Il senso del divulgare (su YouTube e non solo), il senso del vincere un Mondiale chiamandosi Messi, il senso della Mercoledì di Tim Burton, e poi anche Ottomani, Machiavelli, Monty Python, sociologia
Prima che me ne dimentichi: tanti auguri! La prossima newsletter uscirà infatti lunedì 26 dicembre, il giorno dopo Natale, quindi quando la leggerete avrete di sicuro già mangiato abbondantemente, scartato i regali e, spero, baciato qualcuno sotto il vischio e abbracciato i vostri cari. Non dimenticatevi perciò anche dei miei auguri storico-filosofici.
Nella settimana che è appena finita però mi sembra non si sia parlato ancora tanto di Natale: a catturare l’attenzione di molti è stata piuttosto la finale dei Mondiali più discussi di sempre, tra diritti umani negati, strani cedimenti dal punto di vista dei valori, Qatargate ed altro ancora. Come vedrete andando avanti nella lettura, finisco per parlarvene oggi anch’io, soffermandomi però solo sulla partita tra Argentina e Francia; in futuro, magari a mente fredda, avremo comunque modo di fare anche qualche considerazione in generale su questa manifestazione.
Per il resto, vi comunico che sto cercando di portare a compimento vari libri e serie TV che ho iniziato negli ultimi mesi o settimane, perché il clima da “fine dell’anno” mi spinge a tirare un po’ le somme; e vedrete che questo si comincia a notare anche nei video.
Basta però ora con le premesse: iniziamo subito col nostro solito menù.
Quello che ho letto
Partiamo come sempre dalle letture della settimana. Il libro di Meneghello con cui apriamo ormai ci accompagna da parecchio e speravo onestamente di riuscire a finirlo in questi giorni; purtroppo non ce l’ho fatta (magari il Natale porterà l’ultimo scatto verso il finale), ma in ogni caso in elenco è presente un po’ di varietà, con anche due saggi più tecnici.
Libera nos a Malo di Luigi Meneghello: partiamo, come anticipato, dal libro di memorie di Luigi Meneghello dedicato all’infanzia passata a Malo, nel vicentino, durante gli anni del fascismo. Come già vi ho raccontato in altri frangenti, la narrazione è nostalgica ma allo stesso tempo divertita, capace di presentare il resoconto di un mondo che in un certo senso non dovrebbe esistere più – contadino, religioso, pre-moderno – ma che in realtà secondo me in qualche angolo del Veneto ancora sopravvive. Nonostante l’autore racconti lo stile di vita di cent’anni fa, di un’epoca in cui non c’era la televisione né tantomeno il cellulare, il modo di intendere la vita di allora non è troppo dissimile, almeno nella mia esperienza, da quello di quand’ero bambino io: anche ai miei tempi, trent’anni fa, nella provinciale Rovigo c’erano le vecchine che andavano sempre a messa, i poveri che venivano a chiedere la carità la domenica, la scoperta ingenua della sessualità, le superstizioni, i modi di dire dialettali, le scorribande. Mi verrebbe quasi da dire che il Veneto degli anni '30 fosse molto più simile a quello degli anni '80 di quanto quello degli anni '80 sia simile a quello di oggi. Il che non sarebbe neppure un fatto così paradossale, a ben pensarci: a separare le due epoche sono cinquant’anni nel primo caso, ormai quaranta nel secondo. Insomma, il vero slancio evolutivo la nostra profonda provincia del nord-est lo ha vissuto, probabilmente, negli ultimi trent’anni, e non bisogna troppo stupirsene. Comunque il libro, come anticipato, è ormai agli sgoccioli e dovrei davvero riuscire a finirlo quanto prima; se vi interessa, lo trovate qui.
