Il nostro rapporto con la storia tra 25 aprile e le dichiarazioni di Vannacci, ma parliamo anche di Roma, di Woody Allen, di Kant, di Eco, di Jekyll e Hyde, di storia statunitense, di Vacanze romane
Eccoci di nuovo qui, cari amici. Come forse avrete visto dai social network, durante il ponte del 25 aprile sono stato a Roma con la famiglia, per qualche giorno che doveva essere di relax e svago. In realtà, una volta giunti sul luogo, non siamo riusciti davvero a risparmiarci e abbiamo girato come dei matti, vedendo tutto e di più (o almeno tutto quello che era umanamente possibile vedere in quattro giorni scarsi).
In più mi ero portato dietro anche molti compiti da correggere e un po’ di faccende da sbrigare. Insomma, è stata una corsa, dall’inizio alla fine: di giorno giravamo, e quando facevamo tappa all’appartamento per rifocillarci mi mettevo a scrivere o a correggere. Senza contare il viaggio di ritorno, che è stata una vera odissea: a furia di code nell’Autostrada del Sole, ci ho messo sette ore per giungere a casa.
Però, alla fin fine, siamo riusciti a far tutto, e direi anche relativamente bene. Saluto tutti gli amici romani che mi hanno fermato per strada per salutarmi (e anche la ragazza – a quanto mi ha riferito mia figlia – che lungo Via dei Fori Imperiali, dopo avermi superato, pare abbia detto: «Oh Dio, ma quello è scrip!»), e anche quelli che mi hanno scritto e non sono riuscito ad incontrare: a parte che ho letto tardi i messaggi, ma comunque avevo davvero i tempi contingentati con la famiglia e sarebbe stata dura accontentare le varie richieste.
In futuro probabilmente mi troverò a spostarmi per l’Italia anche per incontrare con calma qualcuno di voi (o almeno chi lo vorrà). Nel frattempo scusatemi, ma la famiglia richiede – giustamente – il suo tempo.
In compenso durante la breve vacanza, tra un compito e l’altro, sono riuscito anche ad abbozzare la newsletter di questa settimana. Che comincia ora.
ps.: per quelli che vivono dalle parti di Rovigo, domani sera, martedì 30 aprile, alle ore 21 parteciperò a un evento nel Teatro di Pontecchio Polesine. Il tema è l’utilità dell’inutile e io parlerò in particolare (per circa 15 minuti, a mo’ di TEDx) di filosofia. Ingresso gratuito! Non mancate.
Quello che ho letto
Iniziamo come sempre dai libri, anche perché nell’elenco di questa settimana ci sono diverse novità.
Il nome della rosa di Umberto Eco: complice il lungo viaggio in macchina verso Roma e poi di ritorno verso Rovigo, questa settimana in famiglia abbiamo avviato la lettura di un altro audiolibro, come spesso facciamo durante queste trasferte. All'inizio avevamo pensato a un giallo, magari una delle avventure originali di Sherlock Holmes che io ho letto ormai parecchi anni fa e che i miei figli avevano voglia prima o poi di scoprire. Poi però, presi dalla fretta e dal fatto di non trovare rapidamente il titolo che cercavamo, mi è venuto in mente di rifugiarmi su una sorta di surrogato, o meglio su un libro che ha la stessa atmosfera dei libri di Sherlock Holmes, ma che però non appartiene alla sequenza originale dei racconti di Conan Doyle. Insomma, all'improvviso mi è venuto in mente Il nome della rosa, libro che i miei figli non hanno mai letto e che anch'io ho gustato ormai tanto, troppo tempo fa. Ben ricordando la trama, ma spinto soprattutto dalla voglia di farlo conoscere alla prole, ho così fatto partire – appunto in versione audiolibro – il capolavoro di Umberto Eco, e devo dire che non me lo ricordavo così bello. In effetti, l'ultima volta che l'ho letto per intero ero, credo, ancora un giovane universitario, affascinato certo dalla trama gialla e dalla abile prosa