I metodi drastici in educazione tra ecologisti, Dario Nardella e cellulari, ma parliamo anche di LOL, Wu Ming, La terra dei figli, Socrate, Pascal, Cusano, Grosso guaio a Chinatown e Accademie varie
Ultimamente scrivo abbastanza poco sui social network, se non per ricordare l'uscita di un qualche video o di un podcast. Questa settimana però ho fatto decisamente varie eccezioni, perché sono accaduti diversi eventi che mi sembravano significativi.
A parte la festa del papà, che ha un significato ovviamente più intimo, direi che il centro focale degli ultimi giorni sono state le interviste e gli incontri. Forse avete già letto quello che ho scritto su Twitter, Facebook o Instagram, ma credo valga la pena, in apertura anche a questa newsletter, di riprendere alcune di quelle cose.
In primo luogo, appunto, le interviste: questa settimana ne ho sia fatte che “subite”. Nel primo caso, sto proseguendo quel lavoro di cui vi ho già parlato qua e là negli scorsi mesi, legato al centenario della mia scuola: assieme a un gruppo di volenterosi ragazzi sto infatti intervistando ex docenti, ex presidi e soprattutto ex studenti ed ex studentesse del mio liceo, per creare una sorta di archivio di memorie in formato video sulla scuola dei tempi che furono. In questo modo ho potuto ascoltare storie tra loro diversissime, anche se con alcuni tratti ricorrenti; storie di normalità e di successi, di fatiche e di scoperte. Ma questa settimana una storia in particolare mi ha colpito: ho intervistato due signori, marito e moglie, nati nel 1929, che frequentarono la scuola quindi tra il 1943 e il 1948. Come è facile immaginare, di storie loro ne avevano a bizzeffe, a tratti anche commoventi. Ne ho parlato anche qui.
Ma le interviste le ho anche “subite”, come dicevo: se mi seguite sui social sapete che proprio questo pomeriggio, attorno alle 18, ho partecipato a una diretta online con Eugenio Radin, meglio noto sul web come WhiteWhaleCafe, divulgatore di filosofia su Instagram. E proprio su Instagram (qui per la precisione) ci siamo incontrati per una chiacchierata che potete rivedere anche a posteriori. È stato interessante per una volta essere io dall'altra parte, a fare da ospite nello spazio web di qualcun altro.
Infine, l'evento per me più significativo è stato però quello che si è svolto sabato mattina, e si trattava non di un'intervista ma di un incontro. Come ho raccontato anche in questo caso sui social, l'altro ieri ho partecipato alla cerimonia in cui, assieme ad un piccolo gruppo di altri rodigini, sono stato reso socio ordinario dell'Accademia dei Concordi, un'istituzione che vanta più di 400 anni di storia e che rappresenta il più alto ente culturale di Rovigo e della provincia, oltre che uno sicuramente dei più importanti del Veneto.
Certo, non si tratta dell'Accademia dei Lincei, ma io l'ho letto comunque come un bel riconoscimento per tutto il lavoro che ho fatto in questi ultimi anni. Un socio storico dell’Accademia, facendomi i complimenti per l’ingresso, ha parlato non a caso di “cooptazione per meriti sul campo”, cosa che mi ha fatto molto piacere perché io non sono affatto il tipo che cura particolarmente i rapporti interpersonali, che cerca di entrare nelle cricche culturali, di farsi gli “amici giusti”. Sono, perlopiù, un tipo schivo e che non sopporta le amicizie d’interesse. Mi sono anzi sempre tenuto abbastanza fedele a due famosi versi: da un lato, quello di Franco Battiato («Mandiamoli in pensione i direttori artistici, gli addetti alla cultura»), dall’altro quello di Groucho Marx («Non vorrei mai far parte di un club che accettasse tra i suoi soci uno come me»). Se adesso mi trovo dentro a questo ente, sono contento che sia non perché ho cercato di entrarvi, ma perché qualcuno da dentro – che tra l’altro fino alla nomina neppure conoscevo – ha pensato che fossi adeguato al ruolo e potessi dare una mano.
Ma adesso basta parlare di me, cosa che è sempre abbastanza antipatica. Pensiamo invece ai libri, ai film e ai video.
Quello che ho letto
Nessun libro nuovo all'orizzonte questa settimana, ma ho continuato soprattutto a portare avanti quelli che già mi hanno accompagnato nelle ultime settimane. Come noterete, c’è molta fantascienza.
