È il momento di parlare di Donald Trump e dei suoi progetti (se ci sono) per l'America e il mondo, ma anche di Miss Fallaci, Einstein e Freud, le reliquie, Psicologia delle folle e Johnny English
Che bella, Torino. Nonostante non sia propriamente dietro l’angolo rispetto a casa mia, negli ultimi anni ci sono venuto spesso, un po’ con la famiglia, un po’ con la scuola: e ci sono anche ora, mentre scrivo queste parole, poco prima di inviarvi la mia classica newsletter del lunedì.
Mi trovo nel capoluogo piemontese, infatti, per una tre giorni intensa: sfruttando il ponte di Carnevale che porta alla chiusura delle scuole in Veneto, ho dato corpo a un piccolo tour promozionale di Anche Socrate qualche dubbio ce l’aveva, più volte pensato e ora finalmente realizzato. Domani sera, martedì, alle 18 sarò infatti presente alla Libreria Claudiana, in centro, in via Principe Tommaso 1, per parlare coi lettori torinesi; e dopodomani, mercoledì, sempre alle 18 parteciperò a un incontro organizzato alla Cascina Roccafranca di via Rubino 45, all’interno del progetto Leggermente.
Ma questo interessa solo quelli che gravitano attorno a Torino. Per tutti gli altri, i pensieri questa settimana sono stati probabilmente cupi. Il litigio di venerdì scorso alla Casa Bianca tra Zelensky e Trump (e J.D. Vance) ha lasciato tutti sconcertati: per la prima volta, gli Stati Uniti hanno fatto capire in maniera plastica e senza reticenze di essere disposti a barattare chiunque (anche l’Europa, potenzialmente) per piccoli vantaggi momentanei; e che per Trump & soci questo non rappresenta in nessun modo un problema. Come hanno scaricato l’Ucraina – con una sufficienza e una spocchia che offendono le coscienze –, scaricherebbero tranquillamente pure noi, e forse anzi lo stanno già facendo.
E dire che in Italia la schiera dei trumpiani (ma anche dei putiniani) è stata a lungo ben nutrita, e credo continui a esserlo anche oggi. Come la schiera dei fan di Elon Musk, a cui leccavamo i piedi fino a ieri, prima di accorgerci, improvvisamente, che a lui interessano solo le nostre commesse pubbliche, cioè i nostri soldi, e che se non glieli diamo ci creerà solo problemi.
A questo proposito, torna utile ancora una volta quel breve saggio che cito spesso, Le leggi della stupidità umana di Carlo M. Cipolla (lo si compra qui). In quelle poche pagine Cipolla definiva “banditi” quelli che danneggiano gli altri per trarne vantaggio, e “stupidi” quelli che danneggiano gli altri «senza nel contempo realizzare alcun vantaggio per sé od addirittura subendo una perdita». Ecco, se questo è vero, Trump, Musk, Putin e soci sono platealmente dei banditi, ma alcuni nostri politici sono proprio degli stupidi (cosa che, per Cipolla, è anche peggiore che essere banditi).
Ma di tutte queste cose parleremo ancora più avanti. Per il momento, iniziamo la nostra newsletter partendo dai libri.
Quello che ho letto
E cominciamo allora come sempre con le letture. Questa settimana ci sono in elenco due libri di cui vi ho già parlato la volta scorsa e un terzo saggio che invece mancava da un po'.
Psicologia delle folle di Gustave Le Bon: il mio atteggiamento riguardo a Psicologia delle folle, il libro che abbiamo scelto di leggere all'interno del Club del libro degli abbonati al canale (ulteriori informazioni qui) è, finora, duplice: da un lato infatti mi sembra che quel vecchio saggio non sia altro, in fondo, che un insieme di impressioni, rilevi raccolti senza nessuna scientificità, opinioni sparse a volte anche contraddittorie sul comportamento delle folle; dall'altro, però, devo anche ammettere che c'è qualcosa di inquietantemente vero nelle parole di Le Bon, che sicuramente non utilizzava grandi mezzi di analisi, né cercava corroborazioni alle sue teorie, ma in alcuni casi sembrava cogliere nettamente il punto del problema. Vi basti sapere, ad esempio, che, pur criticandolo, sto riempiendo la mia copia di sottolineature, perché alla fine dei conti quasi in ogni pagina mi sembra emergere un'osservazione acuta, o che comunque ha anticipato alcune evenienze storiche che poi abbiamo visto puntualmente verificarsi nel corso del Novecento. Ne discuteremo più approfonditamente con gli abbonati tra pochi giorni, nella nostra solita riunione mensile, e magari lì emergeranno anche altre obiezioni o distinguo, perché certo mi sembra che questo libro di tanto in tanto prenda anche qualche colossale cantonata; ma non si può negare, a mio avviso, che si tratti di un volume importante e interessante, quantomeno dal punto di vista storico. Se vi interessa, potete acquistarlo qui.
