Il principio di autorità dei quotidiani, più note sparse su Mercoledì Addams, la protesta in Iran, Boris la serie, Matthew Perry di Friends, Hegel, Slumberland, Napoleone, Napoleone III, l'estetica
Il mondo della filosofia è un mondo un po’ strano. Basta pensare alle storie che spesso mi raccontate per rendersene conto: per un seguace del canale YouTube che mi racconta di aver amato questa materia fin dai tempi del liceo, magari grazie a un professore o a una professoressa che è riuscito ad entrare nella mente dei suoi alunni, ce n’è sempre almeno un altro che mi riferisce situazioni al limite del surreale, con docenti che non solo non riescono a trasmettere la passione per la disciplina ma che spesso non riescono neppur a far comprendere i concetti più elementari che dovrebbero insegnare.
Certo, questo è un problema che non riguarda solo la filosofia, ma un po’ tutta la scuola (forse anche con la matematica funziona esattamente così). Ma si ammetterà, forse, che con la filosofia l’esito è a volte paradossale: perché le complicazioni non sono date solo dalla materia in sé, ma anche da chi la presenta. I filosofi – e ugualmente, con loro, gli insegnanti di questa disciplina – a volte sembrano divertirsi ad esprimersi in modo volutamente astruso. In certi casi, un linguaggio alto e complesso è necessario, certo; ma questa necessità sembra a volte diventata una scusa dietro a cui nascondere un’incapacità o una mancanza di volontà di esprimere concetti semplici in modo altrettanto semplice.
Sarebbe troppo lungo aprire qui una pagina sulla (a volte) inutile complessità della prosa dei filosofi, ma mi stupisce ancora oggi imbattermi in pensatori e professori che alla fine dei conti – tolti tutti gli aggettivi altisonanti – devono esprimere in realtà due idee, ma che ci costruiscono sopra almeno tre o quattro libri, rimescolando le parole e infarcendo il tutto con dotti riferimenti ai pensatori del passato o all’etimologia dei termini.
È questo che poi rende certi libri difficili da leggere e che allontana persone che sarebbero anche appassionate alla filosofia; e che svilisce almeno in parte il ruolo di una disciplina che oggi più che mai sarebbe fondamentale. Ma sono temi su cui torneremo, non dubitate.
Oggi ne ho parlato soprattutto per il grande entusiasmo attorno alle pagine di appunti sul pensiero di Hegel; pagine che, almeno a quanto ho letto io, non sono affatto di Hegel, ma solo appunti delle sue lezioni; pagine che, a quanto ho letto io, sono scritti che possono aiutare a capire meglio come Hegel sia arrivato a certe idee ma non certo quali fossero le sue idee, cosa che è già piuttosto nota; pagine che, insomma, dovrebbero interessare al massimo i biografi e gli iper-specialisti. Invece se ne fa un gran parlare: segno, a mio avviso, di una filosofia che si guarda l’ombelico e parla di se stessa più che del mondo, che si piace e si compiace di se stessa, anche se questo la porta a non incidere su quasi nessuno.
Noi invece proviamo a parlare di filosofia e di storia perché arrivino da qualche parte. E lo facciamo, come al solito, anche con romanzi, film, serie TV. Cominciamo.
Quello che ho letto
Si riparte come al solito dai libri. In lista questa settimana ci sono due quasi-autobiografie (una più letteraria, l’altra meno) e un saggio di filosofia estetica.
Libera nos a Malo di Luigi Meneghello: dopo aver finito Il buon soldato Sc’vèik, il libro di Meneghello è diventato ufficialmente la mia unica lettura di puro svago. Questa settimana mi ci sono dedicato per la verità non tantissimo, giusto nei ritagli di tempo tra una riunione e l’altra, ma sono comunque arrivato ormai ai due terzi del volume e comincio a intravedere il finale. Come forse vi ho già detto, Libera nos a Malo è sostanzialmente un libro di ricordi sull’infanzia e l’adolescenza dello scrittore; un’infanzia e un’adolescenza passate a Malo, in provincia di Vicenza, durante gli anni del fascismo. In questo, non sarebbe affatto un libro originale; ma a renderlo speciale sono le riflessioni – a metà tra il serio e il faceto, tra il sociologico e la battuta di spirito – con cui Meneghello infarcisce queste storie di vita di provincia. Alcuni capitoli sono inevitabilmente più riusciti di altri, ma le parti in cui si parla del dialetto, delle ragazze, dei preti e delle avventure dell’adolescenza sono difficili da dimenticare. Se volete comprarlo, lo trovate qui.