Il problema dei tre corpi di Liu Cixin: questo libro, ora lo posso anche confessare, mi è stato consigliato proprio da un socio accademico, da uno di quelli che hanno proposto il mio nome candidandomi per l'ingresso nell'associazione. Dopo che tutto si era ormai compiuto, ci siamo incontrati e conosciuti, e parlando degli interessi culturali miei e suoi è saltato fuori questo romanzo, che lui ha letto da poco. E devo dire, come gli ho detto anche personalmente questo sabato, che è stato un consiglio decisamente azzeccato. Il libro mi sta piacendo molto, soprattutto perché propone anche in maniera visiva e narrativa una serie di sfide alla normale comprensione che abbiamo della scienza; per questo mi sento adesso, ancora prima di finirlo, di poterlo già consigliare anche a degli studenti, soprattutto se appassionati di fisica. La storia l'ho già un po' raccontata nelle settimane scorse. Dopo un preludio ambientato all'epoca della Rivoluzione culturale di Mao in Cina, l'attenzione si sposta ai primi anni Duemila, quando uno scienziato che si occuperebbe in realtà di ingegneria viene coinvolto in un progetto supersegreto non solo nel governo cinese ma di tutti i governi mondiali. Pare, infatti, che i più importanti fisici del pianeta siano alle prese con un vero e proprio mistero che ne sta portando molti anche un po' alla volta al suicidio: l’ingegnere all'inizio non capisce di cosa si tratti, ma nel giro di qualche giorno inizia a vedere uno strano conto alla rovescia su tutte le fotografie che scatta, e questo conto alla rovescia viene poi osservato anche in altre situazioni, comparendo perfino nella radiazione cosmica di fondo. Stupefatto da quello che ha scoperto, lo scienziato inizia ad indagare su una serie di ricerche compiute in Cina nei decenni precedenti, proprio dalla ragazza che veniva presentata all'inizio come una delle vittime della Rivoluzione culturale. Insomma, il libro esplora una serie di dubbi astrofisici, mescolandoli però anche con un ritratto della società cinese che, per noi occidentali, mi pare molto interessante. Il problema dei tre corpi tra l'altro è solo il primo capitolo di una trilogia di volumi, ma dato che già questo è piuttosto impegnativo e corposo vedremo se poi riuscirò a leggere anche i seguiti. Per ora però, come ho detto, il libro si sta rivelando molto interessante anche se non semplice, soprattutto anche nelle parti in cui protagonista entra in uno strano videogioco in cui le regolarità del cosmo sembrano alterarsi. Se con queste poche parole saputo intrigarvi e incuriosirvi, il libro potete comprarlo qui.
Ufo 78 dei Wu Ming: a proposito di fantascienza, anche l'ultimo romanzo dei Wu Ming tratta di questioni simili, anche se in chiave più storico-politica che realmente fantascientifica. Il volume è infatti ambientato nell'Italia del 1978, soprattutto all'interno di un gruppo di ufologi torinesi, mentre attorno a loro il mondo sembra cadere a pezzi, tra sequestro Moro, proliferare della tossicodipendenza e altri problemi di questo tipo. Come ho scritto anche nelle newsletter delle settimane scorse, mi aspettavo che lo spunto iniziale degli ufologi fosse appunto solo uno spunto, e che presto l'attenzione degli scrittori sarebbe stata catalizzata invece dalla questione Moro, dalle Brigate Rosse e da altre questioni di questo tipo. In realtà credo di essermi illuso: il sequestro del leader della DC rimane pesantemente sullo sfondo, mentre l'attenzione del collettivo bolognese si alterna tra una comune un po’ new age dell'alta Toscana , uno scrittore di fantascienza dal passato partigiano e appunto gli ufologi torinesi, sempre attenti a quello che accade in cielo e poco a quello che succede sulla terra. Lo sto leggendo abbastanza voracemente e sicuramente si tratta di un libro che riesce ad essere anche appassionante, ma come ho detto anche in passato forse mi aspettavo un po' di più. Vedremo tra qualche settimana, quando l'avrò finito, se ne sarà valsa veramente la pena. Intanto, se vi interessa, potete acquistarlo qui.