Sacre ossa di Federico Canaccini: la devozione medievale è allo stesso tempo, almeno agli occhi di noi contemporanei, affascinante e incomprensibile. Io personalmente ritengo di avere una mente piuttosto scientifica, razionale, scettica ed empirica, e quindi rimango sempre un po' stupito quando mi imbatto nelle antiche forme di devozione, soprattutto quelle che mi sembrano sconfinare pesantemente nella superstizione. Ad esempio, può stupire il fatto che per molti secoli si sia creduto negli infiniti pezzi della “vera croce”, talmente tanti da essere palesemente dei falsi (in quante parti potrà mai essere divisa una croce di pochi metri d’altezza e ancor meno di larghezza?), ma così magnetici da convincere milioni e milioni di fedeli; oppure può stupire che decine di santuari vantino, nelle loro cripte, la conservazione di un osso di un certo santo, osso che però non si può certo moltiplicare (di mandibola ce n’è una, mica venti). Insomma, la storia delle reliquie è spesso la storia della credulità popolare; però proprio per questo non può lasciare indifferenti, perché ci dimostra forse anche quanto bisogno abbiamo di credere in qualcosa, anche quando basterebbe un minimo di razionalità per contraddire pesantemente ciò in cui crediamo. Questi (e altri) sono i pensieri che sorgono mentre si legge Sacre ossa del medievista Federico Canaccini, da poco edito da Laterza; il libro – un saggio storico – ripercorre lo sviluppo delle reliquie fin dai tempi dei romani, addentrandosi poi nella devozione medievale, e lo fa molto bene. Se vi interessa, potete comprarlo qui.
Clear Thinking di Shane Parrish: questa settimana ho ripreso in mano anche questo saggio molto divulgativo che avevo iniziato a leggere qualche tempo fa e di cui vi avevo anche un po' parlato. Non si tratta di un libro importante, quanto piuttosto di una sorta di manuale di self-help applicato alla chiarificazione del pensiero: niente dunque di filosofico né tantomeno di tecnico, ma piuttosto un raccolta di consigli pratici su come prendere decisioni, preparato da un ex agente segreto. In altre circostanze non lo avrei mai letto, perché libri del genere tendono a lasciare il tempo che trovano, ma onestamente ho un debole per il tema e quindi tendo a comprare più spesso del dovuto libri che sembrano affrontarlo. Di per sé, poi, il libro non è neanche malaccio, se si considerano queste premesse: il linguaggio è chiaro e i consigli sono anche tutto sommato condivisibili. Certo manca quel minimo di approfondimento che aiuterebbe a renderlo un po' più interessante, e forse anche un po' più efficace. Comunque, per chi non è troppo abituato a leggere a lungo, può essere anche utile. Se vi interessa, lo si può acquistare qui.
Quello che ho visto
E passiamo ora ai film, o meglio a due film e una serie tv.
Johnny English (2003), di Peter Howitt, con Rowan Atkinson, Natalie Imbruglia, John Malkovich: c’è poco da discutere: Rowan Atkinson è stato (e forse è ancora) uno dei più grandi comici “fisici” della storia. Con Mr. Bean ci ha mostrato che si può far molto ridere senza pronunciare nemmeno una parola, ma con Johnny English, saga parodistica dei primi anni Duemila, ci ha dimostrato anche di riuscire a far ridere parlando. Niente di nuovo, in realtà: questi film e quelle serie tv li abbiamo già visti mille volte. Ma ogni tanto può essere utile anche riprenderli, se non altro per farli vedere ai figli piccoli in cerca di una serata disimpegnata. E così, proprio per questo motivo, qualche sera fa io e i miei ragazzi abbiamo fatto partire su Netflix il primo Johnny English, risalente ormai a più di vent’anni fa. Nel film, oltre a Atkinson, ci sono anche una allora ben giovane Natalie Imbruglia – credo alla sua prima vera prova da attrice, visto che fino a quel momento aveva solo cantato – e uno strano John Malkovich, in un ruolo per la verità non proprio adatto al suo talento. La trama è semplicissima: tutti i migliori agenti segreti britannici vengono fatti fuori in un attentato, e il servizio di intelligence è costretto giocoforza ad affidarsi all’unico funzionario ancora in vita, l’imbranato Johnny English, interpretato appunto da Atkinson. Questi deve cercare di sgominare un piano ordito contro la regina, i gioielli della corona e la stessa Inghilterra; e, incredibilmente, ci riuscirà, ovviamente facendo anche molte figuracce. La trama è esile, molte gag sono già viste e forse non basta Atkinson a salvare un film tutto sommato mediocre; però Mr. Bean ispira sempre molta simpatia e quindi, alla fine dei conti, si lascia guardare. Il titolo, come anticipato, lo trovate su Netflix.