Il futuro dell’immagine di Federico Vercellone: questo libro è spesso presente nei programmi dei corsi universitari che si occupano di estetica. E se ne capisce abbastanza facilmente il motivo: è uno dei pochi saggi italiani che cercano di delineare una filosofia dell’immagine adatta ai tempi che stiamo affrontando, tempi in cui il visivo inizia a prevalere in maniera sempre più netta sull’acustico e lo scritto, l’immagine sulla parola, la rappresentazione sul logos. Vercellone tutto questo lo individua molto bene, e cerca di indicarne anche la storia, la genealogia, analizzando il passato della dicotomia parola-immagine e come questo passato abbia influito sullo sviluppo del nostro pensiero e della nostra cultura. Il guaio è che il saggio, così importante, si rivela però anche molto difficile; a tratti direi perfino inutilmente difficile e ostico. Come dicevo anche nell’apertura di questa newsletter, a volte c’è nel mondo intellettuale italiano l’impressione di voler parlare sempre e solo ad una cerchia assai ristretta di persone, di voler – anche inconsapevolmente, senza rendersene nemmeno conto – tenere il tono del discorso esageratamente alto, in modo da farsi capire solo da pochi. Di voler ostacolare, cioè, chi non è già un esperto della materia, di voler allontanare i profani, quasi che il discorso fosse riservato agli iniziati di una setta. Ed è un peccato: perché il futuro dell’immagine, proprio per usare il titolo del libro, riguarda tutti noi. È però proprio per questo motivo, d’altronde, che mi sono messo a leggere questo libro: perché alcuni studenti universitari in difficoltà mi hanno chiesto una mano. L’ho dunque cominciato e sono più o meno ad un quinto del volume: quando l’avrò finito preparerò un video, cercando di spiegarne i punti più importanti. Intanto, se volete avventurarvi nell’impresa, lo si acquista qui.
Friends, amanti e la Cosa Terribile di Matthew Perry: vi ho già parlato la settimana scorsa dell’autobiografia di Matthew Perry, il Chandler di Friends, da poco uscita in tutto il mondo, Italia compresa. L’ho iniziata, sperando per la verità soprattutto di seguire il dietro le quinte di una delle sitcom più famose di tutti i tempi; in realtà però per ora si è parlato soprattutto di alcolismo, anche se da qualche pagina l’attore ha cominciato a raccontare la storia dei propri genitori, di come si sono conosciuti e innamorati. Ad esempio, lo sapevate che il padre di Perry era un musicista capace di piazzare una sua canzone subito dietro quelle dei Beatles, nelle classifiche di Billboard dei primi anni '60? Vedremo comunque se il tutto proseguirà fino ai tempi della televisione e se ci sarà qualcosa di succoso. Per il momento, se vi interessa, lo trovate qui.
Quello che ho visto
Come già da qualche tempo, nella lista delle cose viste di questa settimana ci sono soprattutto serie TV. D’altronde le piattaforme di streaming promuovono ormai da tempo con maggior forza (e spesso anche con maggior qualità) soprattutto questi contenuti, che tendono a fidelizzare meglio gli spettatori e a diventare più facilmente “virali”. Ne è una prova la prima serie di questa lista, che in questi giorni è citata più o meno ovunque e domina i social network, soprattutto dei più giovani.
Mercoledì episodi 1.03-1.04 (2022), di Alfred Gough, Miles Millar e Tim Burton, con Jenna Ortega, Emma Myers, Gwendoline Christie: le prime due puntate dell’ultima serie di grande successo di Netflix le avevo viste la settimana scorsa; e in questi ultimi giorni mi sono portato avanti con altri due episodi, più che altro perché mia figlia l’ha già finita per conto suo (non ha avuto la pazienza di aspettarmi) e rischia continuamente di rivelarmi degli spoiler. Devo dire che ad un primo impatto avevo temuto che la serie esaurisse piuttosto in fretta i suoi motivi di interesse: in fondo il personaggio di Mercoledì Addams, assieme a tutta la sua famiglia, è stato sfruttato già in lungo e in largo negli anni e pensavo che, al di là di una certa fascinazione per il macabro, non avrebbe avuto molto da dire. Invece devo ammettere che il modo in cui gli sceneggiatori (Gough e Millar) e Tim Burton l’hanno gestita mi sembra abbastanza intrigante e ha ridestato in me un certo interesse. Ovviamente si tratta di una serie teen, in cui al centro di tutto ci sono pur sempre le tematiche adolescenziali (amore, compagni di scuola, invidie, gelosie… tutto il campionario consueto), ma almeno c’è un divertito gusto per il macabro, ben esaltato anche dalla brava Jenna Ortega, l’attrice protagonista, perfettamente calata nella parte. Come si dice anche da qualche parte all’interno di queste puntate, è in pratica uno Scooby-Doo più dark e più divertente: e questo non è affatto un difetto.