Non siamo mai stati moderni di Bruno Latour: anche questo libro me lo sto portando dietro ormai da parecchio tempo, e d'altronde non è certo una lettura facile e leggera. Si tratta di un saggio scritto qualche anno fa da un importante sociologo francese (scomparso tra l'altro di recente, lo scorso ottobre) in cui si propone una lettura per molti versi alternativa e controcorrente della modernità. Noi siamo abituati, infatti, a pensare all’età moderna come a un’epoca in cui l'uomo comincia a separare nettamente i campi della scienza e di ciò che scienza non è, in particolare della metafisica, assumendo uno sguardo più oggettivo e neutrale sul mondo. Latour rifiuta però completamente questa visione, sostenendo, con una serie di esempi piuttosto variegata e con un linguaggio per la verità anche piuttosto articolato, che in realtà non abbiamo mai abbracciato veramente la modernità, visto che non abbiamo mai veramente separato scienza e non scienza. Piuttosto, secondo lui, abbiamo preferito credere di averle separate, costruendo in realtà delle reti di interconnessione tra scienza e politica, tra scienza e società, tra uomo e macchina, interconnessioni che però è difficile analizzare se non cambiando completamente paradigma. L'analisi è abbastanza affascinante, anche se forse tende un po' ad esagerare: come spesso accade a filosofi e sociologi (soprattutto continentali), intuiscono qualcosa di vero e importante ma poi tendono ad assolutizzarlo, smettendo di considerare tutti gli elementi che invece relativizzerebbero la loro analisi. Ad ogni modo, nei brani che ho letto questa settimana c'è un passaggio che mi è rimasto molto impresso, perché sostanzialmente lo condivido: quello in cui Latour si scaglia contro Heidegger e soprattutto contro gli ammiratori di Heidegger. Scrive così, Latour, rispondendo all’accusa del filosofo tedesco secondo cui la cultura occidentale avrebbe rimosso l’essere dalla sua attenzione: «E dunque, c’è qualcuno che ha davvero dimenticato l’essere? Sì, è proprio chi crede che l’essere sia stato dimenticato. Come dice Lévi-Strauss, “il barbaro è prima di tutto l’uomo che crede alla barbarie”. Chi ha trascurato di studiare empiricamente le scienze, le tecniche, il diritto, la politica, l’economia, la religione, la narrativa, ha perso le tracce dell’essere sparso in ogni dove tra gli enti. Se, disprezzando l’empiria, vi ritirate dalle scienze esatte, poi dalle scienze umane, poi dalla filosofia tradizionale, poi dalle scienze del linguaggio e vi ripiegate su voi stessi, nella vostra foresta, allora sì che sentirete una tragica assenza. Ma siete voi gli assenti, non il mondo». L’ontologia di Heidegger, insomma, ridotta a una fuga dal vero essere. Se v’interessa, il libro lo trovate qui.
Quello che ho visto
L'elenco dei film di questa settimana è un po' particolare. Troverete infatti una pellicola recente anche se poco nota, uno show televisivo di cui si parla molto e in classico del cinema di genere. Procediamo.
La terra dei figli (2021), di Claudio Cupellini, con Leon Faun, Paolo Pierobon, Maria Roveran: il film recente di cui vi parlavo all'inizio è proprio questo, La terra dei figli, uscito un paio di anni fa al cinema, in realtà in poche sale, e trasmesso un paio di serate fa su RaiMovie in prima visione. Si tratta di una pellicola che in famiglia abbiamo visto soprattutto su sollecitazione del mio figlio più grande, che conosce e apprezza il giovane attore protagonista della pellicola, Leon Faun, che, oltre a recitare, incide anche dischi rap; io però gli ho dato corda quando ho scoperto che il film è tratto dal bel fumetto omonimo di Gipi e che, tra l'altro, è stato realizzato sostanzialmente nel Delta del Po, nelle mie terre. Si tratta insomma di uno dei pochi film mai realizzati in Polesine, e bisognava quindi assolutamente guardarlo. Ovviamente, un film ambientato in provincia di Rovigo non poteva che essere post-apocalittico: il paesaggio delle mie pianure, infatti, è desolato come solo Elliot avrebbe potuto immaginarlo, e nessun’altra storia può essere ambientata in queste zone se non una storia di solitudine, estinzione della razza umana e barbarie. La trama del film è, da questo punto di vista, piuttosto semplice: al centro c'è un giovane ragazzo nato dopo una grande catastrofe che non ci viene spiegata, cresciuto assieme al padre sopravvivendo in una mezza palude. I due campano grazie ad animali selvatici, ad una pesca sempre più difficile e a qualche scambio che riescono ad effettuare con altri sopravvissuti che vivono nelle vicinanze. Ad un certo punto però il padre muore e il figlio, desideroso di sapere cosa quest'uomo aveva scritto sul suo diario, cerca qualcuno che sappia ancora leggere per farsi decifrare le parole all'interno del quadernino. In questo viaggio però incappa in tutta una serie di sfruttatori, violenti e uomini senza più umanità. Il film è lento e forse non adatto a tutti i palati, ma non è affatto male, tutto sommato. Forse alla fine rimane un po' l'amaro in bocca perché sembra essere sempre sul punto di avere qualcosa da insegnarci, ma si lascia anche allo stesso tempo sfuggire il senso ultimo della storia. Ad ogni modo devo dire che Leon Faun, come tutti gli altri attori della pellicola, se la cava piuttosto bene nella parte. Se volete recuperarlo, lo trovate ancora disponibile su RaiPlay.