dello scrittore piemontese, ma non ancora in grado di comprendere tutte le sfaccettature del racconto; ora invece riesco a cogliere molte cose in più, legate sia alla filosofia medievale, sia al giallo in sé e per sé, sia poi, infine, anche ad eventuali riferimenti all'attualità dell'Italia degli anni in cui Eco scrisse il romanzo, ovvero quella della fine degli anni di piombo. E, tenuto conto di tutti questi elementi, il libro non può che lasciare ammirati. La trama gialla rimane sempre forte e pregnante, ad ogni scorrere di pagina, ma allo stesso tempo Eco, con un’eleganza che secondo me non è più riuscito a raggiungere nei romanzi successivi, riversa sul racconto anche una estrema umanità, a partire ovviamente dai personaggi di Guglielmo di Baskerville, sempre arguto e simpatico, e Adso da Melk, in cui è facile immedesimarsi. E poi, appunto, ci sono riferimenti dotti a non finire, riferimenti a eresie e a lotte teologiche, a sistemi metafisici e a questioni dottrinali che possono far rapidamente impallidire uno specialista della materia. Ma tutti questi riferimenti, che normalmente appesantirebbero enormemente la lettura, qui invece la rafforzano, la rendono ancora più interessante, così che ad ogni capitolo mi sentivo rinvigorito nella voglia di andare avanti, di arrivare a sapere come la storia va a finire (anche se ricordo benissimo chi è il colpevole degli omicidi e il modo che utilizza). Una lettura forse un po' impegnativa, ma estremamente seducente per chi studia storia e filosofia. Se non l'avete mai letto, vale davvero la pena di rimediare, ad esempio acquistando il volume qui.
Per la pace perpetua di Immanuel Kant: come vi raccontavo la settimana scorsa, il prossimo appuntamento del Club del libro, ovvero della riunione mensile riservata agli abbonati in cui discutiamo di libri, sarà dedicata a due volumi contemporaneamente: da un lato ci sarà infatti la Lettera sulla tolleranza di John Locke, dall’altro Per la pace perpetua di Immanuel Kant. Il primo libro l'ho finito la settimana scorsa, come appunto vi ho raccontato; il secondo l'ho cominciato e quasi terminato questa settimana. Anche in questo caso si tratta di uno scritto piuttosto breve e però limpidissimo nella sua analisi. Il tema credo lo conosciate già, e se vi interessa tempo fa feci anche un video al riguardo: in poche pagine, il grande illuminista tedesco cerca di mostrare come si potrebbe costruire una pace duratura in Europa, anzi una vera e propria pace perpetua. In primo luogo ci sono delle questioni preliminari da dirimere, che vengono affidate appunto a quelli che Kant chiama gli “articoli preliminari”; e poi ci sono una serie di regole da darsi, che devono servire a garantire la pace futura. Le regole vengono presentate in modo molto asciutto e anche abbastanza breve, col filosofo che solamente qua e là si sofferma su alcuni punti specifici, cercando di giustificarli in modo razionale. Non tutte le asserzioni di Kant sono forse oggi condivisibili, in quanto in alcuni passaggi i suoi concetti politici paiono un po' superati; ma il punto di vista generale è quello che in fondo ci anima ancora oggi e che anima anche le grandi organizzazioni internazionali, dall'ONU all'Unione Europea. Ed è l'idea, cioè, che la pace possa essere garantita solo a patto di creare federazioni tra Stati, solo a patto di rinunciare a un po' della propria sovranità in vista di un bene più grande; un progetto che fa storcere il naso ancora oggi ad alcuni di noi, ma che in tutta onestà pare essere l'unico perseguibile se si vuole portare avanti il processo di civilizzazione dell’umanità. Il libro, se vi interessa, lo potete acquistare qui.
Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde di Robert Louis Stevenson: conoscete di sicuro il capolavoro del 1886 di Stevenson che racconta la celebre storia di Jekyll e Hyde. Ambientato nell'Inghilterra vittoriana, il romanzo racconta le vicissitudini accadute al dottor Jekyll, stimato professionista che riesce a sintetizzare una particolare droga che gli permette di trasformarsi in qualcun altro. Questo qualcun altro, però, non è un essere a caso, ma è una sorta di alter ego maligno del dottore, la parte più oscura della sua psiche, quella violenta e animalesca. Così, mentre di giorno Jekyll è uno stimato medico, di notte va in giro per Londra a picchiare bambine e ammazzare rispettati cittadini, almeno finché la forza pubblica non inizia a indagare su di lui. Il tutto viene raccontato da un narratore parzialmente esterno che, un po' alla volta, riesce a dipanare questa strana matassa e a scoprire chi si celi effettivamente dietro al misterioso Hyde. Il racconto è celebre sia perché è effettivamente ben scritto, e a leggerlo oggi mette ancora un po' di inquietudine, sia soprattutto perché seppe cogliere qualcosa di profondo nell'animo umano. Dobbiamo infatti considerare che Stevenson scrisse quest'opera prima che Freud proponesse la sua teoria dell'inconscio, anche se ovviamente le immagini contraddittorie della psiche umana erano già piuttosto diffuse e “nell’aria”; e con questo suo racconto, che fa il paio forse anche col Dorian Gray di Oscar Wilde, seppe mostrare al mondo il mostro nascosto dietro alla nostra razionalità, il lato più crudele e nefasto – ma ovviamente celato – dell'ottimismo positivista. In piena belle époque, insomma, Stevenson ci mostrava l'altra faccia della medaglia. Un racconto che, ancora oggi, vale la pena di rileggere, anche perché tra l’altro ci si mette abbastanza poco. Il volume può essere acquistato qui.
Quello che ho visto
Complice la vacanza romana, questa settimana ho visto almeno due film dedicati alla città eterna, a cui ovviamente si aggiunge anche una serie tv. Vediamo il tutto.
Vacanze romane (1953), di William Wyler, con Gregory Peck, Audrey Hepburn, Eddie Albert: se avete una certa età, è difficile che non conosciate Vacanze romane, capolavoro degli anni '50, premiatissimo ai premi Oscar del periodo e, più in generale, il film che rese Audrey Hepburn una star. La pellicola aprì un periodo d'oro per il cinema ambientato in Italia, fosse esso finanziato con capitali italiani o americani: sembrava che il mondo non vedesse l'ora di ammirare scene ambientate dentro al Colosseo o all'interno della Fontana di Trevi, e diverse pellicole – a volte anche di ottima qualità – provarono a lungo a soddisfare quest’esigenza. Vacanze romane fa tutto questo e anche molto di più, tanto che, a rivederlo oggi, pare quasi un film promozionale finanziato dall'ente del turismo romano: tutte le lunghe sequenze con Gregory Peck intento a portare Audrey Hepburn in giro per Roma servono principalmente a fotografare scorci memorabili dell'Urbe, soprattutto quelli che più possono affascinare lo sguardo straniero. In ogni caso in famiglia è stato utile mostrare il film ai figli più piccoli, se non altro per vedere Trinità dei Monti o il Colosseo prima di arrivarci davvero di persona. E poi la storia raccontata nel film è talmente famosa e forse anche banale da risultare comunque affascinante. Se non la conoscete, si tratta di una sorta di favola di Cenerentola rovesciata: una importante principessa straniera in visita a Roma si ritrova, per una circostanza fortuita, a girare di notte per la città in preda a una certa confusione mentale. Viene soccorsa da un giornalista americano, che la fa dormire a casa propria e che la mattina dopo, però, scopre la sua identità: così decide di sfruttare la cosa per ottenere uno scoop che potrebbe permettergli di fare carriera. Durante la giornata assieme, però, tra i due nasce qualcosa. Il film è disponibile su Paramount+.