Non siamo mai stati moderni di Bruno Latour: dopo un romanzo (o una raccolta di brevi racconti) dal sapore personale e nostalgico, passiamo a due saggi più tecnici, filosofici e sociali. Il primo è Non siamo mai stati moderni, che ho cominciato in questi giorni: l’autore è Bruno Latour, studioso francese venuto a mancare proprio poche settimane fa. Devo dire, prima di tutto, che il libro non è affatto facile da trovare in italiano: è stato tradotto qualche anno fa da elèuthera ma, per dire, su Amazon non è disponibile (su IBS invece sì, e lì l’ho preso, anche se sospetto che le copie in magazzino non siano molte). Per ora sembra valerne la pena: l’inizio del libro – che è un po’ datato, essendo stato scritto nel 1991 nonostante tratti di temi anche connessi all’ecologia e ai disastri ambientali – è molto accattivante, anche per la scelta di esibire uno stile dialogico e a tratti polemico, anche se molto francese. Devo dire, tra l’altro e per inciso, che i filosofi e i sociologi francesi si riconoscono lontano un miglio: hanno tutti voglia di polemizzare tra loro e di proporre un nuovo (ennesimo) modello per l’interpretazione della società, che si vada a sommare ai mille altri modelli elaborati dai mille altri filosofi, sociologi e antropologi francesi. Così Latour sembra fin da subito contrapporre appunto un suo modello (il non-moderno) ai modelli del post-moderno, dello strutturalismo e di non mi ricordo nemmeno più quali altre teorie. Questo proliferare di etichette – create, almeno a prima vista, più che altro per distinguersi da qualche collega, o per puntualizzare cose forse secondarie – fa un po’ sorridere e fotografa una filosofia che tende ad essere un po’ autoreferenziale, ma bisogna dire che almeno Latour sembra in parte anche divertirsi nel giocare con questi piccoli screzi e proporre la propria visione delle cose. Questo, almeno, per restare sulle prime impressioni: nelle prossime settimane, entrando maggiormente all’interno dei temi del saggio, sarò anche più preciso sulle teorie.
Il futuro dell’immagine di Federico Vercellone: del saggio di Vercellone vi ho già detto qualcosa un paio di settimane fa, se non erro. Si tratta di una indagine sul ruolo dell’immagine nell’età attuale; un’indagine interessante ed intrigante, che però l’autore conduce ad un livello a tratti un po’ irritante, dicendo e non dicendo, infiorando le pagine con decine di rimandi dotti che sembrano però utilizzati non tanto per chiarire meglio il punto, quanto per girarci attorno. Ed è un peccato, a mio avviso, perché le idee di cui discutere e su cui pensare ci sono; solo che bisogna andare a pescarle in mezzo a cose che solo gli specialisti della filosofia estetica possono capire. Non mi meraviglia che vari studenti universitari, negli scorsi mesi, mi abbiano chiesto di offrire loro una qualche chiave di lettura di questo libro; un libro che, forse volutamente, sembra scritto per pochi. E che però sarebbe bello fosse per tutti. Vediamo, magari anch’io sto giudicando prematuramente e sono solo i primi capitoli ad essere un po’ ostici: ne riparliamo tra qualche settimana. Intanto, se volete comprarlo, lo trovate qui.
Quello che ho visto
Passiamo ora alla televisione. Come vedrete, in lista questa settimana non c’è nessun film, ma c’è una serie TV di grande successo che ho finalmente finito, un grande classico (sempre televisivo) del passato che mi sono messo a recuperare e, soprattutto, la finale dei Mondiali, sulla quale vale la pena di spendere qualche veloce parola.