Miss Fallaci episodio 1.01 (2025), di Alessandra Gonnella e Diego Loreggian, con Miriam Leone, Maurizio Lastrico, Francesca Agostini: ogni tanto la Rai lancia una delle sue fiction celebrative sui grandi italiani del passato. Quasi come se fosse un ente deputato alla creazione della memoria collettiva, negli ultimi anni ci ha proposto serie, se non ricordo male, su Aldo Moro, Enrico Mattei, Carlo Alberto Dalla Chiesa, papa Luciani, Walter Chiari, Paolo Borsellino e non so poi chi altro. Ho molti dubbi su come inquadrare queste operazioni: da un lato, penso sia anche importante fare un lavoro di divulgazione sui personaggi più importanti del nostro passato, sia della società che della politica; dall’altro, temo che spesso la Rai tenda a fare un lavoro troppo agiografico, cioè a creare figure da santino, o ad appiattire le personalità dei vari protagonisti in una semplificazione eccessiva. Per carità, i miei sono soprattutto timori, non so quanto realistici: quelle serie non le ho guardate neppure tutte, e al massimo distrattamente, una puntata o due; ma delle produzioni italiane in questo campo mi fido sempre poco, perché la tendenza a voler accontentare tutti e alla superficialità è abbastanza diffusa. Quindi devo ammettere che ho guardato il primo episodio di Miss Fallaci un po’ prevenuto: temevo un’esaltazione pura e incondizionata della figura di Oriana Fallaci, figura che per la verità sarebbe ben difficile da raccontare. Poi ho capito che la serie si dipana solo lungo i primi anni della carriera della giornalista, quando certo era già controcorrente, ma non presentava ancora i tratti controversi degli ultimi anni d’attività, quando, se vi ricordate, si è lanciata in dichiarazioni assai forti su quasi tutti i temi caldi del periodo. Insomma, una fiction senza rischi che, pare, si concentrerà soprattutto sul versante personale della vicenda della giornalista, raccontando le difficoltà di farsi considerare una professionista seria e capace pur essendo donna e i primi, tormentati amori. Entro questi limiti, la serie si muove anche benino, devo dire, anche se Miriam Leone è forse troppo bella per la parte: se bisogna mostrare una Fallaci che sa imporsi in un mondo dominato dagli uomini non per la sua bellezza ma per il suo talento, bisognava, credo, scegliere un’attrice che non è stata Miss Italia. Trovate la serie su RaiPlay.