Slumberland - Nel mondo dei sogni (2022), di Francis Lawrence, con Marlow Barkley, Jason Momoa, Chris O'Dowd: ho guardato questo film con un certo interesse e anche con una buona dose di aspettative. Si tratta infatti di una pellicola – anch’essa presente su Netflix – tratta dal classico fumetto Little Nemo, uno dei più belli (e più antichi) della storia, che ha per protagonista un bambino di inizio Novecento che vive incredibili avventure in un mondo onirico che si crea ogni volta che sogna. Il film però non rende pienamente giustizia alla sua origine: Nemo, da maschio che era nel fumetto, è qui trasformato in una ragazza; il mondo onirico rimane, ma l’eleganza del fumetto di Winsor McCay si tramuta in un mondo molto più chiassoso e moderno, scordando quasi completamente le atmosfere liberty delle tavole a fumetti; e poi nel film viene introdotta una trama strappalacrime di cui non so quanto si sentisse il bisogno. Ciononostante, Slumberland non è un disastro: la pellicola fila anche abbastanza bene, ha dei begli effetti speciali e Jason Momoa è abbastanza convincente nella parte. Se non si sa da dove la storia proviene, può essere anche godibile; peccato però per quello che poteva essere e non è stata.
Boris episodi 4.05-4.06 (2022), di Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo, con Francesco Pannofino, Pietro Sermonti, Alessandro Tiberi: parallelamente a Mercoledì, sto portando avanti un’altra serie horror-sarcastica: Boris. Scherzo, ovviamente: nel senso che l’orrore dello show italiano è più che altro la grottesca grossolanità delle produzioni televisive italiane che nella serie viene ampiamente stigmatizzata. Ovvero: l’orrore, in Boris, siamo noi. La stagione, come probabilmente già sapete, si concentra infatti su una troupe italiana che sta realizzando una miniserie sulla vita di Gesù per una piattaforma di streaming americana; solo che il protagonista, Stanis, è un mentecatto; la moglie, Corinna, che interpreta Maria, è una “cagna maledetta”; il regista è uno che ha rinunciato da tempo alla qualità; gli sceneggiatori sono degli arraffoni; l’aiuto regista è uno spacciatore; il capo elettricista è un bullo di periferia; il direttore della fotografia è cieco (!) e le comparse sono camorristi. E non sto esagerando, è proprio così. L’esito, ovviamente, è comico ma anche dissacrante. In più, lungo le puntate fanno la comparsa alcuni vecchi personaggi della serie, a volte solo per un cameo, cosa che crea anche un certo effetto nostalgia. La trovate su Disney+.
Quello che ho pensato
Devo dire che questa settimana non ho avuto, in verità, troppo tempo per pensare: tutti i miei pomeriggi sono stati riempiti da attività scolastiche (ricevimenti generali dei genitori, attività di PCTO, scuola aperta ed altro ancora) o video da registrare, quindi per l’analisi dei massimi sistemi sono rimasti solo dei ritagli di tempo. Ma, collegando tra loro alcuni “spezzoni” di riflessione maturati nelle ultime settimane, forse qualcosa da dire anche questa settimana c’è.
Il tema sono i “media” tradizionali, ovvero la TV e i giornali, soprattutto contrapposti ai “nuovi media”, cioè in particolare ad internet. Siamo infatti portati a pensare – e anche gli studi al riguardo insistono molto su questo punto – che la nostra sia ormai la società dell’informazione veloce, del web, dei social network, della fugacità; che ormai non possiamo fare a meno di leggere le notizie sul cellulare, di rimanere influenzati dagli scambi d’opinione su Twitter o su Facebook, che le grandi decisioni politiche in un certo senso si prendano su TikTok. E, a dirla tutta, fior di sociologi e psicologi (ma anche filosofi) negli ultimi anni hanno cavalcato quest’onda, presentandoci pregi e difetti del “mondo nuovo” digitale.
