Festeggiamo i quattro anni del canale YouTube parlando di internet e divulgazione, di Alessandro Barbero, di Killers of the Flower Moon, di don Lorenzo Milani, dei Monty Python, di manganelli e Fedez
Viviamo tempi strani, stranissimi. Ve ne sarete resi benissimo conto anche da quanto emerso nei giorni scorsi, guardando un telegiornale ma anche solo scorrendo i post sui social network. Molti in questi giorni hanno infatti sottolineato come i TG passino facilmente dal parlare della guerra a Gaza o in Ucraina, dove muoiono ogni giorno centinaia di persone, alla possibile separazione tra Fedez e Chiara Ferragni, incuranti del fatto che tali notizie non solo non abbiano lo stesso valore, ma stridano anche incredibilmente l'una accanto all'altra.
Contrariamente a quanto fanno in molti, però, non darei tutta la colpa di questa situazione solo ai giornali: se guardate ogni tanto qualche storia Instagram, vi sarete facilmente resi conto che anche noi facciamo esattamente la stessa cosa. Mezz'ora prima postiamo un’immagine indignata contro l'ennesimo bombardamento, mezz’ora dopo ci diamo al gossip più sfrenato e inconcludente parlando del fatto che Chiara Ferragni abbia fatto un video senza la fede al dito, o che andrà ospite da Fabio Fazio.
Penso che questo saliscendi, questo andirivieni tra cose gravi e luttuose e cose stupide e superficiali sia la cifra della nostra epoca, e in fondo degli stessi social network, che stanno ormai influenzando anche i giornali e il nostro stesso modo di percepire la realtà. Così, tutto ci pare immerso in una specie di show perenne, forse meglio ancora in uno zapping dell’orrore e del kitsch, così che alla fine ci troviamo sballottati a destra e a manca da emozioni sempre molto (troppo) forti.
In tutto questo rumore di fondo, però, è utile anche ogni tanto uscire dagli schermi, dal meccanismo dell’indignazione facile, e discutere delle cose in maniera più ponderata; bisogna che ci abituiamo, cioè, a leggere di più e più a fondo, a scappare dagli slogan semplicistici e a dedicare un po' nel nostro tempo (non ne serve neppure troppo, basta che sia ben speso) ad una conoscenza più fondata di quello che ci circonda.
Altrimenti il rischio è di passare da una indignazione all'altra senza nessun costrutto, senza lasciare il segno. Anche perché, di cose per cui lottare significativamente, ce ne sarebbero parecchie: avrete letto ad esempio della durissima repressione da parte delle forze dell'ordine a Pisa, nei giorni scorsi, davanti a una manifestazioni in favore dei palestinesi. A mia memoria, non ricordo di aver visto qui in Italia un'azione così violenta e così ingiustificata negli ultimi anni da parte della polizia: benissimo quindi ha fatto il Capo dello Stato a sottolineare che lì a Pisa si è verificato un vero e proprio fallimento, un tradimento del ruolo che le forze dell'ordine dovrebbero avere.
Come al solito, in mezzo a tante dichiarazioni sensate, ne avrete però viste anche altre che vivono ancora nell'ottica dei social network, in cui ognuno fa il tifo per la propria parte, per la propria squadra: e quindi c’è stato anche chi ha difeso i manganellatori, perché tanto i manganellati erano dei filo-palestinesi, quindi degli avversari politici (vien da chiedersi se farebbero gli stessi discorsi se ad essere stati colpiti fossero i contadini, che nelle settimane scorse hanno riempito le strade con centinaia di manifestazioni non autorizzate, o i neofascisti che fanno il saluto romano ad ogni piè sospinto).
Questa gente, come al solito, dimentica una semplicissima regola di ogni Stato di diritto: che i diritti appunto sono di tutti, indipendentemente da come la si pensi. E che se non fai rispettare i diritti di chi non la pensa come te, prima o poi neppure i tuoi diritti verranno rispettati.
Quello che ho letto
Messe da parte le questioni di attualità, cominciamo il nostro percorso anche questa settimana dai libri.
