Gioia e dolore tra il Sol dell'avvenire di Nanni Moretti, l'intervista di Michela Murgia, la chimica di Primo Levi e Il mito di Sisifo di Camus, ma parlando anche di Guardiani della Galassia e IA
La newsletter di oggi può sembrare particolarmente “metafisica”. Se siete partiti infatti dal titolo, vi siete resi conto della portata dei temi che vorrei affrontare oggi con voi: senso della vita, senso della morte, suicidio, Olocausto e chi più ne ha, più ne metta. Roba da far tremare i polsi.
A mia discolpa, devo dire che i temi non sono tutti farina del mio sacco: questa settimana ho fatto letture e visioni che mi hanno inevitabilmente portato verso questo esito. E sarebbe stato piuttosto stupido cercare di scappare da un tema che così prepotentemente è balzato alla mia attenzione.
Cercherò, ad ogni buon conto, di non essere troppo retorico e di mantenere il discorso ad un livello accettabile per una e-mail. E poi, ad alleggerire il tutto, troverete comunque anche discorsi più semplici, visto che ho avuto modo di occuparmi anche di altro, in primis del film che sta andando per la maggiore in questi giorni, Guardiani della Galassia vol.3. Cominciamo.
Quello che ho letto
Partiamo come sempre dai libri. Come noterete, questa settimana in lista c'è un classico che ci abbandona, perché l'ho concluso, e ci sono però anche ben due libri dedicati al futuro tecnologico che ci attende.
Il sistema periodico di Primo Levi: in effetti, questa settimana ho finito di leggere la bella raccolta di racconti intitolata Il sistema periodico, di cui vi ho parlato anche nelle settimane scorse. Il libro mi è molto piaciuto, come era prevedibile: Primo Levi non è stato solo un grande testimone dell'Olocausto, ma anche un grande narratore, dotato tra l'altro di un'ottima capacità di introspezione e di analisi, che riusciva a mostrare senza appesantire mai i suoi testi. Rispetto a Se questo è un uomo, il libro più famoso dello scrittore torinese, qui i temi sono più ampi: si parla anche della Shoah e della lotta partigiana, ma quasi di sfuggita, visto che il vero tema è lo sviluppo di una vita da chimico. Come già vi avevo anticipato, i vari racconti portano infatti tutti il titolo di un elemento della tavola periodica e sono da questo elemento ispirati, a volte in maniera più netta, a volte quasi di striscio. Ordinati cronologicamente, presentano però sotto traccia anche lo sviluppo umano di Levi, da figlio di una famiglia ebrea piemontese a studente, a professionista (pur nelle difficoltà delle leggi razziali), a partigiano, a deportato, a sopravvissuto e reduce nell'Italia del boom economico. Scorrendo con la memoria i vari racconti, non si può non intuire anche lo sviluppo della stessa Italia, il passaggio dal fascismo alla Repubblica, da un'economia ancora tutto sommato arretrata o primitiva al capitalismo avanzato. Il tutto, ovviamente, condito da storie umane se non umanissime, da divertimenti e dolori, da cose buffe e cose tragiche. Segnalo inoltre che, nella mia edizione, è presente anche, in chiusura, una bella intervista a Levi effettuata a suo tempo da Philip Roth, altro grandissimo scrittore, capace di indagare anche sul senso più profondo di queste storie. Consigliatissimo, un vero capolavoro che potete comprare qui.
