I debiti del fascismo e di Mussolini verso una certa impostazione filosofica, dal taxi di Jafar Panahi al finale di Stranger Things, da Poirot al novello Mr. Bean
Gli esami di Stato stanno proseguendo in tutta Italia, in questi giorni. Anzi, in alcuni casi stanno già finendo: i risultati cominciano ad uscire, stando a quello che mi scrivono i miei molti “studenti virtuali” in giro per l’Italia. Nel mio caso, mancano solo gli studenti reali: la mia quinta comincerà gli orali domani, martedì, e io ovviamente sarò lì ad ascoltarli e valutarli. Incrociamo le dita.
Per il resto, ci stiamo addentrando sempre più risolutamente all’interno dell’estate; io sto cercando di realizzare sempre più video e podcast per “portarmi avanti” e poter andare tranquillamente in vacanza con un bell’archivio di materiale pronto da condividere mentre sarò via. Spero di riuscirci, anche perché ho voglia di staccare un po’, almeno per qualche giorno.
Intanto dedichiamoci qui, come al solito, alle letture, alle visioni e alle riflessioni della settimana.
Quello che ho letto
Ho finito – credo a tempo di record, perché ho letto ben 850 pagine in meno di un mese – il primo volume di M., la monumentale opera storico-letteraria di Antonio Scurati; e, come vedrete, questo argomento ha catturato anche lo spazio della riflessione della settimana. Mi sono però portato avanti anche con altre letture interessanti.
Building a Second Brain di Tiago Forte (2022): di questo libro vi ho parlato per la prima volta la settimana scorsa. È un saggio, per ora presente solo in lingua inglese, in cui l’esperto Tiago Forte presenta il suo metodo per “costruire un secondo cervello”, cioè per organizzare un sistema di note che ci permetta di ricordare quello che vediamo, leggiamo, pensiamo. È un argomento he mi interessa molto, anche perché – come è facile immaginare, vista la mole di video e di lezioni che realizzo – io uso già da tempo un sistema più o meno organizzato per gestire i miei appunti digitali. Leggere il libro, quindi, mi serve soprattutto per trovare nuovi spunti per far meglio. Devo dire che finora qualche idea l’ho anche trovata, ma in realtà si tratta perlopiù di cose che già più o meno faccio e che forse, in questo modo, farò con ancora maggior convinzione. Poi ho anche l’impressione che il succo del libro potesse essere condensato in un quarto delle pagine e che ci sia molto “sbrodolamento”, come a volte avviene con questi manuali tecnici che in realtà sono degli articoli “allungati” o “annacquati”. Comunque sono già ai due terzi, presto lo finirò. Se vi interessa e se siete digiuni della materia, lo potete comprare qui, ma attenzione perché, come ho detto, è disponibile per ora solo in inglese.
M. Il figlio del secolo di Antonio Scurati (2018): come già annunciato, l’ho finito. Un volume pieno, intenso, importante. Sì, è vero: qua e là c’è qualche inesattezza, qualche piccola svista. Mi pare che sia il segno, però, soprattutto di un lavoro di editing non pienamente all’altezza, anche perché si tratta di piccoli difetti che possono essere facilmente corretti nelle edizioni successive. Quello che rimane, però, è una ricostruzione che dal punto di vista storico risulta altamente interessante. Uno dei difetti anche degli studiosi più grandi è, infatti, quello a volte di perdersi nei propri discorsi, di non riuscire a dare facilmente un quadro unitario delle questioni che affrontano, e così facendo di non riuscire a comunicare al grande pubblico. Per gli specialisti questo non è un grande problema: chi conosce già abbastanza bene i vari periodi storici è in grado di sopportare un certo grado di tecnicismo e arrivare bene al nocciolo delle questioni. Per i neofiti, però, i saggi di storia spesso risultano molto ostici e dispersivi. Mi sembra che M. Il figlio del secolo, che sicuramente non è un saggio storico e non porta nulla di nuovo nella conoscenza di Mussolini e dei primi anni del fascismo, riesca però a restituire quella dimensione narrativa che altrove manca. Insomma, un’opera di divulgazione che forse era necessaria e che tutto sommato mi pare condotta anche bene. A me il libro è piaciuto, direi addirittura molto: lo troverei perfetto, ad esempio, per uno studente che, finite le superiori, voglia approfondire e capire un po’ meglio il fascismo, senza per forza buttarsi su saggi di livello universitario. Lo si compra qui.