Lettera a una professoressa di don Lorenzo Milani e della Scuola di Barbiana: come vi avevo già in parte anticipato la settimana scorsa, ho iniziato a leggere molto in fretta (e ho in realtà anche già finito) Lettera a una professoressa, libro scritto ormai più di 50 anni fa dai ragazzi della scuola di Barbiana di don Lorenzo Milani. Come vi raccontavo, non è in realtà la prima volta che lo leggo, e d’altronde ogni tanto sui libri più importanti bisogna ritornarci sopra, soprattutto perché a distanza di qualche anno ci si ricorda facilmente della tesi principale ma si tende – o almeno io tendo – a non ricordare del tutto lo stile, la forza con cui quella tesi viene portata avanti. Ebbene, Lettera a una professoressa, riletto oggi, mi pare risulti essere un libro estremamente duro, direi addirittura feroce, soprattutto poi se lo inseriamo nel contesto dei tempi in cui fu scritto. Il volumetto, infatti, venne pubblicato prima del ‘68, quindi anticipandone fortemente alcuni temi, in un’epoca però in cui ancora non era arrivata la contestazione e attaccare le autorità non era così scontato né semplice. Come ho già detto, la voglia di riprenderlo in mano è nata soprattutto per rispondere alle accuse che ancora oggi, a volte anche a sinistra, vengono rivolte al libro, soprattutto perché viene identificato come il simbolo che ha portato nella scuola italiana l'idea che la selezione sia un male, che si debba promuovere tutti, anche a scapito dei contenuti. È una lettura, a mio avviso, molto parziale del lavoro di don Milani; lavoro che, mi sembra di poter dire, non va preso come oro colato in ogni sua affermazione, ma piuttosto come un atto d’accusa, forse addirittura una provocazione, per costringerci a fare i conti con quello che abbiamo creato. È chiaro che ad un certo punto una certa selezione deve pure arrivare, se non vogliamo che in sala operatoria ad operarci ci siano delle persone completamente inadatte al ruolo, ma è vero anche che ci deve essere un livello di base garantito a tutti, che la scuola deve essere veicolo di emancipazione sociale e deve garantire realmente a tutti le stesse opportunità. E questo negli anni Sessanta obiettivamente non veniva fatto, e in parte, nonostante molti passi avanti, ancora oggi da questo punto di vista la nostra scuola presenta dei limiti. Su certe cose che sono scritte in Lettera a una professoressa, sono in forte disaccordo pure io, ma ciò non toglie che l'idea stessa che abbiamo di scuola in Italia sia ancora figlia di un sistema sostanzialmente classista, e perfino un po' fascista. Il professore continua ad essere visto da molti (professori stessi, genitori, alunni) soprattutto come un esaminatore più che come un educatore, soprattutto come una persona che è chiamata in qualche modo a punire più che a sollevare. Tutto questo lo si vede di nuovo proprio in questi giorni, nel dibattito sui voti alle elementari, mentre i paesi più avanzati da questo punto di vista riescono ad ottenere ottime performance nei test internazionali pur rinunciando quasi completamente ai voti. Da noi, invece, si cerca continuamente di fare marcia indietro, di tornare ai bei vecchi tempi, quando si bocciava di più e gli studenti (o almeno quei pochi che sopravvivevano alla scure della scuola) erano più preparati. Questa voglia di fare giustizia (sommaria) a colpi di 4 o di bocciature è uno dei difetti che pervade tutta la nostra società e che le impedisce di guardare veramente avanti. Quello che può uscire da questo tipo di scuola, d’altra parte, è un sistema solo fintamente democratico, in cui la maggioranza della gente non capisce niente di quello che conta davvero e si fa guidare dall'autorità. Il libro, se vi interessa, lo trovate qui.
All’arme! All’arme! I priori fanno carne! di Alessandro Barbero: Alessandro Barbero è forse la più grande star di tutti i tempi nel campo della storiografia italiana: ormai da 25 anni abbondanti svolge un ruolo a tutto tondo nel campo sia della divulgazione storica, sia però anche della ricerca, concedendosi pure, come se tutto ciò non bastasse, anche qualche scappatella di tanto in tanto nella narrativa. Di sicuro lo conoscete fin troppo bene e non c'è certo bisogno che ve lo presenti, ma è anche probabile che abbiate nel tempo comprato almeno un suo libro, che l'abbiate visto in almeno una trasmissione TV, che abbiate partecipato a una sua conferenza o che abbiate ascoltato un suo podcast. Può darsi però, proprio perché così impegnato nel campo della divulgazione più ampia, che non abbiate ancora letto uno degli ultimi saggi realizzati dal studioso piemontese, All’arme! All’arme! I priori fanno carne!, uscito l'anno scorso presso Laterza. L'opera è un racconto non troppo pesante né troppo tecnico di tre ribellioni che attraversarono l'Europa del Trecento e di cui tra l'altro abbiamo parlato ampiamente anche noi sul canale YouTube: la prima è la Jacquerie francese, la seconda la rivolta dei Ciompi a Firenze, la terza l’insurrezione inglese del 1381, e infine la quarta la meno nota rivolta dei Tuchini in Piemonte. Niente di particolarmente nuovo, in realtà, perché questi fenomeni sono stati già ampiamente studiati, ma Barbero riesce a metterli in un certo senso insieme, raccontandoli come evenienze di un unico grande fenomeno, e tra l'altro anche in parte interpretandoli come anticipazioni della lotta di classe ottocentesca. Dal punto di vista qualitativo, però, il libro si colloca un po' a metà strada, a mio avviso: è un po' troppo erudito per il grande pubblico dei curiosi, e forse un po' troppo divulgativo per il pubblico degli specialisti. Questo potrebbe forse essere un problema, perché non si capisce bene a chi si rivolge: forse potrebbe andar bene giusto per degli insegnanti delle medie o delle superiori, che magari non pratichino molto quella fase storica ma che abbiano bisogno di una bella rinfrescata. Ad ogni modo, come sempre, si tratta di un libro ben scritto e molto chiaro; tra l'altro si legge anche in fretta perché non è particolarmente corposo: in pochi giorni sono arrivato già oltre la metà. Se vi interessa, la potete acquistare qui.