Dieci piccoli indiani (1945), di René Clair, con Barry Fitzgerald, Walter Huston, Louis Hayward: questa settimana il mio figlio più piccolo ha passato a casa qualche mattinata: si è preso infatti una bella influenza e quindi è stato costretto, non certo a malincuore, a prendersi qualche giorno di vacanza dalla scuola. Vari anni fa, con i suoi fratelli che adesso sono più grandi, un evento del genere rappresentava un grosso problema, perché all'epoca sia i miei genitori che i genitori di mia moglie ancora lavoravano, e in caso di malattia trovare qualcuno a cui affidare il bambino era particolarmente problematico. Ora che gli anni sono passati e che i nonni sono ormai tutti in pensione, è invece una vera e propria passeggiata e non c'è che l'imbarazzo della scelta. Anzi, può diventare addirittura difficile decidere a quale nonna affidare il pargolo. Comunque, in una di queste giornate è accaduto un fatto un po' strano: sono tornato a casa da scuola attorno alle 11:15 del mattino, in uno dei giorni in cui avevo solo tre ore di lezione, e ho trovato il giovane erede sul divano, con mia madre, intento a guardare Dieci piccoli indiani, il giallo tratto dal bellissimo e omonimo romanzo di Agatha Christie. Ma non si trattava di un adattamento recente di quella storia, quanto piuttosto della versione del 1945 diretta da René Clair. Mia madre ha sempre avuto un debole per i gialli e in particolar modo per quelli tratti dai libri della Christie, ma non credevo riuscisse a convincere anche il più giovane dei miei figli, classe 2015, a guardarsi senza colpo ferire un film così vecchio. Invece il film lo stava seguendo davvero, e così, quando mia madre se ne è tornata a casa, il giovin Ferretti ha voluto guardarlo da capo insieme a me, facendolo ripartire dall'inizio. A poco sono valse le mie proteste, i miei tentativi di spiegargli che conoscevo fin troppo bene la trama del film visto che il libro l'ho letto almeno un paio di volte: abbiamo dovuto ricominciare. Ebbene, nonostante il film presenti un finale completamente diverso dal libro, cosa che mi ha lasciato un po' l'amaro in bocca (anche perché credo che il finale sia la parte più bella di tutto il romanzo), devo dire che l’adattamento cinematografico è globalmente ben fatto, considerando anche che ha ottant'anni d’età sulle spalle. A mio figlio è molto piaciuto, tanto che ha già detto di voler costringere pure i suoi fratelli a vederlo assieme a lui: e se piace a lui, volete che non piaccia anche a voi? Lo trovate in un sacco di posti: su Prime Video, TIM Vision, Plex e JustWatch (ma credo, in questi ultimi due casi, solo in inglese).
Quello che ho pensato
Mi dispiace tediarvi per la seconda settimana di fila con l’attualità spiccia, ma mi sembra che stiamo attraversando un momento di evoluzione importante (e forse drammatico) delle nostre istituzioni e vale la pena di soffermarvici sopra. In particolare, credo valga la pena spendere qualche parola su Donald Trump, Elon Musk e la politica che stanno mettendo in piedi in queste settimane negli Stati Uniti e, di rimando, in tutto il mondo.
Devo dire, intanto, che non è facile fare un discorso serio e distaccato sull’argomento. Trump – forse per via di una precisa strategia comunicativa – ci sta inondando ogni giorno di contraddizioni, offese, fesserie, stupidaggini, eccessi, come se volesse innalzare una cortina fumogena attorno a quello che sembra essere il cuore del suo progetto; una vera e propria shitstorm continua (in italiano, e scusatemi la volgarità, un “montagna di merda”), volta soprattutto a non farci capire cosa sta accadendo, a non darci il tempo di valutare serenamente il suo operato.
Vi cito solo un paio di esempi, i più recenti e allo stesso tempo i più eclatanti. Avrete visto tutti, temo, il video che Trump ha diffuso sul futuro di Gaza (lo potete recuperare qui), in cui il POTUS immagina la striscia in cui sono morte sicuramente più di 100.000 persone trasformata in un resort di lusso, dove si balla, si prende il sole e si vive in modo pacchiano; il tutto, si dà per scontato, dopo aver cacciato da lì i palestinesi superstiti. È un video irrispettoso e aberrante; ci farebbe strabuzzare gli occhi se l’avesse diffuso uno stupido provocatore e creatore di fake news sul web, ma credo che nessuno di noi avrebbe mai predetto, qualche anno fa, che a produrre qualcosa del genere potesse essere addirittura il Presidente degli Stati Uniti in carica. E viene da chiedersi: perché? Che senso ha? Chi può davvero dare un senso a una cosa del genere, alle statue d'oro di Trump, a una Gaza trasformata in un paese dei balocchi di pessimo gusto? Che tu sia filo-israeliano o filo-palestinese, quel video è talmente assurdo da lasciarti quasi senza parole: e forse l'obiettivo è proprio questo, lasciarti senza parole, lasciarti intontito, in una grande operazione di distrazione di massa.