LOL episodi 3.01-3.02-3.03 (2023), con Luca Bizzarri, Paolo Kessisoglu, Marina Massironi: devo dire la verità, della terza stagione di LOL per ora ho visto solo i primi tre episodi, quelli tutto sommato ancora introduttivi, episodi che forse proprio per questo non mi hanno particolarmente impressionato. Nonostante la presenza di alcuni comici di buon valore, mi sembra comunque che la formula di questo programma di Prime Video inizi a mostrare un po’ la corda. La prima stagione era stata sorprendente e innovativa, perché il format era anche abbastanza originale; la seconda si era retta soprattutto sul talento di alcuni comici che non partecipano spesso a questo genere di programmi; la terza, forse, è quella della fine dell'effetto sorpresa, con la trasformazione in un programma che si avvia ad essere abbastanza prevedibile, tutto sommato. Tra l'altro, già un giorno dopo la sua messa in onda su Amazon Prime Video mi è capitato di imbattermi, scorrendo le notizie sul cellulare, nello spoiler di che avrebbe vinto, quindi anche la suspense per sapere chi arriverà fino in fondo al reality è scemata quasi subito. Credo che proverò a vedere anche le puntate successive ma devo dire anche che per ora non ne ho tutta questa voglia impellente.
Grosso guaio a Chinatown (1986), di John Carpenter, con Kurt Russell, Dennis Dun, Kim Cattrall: gli anni '80 sono stati un periodo strano per il cinema americano. Erano anni in cui venivano prodotte molte pellicole per il pubblico giovanile, spesso caratterizzate da eccessi in un senso o nell'altro, con trame magari non particolarmente originali ma con una ricerca continua di nuovi modi per stupire e appassionare un pubblico di adolescenti in rapido mutamento. Solo in questo modo, mi pare, si capiscono pellicole come ad esempio Grosso guaio a Chinatown, che sono anche carine e simpatiche da un certo punto di vista ma che credo che oggi non verrebbero mai prodotte, visto che non riuscirebbero a raccogliere i fondi necessari per essere portate sul grande schermo. A rivederlo oggi, infatti, il film poggia su una trama davvero esilissima: un camionista si imbatte, per una serie di circostanze fortuite, nel rapimento di una ragazza cinese da parte di una gang della malavita locale. Si addentra quindi insieme al suo compare nella Chinatown di San Francisco, finendo per scoprirne i misteri e soprattutto le forze oscure, fino a liberare comunque la ragazza. Quello che rimane più impresso, però, non è per niente la trama, che anzi credo venga dimenticata nel giro di poche ore, quanto piuttosto gli effetti speciali, che all'epoca potevano anche risultare abbastanza accattivanti ma che oggi fanno quasi sorridere per la loro ingenuità, tra scene di volo di karateka e raggi laser che escono dagli occhi dei protagonisti. Il film l'hanno visto anche i miei figli e non sono rimasto stupito quando i più piccoli mi hanno detto di averlo apprezzato soprattutto perché ricordava loro la serie dei Power Rangers. Certo qui in più c'è un Kurt Russell in stato di grazia e una forte dose di autoironia, ma a parte questo le differenze sono effettivamente minime. Se volete recuperarlo, lo trovate su Disney+.
Quello che ho pensato
Quest'oggi vi voglio proporre una riflessione un po' strana, che però mi è sorta mettendo insieme due fatti che mi hanno colpito questa settimana e che apparentemente hanno pochissimo in comune. Il primo fatto lo conoscete tutti, il secondo no.
Partiamo da ciò che è noto. Qualche giorno fa il sindaco di Firenze, Dario Nardella, del PD, è balzato agli onori della cronaca nazionale per un fatto quasi comico, o che quantomeno è diventato subito oggetto di una miriade di meme. L'amministratore si trovava infatti in Piazza della Signoria quando un attivista di Ultima generazione si è messo ad imbrattare con vernice lavabile Palazzo Vecchio, storica sede del Comune. A quel punto, appena si è accorto di quello che stava accadendo, Nardella si è fiondato sull’attivista, togliendogli la vernice e prendendolo a male parole; nel farlo è stato pure immortalato da telecamere e macchine fotografiche, che nei minuti successivi hanno continuato a seguirlo mentre, assieme ad altri, cercava anche di lavare via la vernice dalla facciata.