Le sette morti di Evelyn Hardcastle di Stuart Turton: di Le sette morti di Evelyn Hardcastle vi ho parlato varie volte negli scorsi mesi, ricordandovi che è un libro che ho letto su invito di un mio studente, che l'aveva trovato interessante dal punto di vista filosofico. Finalmente sono riuscito a finirlo e forse ci ho messo un po' troppo per un thriller, segno che in effetti ad un certo punto la trama si è fatta anche interessante ma che a mio avviso la suspense non è sempre stata ben dosata dall'autore. L'idea di fondo è intrigante e, in effetti, un retrogusto filosofico ce l'ha eccome: Turton prova non solo ad immaginare un omicidio da risolvere, come avviene sempre nei romanzi gialli, ma decide di fare in modo che il detective non sia un personaggio qualsiasi, ma anzi neppure un vero e proprio personaggio chiaramente identificabile: Aiden, il protagonista attraverso cui seguiamo la storia, è infatti una sorta di spirito privo di corpo, che di volta in volta si incarna in uno dei personaggi che assistono all'omicidio di Evelyn. Non solo: queste incarnazioni non vanno in realtà avanti nel tempo, perché Aiden si trova a rivivere più volte la stessa giornata, quella della morte della vittima, incarnandosi in personaggi diversi e così rivivendo le stesse identiche scene più volte da diverse prospettive. Questo crea uno strano meccanismo spazio-temporale, perché il detective di fatto sa già quello che sta per fare una delle sue precedenti incarnazioni, e sa anche come agiranno altri personaggi prima ancora che questi agiscano. Viene quindi da chiedersi – e il tema in effetti viene esplorato ad un certo punto nel libro – se il protagonista sia libero di fare scelte diverse o se la sua avventura sia in qualche modo necessitata; se, cioè, egli è semplicemente un testimone che non può influire sugli eventi, o se almeno in linea teorica questi eventi li può cambiare facendo scelte diverse da quelle che ci si potrebbe attendere. Il tema è quindi, insomma, quello del libero arbitrio. Il romanzo è interessante e intrigante, ma devo dire che alla fine il libro non mi ha del tutto convinto, soprattutto perché questo spunto viene annacquato sotto a una coltre di eventi fin troppo fitta, con una serie di personaggi tra i quali è difficile orientarsi e fin troppi colpi di scena, creati ad arte con l'intento di rendere il libro più appassionante, ma che in realtà lo rendono inutilmente complicato. Insomma, un romanzo discreto ma che avrebbe potuto essere anche migliore di così, vista la validità dell'idea di partenza. Se vi interessa, lo potete acquistare qui.
Quello che ho visto
E ora passiamo ai film, con due pellicole tra loro molto diverse e una vecchia (ma importante) serie TV.
Monty Python's Flying Circus episodio 2.13 (1970), con John Cleese, Graham Chapman, Eric Idle: forse ricorderete che tempo fa ho parlato per varie newsletter dei Monty Python, visto che mi era venuta voglia di rivedere tutte le puntate del vecchio show degli anni Sessanta e Settanta, ora disponibili su Netflix. In realtà però alla fine avevo visto solo gli episodi della prima stagione, e mi rimanevano ancora le stagioni successive da vedere. Questa settimana, un po' per caso un po' per fortuna, mi è così venuta voglia di riprendere in mano la situazione, anche se per la verità ho finito per fare un po' di casino: invece di cominciare dal primo episodio della seconda stagione, complice il fatto che Netflix non sia troppo chiaro nell'ordine delle puntate, ho visto invece l'ultimo episodio della seconda stagione. Non che cambi poi molto: le puntate sono in realtà semplici raccolte di sketch tutti autoconclusivi, quindi le si può guardare anche in completo disordine senza neppure accorgersene. E infatti io non mi sono accorto di aver sbagliato l'ordine fino a questa sera, quando mi sono messo a scrivere le righe che state leggendo ora. In ogni caso, come sempre, la qualità di quegli sketch che hanno ormai più di cinquant’anni è straordinario. I motivi ricorrenti sono in questo caso due: da un lato l'idea che la regina si collegherà a vedere lo show e quindi tutti stanno durante le gag in attesa che arrivino notizie e che Elisabetta II cambi canale, creando una strana suspense; il secondo motivo ricorrente è quello del cannibalismo, tema sul quale i Monty Python elaborarono un paio di divertenti scenette di umorismo macabro. Insomma, guardatela nell'ordine che preferite ma la serie è prima o poi sicuramente da vedere.