Ebbene, in tutti questi discorsi c’è ovviamente del vero, ma ho l’impressione che a volte ci facciamo prendere un po’ troppo la mano, e diamo ad internet un peso molto maggiore di quanto non abbia davvero nella realtà quotidiana. Detta in altri termini: mi pare che il vero motore dell’informazione e dell’opinione in Italia – almeno per buona parte della popolazione – siano ancora i giornali (anche se, paradossalmente, non li legge più nessuno) e la TV e non certo il web.
Due esempi piccoli piccoli, per motivare quest’impressione. Primo: forse avrete visto sui social network che questa settimana sul Gazzettino, quotidiano medio-piccolo della mia zona, è uscito un breve articolo dedicato al fatto che su YouTube ho raggiunto la quota di 5 milioni di views.
Quando mi hanno chiamato per realizzare l’intervista, ho accettato dando per scontato che non avrebbe avuto troppo risalto: so bene che i giornali di questo tipo vendono veramente poco, oramai, e che notizie di secondo piano raramente vengono notate. D’altra parte, il mio canale YouTube da solo fa probabilmente più visite in un solo giorno (e soprattutto visite più mirate) di quante non ne faccia il quotidiano. Pertanto mi aspettavo che gli interessati avessero già saputo dei 5 milioni, e che chi non era interessato non si sarebbe certo fatto incuriosire da un articolo visto di sfuggita sulla pagina interna di un giornale al bar.
Invece, con mia somma sorpresa, non ho mai ricevuto così tanti complimenti come dopo l’uscita dell’articoletto. Certo, è stato internet a farlo girare (a quanto ho capito, la gente l’ha letto soprattutto tramite i social network o WhatsApp, dove è stato inoltrato), ma era pur sempre un articolo della carta stampata più tradizionale; un articolo che non diceva niente di nuovo rispetto a quanto era già presente in internet, dove, almeno teoricamente, molta più gente avrebbe dovuto vedere la stessa notizia.
La motivazione di questo strano effetto è in realtà molto semplice, e a dirla tutta non è neppure la prima volta che ci incappo: è una questione di autorevolezza. Se tu fai 5 milioni di views è una cosa; ma se un giornale dice che fai 5 milioni di views è tutt’altra cosa. Le stesse persone che avevano visto quel numero sul web non mi avevano detto nulla, non pensando forse che fosse chissà quale gran cosa, ma quando l’hanno visto sul giornale sono corse a farmi i complimenti: segno che alla fine non è forse sempre il numero che conta, ma il mezzo che racconta quel numero. Come diceva McLuhan, «il mezzo è il messaggio».
Il che, come accennavo, è però strano. I quotidiani in Italia non godono di alcuna popolarità e sono ormai vittime di una crisi ultradecennale. Tutti i quotidiani tradizionali perdono lettori e quelli più piccoli sono quasi sicuramente destinati a chiudere, prima o poi, o a cambiare completamente faccia; inoltre credo che anche la fiducia delle persone nella carta stampata sia ai minimi storici. Eppure, nonostante tutto questo, l’articolo sul giornale continua a godere di un suo fascino. Diamo per scontato che se lo dice il giornale dev’essere vero. Che se finisci sul giornale allora sei famoso. Critichiamo tanto giornali e giornalisti, ma inconsapevolmente diamo loro ancora una certa autorevolezza.
Un discorso simile, e anzi addirittura maggiore, lo si può fare però anche sulla televisione. Anche in questo caso sono anni che diciamo che internet sta sostituendo la TV, che lo streaming sta cancellando i canali tradizionali e che TikTok e YouTube sono più potenti della Rai. Forse questo è vero per certe fasce della popolazione, ma mi sembra di poter dire che queste fasce della popolazione siano ancora poche. La prova? Il fatto che i temi centrali del nostro dibattito, ma anche delle nostre indignazioni, siano sempre legati a quello che la televisione ci propone.
Ci pensavo proprio in questi giorni in relazione ai Mondiali di calcio. Se li state seguendo, forse vi siete resi conto di come le tematiche siano rapidamente mutate in queste poche settimane di partite: prima dell’inizio della manifestazione non si faceva altro che parlare dello sfruttamento dei lavoratori avvenuto in Qatar; poi, durante le prime gare, si discuteva delle polemiche politiche (la fascia One Love per i capitani, la Nazionale tedesca con la mano davanti alla bocca, quella iraniana che non cantava l’inno eccetera eccetera); ora mi sembra invece che si parli solo di calcio, quasi che tutte le polemiche precedenti abbiano un po’ stufato. E però, attenzione: a decidere questi cambiamenti del “tema del giorno” è stata sempre e solo la TV. Non li abbiamo decisi noi o il web (dove si continua ancora a parlare di Iran, per fare un esempio); ma i giornalisti televisivi.