Nel giro di poche ore sui social si è scatenato, come prevedibile, un profluvio di applausi o critiche, che spesso andavano ben al di là del fatto in sé (nessuno giudica mai i fatti in sé, ognuno tira in ballo le sue storie personali, le sue speranze, i suoi odii e così via).
Il secondo fatto, invece, è molto meno noto, nel senso che non è finito sulle prime pagine dei giornali, ma riguarda comunque una questione che credo in questi anni si sia verificata per la verità in diverse scuole o comunque in diverse classi, e che di tanto in tanto ritorna in auge. Il problema è infatti sempre quello: cosa fare coi cellulari in classe? Sequestrarli e metterli sotto chiave o sperare che i ragazzi seguano i buoni consigli dei prof e non li sbircino durante le lezioni?
Parlando nei corridoi, ho scoperto proprio in questi giorni che nella mia scuola alcuni consigli di classe hanno optato per la prima ipotesi, iniziando ad usare il pugno di ferro nei confronti degli alunni: e quindi gli smartphone vengono ritirati alle 8 e restituiti alle 13, pare anche senza eccezioni durante l’intervallo.
Cose del genere, come ho detto, si fanno spesso, magari a singhiozzo, magari solo per qualche giorno, per mettere i ragazzi sull’avviso e per far loro capire che “noi insegnanti non scherziamo”. Non mi ricordo, francamente, se nei miei 18 anni di carriera sia mai successo seriamente anche in una qualche mia classe, ma non lo escludo a priori. Niente di (troppo) strano, quindi; niente di (troppo) nuovo.
I due fatti, come noterete, non hanno quasi nulla in comune. Ma una domanda la sollevano entrambi: come si fa ad educare le persone? E, soprattutto, siamo sempre sicuri che i metodi che mettiamo in campo, e che anche io stesso ho a volte messo in campo, siano davvero efficaci, raggiungano il loro scopo?
Perché il mio sospetto – lo dico qui subito e poi tenterò di spiegarmi meglio – è che a volte certe misure, certi comportamenti che teoricamente dovrebbero servire a far cambiare atteggiamento agli altri in realtà li mettiamo in campo solo per sfogarci, o per dare soddisfazione alle nostre voglie, senza che abbiano in realtà nessun reale impatto sulle persone verso cui sarebbero teoricamente diretti.
Partiamo dalla faccenda di Nardella. Ultima generazione e altre sigle simili stanno da molto tempo compiendo atti controversi con lo scopo, a loro dire, di attirare l'attenzione sui problemi del cambiamento climatico. Il più delle volte imbrattano opere d'arte usando vernice lavabile, con l’obiettivo di finire sui giornali e sui social network e, appunto, far parlare della crisi climatica.
La domanda che secondo me prima di tutto ci dobbiamo porre se vogliamo analizzare le loro azioni è se questi attivisti riescano davvero a raggiungere il loro scopo, se riescano cioè a porre al centro del dibattito pubblico la questione climatica. E la risposta, secondo me, è purtroppo un secco “no”. Avete letto i commenti sotto ai post su Nardella? Nessuno parlava di cambiamento climatico, ma solo di giovani da comprendere o da menare. Quella che doveva essere un’azione sul climate change è diventata subito una banale questione generazionale.
Ma ho letto in questi mesi migliaia di commenti e sentito centinaia di persone discutere riguardo alle azioni contro i monumenti e le opere d’arte, e mai una volta ho trovato una persona che avesse cambiato idea sui temi ambientali a seguito di un imbrattamento. Dopo cose di questo tipo tutti discutono di vandalismo, nessuno di cambiamento climatico. Lo stiamo facendo anche noi qui ora, a pensarci bene.
Azioni così drastiche, mi pare, finiscono d’altronde solo per polarizzare le idee: chi è già un attivista per il clima applaude a questi giovani, così come tende a giustificarli chi si reputa “di sinistra” e quindi vede sempre con un certo favore le proteste giovanili; chi invece è scettico nei confronti del cambiamento climatico diventa ancora più drastico nel suo pensare che i giovani siano solo una massa di imbecilli che non ha rispetto del mondo e delle cose. Di clima si parla poco o nulla. E così, al di là di chi abbia ragione e di chi abbia torto, lo scopo di diffondere una nuova attenzione nei riguardi del cambiamento climatico difficilmente si può dire raggiunto.