Killers of the Flower Moon (2023), di Martin Scorsese, con Leonardo DiCaprio, Robert De Niro, Lily Gladstone: quando è uscito al cinema, qualche mese fa, me lo sono disgraziatamente perso, nonostante avessi una gran voglia di vederlo: come ho spiegato però altre volte, soffro la mancanza di un cinema in centro città e la durata ormai colossale di praticamente tutti i film mi rende difficile durante l'anno scolastico il riuscire ad andare veramente al cinema. Due ore e un quarto di film, a cui bisogna aggiungere almeno venti minuti di pubblicità, a cui bisogna aggiungere almeno svariati minuti per trovare parcheggio e per fare il biglietto, a cui bisogna aggiungere almeno venti minuti di strada per andare e altri venti per tornare, a cui bisogna aggiungere la necessità di coordinare gli orari di tutta la famiglia... Insomma, per vedere un film ci vogliono almeno cinque ore libere, se non di più, e tra sport dei figli, attività scolastiche e canale YouTube è praticamente impossibile trovarle, se non in estate. Per fortuna però ormai questi grandi film arrivano abbastanza presto anche in televisione, come dimostra appunto anche Killers of the Flower Moon, disponibile su Amazon Prime Video ormai già da qualche giorno. Il film molti di voi l’avranno già visto, ma per quei pochi che se lo sono perso forse è meglio raccontare brevemente la trama: tratto da una storia vera e ambientato nel Midwest americano degli anni Venti del Novecento, ha per protagonista un giovane reduce della Prima guerra mondiale che si stabilisce dallo zio, un ricco borghese che vive all'interno di una riserva indiana, riserva che è diventata improvvisamente importantissima perché lì è stato trovato il petrolio. Gli Osage sono quindi assai ricchi, ma non possono sostanzialmente amministrare da soli il denaro di cui dispongono, avendo tutto un complicato sistema di tutori; inoltre sono anche abbastanza ingenui e questo fa sì che tutta una serie di approfittatori cerchi in modo più o meno fraudolento di portar via il loro denaro. Uno dei sistemi più odiosi di sfruttamento, in cui si fa coinvolgere anche appunto il protagonista, è quello di uomini bianchi che iniziano a corteggiare giovani ragazze Osage, confidando nel fatto che queste hanno una speranza di vita piuttosto bassa (dovuta allo stile di vita dei bianchi): così le sposano, e quando queste ragazze si ammalano di diabete o cedono all'alcolismo, aspettano che muoiano per ereditarne i diritti sul petrolio. E quando non muoiono di cause naturali, alcuni accelerano il trapasso organizzando veri e propri omicidi. Nel giro di qualche mese, così, il numero di morti sospette all’interno della comunità sale esponenzialmente, almeno fino a quando non decide finalmente di intervenire l'FBI. Il film canta firme di eccezione: alla regia c'è un convincente e navigatissimo Martin Scorsese, mentre i due ruoli principali sono affidati a Leonardo DiCaprio e Robert De Niro, i due attori feticci del regista. E l’opera nel suo complesso è sicuramente molto riuscita, nonostante il genere del film di denuncia a volte risulti un po’ prevedibile e non lasci spazi a slanci registici o artistici. Tra tutte le scene, mi è piaciuto soprattutto il finale, con quella strana ricostruzione di una sorta di trasmissione radiofonica, con lo stesso Scorsese che legge l'ultimo spezzone del copione. Da vedere.
Il lungo addio (1973), di Robert Altman, con Elliott Gould, Nina Van Pallandt, Sterling Hayden: come forse vi sarete accorti, ci sono delle settimane in cui i miei figli non hanno vita facile: quando ne ho l'occasione, anche se ormai sempre più raramente, provo in modi più o meno subdoli a mettere in TV dei film di qualità, spesso anche molto vecchi. Lo faccio perché io stesso ho di solito voglia di vederli o rivederli, e perché penso che un buon film sia formativo per i giovani tanto quanto un buon libro. Certo l'impresa non è sempre semplice, perché bisogna almeno un pochino conquistarli, questi ragazzi, e fare in modo che la scelta del titolo da vedere sia almeno in parte anche il frutto di una loro libera scelta. Questa settimana sono riuscito in particolare a sfruttare Friends per vedere con loro un film che altrimenti non sarei mai riuscito a mostrare: scartabellando nel catalogo di Amazon Prime Video, mi sono infatti accorto che era disponibile Il lungo addio, film molto bello ma anche molto lento di inizio anni Settanta, diretto da Robert Altman e con Elliott Gould come protagonista. Ed è proprio qui che entra in gioco Friends: quando l'ho visto ho subito detto ai miei figli che era il film più famoso interpretato dal “papà di Ross”, perché appunto Gould è stato una guest star ricorrente di quella serie nei panni del signor Geller, il padre di Ross e Monica. Solo che, quando hanno acconsentito a vedere una sua interpretazione, si aspettavano probabilmente una commedia scanzonata e leggera, e non un noir sarcastico tratto da Raymond Chandler. Meglio così, visto che il film, nonostante una trama intricatissima, vanta pochi avvenimenti e un ritmo davvero lento, anche se è ancora oggi estremamente affascinante, e almeno a me è piaciuto molto. La trama, senza rivelare troppo, è questa: Philip Marlowe è un detective disincantato e stralunato che vive con un gatto un po' esigente dal punto di vista alimentare. Un giorno riceve improvvisamente la visita di un vecchio amico che gli chiede un passaggio fino a Tijuana, in Messico. Dopo averlo scortato fino al confine, però, Marlowe viene arrestato dalla polizia e messo in galera, sospettato di aver favorito la fuga di un omicida. Le indagini successive serviranno non solo a scagionare Marlowe dall'accusa, ma anche a scoprire che dietro a quella fuga c'è una macchinazione molto più grande del previsto. Tra l'altro, se lo guardate state attenti alla scena in cui il detective viene minacciato da un gangster che, assieme ai suoi scagnozzi, si denuda davanti a lui: proprio tra quegli scagnozzi potreste riconoscere un giovane culturista che altri non è che Arnold Schwarzenegger in una delle sue primissime apparizioni al cinema. Come detto, il film lo trovate su Amazon Prime Video.