Lo stesso si potrebbe dire di quello che è successo a Washington venerdì pomeriggio, con Zelensky invitato a recarsi alla Casa Bianca per firmare un assurdo accordo sulle terre rare, accordo che era – e lo si è ben capito a posteriori – solo un pretesto per attirarlo nella tana del lupo, per umiliarlo davanti alle tv a uso e consumo dei trumpisti, della parte più superficiale e muscolare dell’elettorato americano. Di nuovo: fumo negli occhi, forse in questo caso un po’ meno efficace del solito perché il reale intento di Trump – quello cioè di scaricare l’Ucraina per abbracciare la Russia di Putin – è risultato evidente a tutti.
Ma cosa c'è, allora, dietro a tutto questo continuo saliscendi, a questo litigio quotidiano, a queste umiliazioni pubbliche da condurre a favor di telecamera? Cosa c'è nella mente di Trump, o, meglio, dei suoi consiglieri? Perché se possiamo anche ipotizzare – come ha fatto qualcuno – che Trump non sia proprio un genio e abbia ormai, anche a causa dell’età, delle capacità di comprensione piuttosto limitare, non possiamo trascurare che qualcuno che pensa, dietro a lui, in realtà c'è.
Da questo punto di vista, a me pare che questo primo mese di governo MAGA faccia emergere due tendenze molto chiare: primo, il nuovo e sempre più pressante ruolo di una crescente oligarchia tecnocratica; secondo, l'attuazione molto precisa (e brutale) di un piano spiccatamente reazionario che avevamo troppo presto derubricato come il progetto di un gruppo di fanatici, il cosiddetto “Project 2025”.
Partiamo dai tecnocrati. Avrete visto che una certa parte delle decisioni dell'amministrazione Trump non arriva in realtà da Trump stesso, ma da Elon Musk, responsabile – anche se senza alcun incarico ufficiale – del DOGE, il “revisore dei conti” della pubblica amministrazione trumpiana. Ma avrete notato, ancora a gennaio, che non c’è solo Musk: tutti i principali tycoon dell’industria tecnologica americana si sono messi in prima fila a Washington per applaudire l’insediamento di Donald. C’erano Zuckerberg, Bezos e altri ancora; senza contare che proprio quegli stessi imprenditori poi hanno più o meno apertamente schierato le loro aziende (e i loro gruppi editoriali) a favore delle politiche di Trump.
Ora, questo atteggiamento potrebbe essere visto come una forma di opportunismo politico: i leccapiedi, d’altra parte, sono sempre esistiti e questi ex nerd – che di competenze sociali sembrano averne sempre poche – non sono nuovi a inchini fin troppo plateali nei confronti di chi detiene in quel momento un qualche potere o carisma (che loro, in realtà, faticano a volte ad avere). Ma credo che il problema non sia solo questo.
Se guardiamo a come si sta evolvendo il mondo dell’industria e dell’economia globale, ci accorgiamo che siamo nel bel mezzo di una complicata e difficile transizione; una transizione verso nuove forme di lavoro. La robotica, l’intelligenza artificiale, l’informatica 3.0 stanno ormai trasformando il mondo verso qualcosa di nuovo; e lo stanno facendo, però, a costo di enormi investimenti nel campo della ricerca, dell’approvvigionamento energetico, dell’uso di nuove materie prime (le famose terre rare, e non solo). Chi dominerà in quei settori dominerà il mondo del futuro.
In questo campo, tutto si sta muovendo assai velocemente: basta dare un’occhiata a quanti nuovi modelli di intelligenza artificiale continuano a uscire ogni settimana per capire che è in atto una vera e propria corsa. Musk ha appena lanciato Grok, la sua IA, provando anche a comprare ChatGPT; ChatGPT si prepara da tempo a fare il salto con la sua versione 5; i cinesi si sono buttati nell’affare con DeepSeek; perfino l’Unione Europea ha promesso grandi investimenti nel settore, anche se sembra decisamente indietro rispetto a Stati Uniti e Cina.
Stiamo tutti correndo, perché chi arriverà primo avrà in mano, probabilmente, qualcosa di importante per l’economia del futuro. Solo che questa corsa non la si fa da soli: servono investimenti enormi. Investimenti che il privato fa fatica a fare, anche quando ha in mano multinazionali dal bilancio simile a quello di uno Stato di medie dimensioni.
È solo così che, credo, si può spiegare l’abbraccio (che per certi versi potrebbe essere anche mortale) tra Trump e i grandi della tecnologia: hanno bisogno l’uno dell’altro. I tycoon hanno bisogno della de-regolamentazione (e dei tagli alle tasse) di Trump per fare i loro investimenti; e Trump ha bisogno di loro per controllare i social network e usarli come mezzo di propaganda.