A questo punto, chiedersi se ne valga la pena diventa quasi inutile: se lo scopo non viene raggiunto, anche l'utilizzo di mezzi drastici diventa completamente vano. Voglio dire: se tu col tuo comportamento anche radicale riesci a far cambiare idea ad almeno un discreto numero di persone, forse può valere anche la pena di rischiare, di tirare la corda, di spingere un po' più in là l'asticella; ma se questo cambiamento non arriva, e anzi forse rende ancora più ostili le persone nei confronti del tuo messaggio, allora forse il mezzo non è solo estremo e discutibile, ma addirittura controproducente.
Ora, sembrerà strano, ma ho l’impressione che questo ultimo paragrafo che ho appena scritto parlando di Ultima generazione si potrebbe, a ben guardare, applicare anche ai professori, a noi docenti, nei confronti degli atteggiamenti repressivi che a volte mettiamo in campo contro i ragazzi.
Prendiamo il caso dei cellulari di cui vi parlavo prima: è chiaro che usare il cellulare in classe, soprattutto se la cosa viene reiterata, è profondamente sbagliato, sia perché è un segno di mancanza di rispetto per l'ambiente e per il docente, sia perché danneggia lo stesso studente che usa quel cellulare e che in questo modo si distrae e finisce per apprendere meno. Come col cambiamento climatico, anche in questo caso bisognerebbe assolutamente trovare delle strategie per convincere i ragazzi a mutare atteggiamento e a farsi carico del problema.
Il guaio è che mi sembra che il sequestro duro e puro dei cellulari non sia poi così diverso dall’imbrattare gli edifici pubblici: o, meglio, è molto diverso per il fatto che per fortuna non si danneggia nulla, ma allo stesso tempo mi pare che funzioni altrettanto male. Diciamolo pure: noi prof lo facciamo un po’ per ripicca, perché vogliamo forzare quei ragazzi a darci ascolto, esattamente come fanno gli ambientalisti con gli adulti. E cosa otteniamo noi, cosa ottengono gli ambientalisti? Perlopiù gente che pensa che siamo dei cretini frustrati, e poco altro.
Come dicevo, l'atto di danneggiare delle opere d'arte, anche se solo temporaneamente, non fa cambiare idea a mio avviso a nessuno, anzi rischia di creare inutile ostilità nei confronti di chi parla; allo stesso modo, il sequestrare i cellulari non rende i giovani di oggi meno dipendenti da essi. Semplicemente ha l'effetto di costringerli a forza a seguire le lezioni, maturando però spesso un atteggiamento ancora più ostile nei confronti del corpo docente.
Se avete mai provato a parlare coi ragazzi, anche coi più svegli, vi accorgerete che tutti quelli a cui viene indiscriminatamente tolto il cellulare per un'intera mattinata, perfino durante la ricreazione, lo ritengono un atto ingiusto, scorretto, sproporzionato. Nessuno si fa veramente delle domande sull'utilizzo del cellulare in sé; e soprattutto nessuno, tornato a casa, comincerà ad usarlo di meno, o ad usarlo meglio. Si arrabbieranno solo per una punizione che reputano ingiusta, senza fare alcun esame di coscienza. In pratica, per farla breve, nessun ragazzo esce in genere da quell'esperienza più maturo di prima; anzi, in alcuni casi ne uscirà ancora più arrabbiato nei confronti della scuola, rabbia che alla lunga potrebbe essere anche deleteria per la sua educazione.
Attenzione: non sto dicendo che si debba lasciare sempre il cellulare in mano ai ragazzi. Sto dicendo che metodi drastici, forti, non condivisi neppure minimamente rischiano di essere controproducenti. Come Ultima generazione non riesce a far cambiare idea alle persone, così ho idea che noi professori non riusciamo a far cambiare idea agli studenti. E come Ultima generazione mette in atto questi gesti soprattutto per sfogare una forma di rabbia verso il mondo degli adulti, che non capisce l’importanza del tema, così noi insegnanti spesso facciamo questi gesti per sfogare una qualche forma di rabbia, magari piccola, nei confronti di studenti che non ci danno ascolto. Vi abbiamo detto di smetterla coi cellulari e voi non ci ascoltate? Allora ve li sequestriamo. È il tipico metodo della repressione: si agisce con lo scopo di reprimere comportamenti scorretti, non di cambiarli.
Ebbene, sarà una mia fissazione, ma è da quando ero studente che penso che la repressione non serva assolutamente a nulla, se non a far star meglio il repressore. O, meglio: penso che magari ti permetta di raggiungere un risultato nel breve periodo (per qualche mattinata la classe rimarrà sicuramente attenta), ma che non raggiunga davvero il suo scopo nel medio e nel lungo periodo. La repressione non aiuta i ragazzi a maturare una vera consapevolezza dei propri difetti e dei propri errori, non muta davvero nel profondo i loro comportamenti; perché anzi li può portare a pensare che la scuola sia solo il luogo delle punizioni, in cui si giudica il loro comportamento trovando sempre e unicamente ciò che non va.