Quello che ho pensato
La fine di febbraio rappresenta ormai per me da qualche tempo un momento un po' particolare. Esattamente quattro anni fa, alla fine di febbraio 2020, in Veneto scattava la chiusura delle scuole che avrebbe anticipato il celebre e famigerato lockdown che ci tenne tutti chiusi in casa per un paio di mesi. Forse ricorderete, infatti, che le prime zone d'Italia colpite dal virus furono all'epoca il bergamasco e la zona dei Colli Euganei, in particolare il paese di Vo’, non distante da casa mia; così il Veneto approfittò delle vacanze di carnevale per bloccare tutto, in maniera anche un po' improvvisa. Per quell'anno scolastico, in effetti, non saremmo più tornati a scuola: i miei studenti di quinta, per dire, li rividi di persona solo all'orale di maturità, a metà giugno.
Sembra passato un secolo, da quante cose sono successe da allora. Eppure proprio venerdì mattina una delle ragazze che all'epoca era in quinta è passata a trovarmi a scuola e a raccontarmi come procede con l’università, che ormai è già avviata verso la metà della magistrale. Tra l'altro, i legami tra allora e oggi, per me, sono resi ancora più intensi dal fatto che in quel febbraio 2020 proprio con quella quinta stavamo programmando il viaggio di istruzione a Berlino, viaggio che ovviamente poi saltò e che però stiamo per replicare quest'anno, ovviamente con due classi quinte completamente diverse (e con prezzi notevolmente più alti, purtroppo).
Ad ogni modo, l'anniversario torna utile anche per fare il punto sul canale YouTube: fu proprio in quel fine febbraio e inizio marzo 2020 che infatti decisi di mettermi a realizzare dei video, e poi più avanti dei podcast, per spiegare la storia e la filosofia online.
I ragazzi non li vedevamo più infatti di persona, ma avevamo subito iniziato, almeno nella mia scuola, a provare a contattarli in altro modo, prima tramite improvvisate mail, e perfino chat WhatsApp; poi tramite videoconferenze, anche se all'epoca la scuola non aveva ancora un abbonamento attivo in questo senso e quindi dovevamo procedere un po' a tentoni, sperimentando chiamate con Skype, con Jitsi, e con altri software simili.
Gli esiti di quelle prime videocall erano piuttosto tragici: alcuni studenti non avevano il wifi che arrivava fino in camera, o dovevano condividere il dispositivo con altri fratelli o sorelle; e in ogni caso la linea era sempre instabile, i microfoni non funzionavano mai bene e le cuffiette erano fallate. Divenne rapidamente chiaro che spiegare in quelle condizioni diventava difficile, e che ci sarebbe voluta qualche settimana prima di riuscire a fare qualcosa di decente.
Così io in particolare pensai che qualche video registrato potesse essere utile: in quel modo i ragazzi potevano fruire della lezione quando volevano, anche di pomeriggio, anche quando il computer o il cellulare non era occupato da un altro fratello; e potevano ascoltarmi coi loro tempi, mettendo in pausa il video quando la mamma entrava in camera a mettere via il bucato o il papà si voleva rilassare sul divano senza qualche intruso in salotto. I primi video se volete li potete recuperare sul canale: come noterete erano piuttosto spartani. Non avevo ancora imparato a parlare senza guardare continuamente il testo della lezione, l'illuminazione era tremenda, la telecamera insufficiente, l'audio assai lontano; ma nonostante tutti questi difetti i ragazzi sembravano apprezzare lo sforzo e le prime verifiche, ovviamente orali, diedero buoni risultati.
Tutti gli insegnanti all'epoca si lamentavano del fatto che gli studenti da casa potessero barare, ricevere suggerimenti o consultare gli appunti durante le interrogazioni, e sicuramente qualcuno si approfittava della situazione, ma io in realtà ero più sorpreso in positivo che in negativo, perché in una situazione del genere, di totale chiusura in casa, con la promozione già di fatto garantita dal ministero, mi aspettavo che molti ragazzi cedessero e smettessero di studiare, mentre mi accorgevo che in vari casi lo studio era diventato un modo per tenersi indaffarati, per non perdere il ritmo delle giornate. In certi casi diventava addirittura anche più solido e valido, come se i video permettessero loro di assorbire con più calma e in maniera più approfondita i contenuti delle lezioni.