Mercoledì episodi 1.06-1.07-1.08 (2022), di Alfred Gough, Miles Millar e Tim Burton, con Jenna Ortega, Emma Myers, Gwendoline Christie: prima di tutto, ho finito Mercoledì, la serie Netflix del momento. Ho proprio dovuto farlo: da giorni i miei studenti mi chiedevano se l’avevo finita e soprattutto se mi era piaciuta, e questa pressante richiesta (unita alla voglia di mia figlia di fare spoiler) mi ha costretto ad accelerare la visione. Spero di non deludere qualcuno, ma in tutta onestà non mi è piaciuta granché: l’ho trovata banale, scontata (ho capito chi era il cattivo all’episodio 3, i miei figli sono testimoni) e soprattutto priva di guizzi. Molti personaggi, inoltre, erano davvero antipatici o piatti, e perfino gli effetti speciali – che ormai sono di norma curatissimi – mi sono sembrati abbastanza pacchiani. L’unica cosa che si salva, e si salva molto bene, mi sembra essere Jenna Ortega, la giovane attrice protagonista, che di fatto ha retto tutta la serie sulle sue spalle, dandole un minimo di profondità e un qualche motivo d’interesse. Per il resto, calma piatta. Anche Tim Burton – che qui ha lavorato soprattutto come produttore esecutivo – sembra averci messo ben poco di suo, forse giusto uno zampino qua e là, lasciando spazio a gente che probabilmente ha visto troppe puntate di Veronica Mars o di Scooby-Doo. D’altronde, non sembro l’unico a pensarla così, se è vero che già i miei studenti di quarta superiore mi sono sembrati un po’ freddi al riguardo; e, per dire, quella a cui è piaciuta di più in famiglia è stata mia figlia, che fa la seconda media. Insomma, un prodotto davvero per ragazzini; mi aspettavo un po’ di meglio. Ah, giusto per completare il discorso: è la storia di Mercoledì Addams, adolescente dark proveniente dalla celebre famiglia horror che si trova ad essere iscritta alla Nevermore Academy, scuola di reietti in cui uno strano mostro sta commettendo una serie di omicidi. Se, nonostante tutto quello che ho scritto, avete ancora voglia di vederla, la trovate su Netflix.
Argentina - Francia 3-3 (4-2 d.c.r.): e parliamo, dunque, anche di questa finale dei Mondiali che ha visto trionfare l’Argentina di Leo Messi sulla Francia di Kylian Mbappé. Devo dire la verità: all’inizio del torneo non avrei scommesso un euro sulla squadra sudamericana, e la sconfitta con l’Arabia Saudita nel prima turno del torneo mi aveva fatto pensare subito di averci visto giusto. Niente da dire sul talento di Messi, ovviamente, ma a 35 anni d’età non pensavo potesse portare troppo avanti una nazionale che, a parte lui e con un Di Maria a mezzo servizio, mi sembrava abbastanza povera di talento. Vedevo altre squadre molto più attrezzate: la mia favorita era decisamente la Francia, che mi sembrava la compagine più completa in ogni reparto, a cui poi facevo seguire il Brasile ed eventualmente la Germania o la Spagna. Queste ultime squadre si sono sciolte però rapidamente come neve al sole davanti ai propri limiti (forse soprattutto caratteriali), mentre Francia e Argentina avanzavano inesorabili. In ogni caso, mi aspettavo una finale di colore soprattutto bleu. Mi ha quindi sorpreso vedere come l’Argentina – soprattutto con la forza dei nervi – abbia messo sotto la Francia per gran parte della partita, portandosi meritatamente sul 2-0 già nel primo tempo e controllando agevolmente quasi tutto il secondo. Io, per dire, mi ero già messo a pensare al video da registrare subito dopo la fine della partita, prima di uscire a cena: se la partita fosse terminata al 90’, come tutto lasciava pensare, avrei avuto tutto il tempo di farlo. Poi però sono arrivati i due lampi di Mbappé, col secondo gol veramente bello, e la partita si è fatta finalmente interessante. Da quel momento in poi io e i miei figli abbiamo guardato il resto della gara in piedi davanti alla TV, mentre la figlia ci messaggiava perché stava guardando la finale dal telefonino mentre, sugli spalti di una palestra rodigina, seguiva contemporaneamente la partita della formazione delle “grandi” della squadra di calcio a 5 in cui milita (sapevate che il Rovigo Orange è in serie A? Be’, adesso lo sapete). Insomma, quella tra Argentina e Francia è stata alla fine una bella partita, emozionante, combattuta, piena di colpi di scena. Certamente alla fine ha vinto la squadra che ha cercato di più la vittoria e che l’ha meritata; e anche la squadra e la Nazione che in fondo avevano più bisogno di questo trofeo (i francesi, d’altra parte, l’hanno vinto anche quattro anni fa). Però a me rimane in bocca un po’ d’amaro: perché mi pare che l’Argentina non abbia vinto perché era la squadra più forte, ma perché semplicemente è stata l’unica che non si è suicidata da sola (anche se ci ha provato almeno un paio di volte); perché non mi è piaciuto come tutte le squadre in questo campionato hanno gestito la tensione (tra gesti inverecondi contro gli avversari, fallacci e cadute di stile); e di nuovo perché l’Argentina, tolti Messi e Di Maria, era davvero una squadra modesta. Il che prova anche un’altra cosa: che le partite più divertenti sono spesso quelle in cui il livello medio è scarso e i fuoriclasse riescono a risaltare, cambiando letteralmente da soli il corso della gara. Messi, Di Maria e Mbappé hanno fatto la partita soli contro tutti, spesso anche contro i propri compagni, e l’hanno portata fino ai calci di rigore: per il resto, solo comprimari o quasi.