Aiuto, Poirot! di Agatha Christie (1923): come vi ho raccontato un paio di settimane fa, ho cominciato ad ascoltare con i miei figli, in auto, l’audiolibro di Aiuto, Poirot!, secondo romanzo di Agatha Christie con il celebre detective belga come protagonista. Un paio di lunghi viaggi in macchina ci hanno permesso ormai di arrivare a metà della storia, che procede in modo molto classico, con la solita serie di indiziati, le prove e le controprove, le deduzioni di Poirot e qualche colpo di scena. Il libro in realtà l’avevo già letto molti anni fa, ma non mi ricordo quasi nulla (al momento, non ricordo nemmeno chi sia l’assassino, e questo ovviamente rende il libro ancora piacevole); unica cosa che invece ricordavo piuttosto bene, le figure da completo allocco di Hastings, la spalla di Poirot. Se vi interessa, lo trovate qui.
Quello che ho visto
Parliamo anche di qualche film e soprattutto di qualche serie TV. La novità della settimana è stata l’uscita delle ultime due puntate della quarta stagione di Stranger Things, che i miei figli mi hanno ovviamente obbligato a vedere subito. Ma nell’elenco qui di seguito si parte in realtà da qualcosa di meno “pop” e più intellettuale.
Taxi Teheran (2015), di Jafar Panahi, con Jafar Panahi, Hana Saeid, Nasrin Sotoudeh: cominciamo appunto con questo film iraniano di qualche anno fa, disponibile su Amazon Prime. Il regista è Jafar Panahi, uno dei più importanti cineasti asiatici, la cui storia però è molto particolare. Allievo del celebre Abbas Kiarostami, dal 2010 è in lotta oramai esplicita col governo del suo paese, che l’ha più volte arrestato e poi gli ha proibito di realizzare film, accusandolo di propaganda anti-governativa. Le ultime pellicole, quindi, sono state girate in condizioni di emergenza, in maniera abusiva, facendole poi circolare all’estero tramite il contrabbando. Taxi Teheran appartiene proprio a questo filone: non a caso è un film particolarissimo, registrato tutto all’interno di un taxi con una semplice telecamera montata sul cruscotto. Il tassista è lo stesso Panahi, che incontra, nel suo giro lungo le strade di Teheran, diversi personaggi che discutono di scene di vita quotidiana ma anche, indirettamente, della situazione iraniana, tra povertà, censura, violenza, fondamentalismo, contrabbando, voglia di libertà. Molto bella, ad esempio, la parte in cui Panahi dà un passaggio a un venditore abusivo di film e serie TV americani, che smercia in giro Woody Allen e The Big Bang Theory. Un film piccolo, forse, ma molto umano.
Stranger Things 4.08-4.09 (2022), dei fratelli Duffer, con Millie Bobby Brown, Sadie Sink, David Harbour: vista l’attesa (soprattutto di mia figlia, che aspettava con ansia questa stagione da almeno un paio d’anni), in questi giorni ho dovuto vedere anche gli ultimi due episodi di Stranger Things, resi disponibili da Netflix. Non farò particolari spoiler, soprattutto perché mi pare ci sia in verità anche poco di interessante da dire sulla trama: gli ultimi due episodi, per quanto finalmente un po’ più tesi rispetto ai precedenti, non portano a conclusione praticamente nessuna storyline sospesa. Queste nove puntate che si sono fatte così tanto attendere, per dirla più brutalmente, sembrano semplicemente una preparazione per la stagione 5; si spera solo di non dover aspettare altri tre anni per la conclusione. Comunque, nota di merito a chi ha scelto e integrato le canzoni nella trama: sia Running Up That Hill che Master of Puppets ci stavano molto bene e sono forse la cosa più riuscita di questo revival. Per il resto, nonostante qualche buon momento, mi sembra che la formula dei fratelli Duffer stia diventando un po’ stantia.