E sì, è proprio un abbraccio mortale: non per loro, ma per noi. Il perché credo lo capiate fin troppo bene: Bezos possiede Amazon e il Washington Post; Zuckerberg possiede Instagram, WhatsApp e Facebook; Musk possiede Twitter. Questi signori hanno in mano gli strumenti di propaganda più forti oggi presenti sul mercato: se li usano – come ha fatto Musk, in modo perfino smaccato – per favorire il loro candidato, gli possono dare un gran vantaggio. Per questo possiamo tranquillamente parlare di una democrazia che si sta evolvendo verso l’oligarchia: perché a comandare davvero sono dieci persone in tutto.
Sia chiaro, qualcosa del genere avveniva anche prima. I proprietari dei giornali, i produttori cinematografici, i proprietari delle televisioni avevano già un forte potere di pressione sulla politica, e se si alleavano con un candidato abbastanza cinico potevano tranquillamente alterare i meccanismi democratici (ricordate Quarto potere di Orson Welles?). E però era tutto più difficile: di giornali ce n’erano un’infinità; anche i canali televisivi in America sono sempre stati più numerosi di quanto non siano in Italia, e in generale i politici dovevano poi mediare con tante esigenze diverse. Oggi è sempre meno così: basta un’alleanza con pochi, pochissimi settori strategici e si domina la scena.
Ma questo, se volete, è ciò che già un po’ sapevamo: questo abbraccio si sta dipanando alla luce del sole. Più oscuro, a mio avviso, è quanto le scelte di questi primi due mesi di Trump assomiglino a quanto scritto nel “Project 2025”.
Di cosa si tratta? Come forse ricorderete, qualche mese fa, durante la campagna elettorale per l’elezione del presidente, Kamala Harris accusò Trump di seguire l’agenda stabilita da questo fantomatico progetto, un piano politico elaborato nel 2022 dalla Heritage Foundation, un’organizzazione di destra radicale. Trump negò le accuse, dicendo che non credeva in quei progetti deliranti e la polemica si chiuse rapidamente.
A distanza di qualche mese, però, alcuni dei punti chiave di quel progetto (qui ne trovate una dettagliata presentazione in inglese) sembrano guidare assai chiaramente le scelte di Trump. Ve ne elenco solo alcuni:
centralizzazione del potere tramite il controllo della burocrazia federale;
licenziamento di migliaia di funzionari federali assunti non su base politica;
eliminazione dei programmi di inclusione;
eliminazione delle politiche per limitare il cambiamento climatico;
espulsione dei migranti con l’uso dell’esercito;
subordinazione della giustizia e dell’FBI al presidente.
Man mano che li leggevate, avrete notato che di qualcosa del genere abbiamo sentito molto parlare in queste settimane. Cosa sta facendo Elon Musk col suo DOGE (un organismo che non ha nemmeno una legittimazione legale, a esser sinceri)? Sta licenziando migliaia di burocrati: il motivo, si dice, è di risparmiare, ma questa mossa era pari pari già prevista dal “Project 2025”.
Cosa ha fatto, d’altro canto, Trump? Ha nominato come ministri e funzionari in ruoli chiave non delle persone competenti, ma dei suoi fedelissimi. Solo per dirne una: l’attuale vicedirettore dell’FBI, appena nominato, è Dan Bongino. La sua biografia su Wikipedia recita: «Grazie alla fama ottenuta con i libri Bongino, nella seconda metà degli anni dieci, è spesso invitato nei programmi radiofonici e sulla rete televisiva Fox News come commentatore politico, sostenendo posizioni fortemente conservatrici e rilanciando spesso teorie del complotto come quella dello Spygate. Nel novembre 2020, poco prima delle elezioni presidenziali, il New York Times lo ha inserito fra i cinque maggiori diffusori di fake news della campagna elettorale». E ancora: «Dopo aver tentato la carriera politica, fallendo due volte l'ingresso al senato, si è affermato come commentatore politico, noto per le sue opinioni conservatrici e spesso controverse. Ha condotto il programma Unfiltered with Dan Bongino su Fox News fino ad aprile 2023. Successivamente ha condotto The Dan Bongino Show su Rumble. Il 23 febbraio 2025 è stato nominato vice-direttore dell'FBI dal presidente Donald Trump». In pratica, è come se dalle nostre parti un giornalista di Rete 4 diventasse Capo della Polizia; anzi, molto peggio.