Etica dell’intelligenza artificiale di Luciano Floridi: di Etica dell'intelligenza artificiale, il saggio di Floridi uscito ormai qualche mese fa, stiamo parlando da diverso tempo. La lettura, d'altra parte, è piuttosto complessa e necessita anche di lunghe pause. In questi ultimi giorni però la sto portando avanti soprattutto confrontando le posizioni del filosofo italiano con quelle di David Orban, autore di Singolarità, libro di cui vi parlerò più nel dettaglio nel prossimo punto. I temi trattati dai due libri sono, d’altronde, molto simili: il problema è infatti quello dell'avanzamento tecnologico e delle prospettive che il futuro ci pone davanti agli occhi e con cui dobbiamo iniziare a fare i conti. Diverso però è l'approccio agli stessi problemi che i due mettono in campo: pur mostrando entrambi di conoscere bene l'argomento e di comprendere potenzialità e limiti dello sviluppo tecnologico, si sente anche il diverso campo di azione. Floridi infatti vanta una lunga esperienza all'interno di commissioni e gruppi di studio che hanno cercato di valutare l'impatto di queste nuove tecnologie soprattutto sul piano etico, fornendo consigli e raccomandazioni ai vari governi e alle varie organizzazioni sovranazionali per cercare di farsi trovare pronti anche dal punto di vista legislativo davanti alle domande del futuro; Orban, invece, ha un approccio più imprenditoriale o tecnologico, interessato quindi a trovare un equilibrio tra sviluppo e problematiche sociali. L'esito è che Floridi tende ad essere più cauto rispetto a tante questioni, con l'approccio cioè di chi si trova addentro a tante questioni e sa anche stemperare i toni davanti alle previsioni riduttive o apocalittiche. Un approccio che personalmente, anche per la mia indole, mi piace e che trovo in fondo saggio, soprattutto in tempi in cui ci si lascia facilmente catturare da improvvide esaltazioni o da ancora più scivolose preoccupazioni. Penso che la filosofia, almeno in certe fasi storiche, serva anche a questo: a placare l'aspetto emotivo e a ragionare a mente fredda davanti ai vari problemi. Un libro quindi molto tecnico, forse solo per specialisti, ma comunque raccomandato per la capacità di presentare tanti diversi problemi con la consapevolezza e la calma dei forti. Lo potete comprare qui.
Singolarità di David Orban: come già in parte ho anticipato, il libro di Orban ha un approccio in parte diverso rispetto a quello di Floridi. Il saggista di origini ungheresi (ma italiano da molto tempo) ha infatti un fine molto specifico con questo libro – che tra l'altro è uscito qualche anno fa e si è rivelato particolarmente in anticipo sui tempi –: quello di farci capire che il futuro arriverà più in fretta di quanto ci aspettiamo, che i problemi che esso ci procurerà non sono qualcosa di remoto e distante da noi ma saranno all'ordine del giorno nel giro di poco tempo. Una buona parte del libro, almeno fin dove l’ho letto io, è infatti dedicata alla velocità con cui le innovazioni si impongono, alle curve esponenziali che in certe fasi, magari solo momentaneamente, l’innovazione tecnologica riesce a cavalcare grazie a precisi meccanismi di condivisione del sapere e di accumulazione della ricerca. Già questo di per sé sarebbe piuttosto interessante e ci permette di comprendere meglio come funzionino la scienza e soprattutto la tecnologia contemporanee; ma in più Orban applica tutto ciò appunto all'intelligenza artificiale, o meglio alle superintelligenze, osando spingersi abbastanza avanti nel futuro e prospettando le possibilità ma anche le difficoltà che queste superintelligenze ci proporranno. Anche in questo caso si tratta di una lettura stimolante e intrigante, anche piuttosto semplice perché si tratta di un testo comunque divulgativo, che riesce a rendere accessibili dei temi complessi. Se siete curiosi di sapere cosa forse ci aspetta in futuro, probabilmente è il libro che fa per voi. Potete acquistarlo qui.
Quello che ho visto
Per quanto riguarda i film, come ho anticipato anche sui social network, questa settimana il menù è particolarmente ricco: sono andato ben due volte al cinema, rubando tempo alla scuola e ai video, ma direi anche che ne è valsa la pena.