Man vs. Bee 1.01 (2022), di Rowan Atkinson e Will Davies, con Rowan Atkinson: questa settimana ho guardato, tra le altre cose, anche l’episodio pilota di questa nuova miniserie con Rowan Atkinson, disponibile anch’essa su Netflix. Atkinson è famoso in Italia soprattutto per aver interpretato e dato via al personaggio di Mr. Bean, o al limite come Johnny English; e bisogna dire che, anche se qui interpreta un ruolo diverso e nuovo, lo stile è rimasto praticamente lo stesso. Il dialogo è ridotto al minimo (giusto all’inizio della prima puntata, per presentare la situazione e i limiti imposti dalla stessa), mentre grande spazio è lasciato alla comicità più fisica. La miniserie si compone di 9 episodi di durata abbastanza contenuta: non so se riuscirò a convincere la famiglia a vedere anche i seguenti, ma secondo me potrebbe non essere male. Per ora il pilota lascia ben sperare.
Quello che ho pensato
Cambiamo, ora, completamente argomento. Questa settimana, infatti, il mio pensiero non è stato catturato da serie horror o comiche, ma è andato a soffermarsi perlopiù su diverse questioni inerenti lo Stato.
Come avete visto dalle letture e dalle visioni (e come vedrete anche dai video in preparazione, che usciranno nei prossimi giorni), questa è stata una settimana molto più “fascista” (per interesse di studio, intendo) del solito. Da un lato, infatti, ho finito il bel romanzo di Antonio Scurati dedicato ai primi anni del fascismo e all’ascesa al potere di Mussolini; dall'altro ho preparato una lezione (che uscirà nei prossimi giorni su YouTube) su Giovanni Gentile e sul suo modello di Stato corporativo. Se poi tutto questo non bastasse, ho visto Taxi Teheran, che non parla certo di fascismo ma si concentra comunque su una dittatura (religiosa) attuale, e ho preparato una lezione riassuntiva su Hegel, in cui inevitabilmente toccavo anche proprio il tema dello Stato.
Alla base di tutte queste diverse suggestioni, mi pare, c’è una visione comune: quella dello Stato come di un’entità che si erge al di sopra dei cittadini, che vuole guidarli, che vuole plasmarli, che vuole convincerli, che vuole unirli. Meglio ancora: che pretende di guidarli verso il bene. È lo Stato etico, come spesso lo si etichetta; quello che Gentile e il fascismo chiamavano Stato corporativo. Insomma, alla base di queste degenerazioni dello Stato potrebbe esserci anche molta filosofia.
D’altra parte, molto si è discusso – e in parte discuterò anch'io nel video su Gentile – ad esempio sui rapporti tra quest'ultimo e il regime fascista. Che Gentile abbia aderito in prima persona e assai nettamente al regime è indubitabile; il dubbio è se però tutta la sua filosofia sia ascrivibile a una forma di fascismo oppure no.
Certo, capire il pensiero al riguardo di Gentile è importante, ma il problema non è nemmeno solo lui. Al di là di Gentile, vorrei infatti provare ad allargare un po' il discorso portando in un certo senso sul banco degli imputati – oltre al filosofo siciliano – anche il suo collega Benedetto Croce e il maestro ideale di entrambi, Georg William Friedrich Hegel.
I tre hanno tra loro notevoli differenze se si va a guardare le rispettive speculazioni (e ne ho anche parlato, in vari video). Ci sono però, ovviamente, anche parecchi punti di contatto, tanto che vengono non per nulla tutti e tre ascritti alla stessa corrente, quella dell'idealismo. Quello che hanno in comune è soprattutto l'impostazione generale del loro pensiero, una impostazione che riporta, con accenti diversi, a preferire sempre l'idea sul concreto, il totale sul particolare, l'infinito sul finito, come già aveva notato Feuerbach. Questa impostazione, che si ritrova per la verità già in Fichte, è tipica del Romanticismo e delle sue declinazioni più tarde, che arrivarono in Italia anche nel Novecento; tipica cioè di un movimento secondo il quale la carne non valeva nulla quando era contrapposta allo spirito, il finito era troppo riduttivo, la scienza era il rifugio di chi non sapeva volare più in alto con la fantasia.
Tutte idee, queste, per certi versi anche nobili, che tra Ottocento e Novecento hanno prodotto anche tanta meravigliosa poesia; tutte idee che hanno prodotto anche notevoli movimenti politici, segnati da slanci ideali enormi, come quelli legati al Risorgimento italiano: per patrioti come Mazzini o Garibaldi, l'idea di Italia era superiore al destino del singolo italiano e chiedeva dunque adesione ideale e spirito di sacrificio.