Non serve che vi dica molto neppure sui programmi di inclusione: Trump ha iniziato a criticarli pesantemente già in campagna elettorale, e le varie aziende si sono via via adeguate, licenziando impiegati afroamericani, donne e membri delle minoranze, o comunque sospendendo le loro politiche interne al riguardo. Per non parlare delle scelte (per il momento più legate all’apparenza che alla realtà) sui migranti.
Insomma, stanno accadendo molte cose, dietro alle stupidaggini e alle scenette recitate a favor di telecamera. E non sono cose rassicuranti: perché sembrano delineare non solo una politica conservatrice, ma ben più nettamente una politica autoritaria, di accentramento dei poteri. Eliminare (o mettere sotto controllo) l’apparato burocratico dello Stato è un modo piuttosto evidente per far saltare le checks and balances che sono alla base dell’ordinamento americano (se volete un rapido riassunto di cosa si tratti, leggete qui). Cioè per togliere i freni e i vincoli che John Locke e il liberalismo hanno posto al potere.
E quindi? Siamo davanti a un piano eversivo? Un po’ sì e un po’ no: nel senso che Trump ci sta, a mio avviso, provando (o, meglio, ci stanno provando i suoi consiglieri, perché dubito che lui abbia la stoffa per pensare queste cose da solo); ma allo stesso tempo credo che sarà molto difficile andare fino in fondo. È vero che l’economia globale e la sfida alla Cina spingono nettamente in quella direzione, ma non è che il consenso di Trump sia così solido, né che i tecnocrati possano fare tutto quello che vogliono sempre e comunque.
Se ne è resa ben conto, credo, Giorgia Meloni in Italia: avrete notato, ad esempio, che in queste settimane ha rallentato molto il suo avvicinamento a Trump, tanto da non farsi più vedere in giro, non parlare con la stampa e non andare in Parlamento, per non dover rispondere a domande scomode. Perché Meloni sa che – a parte Salvini e Conte – la stragrande maggioranza degli italiani guarda con preoccupazione a queste derive, e certo non è disposta a lasciarle passare impunemente.
Ma credo che, al di là del momento di stordimento e smarrimento, anche in America la gente non sia così disponibile a dare mano libera a Trump all’infinito. Bastava guardare Marco Rubio, il segretario di Stato, durante l’incontro con Zelensky per rendersi conto di come perfino tra i repubblicani più accesi inizi ad esserci qualche palese imbarazzo per Trump; e la corda non potrà essere tesa all’infinito.
Per tirarvi su un po’ il morale, vi lascio la clip qui di seguito: è la scena con cui, sabato sera, si è aperto il Saturday Night Live, il celebre programma comico americano. Guardatevela.
Quello che ho registrato e pubblicato
Facciamo il punto anche su quello che ho reso disponibile sul web in questi giorni:
Il futuro dell'Unione Europea davanti alle nuove sfide globali - In diretta con Fabio Raspadori: un dialogo in diretta serale col prof. Raspadori dell’Università di Perugia
La filosofia politica di Karl Popper: nuovo video della serie LibSophia, dedicato al pensiero politico di Popper
La morale e lo Stato per Helvétius (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
La sconfitta della Francia nella Seconda guerra mondiale (per il podcast “Dentro alla storia”)
L'entrata dell'Italia nella Seconda guerra mondiale (per il podcast “Dentro alla storia”)
“Deutschland” dei Rammstein
@scrip79I Rammstein, pionieri dell’industrial metal tedesco, hanno spesso unito musica e provocazione. Con "Deutschland", accompagnato da un videoclip carico di simbolismi, hanno proposto una riflessione interessante sulla storia della Germania. Il video ufficiale della canzone è disponibile qui: https://www.youtube.com/watch?v=NeQM1c-XCDc #musica #storia #germania #rammstein #metal #deutschlandTiktok failed to load.
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Quello che devi fare per seguirmi sui social
Ah, prima di dimenticarci vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
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Quello che puoi fare per sostenere il progetto
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono gli abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i consigli della settimana.