L'anno scolastico successivo, nonostante il rientro in classe, la situazione fu comunque piuttosto caotica, come forse ricorderete: la campagna vaccinale doveva ancora partire e al primo caso di positività in classe si rimaneva di nuovo a casa, con lezioni che si alternavano tra la presenza e l'assenza; inoltre di tanto in tanto, quando l'indice dei positivi tendeva a salire, le scuole ritornavano a chiudersi e così per mesi e mesi alternammo lezioni in presenza, bardati di mascherine e distanziamento, ad alte lezioni a casa, nello stile dell'anno precedente.
I video, insomma, continuarono ad essere funzionali e io continuai a farli, cercando anche nel frattempo di migliorarne la qualità e soprattutto anche di coprire un po' alla volta tutto il programma: avere un vero e proprio archivio di lezioni già filmate poteva infatti tornarmi incredibilmente utile perfino in una situazione di normalità, sia per fornire un po' di materiale agli alunni assenti, che magari, isolati in casa, potevano recuperare autonomamente una parte delle lezioni, sia per permettere loro di recuperare un passaggio che magari non avevano completamente capito in classe.
Ma soprattutto, nel 2021 ho iniziato a rendermi conto di come questo progetto interessasse non solo i miei studenti, ma sempre più persone: i numeri del canale cominciavano infatti a crescere in maniera anche piuttosto decisa, e soprattutto iniziavano a scrivermi persone di altre parti d'Italia, anche studenti universitari e appassionati di età più avanzate, a volte perfino dall'estero (forse vi stupirà sapere che c'è una cospicua comunità di ascoltatori latinoamericani che studiano e imparano l'italiano anche tramite le mie lezioni, cosa che all'inizio mi ha sorpreso tantissimo soprattutto considerando il fatto che non ho certo una parlata degna di un insegnante di dizione).
Su quello che è avvenuto dopo credo che non ci sia bisogno di spendere troppe parole, visto che se siete abbonati a questa newsletter probabilmente la storia già la conoscete fin troppo bene. Dopo quattro anni però forse è anche venuto il momento di fare il punto su quello che ho imparato da questa esperienza, che certo non finisce qui ma che mi ha permesso di apprendere qualcosa di nuovo e inatteso sul mondo della scuola, sul mondo di internet ma anche in generale su tante persone che gravitano attorno alla storia e alla filosofia.
Molto schematicamente, ecco le cose principali che mi pare di aver imparato dopo quattro anni filati su YouTube:
la storia e la filosofia interessano, anche e soprattutto al di là della scuola, anzi la scuola tende purtroppo a volte ad uccidere quella passione;
la filosofia può parlare a tutti, non serve essere liceali;
il 100% delle critiche che ricevo sono completamente inutili e non centrano mai il bersaglio;
le critiche veramente sensate sono finora sempre state poste con modi garbati e non erano neppure delle vere critiche, ma delle opinioni sui temi trattati;
mai rispondere a commenti deliranti che ti chiedono un confronto, perché dal delirio non si esce.
Commentiamoli un attimo, questi punti. I primi due sono quelli più importanti a mio avviso. Dopo 4 anni e migliaia (forse addirittura decine di migliaia) di messaggi ricevuti e letti, posso dire che secondo me ci sono poche materie che hanno tanto successo anche al di fuori della scuola come la storia e la filosofia. E il motivo è facilmente comprensibile: la storia e la filosofia parlano della vita. Parlano del nostro posto nel mondo, delle nostre passioni e dei nostri errori, e non smettono di raccontarci chi siamo.
La storia – quella vera, quella ben fatta – a ben guardare è bella come un romanzo, ma senza finzioni, senza un lieto fine posticcio: ci mostra tutti i nostri fallimenti ma anche tutte le nostre aspirazioni, tutte le faticose strade intraprese, sotto diversi punti di vista. Ci si può immedesimare nei destini di tanti uomini e di tante donne, vederne lungo il tempo il pensiero, il sentimento, il dolore.
La filosofia ci fornisce uno sguardo più teorico, ci disegna mondi che ancora non esistono, che a volte ci affascinano e spesso ci spaventano. Ma anche in quei disegni astratti e profondi vediamo la traccia di quest’uomo che cerca di trovare un senso nella propria esistenza, vedendo, come in uno specchio, gli sforzi di centinaia di grandi pensatori che – magari meglio, magari più profondamente – sono simili anche agli sforzi che facciamo noi a sera, quando ci corichiamo a letto e pensiamo a dove siamo e dove stiamo andando.