Guardiani della Galassia vol.3 (2023), di James Gunn, con Chris Pratt, Zoe Saldana, Dave Bautista: quando uscì il primo film della serie dei Guardiani della Galassia, come vi raccontavo anche la settimana scorsa, rimasi molto colpito. Per la prima volta i film Marvel sembravano protagonisti di una svolta, capaci anche di prendersi un po' in giro. Ogni prodotto seriale, a ben guardare, attraversa un percorso infatti di questo tipo: prima si costruisce il mito, o quello che dovrebbe essere il mito, e poi si comincia a dissacrarlo. Così è stato anche, a mio avviso, per il Marvel Cinematic Universe: prima si sono innalzate le storie edificanti dei personaggi principali, dei pezzi da novanta di quell'universo narrativo; poi si sono cominciati ad introdurre personaggi che non solo non avevano la stessa caratura morale dei primi, ma ne rappresentavano quasi la parodia. Ricorderete, spero, come iniziava la prima scena della saga di cui parliamo oggi: con Starlord, il vero leader del team, impegnato in una banale operazione di furto compiuta ballando sulle note di un classico anni '70, Come and Get Your Love dei Redbone. Più che un eroe, sembrava un ladruncolo di quart’ordine, incapace di farsi prendere sul serio perfino da chi gli dava la caccia. Poi, ovviamente, lo scopo del film era quello di dimostrarci che la nostra prima impressione era infondata, ma l'idea che Peter Quill e i suoi compagni fossero dei reietti, degli antieroi, tutto il contrario cioè di Capitan America e di Iron Man rimaneva continuamente nell'aria. Quella saga, almeno all'inizio, portò insomma un po' di aria fresca in un universo narrativo che cominciava a prendersi un po' troppo sul serio. I film successivi non sono stati capaci di replicare secondo me quella stessa atmosfera, se non solo in parte. E anche questo terzo capitolo, che risulta tutto sommato godibile e divertente, non riesce veramente a rinnovare l’impianto generale. Si badi bene: tutti quelli che hanno visto il film e con cui ho parlato mi hanno detto di essere usciti dalla sala pieni di entusiasmo e adrenalina, e li si può ben capire. Infatti gli elementi per conquistare lo spettatore ci sono un po' tutti: c'è l'antagonista malefico e maledetto, ci sono gli eroi che rischiano continuamente la vita, c’è – sottolineato e ribadito più volte – il sacro valore dell'amicizia che prevale su tutto, ci sono infine perfino gli animali da salvare. Insomma, un film del genere non può non piacere. Ma proprio questo secondo me è il suo principale difetto: è un po' troppo piacione, un po’ troppo calcolato visto che non c’è niente fuori posto. Il bello del primo film della saga è che costituiva anche un rischio: James Gunn e la Marvel non sapevano se la loro idea avrebbe colpito nel segno, se il loro piano di rovesciare le carte in tavola sarebbe stato ben accolto dal pubblico. Con il Volume 3, invece, mi pare si sia voluto giocare veramente sul sicuro, senza prendersi nessun rischio. Si è riproposta la formula degli altri film, addirittura potenziandola invece che rinnovarla: ci sono molte più canzoni, ci sono una marea di citazioni (perfino della creazione di Michelangelo) e autocitazioni (dal primo episodio), e perfino i personaggi più arcigni si sciolgono. Troppo buonismo e troppe scelte facili, per farla breve. Un film più che discreto, quindi, ma non indimenticabile. O almeno questa è la mia opinione (che i miei figli, esaltati, rigetterebbero sicuramente e rispedirebbero al mittente); e voi, che ne pensate, se l’avete visto?
Il sol dell’avvenire (2023), di Nanni Moretti, con Nanni Moretti, Margherita Buy, Silvio Orlando: sono finalmente riuscito ad andare a vedere anche l'ultimo film di Nanni Moretti, di cui si è discusso molto in queste settimane su praticamente tutte le testate italiane. Il film era atteso non solo perché Moretti è uno degli ultimi autori del nostro cinema, ma anche perché pareva essere un ritorno all'antico: dopo tante pellicole drammatiche o tratte comunque da storie poco personali, Il sol dell'avvenire prometteva di essere una storia maggiormente comica e disincantata, capace di rinverdire i fasti delle prime grandi opere del regista romano, come Ecce Bombo, Bianca o Palombella rossa. È stato anche per questo che ho voluto a tutti costi riuscire a vedere il film in questi