Foucault, svariati anni fa, l'aveva detto maniera molto esplicita, pensando a una scuola che forse era anche molto più repressiva di quella di oggi: la scuola, diceva, serve a sorvegliare e punire, destino comune a diverse altre istituzioni della nostra società. Serve a tenere sotto controllo i giovani, a vedere come crescono e a frenare con punizioni severe quelli che sgarrano rispetto a un modello precostituito. È stato a lungo così; oggi lo è meno, ma questo imprinting non è del tutto passato. E noi professori siamo spesso gli strumenti di questa repressione, magari senza neppure rendercene pienamente conto: molto di noi anzi si considerano aperti, democratici, avversi al potere, senza accorgersi che il potere siamo noi.
Si dirà: è facile parlare dalla tastiera di un computer, quando non bisogna gestire i ragazzi che non stanno attenti, che non studiano o che si danneggiano da soli, distraendosi o disturbandosi. A volte, si dirà, è meglio obbligare una persona a non farsi del male che lasciare che questa persona si rovini il futuro da sola.
Capisco questo punto di vista e mi rendo ben conto che una cosa sono le teorie filosofiche, un'altra cosa sono i fatti. Penso però che davvero i metodi repressivi o puramente repressivi non servano assolutamente a niente. Si deve trovare piuttosto un equilibrio tra regola e condivisione della regola, e questo vale sicuramente a scuola ma penso anche in ogni contesto educativo, perfino in famiglia. Coi miei figli piccoli, impongo per il loro bene delle regole da cui non si può sgarrare: ad esempio li obbligo a fare i compiti, perché mi rendo ben conto che non sono in grado di scegliere da soli ciò che è meglio per loro; e quando non fanno i compiti, li minaccio di metterli in punizione, o di togliere loro cartoni animati o giochi se non fanno il loro dovere a scuola. Punizioni di questo tipo ne ho inflitte e continuo a infiggerne, se serve, peraltro con risultati alterni (il quartopupo è particolarmente anarchico, da questo punto di vista).
Man mano che crescono, però, tento di passare dalla repressione alla responsabilizzazione: i miei figli più grandi, ormai, non studiano per evitare le punizioni (che mi vergognerei anche a dare, a quell’età), ma perché mi pare abbiano capito che studiare è una cosa importante anche per loro, che va fatta al di là di possibili punizioni o premi. Non è un caso che quando uno dei miei figli più grandi torna a casa con un voto non buono, ormai io cerchi, più o meno consapevolmente, piuttosto di farlo sentire in colpa che non di punirlo, di fargli capire che è da fessi rovinarsi il percorso scolastico per pigrizia o per calcoli sbagliati.
D'altronde, maturare vuol dire questo: assumersi le proprie responsabilità, fare quello che va fatto senza bisogno di qualcuno che ti ci costringa, senza aver paura di punizioni. Perché se abituiamo i ragazzi grandi a fare le cose solo perché altrimenti arriva una punizione, creiamo degli adulti che non sanno cos’è il bene e cos’è il male, e che agiscono solo per paura. Creiamo cioè adulti che magari evadono le tasse se sono sicuri di farla franca, e fanno ciò che fa loro comodo sempre e comunque se sono sicuri che questo non porterà loro danno. Che non sanno qual è il loro compito nella società e che non sono neppure interessati a capirlo.
Certo, educare alla responsabilità è difficilissimo, a volte inefficace, faticoso e lento, perché gli eventuali risultati si vedono solo nel medio o lungo periodo, mentre reprimere pare risolvere il problema più in fretta, anche se assomiglia un po’ al nascondere la polvere sotto al tappeto. Penso, però, che in realtà non ci sia altro vero modo di educare, che tutto il resto sia solo un palliativo, ma pratica che fa più contenti noi che loro, che ci fa sentire l'anima in pace perché ci sembra di dominare la situazione quando invece non dominiamo nulla.
Ecco, mi sembra che questo atteggiamento, che adesso ho imputato a noi docenti, in realtà lo si possa imputare a tante altre figure della nostra società. Il nostro governo ne sta facendo anzi un motivo distintivo: l'idea che si debba punire chi sgarra sempre comunque, a volte addirittura che si debba punire chi neppure ha sgarrato ma non si adegua a un modello prestabilito da una presunta morale. Ma questo lo si vede anche perfino in Ultima generazione, movimento che si vorrebbe presentare come ribelle e controcorrente, ma realtà cade nella stessa identica trappola: quella di scegliere di non educare le persone ma di punirle per quello che fanno.