E queste cose non lasciano indifferenti, queste cose interessano tutti. Non importa che siano difficili, non importa che i video siano da un’ora o pensati per gente che studia e che prepara interrogazioni o esami: anche gli appassionati li seguono, prendono appunti, ripassano e ripetono, quasi fossero ancora tra i banchi di scuola. Io non credo che la matematica, il latino, la fisica, la chimica – materie nobilissime e importanti – riescano a conquistare così tanti cuori lontano dalla scuola. È un pregio non indifferente, e anche una responsabilità.
Arriviamo però anche al punto 3 e 4 dell’elenco, quello più delicato: le critiche. Come avrete letto, oso sostenere che il 100% delle critiche sia inutile. Attenzione: non sto parlando dell’atto della critica in sé, ma solo delle critiche che ricevo io su YouTube, quelle esplicite, che sono davvero una pura perdita di tempo. Dalle critiche che compaiono su YouTube non ho imparato mai nulla: se YouTube togliesse completamente i commenti negativi ai video, i dislike e tutte le cose simili, sarebbe solo un vantaggio per tutti. (Non sto parlando ovviamente delle domande e dei commenti positivi, che non c’entrano col tema)
Lo so che può sembrare una posizione estrema e anti-democratica, ma non è in realtà così. E il punto 4, quello in cui parlo delle critiche efficaci, credo lo dimostri. Quelle che compaiono sotto ai post di YouTube (ma lo stesso vale, temo, per ogni social network) non sono critiche nel senso più nobile del termine: sono modi per sfogarsi, per scaricare un po’ di bile. E in effetti, in quattro anni di video (e 1.402 video realizzati, al momento in cui scrivo), non riesco a ricordare nemmeno una critica esplicita che non fosse offensiva, gratuita o, nel migliore dei casi, stupida.
Per fortuna non sono tante, ma sono comunque una peggio dell’altra: c’è chi dice che sono brutto e che assomiglio a una scimmia; chi che balbetto (per carità, a volte m’impappino, ma non è certo una critica costruttiva da farsi, o fondata sui contenuti); chi che sono un venduto all’Occidente; chi che non capisco niente, che sono un cretino o decerebrato; chi che è meglio se sto zitto, o che è meglio se non mi occupo di un certo tema; chi addirittura arriva a dire “Se questo è lo stato della scuola italiana, poveri ragazzi!” (spesso anche con qualche imprecisione o errore grammaticale, cose che sono direttamente proporzionali all’assurdità del commento); chi che sono troppo mainstream (dove mainstream significa che mi baso sulle fonti invece che inventarmi le ricostruzioni per compiacere l’odio dell’ascoltatore), eccetera.
Se non avessi mai letto quei commenti, se non ne avessi letto nemmeno uno, per me non sarebbe cambiato niente; anzi, in molti casi sarei stato meglio, il mio umore sarebbe stato più sereno. Non c’è stato un consiglio che fosse uno, in quei commenti, che mi abbia portato a migliorare i miei video. La loro utilità (anche per YouTube, intendo) è pari a zero.
D’altronde, perché uno si dovrebbe prendere la briga di mettersi a scrivere qualcosa di negativo o di critico sotto a un video YouTube da un’ora? Anch’io incappo in video che non mi piacciono (perché magari li trovo scadenti, o poco obiettivi), ma se questo accade non sto certo a guardarmelo fino alla fine: lo lascio molto prima, in cerca di qualcosa di migliore. E poi, soprattutto, non mi passa neppure per la mente di offendere chi quel video lo ha fatto, visto che quasi sempre è una persona che agisce in buona fede e cerca di fare del suo meglio. Se è davvero un imbecille, mi fa soprattutto pena e non mi vien voglia di infierire, e quindi passo oltre.
Al di là del fatto che io sia o meno un imbecille, dunque, i commenti di YouTube fungono per alcuni da puro sfogatoio, da luogo in cui dare adito alle proprie frustrazioni contro una persona invisibile, che sta chissà dove, lontana, senza patire alcuna conseguenza per le proprie azioni.
Le critiche, quelle vere, quelle costruttive e utili, trovano spazio altrove: via mail, di persona, oppure anche nei commenti, ma in commenti in cui non c’è, palese, un intento critico. I consigli migliori, i rilievi più efficaci su qualche errore commesso sono arrivati da persone che apparentemente non mi stavano criticando, ma mi stavano solo ponendo domande. Da quelle domande, però, emergeva che su alcuni punti ero stato effettivamente poco chiaro, oscuro, o a volte avevo commesso anche errori da sistemare. Il bello, però, è che quei commenti e messaggi non sembravano critiche: erano educati, a volte perfino pieni di complimenti.
Quindi il riassunto dei punti 3 e 4 potrebbe anche essere questo: se uno è maleducato, puoi star sicuro che quello che dice è una scemenza, utile solo a se stesso, a cercare soddisfazione per la propria rabbia; se invece è educato e non sembra criticarti, può darsi che dica qualcosa di molto utile e colpisca davvero nel segno. E questo ha anche un’altra interessante implicazione: siate educati, perché la buona educazione aiuta il pensiero e l’espressione.