Gli esiti, a livello di filosofia politica, di quest’impostazione generale non potevano, a ben guardare, essere però troppo diversi da quelli a cui approdarono Hegel e Gentile (e, con toni diversi, Croce). Se il tutto è superiore alla parte, allora anche lo Stato deve necessariamente essere superiore ai cittadini che lo compongono; se l'astratto è superiore al concreto, allora bisogna individuare un certo “spirito della nazione” che deve prevalere sugli interessi economici e materiali dei cittadini e delle associazioni di categoria; se l'infinito è superiore al finito, allora non si deve varare una politica che guardi al breve volgere di pochi mesi, ma ad una serie di iniziative che prospettino il futuro della nazione nei millenni.
L’esito a me pare abbastanza inevitabile: uno Stato antiliberale. Il liberalismo è l’esatto opposto di tutto questo: privilegia sempre i singoli e i loro interessi economici, convinto che da questi interessi economici possa nascere equilibrio; limita i poteri di chi governa; rifiuta le assimilazioni, la riduzione a uno, convinto che i poteri vadano il più possibile divisi e non accentrati. D’altronde, il liberalismo era figlio dell’Illuminismo; l’idealismo invece derivava dal Romanticismo, che, per molti versi, può essere visto come una parziale reazione all’Illuminismo.
Nelle proposte politiche dei filosofi idealisti si ritrovano, bene o male, tutte le idee che abbiamo visto (con l’unica parziale eccezione di Benedetto Croce, in cui c’è un tentativo di fusione con alcuni elementi liberali). Idee che, almeno a parole, riecheggiano – in maniera macabra, a rileggerli oggi – anche nei primi discorsi che Benito Mussolini teneva, da capo del fascismo ed aspirante dittatore, al Parlamento italiano, all’inizio degli anni '20.
Mussolini, come già D'Annunzio poco prima di lui, esaltava l'idea, e la contrapponeva agli interessi piccoli, di parte; anche Mussolini esaltava la nazione, una nazione che doveva dominare il mondo, secondo un compito che le era stato affidato da millenni, rifiutando di accapigliarsi sulle minute questioni di ogni giorno; anche Mussolini affermava che il singolo doveva essere sacrificato per il bene del tutto.
Certo, il futuro duce del fascismo lo faceva con ben altri toni, più enfatici e violenti; segno però non di una diversa visione del mondo, ma, mi sembra, di spunti che si erano ormai incancreniti, volgarizzati; ma pur sempre di spunti di quella risma.
Cito solo alcuni passaggi, che ho ripreso in mano proprio dopo la lettura di M. Il figlio del secolo, ma che sono comunque piuttosto noti. Vengono tutti dal celebre Discorso del bivacco, con cui Mussolini presentò il suo primo governo, nel novembre 1922, dopo la marcia su Roma. In quell’occasione affermava, tra le altre cose: «Ora è accaduto per la seconda volta, nel volgere di un decennio, che il popolo italiano – nella sua parte migliore – ha scavalcato un Ministero e si è dato un Governo al di fuori, al di sopra e contro ogni designazione del Parlamento». Il che equivale a dire che il popolo – non una parte, ma il popolo tutto – è superiore al Parlamento e alle sue divisioni. Come se il popolo fosse un corpus unitario, un soggetto vivo e pulsante.
E poi ancora: «Ho costituito un Governo di coalizione e non già coll’intento di avere una maggioranza parlamentare, della quale posso oggi fare benissimo a meno, ma per raccogliere in aiuto della Nazione boccheggiante quanti, al di sopra delle sfumature dei partiti, la stessa Nazione vogliono salvare». Di nuovo: la Nazione sopra ai partiti, come se la Nazione (qualcosa di astratto) fosse un elemento unico, fuso, unitario.
Poi più avanti, parlando di economia: «Chi dice lavoro, dice borghesia produttiva e classi lavoratrici delle città e dei campi. Non privilegi alla prima, non privilegi alle ultime, ma tutela di tutti gli interessi che si armonizzano con quelli della produzione e della Nazione». L’interesse della Nazione, ancora una volta, sopra all’interesse delle parti.
E poi, sempre nello stesso discorso, Mussolini diceva anche: «Lo Stato non intende abdicare davanti a chicchessia. Chiunque si erga contro lo Stato sarà punito. Questo esplicito richiamo va a tutti i cittadini, ed io so che deve suonare particolarmente gradito alle orecchie dei fascisti, i quali hanno lottato e vinto per avere uno Stato che si imponga a tutti, dico a tutti, colla necessaria inesorabile energia. Non bisogna dimenticare che al di fuori delle minoranze che fanno della politica militante ci sono quaranta milioni di ottimi italiani i quali lavorano, si riproducono, perpetuano gli strati profondi della razza, chiedono ed hanno il diritto di non essere gettati nel disordine cronico, preludio sicuro della generale rovina». Lo Stato non abdica, lo Stato è superiore. Ed entra in gioco perfino il concetto di “razza”.