To Rome with Love (2012), di Woody Allen, con Woody Allen, Roberto Benigni, Penélope Cruz: se volete vedere un film più recente ambientato a Roma, sicuramente il titolo principale è La grande bellezza di Paolo Sorrentino, che tra l’altro è anche un capolavoro. Se però l’idea è quella di mostrare una pellicola ai vostri bambini, forse quel film magistralmente interpretato da Toni Servillo potrebbe non fare al caso vostro, e sarebbe forse utile orientarsi verso qualcosa di più leggero. To Rome with Love, film di Woody Allen del 2012, potrebbe fare al caso vostro: nonostante non sia stato ben accolto dalla critica, in realtà è una pellicola simpatica e senza troppe pretese, ma in cui si scorge qua e là il tocco ironico del grande regista. La trama è piuttosto complessa, soprattutto per via della presenza di una miriade di personaggi impegnati in storie piccole e disordinate: il filo conduttore è la comune ambientazione romana, a cui si aggiunge il tema dell'amore, declinato in tutte le sue forme. Gli interpreti sono di prima importanza: oltre ad Allen, ci sono gli italiani Roberto Benigni, Alessandro Tiberi, Alessandra Mastronardi, Antonio Albanese e Riccardo Scamarcio; a questi bisogna poi aggiungere Penélope Cruz, Alec Baldwin, Jesse Eisenberg, Greta Gerwig (qui ancora solo attrice e non ancora regista) ed Ellen Page (prima della transizione). Lo trovate su Sky.
Monthy Python’s Flying Circus episodio 2.04 (1970), con John Cleese, Graham Chapman, Eric Idle: continua da parte mia anche la visione del Monty Python’s Flying Circus, serie di cui vi ho parlato già varie volte e che risale a più di cinquant'anni fa, ma che continua ad essere fantastica agli occhi di uno spettatore di oggi, o almeno agli occhi miei. Il quarto episodio della seconda stagione, quello che ho visto questa settimana, non è uno dei più ispirati e leggendari, ma qualche bel momento lo regala comunque: in particolare mi sentirei di segnalare lo sketch del vescovo, che mi ha strappato diverse risate. In esso Terry Jones interpreta appunto un vescovo che, bardato di tutto punto coi suoi paramenti, gira per la città come se fosse una sorta di giustiziere mascherato, accompagnato da una serie di guardie del corpo, ovviamente dei preti, e desideroso di salvare dalla morte tutta una serie di sacerdoti che rischia la vita. Il montaggio è il pezzo forte: lo sketch gioca, infatti, sui trailer cinematografici dei film di spionaggio dell'epoca ed è incredibilmente dinamico, considerando che ritrae un alto prelato. La serie, caldamente consigliata, la trovate in lingua originale (con i sottotitoli) su Netflix.
Quello che ho pensato
Questa è stata la settimana del 25 aprile, e, come sicuramente sapete, ne sono nate infinite polemiche. La settimana scorsa c’è stato lo scandalo della censura a Scurati, questa settimana ci sono state le celebrazioni e, pur tra qualche distinguo, l’attuale governo si è fatto notare per una certa difficoltà a pronunciare la parola “antifascista”. Il ministro Francesco Lollobrigida, in una dichiarazione francamente surreale (non l’unica, per la verità: è riuscito di recente ad affermare che gli animali non sono esseri senzienti e che i formaggi italiani andrebbero resi obbligatori nei menù), l’ha considerata una parola divisiva, ambigua, e la sua cognata Giorgia Meloni è parsa dargli ragione quando, durante il discorso appunto per il 25 aprile, non è riuscita a pronunciare la fatidica parola (anche se qualcosa sul fascismo ha pur detto).
Già questo la dice lunga su varie questioni: in primo luogo, che se un governo ha paura di una parola (peraltro nobile, che ha fatto la storia delle democrazie occidentali) siamo un po’ alla frutta; in secondo luogo, che sul nostro passato c’è un problema ancora aperto, enorme, sul tavolo. Finché avremo ancora difficoltà di questo tipo nel relazionarci col passato – e a parlarne serenamente e obiettivamente –, mi vien da pensare che non potremo certo mai andare avanti.
Ma il problema con la storia, in Italia, è più esteso. In questi giorni, come molti altri mi sono imbattuto in questo articolo de La Stampa relativo alla candidatura di Roberto Vannacci alle Europee con la Lega: già titolo e sottotitolo presentano una serie di problemi non indifferenti. Si legge: «Roberto Vannacci: “Mussolini? Uno statista. Vorrei classi separate per i disabili. E gli italiani hanno la pelle bianca”». E poi: «Il militare: “Il rapporto con i leghisti? Non c’è bisogno di porgere ramoscelli d’ulivo. L’omosessuale che ostenta deve accettare le critiche”».