L’ultima cosa che ho imparato è una diretta conseguenza di tutto questo: come si fa a gestire i “commenti tossici”? Semplice: li si ignora completamente. Se volete il mio consiglio basato sull’esperienza, eccolo: non vi passi mai per la testa di rispondere a qualcuno che commenta con rabbia qualcosa che avete scritto, detto o fatto, né in modo negativo né per provare a parlarci. Con chi ha voglia di sfogarsi non si parla, lo si evita. Perché se iniziate a parlarci, vi trascina giù con lui, nel fango, nell’irrazionalità pura, nel delirio. Quando la gente è arrabbiata – magari neppure con voi, ma col mondo – non è disponibile davvero al confronto, a creare qualcosa di costruttivo. È gente da evitare e basta: la vita è troppo breve per perdere tempo inutilmente.
E questo, insomma, è quanto. Quattro anni che mi sono serviti a trovare speranza per il futuro, per le materie che insegno e per tutta la gente che un po’ alla volta se ne appassiona, ma anche che mi sono serviti a imparare a sopravvivere in quella giungla che è il web. E ora vediamo cosa avranno da regalarci i prossimi mesi e anni.
Quello che ho registrato e pubblicato
Facciamo ora il punto sui video e sui podcast che sono usciti negli scorsi sette giorni:
Scovare le fallacie con Sherlock Holmes: "Argomentare, Watson!" di Eugenio Radin: una bella chiacchierata con un giovane autore e filosofo
Le risposte alle domande frequenti (FAQ): visto che il canale compie quattro anni, una sorta di guida per muoversi al suo interno
Ockham: anima, etica e politica: concludiamo il percorso su Guglielmo di Ockham, parlando anche di Chiesa e di Impero
Deus sive natura per Spinoza (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
Spinoza contro il finalismo (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
Lo sviluppo economico di fine Ottocento (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che devi fare per seguirmi sui social
Ah, prima di dimenticarci vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
Il canale YouTube | Instagram | Facebook | Twitter/X | TikTok | Threads
Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono gli abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
Verità e metodo di Hans-Georg Gadamer: avrete forse sentito parlare di ermeneutica, in campo filosofico. Ebbene, il testo fondamentale per capire di cosa si tratta (anche se non facilissimo) è Verità e metodo di Gadamer, che oggi finisce inevitabilmente per diventare il nostro libro della settimana. Il volume conta quasi 1.200 pagine, ma lo si porta a casa a un prezzo tutto sommato accessibile: poco più di 40 euro; e può essere una buona sfida per chi vuole saperne di più di interpretazione e di sviluppo di alcune idee poste da Heidegger. Lo potete acquistare qui.
sui social questa settimana ho segnalato come al solito diversi libri appena usciti che mi paiono interessanti, una sorta di “lista della spesa” che dovrebbe rivelarsi utile anche in primis per me. Ecco i volumi, se ve li siete persi (se vi interessano, cliccate sopra alle immagini per altre informazioni):
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Quello che c’è in arrivo
Chiudiamo come sempre con una carrellata sui video in arrivo nei prossimi giorni. Tra l’altro, mercoledì partirò per una gita scolastica, ma ho già preparato tutto per fare in modo che i video e i podcast continuino ad uscire (salvo imprevisti tecnici). Ecco cosa c’è in cantiere:
domani arriverà il podcast storico dedicato a Giolitti;
mercoledì sarà la volta di uno short (o reel, che dir si voglia) incentrato sul Test della stanza cinese di Searle;
giovedì dovrei riuscire a far uscire un video sulla filosofia e l’economia di Adam Smith;
venerdì e sabato toccherà di nuovo ai podcast, con Spinoza e ancora Giolitti;
domenica se tutto va bene arriverà un video di storia antica;
e lunedì prossimo forse sarà la volta di un nuovo capitolo della storia dei consumi.
Questo è tutto anche per questa settimana. Come detto ora mi aspetta la preparazione della valigia, visto che tra un giorno si parte per Torino, tra Museo del Risorgimento, Museo del Cinema, Museo Egizio e tutto il resto. Noi ci rivediamo comunque qui, puntuali, lunedì prossimo. Buona settimana!
Professore , hon ho seguito la vicenda della manifestazione a Pisa e la sua rpressione da part e dei polizotti . Non credo si possa dire che i commentatori che hanno difeso la polizia lo hanno fatto perche' i manifestanti erano filo-palestinesi , della parte politica contraria .
Prima di tutto propongo di provare a chiedersi , suggerisco un paio di domande :
i manifestanti hanno seguito le indicazioni , le regole stabilite in una manifestazione o
sono usciti dalla direzione assegnata ?
Da chi era composta la manifestazione ? C erano tra i manifestanti persone filo Hamas
che inneggiavano allo slogan atroce "Palestina libera dal mare alle montagne" con il quale
si vuole affermare in modo maligno che lo Stato di Israele dovrebbe essere cancellato?
Hanno trasceso o ecceduto , nel loro comportamento verso la polizia?