Fin tanto che la TV parla di un problema, il problema c’è e ci angoscia; quando smette di parlarne, quasi non c’è più. Lontano dagli occhi, lontano dal cuore, verrebbe da dire. Pensate appunto alle proteste in Iran, ad esempio: se la televisione ci propone tre servizi consecutivi sulle donne in piazza, ci sentiamo partecipi e magari ci tagliamo i capelli in segno di solidarietà; ma se invece l’Iran viene eliminato dai Mondiali e siamo presi dalle partite degli ottavi di finale, di quella protesta iraniana ci dimentichiamo facilmente. Idem per i lavoratori morti in Qatar: ne parliamo finché siamo in attesa delle gare, ma quando il Mondiale comincia ci troviamo davanti agli occhi ben altro di cui discutere, ovvero Messi, Neymar, Mbappé o chissà chi altro.
Certo, in questo meccanismo c’è anche la nostra incapacità di occuparci sempre e costantemente di tutti i temi, oltre che la necessità di sfuggire alla noia e di distrarci con argomenti sempre nuovi, positivi o negativi che siano. Ma, mi pare, c’è anche il potere di indirizzarci della TV, che decide (o almeno influenza) i temi di discussione. Solo per fare un esempio, se guardate i Trending topics di Twitter vi rendete facilmente conto di come spesso abbiano un’origine televisiva, o quantomeno un legame con essa. È più spesso la TV a dettare i temi, non i temi a condizionare la TV.
Il discorso però, a dirla tutta, si potrebbe anche ampliare. Quando spieghiamo la storia e la filosofia medievale, molto spesso insistiamo sul cosiddetto “principio di autorità”, sull’ipse dixit; sul fatto, cioè, che appunto durante il Medioevo ci si basasse molto nelle argomentazioni sulla forza di chi in passato aveva sostenuto quelle stesse idee. Invece di portare prove al riguardo di una certa tesi, si preferiva portare l’esempio di grandi pensatori che avevano sostenuto quella tesi. Come, insomma, se per dimostrare un fatto bastasse dire che “anche Aristotele lo pensava vero” o “anche Agostino l’aveva sostenuto” o cose di questo genere.
Quando facciamo questi discorsi, sia noi docenti che gli studenti tendiamo a guardare gli uomini del Medioevo con un certo disprezzo: li consideriamo ingenui a non mettere alla prova le loro conoscenze, preferendo adagiarsi sull’autorità degli uomini del passato; li riteniamo stupidi ad affidarsi più ad Aristotele (un uomo vissuto duemila anni prima) che a Galileo Galilei (un contemporaneo); li pensiamo abbastanza ottusi.
Per la verità, però, dovremmo anche ammettere – per onestà intellettuale – che anche noi oggi finiamo per incappare ogni tanto in quegli stessi errori, almeno metodologici. Anche noi oggi continuiamo a dare una grande importanza al principio di autorità, per cui riteniamo istintivamente più affidabili le parole dei giornali (anche se sappiamo bene che i giornali a volte sono molto superficiali) e riteniamo oggettive le parole della TV (anche se sappiamo da decenni che la TV ci presenta sempre e solo un unico punto di vista), mentre non diamo grande peso a quello che sentiamo su internet.
Ed è, in fondo, normale che sia così, e forse anche un bene. Internet è pieno di cretinate, nefandezze, e mediamente è molto peggiore della TV e dei giornali. Non sapendone niente, facciamo bene a fidarci più dei mezzi di informazione tradizionale che della rete: magari non saranno perfetti, ma almeno non ci raccontano di solito le fandonie che possiamo trovare sul web.
E però, col principio di autorità dobbiamo sempre fare i conti; e i media tradizionali, nel bene e nel male, in questo campo sono meno in crisi di quanto ci piaccia pensare, se non altro perché – per quanti errori facciano – ci sembra possano farne meno dei nuovi media, che quella (anche minima) autorevolezza non se la sono ancora guadagnata sul campo.
Quello che ho registrato e pubblicato
Se questa settimana temete di esservi persi qualche video o qualche podcast, ecco tutto quello che ho pubblicato.