Analizziamolo, questo titolo, procedendo un po’ con ordine. Partiamo dall’inizio, cioè da Benito Mussolini. Questo nome, in tutto il mondo, è sinonimo di dittatura e crimini di guerra; e come se non bastasse, per sua stessa e ostentata ammissione Mussolini fu responsabile morale e politico dell’omicidio di deputati: lo si può certo definire in molti modi, ma “statista” difficilmente rientra tra questi.
Ma le cose non migliorano passando alle frasi successive. Subito dopo, ad esempio, arrivano le classi separate per i disabili, un tema tanto più importante se pensate che Vannacci è candidato dalla Lega, e la Lega esprime l’attuale Ministro dell’Istruzione. Per fortuna si è subito verificata una levata di scudi, visto che contro quest’idea specifica (ma non contro quella su Mussolini, ahimé) si è espresso mezzo governo; ma il problema rimane.
Con quattro frasi – quella su Mussolini, questa sulla questione delle classi separate e, subito dopo, quelle sulla storia della pelle bianca e dell’omosessuale da criticare –, Vannacci ha demolito i POF, i Patti Formativi e i programmi scolastici del 99% delle scuole italiane: ogni nostro programma didattico è improntato sull’inclusione, l’accoglienza, il rispetto e la non-violenza, e Vannacci sembra essere esattamente all’opposto di tutto questo. Il Ministro – oltre a elencare le cose fatte da quando è al Ministero – non ha nulla da dire al riguardo?
Sugli italiani che hanno la pelle bianca, nello specifico, ci sarebbe poi molto da dire. Anche perché “bianca” è un po’ vago: dato che la genetica ormai ci permette di risalire al ceppo originario di ognuno di noi e a vedere, nel nostro DNA, le mescolanze di diverse etnie, mi piacerebbe che Vannacci ci desse delle percentuali. Perché magari, vai a scavare, vien fuori che Vannacci stesso ha un po’ di antenati africani o asiatici (com’è altamente probabile: siamo un coacervo di diversi popoli), e allora bisognerebbe capire cosa gli facciamo: lo priviamo della cittadinanza? Lo facciamo girare con un marchio di riconoscimento addosso, perché non è discendente diretto degli etruschi? Perché i nazisti ci hanno insegnato che il diverso più pericoloso è il diverso che si mimetizza con noi: e non si sa mai che Vannacci in realtà sia un infiltrato, tra noi italiche genti.
Si scherza, ovviamente. Ma vi sarete resi conto che a tenere il filo del discorso di Vannacci si scivola su una brutta china, e bisogna ritornare a usare parole d’altri tempi, che già negli anni '40 sembravano superate. C’è ancora chi rimpiange Mussolini e l’Italia di ottant’anni fa, in cui i disabili erano emarginati e gli omosessuali dovevano reprimersi, in cui non c’era immigrazione e si stava – credono loro – tanto tanto bene. Peccato che nessuno si ricordi mai che era un’Italia poverissima e ridicola, in cui quasi tutti vivevano ancora nelle campagne in condizioni di sostanziale miseria e a guidare lo Stato era un tizio che si metteva, petto in fuori e mascella quadrata, a parlare dai balconi, usando una retorica ridicola che, a vederla oggi, mette soprattutto tristezza.
Il fascismo è stato certo un movimento violento e feroce, all’inizio; ma poi, quasi subito, è diventato anche insulso e ridicolo. Ridicolaggine e violenza hanno convissuto a lungo, tra gerarchi che facevano esercizi ginnici in pubblico per provare la loro virilità e poi scappavano travestiti da tedeschi per sfuggire ai partigiani. Questo è stato, in estrema sintesi, il fascismo: vanagloria e viltà, forza davanti ai deboli e debolezza davanti ai forti. A rimpiangerlo, ci si definisce per quel che si è.