Infine: «Il nostro Governo ha basi formidabili nella coscienza della Nazione ed è sostenuto dalle migliori, dalle più fresche generazioni italiane. Non v’è dubbio che in questi ultimi giorni un passo gigantesco verso la unificazione degli spiriti è stato compiuto. La patria italiana si è ritrovata ancora una volta, dal nord al sud, dal continente alle isole generose, che non saranno più dimenticate, dalle metropoli alle colonie operose del Mediterraneo e dell’Adriatico. Non gettate, signori, altre chiacchiere vane alla Nazione. Cinquantadue inscritti a parlare sulle mie comunicazioni, sono troppi. Lavoriamo piuttosto con cuore puro e con mente alacre per assicurare la prosperità e la grandezza della Patria». Sono le ultime parole del discorso, ancora un richiamo all’unità (degli spiriti, tanto per essere più chiari), alla Nazione, alla Patria; agli ideali più che alle divisioni.
Non stupisce che in quegli anni discorsi come questo (che oggi sono ricordati come discorsi violenti e per certi versi anche turpi) ricevessero il plauso costante di Giovanni Gentile, che vedeva anzi nel Duce del fascismo il principale artefice di una nuova idea dell'Italia che si sposava quasi perfettamente con l'idea che il filosofo aveva in mente. E non stupisce neppure che, almeno fino al 1925, anche lo stesso Benedetto Croce non risparmiasse elogi a Mussolini. Scurati stesso cita più volte le interviste di allora di quello che era considerato uno dei leader intellettuali del liberalismo italiano. Verso la fine di M. Il figlio del secolo, si legge: «Benedetto Croce, capofila del pensiero liberale, rilascia un’intervista in cui spiega le ragioni della sua scelta. Premesse alcune critiche, confessati un paio di rimpianti, sfogata qualche nostalgia per il buon tempo andato, il grande filosofo liberale ribadisce la sua scelta a sostegno del fascismo. Il fascismo, dice, non è una infatuazione o un giochetto, il fascismo ha risposto a seri bisogni e fatto molto di buono. Non bisogna lasciar disperdere i suoi benefici e tornare alla fiacca inconcludenza che lo ha preceduto. Il fascismo è giunto al potere tra gli applausi e il consenso della nazione, ora i suoi esponenti migliori hanno la possibilità di confermare “il fattore politico forte e salutare di cui sono portatori”. Il cuore del fascismo, proclama Croce, è l’amore della patria italiana, è il sentimento della sua salvezza».
Come ci si potesse dire liberali ed applaudire all'uomo forte e violento che esaltava la Nazione rimane un mistero tutto italiano, paese in cui si è confuso spesso il liberalismo con un banale conservatorismo.
Al di là delle polemiche su quegli anni, che pure sono importanti, rimane comunque un problema: quegli applausi a Mussolini erano contingenti, cioè erano frutto solo di quella particolare situazione storica, oppure l'idealismo portava in sé i germi del fascismo? Detta in altri termini: Hegel era un maestro della reazione? Gentile fu il teorico principale del fascismo?
È una domanda che si sono posti in molti, alla quale però non sempre si trovano risposte sincere. Gli ammiratori di Hegel o comunque quelli che hanno qualche debito verso l'idealismo tendono a sminuire le responsabilità di questi filosofi, mentre allo stesso tempo quelli che invece utilizzano un approccio opposto (gli empiristi, ad esempio, o gli scettici) tendono invece ad esaltare quelle responsabilità.
In questo caso a me pare che la risposta più corretta stia nel mezzo. È decisamente eccessivo affermare che Gentile fosse il padre del fascismo o che il sistema gentiliano non potesse portare ad altro che alla violenza mussoliniana. Anzi, a essere pienamente sinceri, né Gentile e né tantomeno Croce hanno mai giustificato, nelle loro riflessioni filosofiche, alcun tipo di violenza, rigettando il dispotismo ed insistendo invece su una qualche forma di libertà, anche se all'interno uno Stato forte.