giorni. In una mia vecchia bio che ha girato a lungo online (e che probabilmente si ritrova ancora, a cercarla), anni fa scrivevo: «Ermanno “scrip” Ferretti vive tra Roma e Vienna (nel senso che abita più o meno a metà strada tra le due) e di mestiere fa l’insegnante. Ha una moglie e quattro figli. Ama il primo Nanni Moretti, il primo De Gregori, i primi R.E.M., i primi Belle and Sebastian, i primi Baustelle e il primo Nick Hornby. Pensa che i geni, quindi, dovrebbero morire a 40 anni. Ovviamente non si considera un genio». Insomma, in un certo senso Nanni Moretti, o meglio il giovane Nanni Moretti, è stato uno dei miei miti adolescenziali: credo di aver visto Ecce Bombo non meno di 20 o 25 volte, e lo stesso si può dire di sicuro anche per Bianca; tra le 10 e le 15 volte credo d’aver visto Caro diario e Palombella rossa; forse al di sotto delle 10 volte ci sono solo Sogni d'oro, La messa è finita, Aprile, Io sono un autarchico. Dopo è arrivato La stanza del figlio, e da lì in poi mi è sembrata che si fosse chiusa un’era: forse ero cresciuto e cambiato io, forse – anzi, probabilmente – Moretti sembrava aver finito di avere cose da dire su un certo aspetto della sua vita, e le nostre strade si sono da lì in poi praticamente divise. Ho continuato a guardare i suoi film, ma con sempre minore interesse, vedendoli sempre meno al cinema, e sempre meno volte. L’apice è stato toccato forse con Tre piani, il film del 2021 che non ho ancora visto. Insomma, quando ho letto le prime recensioni di questo nuovo lavoro mi sono fatto subito entusiasmare, ma avevo anche un po' di paura di rimanere deluso. Per mia fortuna, non è stato così. Il film non è propriamente una commedia, ma più che altro una pellicola dolceamara; è un Moretti più maturo, che ritrova in parte il se stesso giovanile (perfino rimpiangendolo, da come la vedo io) ma che sa anche fare i conti con quello che è diventato. Come dirò più avanti nella sezione Quello che ho pensato, i temi del film non sono certo leggeri: la sconfitta, la lotta tra amore e politica, il suicidio, la depressione, l’incapacità di creare rapporti duraturi. Però il tutto viene virato, come nelle sue migliori pellicole, da una voglia di vivere che mi sembra mancasse in altri film, da un entusiasmo, da una leggerezza e da una voglia di prendersi in giro che mi erano mancate. Insomma, Il sol dell’avvenire mi è piaciuto, e anche tanto. Non so se può essere apprezzato da tutti, ma da chi ha amato Moretti, il primo Moretti, e anche da chi ha amato Fellini e tanto buon cinema, sicuramente sì. Se siete fortunati, lo dovreste trovare ancora nelle sale.
Only Murders in the Building episodio 2.04 (2022), di Steve Martin e John Hoffman, con Steve Martin, Martin Short, Selena Gomez: con una discreta lentezza, sto continuando a vedere anche le puntate della seconda stagione di Only Murders in the Building, la serie TV un po' crime e un po' commedia che ha raccolto molti consensi da parte della critica americana. In effetti gli elementi per renderla interessante sono parecchi: in primo luogo i due protagonisti, vecchi comici che però si trovano calati in un vero e proprio mistero giallo di difficile risoluzione. In ogni puntata il mistero si fa più fitto, visto che i dettagli che vengono forniti allo spettatore non aiutano affatto la risoluzione dell'enigma ma finiscono per complicarlo ulteriormente. Se poi i protagonisti sembrano essere dei completi imbranati, l'effetto risulta straniante e divertente allo stesso tempo. Non nascondo, ad esempio, che in questo quarto episodio mi sono pure messo a ridere sguaiatamente in un paio di occasioni, rimanendo comunque con una gran curiosità di sapere chi è il colpevole dell'omicidio al centro della trama. Giocare sui due registri ovviamente non è molto facile, ma bisogna anche ammettere che Steve Martin sembra rendere piuttosto bene in questo formato, più di quanto non abbia fatto in altre occasioni. Lui e Martin Short, con il valido apporto di Selena Gomez a fare da contraltare giovanile, riescono ad incidere particolarmente anche perché in fondo finiscono per giocare sulla loro stessa fama e sui loro stessi difetti, prendendosi in giro da soli e rendendo il prodotto più maturo di quanto possa sembrare a prima vista. La serie la trovate, se vi interessa, su Disney+.