Ma, di nuovo, il problema è il rapporto con la storia. Che il fascismo sia una pagina nera del nostro passato, è un dato di fatto, c’è poco da girarci attorno o da fare, come sempre, le vittime. E riconoscerlo non significa diventare, automaticamente, comunisti o che so io (sento ancora gente parlare di comunismo, in un’Italia in cui il primo partito rilevante di sinistra è praticamente un partito di centro); significa semplicemente chiudere – in maniera corretta – una pagina e girarne un’altra. E invece abbiamo Vannacci, candidato in pompa magna da un partito di governo, che a parole si richiama proprio a quel passato (senza saperne o capirne granché); abbiamo esponenti di rilievo dell’altro partito di governo che tengono il busto di Mussolini in studio; e decine di altri fatterelli assurdi di questo tipo, a riempire le cronache dei giornali.
Sono solo parole, potrebbe obiettare qualcuno, vuota retorica: in fondo, che ci sia gente incapace di pronunciare la parola “antifascismo” dimostra solo la scarsa serietà di questi personaggi, ma non implica un reale problema per l’Italia del futuro o un eventuale rischio fascista. E sempre quel qualcuno potrebbe anche dire che è ora di smetterla di guardare al passato e cominciare a guardare al futuro: se tutte le energie che spendiamo per parlare di fascismo le usassimo, invece, per disegnare l’Italia del domani, forse diventeremmo in fretta un paese migliore.
C’è qualcosa di vero in questo discorso. Ma, si ammetterà, questo costante rivolgersi al passato non è imposto da chissà quale forza sovrumana: è la stessa classe politica, in molti casi, a usare questi toni nostalgici – in un senso o nell’altro, tra nostalgici del fascismo e nostalgici della Resistenza (anche se, ovviamente, non c’è nulla da rimpiangere del fascismo e c’è molto invece da rimpiangere della Resistenza) – perché evidentemente attirano consensi. Perché l’Italia è sempre più vecchia, ed è tipico dei vecchi pensare molto di più a quel che è stato che a quello che sarà.
E quindi queste parole manifestano un po’ quel che siamo, quel che ci ostiniamo ancora a essere: cioè una nazione divisa sui propri ricordi, che non li ha ancora incamerati per davvero, e che continua a portarseli dietro come un fardello invece che come propulsione per il futuro.
Alessandro Barbero, in un recente e molto ripreso intervento televisivo, ha sostenuto una tesi che porta avanti da vario tempo: che questo nostro perdurare sul fascismo dipenda dal fatto che non siamo passati dalla memoria alla storia; che ne facciamo ancora un fatto personale, e non un fatto di studio. Anche qui c’è del vero, ma mi sembra che il discorso non sia del tutto completo: perché questo riguarda, casomai, quelli che hanno avuto un genitore o un nonno partigiano o fascista, quelli della generazione di Barbero; non certo quelli nati dopo, che non sono pochi e che non hanno una vera memoria personale sul fascismo.
A me sembra che uno dei problemi – non il solo, e forse nemmeno quello più rilevante, e però un problema presente – sia anche il modo in cui insegniamo storia alle superiori. E cioè male, il più delle volte; come un insieme di fatterelli sconnessi tra loro, il cui senso sfugge ai più. Sapere le date della Seconda guerra mondiale non serve a nulla, se non si capisce cosa accadde nel profondo, da dove nascevano le spinte espansioniste e nazionaliste e perché vennero a galla proprio in quel momento e proprio in quel modo; così come conoscere le leggi varate da Mussolini non serve a nulla, se non si capisce da dove arrivavano lui e il suo movimento, quali capovolte fecero e perché le fecero, e come riuscirono a trovare consenso.
Tutto questo a volte si fa, ovviamente, e molti ottimi manuali ce la mettono tutta per supportare insegnanti e studenti nel compito di capire e comprendere, ma sappiamo bene che ciò che fa davvero la differenza è il modo in cui le varie discipline vengono insegnate, l’interesse che riescono a suscitare. Dobbiamo lavorare meglio, in questo senso, perché la storia non è solo una materia come le altre da studiare e mandare a memoria, ma è un pezzo di noi. Se riusciamo a studiarla bene, veramente bene, riusciamo anche ad archiviarla in modo saggio e ad andare avanti; altrimenti rischiamo di rimestare sempre nel fango, senza uscirne.