Allo stesso tempo, però, non si possono nascondere i rischi della loro impostazione di partenza. L'idea di fondo è quella, come dicevamo, dello Stato etico, di uno Stato che cioè lui solo può portare gli uomini verso il bene. Se si parte da questa impostazione, i rischi si fanno molto pesanti: a furia di parlare di Nazione e di Patria, ci si dimentica i singoli. E si ammette che i singoli possano tranquillamente morire (o veder calpestati i loro diritti) per il bene della Nazione. Critiche queste comprese bene dall’anarchismo, da Popper, in parte anche da Arendt e da Marx (pur con qualche contraddizione).
In Iran non la pensano molto diversamente, quando tolgono la parola a un regista: la compressione dei suoi diritti è necessaria per non creare divisioni all’interno del popolo. In vista di un bene superiore (che poi viene sempre deciso da chi è già al potere), si può giustificare qualsiasi angheria; in vista del trionfo dell’Idea (che può essere religiosa, filosofica, patriottica, razziale, a seconda dei casi) bisogna imporre dei sacrifici, bisogna mettere in conto qualche vittima. E le vittime sono sempre quelli che non si adeguano all’unità, quelli che – col loro perenne andare controcorrente – rischiano di spezzare l’unità della nazione.
Ci sarebbe ancora molto altro da dire, ma per oggi mi fermo qui: gli spunti di riflessione sono fin troppi. Casomai ne riparliamo.
Quello che ho registrato e pubblicato
Non manca, come al solito, il catalogo dei video e dei podcast della settimana. Eccolo.
Tutto Hegel in un’ora di lezione: per chi lo sta ripassando in vista dell’esame, ecco un video da un’ora con tutto quello che di importante c’è da sapere sulla filosofia di Hegel
L’antico Egitto: economia e colture: iniziamo a presentare anche la civiltà egizia, partendo dalla geografia e dall’economia
Il piccolo principe - Audiolibro spiegato parte 4: concludiamo la lettura integrale e commentata del capolavoro di Antoine de Saint-Exupéry
Storia della politica estera italiana 2 (1870-1914): seconda puntata della serie sulla nostra politica estera, in cui si parla soprattutto di Triplice Alleanza
La pre-Scolastica e Giovanni Scoto Eriugena (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
La prova ontologica di Anselmo d’Aosta (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
I sovrani illuminati in Europa (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che facciamo vi piace e volete darci una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che abbiamo implementato per voi. C’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal e, infine, ci sono libri e videocorsi che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco i nostri consigli della settimana.
La sola colpa di essere nati di Liliana Segre e Gherardo Colombo: si tratta del libro che è stato citato in una delle tracce della recente prova di italiano all’Esame di Stato. Tratta il tema della discriminazione razziale, che può sembrare abusato, oramai; ma lo fa con uno stile semplice ma non banale, colloquiale (i due autori dialogano tra loro) ma allo stesso tempo foriero di importanti riflessioni sulla giustizia e la legalità. Costa poco meno di 13 euro nell’edizione cartacea, ancora meno in quella digitale. Lo si compra qui.
Scrittura creativa: come sbloccare e innescare idee: la creatività è spesso difficile da attivare; ci si può trovare bloccati, fermi, immobili. Per fortuna ci sono delle metodologie per dare una svolta a quelli che sembrano essere dei vicoli ciechi. Questo corso – composto da 13 lezioni a meno di 20 euro – permette di impararle e sperimentarle. Lo si acquista qui.
Se poi non volete né leggere, né fare corsi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Cosa c’è in arrivo
Per chi ama gli spoiler, ecco i video e i podcast in lavorazione in questi giorni, che quindi dovrebbero uscire nelle prossime giornate:
uscirà un secondo video sulla storia dell’Egitto, questa volta focalizzato sui vari regni che si alternarono;
inizierà anche una serie di educazione civica focalizzata sull’Unione Europea;
arriverà il terzo video di filosofia su Giovanni Gentile e in particolare il suo stato etico, come già anticipato;
vorrei anche cominciare a parlare di D’Annunzio in chiave storica;
nel campo dei podcast filosofici concluderemo il discorso su Anselmo;
per quanto riguarda i podcast di storia, infine, chiuderemo la pagina dell’illuminismo e ci concentreremo sull’Impero Ottomano.
E questo è quanto. Appuntamento, sempre qui, tra una settimana.