Quello che ho pensato
Ho pensato a lungo a come scrivere le righe che sto per scrivere, perché non vorrei sembrare irrispettoso o inconsapevole dell'altra faccia della medaglia. Però è un discorso che sento di dover fare, che è figlio di tutta una serie di riflessioni che sto portando avanti da tempo, E che però proprio questa settimana hanno avuto un ulteriore slancio. Il tema è semplice e abissale: vale la pena vivere?
Albert Camus, all'inizio del suo celebre Il mito di Sisifo, si poneva proprio questa domanda, affermando che l'unico vero tema filosofico è proprio quello del suicidio. Alla fine di tutta la sua lunga riflessione concludeva che, nonostante l'assurdità dell'esistenza e nonostante il fatto che noi assomigliamo tremendamente a una persona costretta a portare inutilmente e infinitamente un masso lungo una salita, valesse la pena di esistere. Come ha rimarcato una mia brava studentessa proprio in questi giorni: «Bisogna immaginare Sisifo felice».
Io però non penso che Camus avesse compreso tutto. È vero: a volte la vita è una lunga serie di drammi, di fatiche, di insensatezze. È un cammino che non ti porta da nessuna parte, e, nonostante questo, ti fa soffrire come se invece fosse la più lunga delle maratone. Ma in ogni maratona c'è una sorta di bellezza, se la si riesce a cogliere; in ogni sofferenza c'è anche una luce di speranza. Non c’è bisogno di immaginarselo: può essere così anche nella realtà.
Vi cito solo qualche esempio preso da letture e film delle ultime settimane. Partiamo da Primo Levi, lo scrittore italiano che forse più di ogni altro ha saputo cosa significa soffrire. La sua esperienza del campo di concentramento è una delle più nitide e vivide grazie al suo celebre racconto Se questo è un uomo. Allo stesso tempo, però, Levi non si è fermato a quell'esperienza: è ritornato a casa e ha saputo raccontarla, in un certo senso anche staccandosi da essa, almeno fino ad un certo punto. Poi ha saputo trovare anche il lato buffo e tenero dietro alla sua tragedia, raccontandolo in La tregua e in parte anche ne Il sistema periodico, la raccolta di racconti che proprio questa settimana ho finito. Nell'edizione in mio possesso, come ho scritto anche sopra i racconti originali sono seguiti da una intervista che a fine anni '70 il grande scrittore americano Philip Roth fece proprio a Levi, commentando il libro. In quello scambio di battute, Roth riusciva a fare un'analisi molto illuminante non solo dei racconti ma anche dell'atteggiamento di Primo Levi, sottolineando che perfino nel campo di concentramento lo scrittore italiano era stato un chimico, uno scienziato, e che proprio questa sua natura professionale lo aveva almeno in parte salvato, non tanto perché, com’è ovvio, gli aveva permesso di evitare la camera a gas, ma anche perché gli aveva dato una chiara visione delle cose, una consapevolezza metodica che costituiva d'altra parte la sua natura. Ebbene, proprio l'essere un chimico, l'amore per la scoperta e per i misteri della materia hanno in parte salvato Primo Levi, lo hanno reso un uomo non solo segnato dal dolore, ma anche capace di scherzare, ridere e avere momenti felici.
Il secondo spunto viene dal film di Nanni Moretti, Il sol dell'avvenire, altra opera di cui vi ho già parlato qualche paragrafo più sopra. Anche qui tutto l'equilibrio sembra essere giocato tra depressione e gioia, tra dolore e slancio vitale. Finalmente, dopo tanti anni, il regista romano sembra tornare a una commedia, almeno in apparenza, anche se in realtà tutto il film è segnato profondamente dal dolore: il dolore della repressione politica e della conseguente crisi interiore; il dolore della fine di una relazione di coppia; il dolore dell'estraniamento dei figli; il dolore di un mondo e di un cinema che non vanno come si vorrebbe. Nella scena in cui compare il tema del suicidio, non c'è in fondo nulla di strano o fuori dal tono generale della pellicola: il suicidio sembra davvero essere almeno in parte l'epilogo di una storia segnata da un certo male di vivere. Ma in mezzo a tutto questo c'è la risposta di Moretti, che poi rappresenta anche il senso ultimo della pellicola: sì, nella vita e nel mondo c'è tanto dolore, nella vita e nel mondo ci sono profonde ingiustizie, ma per fortuna la speranza riesce sempre a superare tutto. E la speranza, appunto il sole dell'avvenire, rimane presente fino all'ultimo giorno, perché ogni giorno ne ha sempre uno davanti a sé che si può sperare essere migliore del precedente.