Insomma, per farla breve: mi pare che le polemiche del 25 aprile nascano non solo da un rapporto sbagliato con la memoria, ma anche da una scarsa conoscenza (e conoscenza vera, profonda) della storia. Così come mi pare che personaggi come Vannacci possano proliferare solo in un’Italia un po’ ignorante – perché ha deciso di ignorare cosa c’è stato, e cosa quelle parole vogliono dire.
Quello che ho registrato e pubblicato
Ed ora vediamo i video e i podcast che ho pubblicato questa settimana, se per caso ve li siete persi e volete recuperarli.
Erasmo da Rotterdam: il pensiero di uno dei più grandi umanisti europei, in un video introduttivo
"Sulla libertà" di Stuart Mill - parte 15: iniziamo a leggere l’ultimo capitolo del bel saggio di John Stuart Mill
Il Leviatano di Thomas Hobbes (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
La disfatta di Caporetto e le sue conseguenze (per il podcast “Dentro alla storia”)
La Rivoluzione d’ottobre in Russia (per il podcast “Dentro alla storia”)
Achille e la tartaruga
Quello che devi fare per seguirmi sui social
Ah, prima di dimenticarci vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
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Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono gli abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
Storia degli Stati Uniti di Giovanni Borgognone: per capire il mondo contemporaneo, bisogna avere un’infarinatura della storia di molti paesi. Uno dei più rilevanti, però, sono gli Stati Uniti. Questo volume di Giovanni Borgognone, edito ormai diversi anni fa e però più volte ristampato e aggiornato da Feltrinelli, è un piccolo classico nel suo settore: in poche centinaia di pagine ripercorre una storia importante e contraddittoria, non solo tramite le diverse presidenze ma anche dal punto di vista sociale. Tra l’altro, il libro si trova all’abbordabilissimo prezzo di 14 euro, quindi è ultra-consigliato. Potete comprarlo qui.
sui social questa settimana ho segnalato come al solito diversi libri appena usciti che mi paiono interessanti, una sorta di “lista della spesa” che dovrebbe rivelarsi utile anche in primis per me. Ecco i volumi, se ve li siete persi (se vi interessano, cliccate sopra alle immagini per altre informazioni):
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate, passando anche per il Club del Libro e il Simposio. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Quello che c’è in arrivo
E concludiamo con una doverosa anticipazione su quello che uscirà sui vari canali durante questa settimana:
domani vorrei proporvi il terzo e ultimo video dedicato a Dostoevskij;
mercoledì ho in programma un nuovo capitolo della Storia dei consumi, anche se non so ancora se, per varie circostanza, potrei dover cambiare i programmi;
giovedì e venerdì sarà la volta dei podcast, con una puntata per concludere, credo, Hobbes e un’altra per concludere, credo, la Prima guerra mondiale;
sabato prossimo mi piacerebbe preparare un nuovo video della Storia delle Olimpiadi;
domenica e lunedì potrebbero uscire uno short (uno dei video brevi, da un minuto) forse di argomento platonico e potrebbe tenersi la prossima riunione del Club del Libro, anche se la data precisa devo ancora deciderla assieme agli abbonati.
E questo, comunque, è tutto. Mercoledì arriva la festa del 1° maggio: passatevela bene; ma prima, se siete di Rovigo e dintorni, ricordatevi l’appuntamento di Pontecchio di cui parlavamo all’inizio. Per tutti gli altri, l’appuntamento è qui tra sette giorni esatti.
Ciao Ermanno,
Vorrei ringraziarti per il bellissimo lavoro che fai con il tuo magnifico podcast Dentro la storia. Condivido pienamente i tuoi riflessioni sul problema che avete con l’antifascismo. Sono spagnola e accade la stessa cosa qua. Soltanto devi cambiare il nome Mussolini per Franco e vale per l’Spagna, dove non si hanno fatto dei conti con la storia. Qua la storia si insegna di maniera che si pretende obbiettiva, ma che non lo è affatto, per non disturbare le diverse sensibilità. Grazie ancora.