L'Iran tra ieri ed oggi (1989-2022): ultima puntata della serie sull’Iran, con le drammatiche vicende attuali
I barbari e l’impero romano: torniamo a parlare di storia romana, presentando i contatti tra l’impero e i barbari
Eraclito: panta rei, tutto scorre [Filosofia per ragazzi 5]: nuovo capitolo della nostra serie di video filosofici per ragazzi, incentrato su Eraclito
Napoleone III: il secondo impero: Luigi Napoleone Bonaparte è ormai diventato imperatore, ma come usa questo potere per quanto riguarda la politica interna?
L'autunno del Medioevo - Audiolibro spiegato parte 13: nuova puntata del nostro audiolibro, incentrato sulla religiosità del Medioevo
Filosofia e religione per Giovanni Duns Scoto (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
Il crollo dell’impero napoleonico (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono i nuovi abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri e videocorsi che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
La fenomenologia dello spirito di G.W.F. Hegel: abbiamo aperto questa newsletter parlando della scoperta dei nuovi appunti su Hegel; appunti che, a quanto si capisce, risalgono a poco dopo la composizione del primo capolavoro del filosofo tedesco, La fenomenologia dello spirito. Proprio per questo motivo oggi ho deciso di proporvi proprio quel libro, forse il più accessibile (anche se non certo facile) del pensatore idealista. Se volete leggere qualcosa di Hegel, bisogna insomma partire da qui (sperando di sopravvivere). L’edizione Einaudi è una delle migliori: circa 600 pagine a poco più di 26 euro; se però guardate c’è anche la versione ebook che costa solo 10 euro. Certo, bisogna armarsi di pazienza; ma in libreria fa pur sempre la sua figura. Il libro lo trovate qui.
Visual thinking: organizza e presenta idee d'impatto: il pensiero si può esprimere in molti modi: con le parole ma anche con le immagini. È in un certo senso quello che emerge anche dalla lettura delle prime pagine di Il futuro dell’immagine, libro di cui vi ho parlato qualche paragrafo più sopra. Se però volete passare dalla filosofia a qualcosa di più profano, vi consiglio questo corso Domestika che vi insegna come concretizzare i concetti in immagini; un corso che può essere utile in ambito lavorativo, ma anche semplicemente per dar forma ai propri pensieri. Costa 14,90 euro e si compone di 14 lezioni. Lo trovate qui.
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né fare corsi, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Cosa c’è in arrivo
La settimana scorsa, se vi ricordate, avevo messo le mani avanti, dicendo che non sapevo se sarei riuscito a realizzare tutti i video che avevo in programma o se avrei cambiato la lista in corsa. Alla fine in realtà i video li ho fatti tutti, ma ho cambiato i piani per la settimana che sta arrivando ora (anche se non vi avevo ancora dato anticipazioni). Ecco dunque cosa c’è in lista per i prossimi giorni:
dovrebbe uscire la seconda parte dei video di filosofia per ragazzi dedicata ad Eraclito;
vorrei riuscire a fare – magari proprio lunedì prossimo, se tutto va bene – una diretta sull’insegnamento, visto che mi sono arrivate varie richieste al riguardo;
vi parlerò, in un video apposito, anche della figura di Masaniello;
infine dovrei riuscire a fare anche un video su un libro che è stato un best-seller negli ultimi anni e che contiene qua e là qualche riferimento filosofico;
per quanto riguarda i podcast, poi, aspettatevi nuove puntate su Duns Scoto e sulla conclusione di Napoleone.
E questo è tutto. La settimana prossima, visto che qui in Veneto ci sarà un breve ponte scolastico connesso alla festa dell’8 dicembre, mi prenderò qualche giorno di pausa con la famiglia, organizzando una breve gita che spero non sarà troppo funestata dalla pioggia (o dall’influenza: ce la siamo beccata più o meno tutti, nei giorni scorsi). I video dovrebbero comunque continuare a uscire regolarmente (e credo anche la newsletter). Se così non fosse, sappiate che è per un buon motivo. A presto!
A proposito del principio di autorità e della forza della TV, le racconto un episodio. Un professore di psichiatria (lavoravo allora presso un Istituto universitario di Psichiatria a Verona) partecipò ad una trasmissione televisiva per parlare di depressione. La mattina dopo cominciarono a piovere telefonate di persone che volevano essere visitate da quel professore, solamente perché l'avevano visto e sentito alla televisione. Un cordiale saluto e grazie per le sue lezioni