Moretti sintetizza questa sensazione in una serie di immagini molto dolci, a tratti esaltanti e a tratti anche commoventi: i momenti in cui si lascia trascinare dalla musica e si mette a cantare o ballare assieme alla sua troupe; i momenti in cui ricorda il passato, tramite quella sorta di film nel film in cui racconta la storia d'amore di due ragazzi degli anni '70; i momenti in cui, come nel finale che omaggia Fellini ma anche la stessa storia di Moretti, si concede anche un amarcord, guardando al proprio passato con nostalgia ma anche con orgoglio, pensando che in fondo in mezzo ai dolori ci sono stati anche tanti momenti felici che vale la pena rievocare e celebrare. Il sol dell'avvenire è una vera e propria messa solenne in favore della felicità che sta sempre avanti a noi, che magari non raggiungiamo mai ma che ci spinge nonostante tutto ad andare ancora avanti. Non è vero, dunque, che la vita è solo un masso da portare in salita: la vita è un masso da portare in salita sapendo però che in cima a questa salita c'è qualcosa che ci attira, che ci lancia una promessa, che ci fa sperare. Magari quella cima non la raggiungeremo mai, o una volta raggiunta ci deluderà, ma la cima esiste, l’utopia e il sogno stanno sempre là davanti.
L'ultimo spunto viene da Michela Murgia. Forse avrete letto la forte e dolorosa intervista che la scrittrice ha rilasciato proprio in questi giorni al Corriere della Sera (la potete leggere qui). Parla anche molto del suo ultimo libro e della sua famiglia, ma il tema principale è la morte, visto che ha annunciato di avere un tumore al quarto stadio. Ci sono un paio di frasi che meritano di essere riportate per intero. La prima è questa: «Ho cinquant’anni, ma ho vissuto dieci vite. Ho fatto cose che la stragrande maggioranza delle persone non fa in una vita intera. Cose che non sapevo neppure di desiderare. Ho ricordi preziosi». La seconda arriva alla fine dell’intervista: «Me ne andrò piena di ricordi. Mi ritengo molto fortunata. Ho incontrato un sacco di persone meravigliose. Non è vero che il mondo è brutto; dipende da quale mondo ti fai».
Non è vero che il mondo è brutto, dice una scrittrice che è stata amata e odiata da molti e che sta sostanzialmente morendo, a cui rimane pochissimo da vivere, ad un'età comunque precoce. Non è vero che il mondo è brutto; dipende da quale mondo ti fai.
In realtà, ovviamente, è più complicato di così: il mondo non te lo fai mai da solo, te lo fanno anche gli altri, te lo fanno anche le circostanze. Ma la lotta di ogni individuo è quella per diventare veramente padroni del proprio mondo. La libertà non è altro che questo: non dover subire il mondo, ma poterne essere artefici.
Non è sempre facile essere liberi, e le circostanze rendono più semplice ad alcuni raggiungere questo scopo che ad altri. Certo la Murgia non ha avuto una vita semplice: è noto il suo complicatissimo percorso lavorativo, sono note le sue battaglie e i suoi problemi, la sua esposizione mediatica. Ma, pur tra tutte queste difficoltà, si è creata alla fine il mondo che voleva.
Moretti quel mondo se lo è creato al cinema, coi sogni e coi ricordi, perché in fondo ogni film non è altro che un rimescolamento di tutto questo: di quello che ti è accaduto e di quello che vorresti accadesse. Sogni e ricordi sono sempre l'elemento cardine di tutti i film di Moretti: slanci utopici e un passato con cui fare i conti, magari da trasfigurare e da cui trarre il meglio, come dice lui stesso ad un certo punto dell’ultima pellicola.
Ma sogni e ricordi sono stati anche il carburante di Primo Levi, a ben guardare, nel bene e nel male: i ricordi dolorosissimi di Auschwitz, ma anche della sua famiglia, degli anni di studio, dei primi lavori, da lui stesso raccontati in Il sistema periodico. E, allo stesso tempo, i sogni: i voli della fantasia con cui raccontava ad esempio, proprio nell'ultimo racconto del libro, la storia di un atomo di carbonio.