Perché la guerra? di Sigmund Freud e Albert Einstein: in questi anni siamo costretti dagli eventi a parlare tanto di guerra; e ovviamente si parla anche di pace, ma in modi che, purtroppo, non sembrano per ora portare a paci vere e durature. Forse allora è il caso di ritornare, almeno per un attimo, anche ai classici, come questo celebre scambio epistolare tra Sigmund Freud e Albert Einstein, pubblicato originariamente nel 1933 (un anno, purtroppo, cardine della storia europea). Se vi interessa, il breve libro può essere acquistato, in formato Kindle, qui.
sui social questa settimana ho segnalato come al solito diversi libri appena usciti che mi paiono interessanti, una sorta di “lista della spesa” che dovrebbe rivelarsi utile anche in primis per me. Ecco i volumi, se ve li siete persi (se vi interessano, cliccate sopra alle immagini per altre informazioni):
C’è poi un ulteriore modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ce n’è uno chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate, passando anche per il Club del Libro e il Simposio. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
È inoltre da poco ufficiale la notizia di un mio nuovo libro. Solo che questa volta io, più che scrivere, ho registrato. DeA Scuola e Garzanti Scuola stanno infatti per far uscire un nuovo manuale di storia per le superiori intitolato La storia in scena, scritto da Giuseppe Patisso, Daniela De Lorentiis e Fausto Ermete Carbone, a cui ho collaborato anch’io per una cospicua parte video. Al grande progetto lavoriamo da molti mesi, ma ormai siamo in dirittura d’arrivo e, se siete docenti, potrete adottarlo se vorrete già dal prossimo anno scolastico. Tra l’altro, oltre a me ci ha messo le mani anche Aldo Cazzullo, ma non mancano anche gli storici di fama internazionale. Io in particolare ho realizzato decine di videoreel che introducono tutti i capitoli dell’opera, e in più ho preparato un ciclo di venti videolezioni specifiche (e inedite) sulla storia delle donne dal Medioevo ai giorni nostri. Ecco intanto la copertina del primo volume, ma nelle prossime settimane vi mostrerò anche altri dettagli:
Ultima cosa da ricordare: in tutte le librerie è presente il mio nuovo libro, Anche Socrate qualche dubbio ce l’aveva. Il sottotitolo rende piuttosto chiaro di cosa si occupa: Come lo scetticismo filosofico può salvarti la vita nell’epoca della performance. In pratica riprendiamo il pensiero di alcuni grandi filosofia (Socrate, Occam, Montaigne, Hume, Popper e altri ancora) e cerchiamo di trarne degli insegnamenti per vivere meglio oggi, in un mondo in grande cambiamento; e cerchiamo di farlo tramite uno stile non difficile ma stimolante. Il libro è disponibile sia in formato cartaceo che ebook. Ecco qualche link per l’acquisto:
Quello che c’è in arrivo
E chiudiamo, infine, con qualche anticipazione sui video e i podcast che vorrei pubblicare nei prossimi giorni:
domani vorrei lanciare un video richiesto da tempo dagli abbonati, dal titolo Cosa direbbero i filosofi sulla meritocrazia;
mercoledì vi condividerò l’ultimo video che ho preparato per il progetto LibSophia, incentrato sul tema della diversità all’interno della filosofia liberale;
giovedì e venerdì torneranno poi i podcast, con una puntata sul filosofo illuminista Christian Wolff e un’altra sulla Seconda guerra mondiale;
sabato vorrei parlarvi delle poleis greche, in particolare con la cosiddetta seconda colonizzazione;
domenica nuovo video della serie sul miglioramento in chiave filosofica;
lunedì prossimo, infine, tornerà il podcast filosofico con la seconda puntata su Wolff.
E questo è tutto anche per questa settimana. Se siete a Torino ci vediamo tra domani e dopodomani; altrimenti tenetevi liberi per giovedì 14 marzo, quando sarà a Firenze per partecipare alla fiera Didacta (ulteriori informazioni qui). A presto!
Buon giorno , a proposito del DOGE penso queste cose che dico cosi' coem mi vengono in mente : puo' anche non essere una struttura legale il DOGE , Musk potrebbe essere un consulente di Trump , che agisce su consiglio di Musk . Trump e Musk sono dei matti scatenati ( con il distinguo , distingue frequenter consigliava San Tommaso.... ) che e' un fellow della Royal Society . Quei due sono dei matti scatenati , dicevo , ma loro si danno da fare per ridurre il debito pubblico americano , che rischia di far fallire gli Stati Uniti d America! Loro agiscono , mentre qualcuno che conosciamo non fa nulla per ridurlo ....