Io penso che la rabbia dei giovani sia anche comprensibile, come è comprensibile quella di noi insegnanti nei confronti degli studenti maleducati e disattenti; ma penso allo stesso tempo che questa rabbia non porti da nessuna parte. Come ci insegnava proprio Socrate, la maturazione vera di un’idea nuova deve partire da dentro, non può essere imposta con la forza da fuori; altrimenti l’idea rimane superficiale e non cambia davvero le persone, se non per finta, se non solo in apparenza.
Quello che ho registrato e pubblicato
Se vi siete persi qualche video questa settimana, ecco tutto quello che ho pubblicato negli ultimi sette giorni.
Tutto Pascal in un’ora di lezione: era da un po' che rimandavo di fare dei video sintetici in un'ora, ma questa settimana mi sono buttato su Blaise Pascal
La filosofia di Socrate (parte 2) [Filosofia per ragazzi 12]: nuova puntata anche del ciclo dedicato alla filosofia per ragazzi, col metodo socratico
L'autunno del Medioevo - Audiolibro spiegato parte 23: l'Autunno del Medioevo volge quasi al termine, con una puntata quasi tutta sull'arte dei fratelli Van Eyck
Cusano e la disputa tra platonici e aristotelici (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
La cosmologia di Niccolò Cusano (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
I moti del 1830-31 (per il podcast “Dentro alla storia”)
Il 1848 in Francia (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che devi fare per seguirmi sui social
Ah, prima di dimenticarci vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
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Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono i nuovi abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri e videocorsi che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
Vite dei Cesari di Svetonio: Vite dei Cesari di Svetonio costituisce un modello importantissimo di biografia storica dell'antichità. Come forse saprete, negli otto libri che compongono l'opera Svetonio presentò la vita dei primi grandi imperatori, comprendendo nell'elenco anche Cesare ed arrivando fino a Domiziano. Il suo schema, ripetuto con una certa fedeltà di imperatore l'imperatore, costituì il modello per molti secoli della biografia imperiale ed è ancora oggi interessantissimo per recuperare informazioni su alcuni governanti di cui altrimenti si saprebbe abbastanza poco. Infine, per via del punto di vista molto particolare assunto dallo storico, leggere le sue parole diventa importante anche per capire come usare le fonti e quali sono i loro limiti. Insomma, un libro consigliatissimo che si può comprare qui.
Storytelling audiovisivo per social network: il futuro, ma forse anche il presente, del giornalismo risiede nel digitale. Ormai il modo più diretto ed efficace per veicolare informazioni, infatti, è quello di sfruttare i social network, soprattutto quando ci si vuole rivolgere alle giovani generazioni che apprendono più da TikTok e da Instagram che non dei media tradizionali. I social, però, hanno un loro linguaggio, molto differente da quello della televisione o della carta stampata. Per questo bisogna imparare a conoscerlo ed usarlo, e il corso Domestika che vi propongo oggi, composto da 10 lezioni, vi aiuta proprio a farvi entrare in questa particolare grammatica. Al costo, tra l’altro, abbastanza contenuto di 19 € o poco meno. Se vi interessa, potete iscrivervi qui.
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né fare corsi, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Quello che c’è in arrivo
Concludiamo, infine, con la solita lista dei video in preparazione, passibile come sempre di modificazioni in corsa:
domani – come vi avevo promesso tempo fa – dovrebbe uscire già la prima puntata del corso di logica, con alcuni concetti introduttivi;
poi probabilmente arriverà un video di storia romana dedicata all'epoca di Costantino e alla società romana del suo tempo;
quindi ho in programma anche il secondo video sulla Costituzione italiana, in cui inizieremo ad analizzare i primi articoli fondamentali della nostra carta;
infine, ma questo è ancora incerto, vorrei fare un video dedicato alla filosofia di Alfred Hitchcock e uno alla storia dei consumi: prima o poi arriveranno ma non so se riuscirò già in questa settimana a prepararli;
sul versante podcast, per concludere, aspettatevi una puntata dedicata a Marsilio Ficino in filosofia e una invece con la conclusione dei fatti del 1848 in Francia in storia.
E questo è tutto anche per questa settimana. Vi ricordo di guardarvi la diretta Instagram di WhiteWhaleCafe se non l'avete ancora vista e di ritornare qui tra sette giorni esatti per un nuovo resoconto di video, libri, film e altro ancora. Ciao!
A quando un video su Bruno Latour professore? Grazie di tanti video . Che lavoro utile che sta facendo tutto utilissimo!