La vita a ben guardare pare proprio essere questo: sogni e ricordi, futuro e passato. Quello che ci manca sempre è il presente, perché il presente è, come diceva Camus, un masso che portiamo in salita. Ma al masso non ci vogliamo pensare ed è bene in fondo non pensarci: pensiamo a quello che ci attende in cima alla montagna, magari illudendoci che sia qualcosa di buono quando invece non c'è nulla, oppure pensiamo a quello che abbiamo lasciato dietro di noi, al percorso già fatto.
Sono forse queste le uniche chiavi di una vita ben vissuta? Bei ricordi e bei sogni? A me pare forse di sì.
Quello che ho registrato e pubblicato
Facciamo ora anche il punto su tutti i video e i podcast che sono usciti questa settimana:
Tutto Spinoza in un’ora: la filosofia di Spinoza è una delle più interessanti dell’età moderna, e vale la pena di ripassarla assieme
Come organizzo il mio tempo: gli abbonati mi hanno chiesto di spiegare come gestisco gli impegni e le cose da fare. Ecco la mia spiegazione
Corso di logica 3 - I connettivi logici: nuova puntata del nostro corso di logica, in cui parliamo di connettivi e tavole di verità
Storia dei consumi 2: una nuova mentalità: i consumi divennero di massa quando cambiò anche la mentalità dei cittadini: ecco come
Praga e la sua cultura: seconda diretta dedicata alla capitale ceca, con un occhio di riguardo alla sua storia culturale
La filosofia della natura di Telesio (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
Le mosse di Cavour e dei repubblicani (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che devi fare per seguirmi sui social
Ah, prima di dimenticarci vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
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Il mito di Sisifo di Albert Camus: forse ricorderete che di questo libro vi ho già parlato, se siete abbonati da lungo tempo a questa newsletter, qualche mese fa. Oggi però passo a consigliarlo come volume immancabile nella vostra biblioteca, un po’ perché l’abbiamo citato ampiamente nella sezione Quello che ho pensato, un po’ perché è davvero un classico, uno di quei libri che servono per capire non solo la filosofia, ma anche più in generale il sentire dell’uomo del Novecento. Il tema centrale, come scritto altrove, è il suicidio, ma letto attraverso diversi stimoli, prospettive e perfino suggestioni letterarie. Lo si può acquistare qui.
Fotografia di viaggio con smartphone per principianti: tutti noi facciamo viaggi e cerchiamo di immortalare quello che vediamo; da quando esistono gli smartphone, anzi, portiamo a casa centinaia se non migliaia di foto, consapevoli che ormai le immagini sono praticamente gratuite. Questo però non vuol dire che tutti questi scatti siano validi, o degni di essere conservati: anche per fare belle foto con lo smartphone serve, infatti, un po’ di preparazione. Questo corso Domestika vi aiuta a capire come fare e come ottimizzare i vostri scatti in viaggio, tramite 15 lezioni a meno di 15 euro complessivi. Lo trovate qui.
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Se poi non volete né leggere, né fare corsi, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Quello che c’è in arrivo
Chiudiamo come sempre anche con una veloce anticipazione dei video a cui sto lavorando e che, se tutto va bene, dovrebbero uscire sul canale la prossima settimana:
domani, in primo luogo, dovrebbe arrivare un video su Tocqueville che hanno richiesto in molti;
poi vorrei cominciare la lettura di un nuovo testo per la serie Book Club storico-filosofico: il celebre Sulla libertà di John Stuart Mill;
arriverà poi probabilmente anche un video sulla guerra civile siriana, per chiudere la serie sulla Primavera araba;
mi piacerebbe quindi anche fare un nuovo riassunto da un’ora, questa volta dedicato alla Guerra Fredda;
per quanto riguarda i podcast, infine, inizieremo a parlare di Tommaso Campanella in filosofia e della Seconda Guerra d’Indipendenza in storia.
E questo è tutto. La scuola ormai si avvia verso la fine, visto che tra sette giorni sarà già metà maggio: ci rivediamo qui allora. A presto!