Ecco, mi pare che l’atteggiamento di una forza politica matura dovrebbe essere questo: non illudere di un’uguaglianza che non c’è, ma darsi da fare per ridurre la disuguaglianza.
Quello che ho registrato e pubblicato
Se siete stati in ferie, forse vi siete persi alcuni dei video o dei podcast usciti durante la settimana. Qui trovate un rapido riassunto di tutto quello che ho pubblicato.
L’autunno del Medioevo - Audiolibro spiegato parte 1: abbiamo cominciato la lettura di un nuovo libro, questa volta un classico legato alla storia del tardo Medioevo
Storia della politica estera italiana 5 (1936-1945): l'Italia dell'Asse: continua il nostro percorso di politica estera con i fatti che portarono l’Italia alla tragedia della Seconda guerra mondiale
D'Annunzio e l'impresa di Fiume - 1: la presa della città: cosa successe effettivamente a Fiume, poco dopo la fine della Prima guerra mondiale?
Il Museo del Cinema di Torino [Travel Club storico-filosofico]: se avete in programma qualche viaggio, tenete conto anche di mete culturali e belle
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La vita e le opere di Pietro Abelardo (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
L’Africa nell’età moderna (per il podcast “Dentro alla storia”)
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Pensieri di Blaise Pascal: quando si vuole avvicinare qualcuno ai testi filosofici, non si può partire in quarta; bisogna cominciare da qualcosa di relativamente semplice, che parli in modo diretto e che sappia anche toccare i punti-chiave della vita del lettore. In questo senso, Pensieri di Pascal è sicuramente un libro che si può consigliare a chiunque: arguto, ancora estremamente attuale, è considerato forse l’opera che ha dato il via a tutta la corrente dell’esistenzialismo. Tra l’altro, lo si trova a pochi euro in svariate edizioni. Potete comprarlo qui.
Selfie e video selfie professionali per Instagram: a volte alcuni di voi mi chiedono indicazioni su come registrarsi in video, come se io fossi un esperto. In realtà, quel poco che so l’ho imparato a furia di prove ed errori. Se invece volete partire già col piede giusto, esistono dei buoni corsi che vi spiegano non solo come riprendervi, ma anche come farvi dei selfie efficaci. Quello di Mina Barrio ospitato su Domestika è particolarmente riuscito e ve lo consiglio: costa 16,90 euro e offre ben 20 lezioni che vi guidano passo passo. Lo trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né fare corsi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Cosa c’è in arrivo
Chiudiamo come sempre anche con una veloce panoramica su cosa dovrebbe uscire nei prossimi giorni:
come promesso, nell’ambito del Travel Club storico-filosofico arriverà il primo video su Parigi, per la precisione sulla reggia di Versailles;
proseguirà poi la lettura de L’autunno del Medioevo di Huizinga;
uscirà inoltre – a grande richiesta – un video di educazione civica dedicato alle leggi elettorali, che ci permetterà di avvicinarci a capire anche la legge elettorale attuale con cui voteremo a settembre;
infine concluderemo il ciclo sulla filosofia di Giovanni Gentile, parlando in particolare della sua pedagogia;
per quanto riguarda i podcast, poi, discuteremo del colonialismo europeo e della tratta degli schiavi in storia, mentre per filosofia ci occuperemo ancora di Abelardo.
E questo è tutto. La prossima newsletter uscirà esattamente a Ferragosto, sotto i fuochi d’artificio e il solleone, quindi tenetevi pronti.