Monty Python’s Flying Circus episodi 1.01-1.02 (1969), di e con Graham Chapman, John Cleese, Michael Palin: di sicuro i più giovani lettori di questa newsletter – e forse non solo loro – non hanno mai sentito parlare dei Monty Python. Si tratta di un gruppo di sei comici inglesi molto attivi tra la fine degli anni '60 e tutti gli anni '70, autori di alcuni film di culto e soprattutto di una serie TV – intitolata Monty Python’s Flying Circus – che andò in onda sulla BBC per quattro stagioni, tra il 1969 e il 1974. La serie non era altro che una raccolta di sketch divertenti e buffi, ricchi di non-sense e di satira, nel più puro stile dell’umorismo britannico; sketch però particolarmente riusciti, che hanno fatto davvero la storia della televisione inglese e che vengono di tanto in tanto riproposti sul web ancora oggi. Solo per fare un esempio, in queste settimane di Mondiali sono stati molti quelli che mi hanno mandato su WhatsApp la celebre scena dei Monty Python in cui si immagina una partita di calcio tra filosofi greci e tedeschi. Ebbene, questa settimana ho scoperto per caso che su Netflix sono presenti tutte le puntate dello show originale, sottotitolate in italiano. E così mi è venuta voglia di guardarle, riscoprendo alcuni segmenti che avevo già visto in più occasioni ed altri che erano invece per me inediti. Solo nelle prime due puntate, che risalgono addirittura al 1969 e quindi a più di cinquant’anni fa, si vedono la celebre gag della barzelletta più divertente del mondo (quella che fa morire chiunque la legga e che gli inglesi finiscono per usare contro i tedeschi durante la Seconda guerra mondiale), quella della lezione d’italiano in cui gli studenti iniziano a litigare e suonare il mandolino, o ancora quella del drammaturgo che bisticcia col figlio che ha lasciato la casa paterna per andare a fare il minatore. Rovesciamenti, non-sense e assurdità assortite sono all’ordine del giorno, con un’inventiva che però lascia ancora oggi a bocca aperta. Come detto, la trovate su Netflix.
Quello che ho pensato
Qualche giorno fa mi hanno segnalato, su Facebook, un post in cui tra le altre cose si parlava di sfuggita anche di me. Sono andato a vedermelo, anche perché era di Christian Raimo, collega molto apprezzato e stimato anche per via di diverse attività extrascolastiche (scrive, traduce, ha lavorato per riviste e giornali importanti, è anche impegnato in prima persona in politica a Roma).
Il post (che, se vi interessa, potete recuperare qui) toccava una questione importante: la mancanza, in particolare su Raiscuola, di materiale video adatto agli studenti liceali che affrontano lo studio della filosofia. Per Raimo gli audiovisivi di qualità per l’insegnamento infatti spesso mancano o sono reperibili su piattaforme non pubbliche, come YouTube, mentre sui siti e sui portali finanziati dallo Stato ci sono cose incomplete o di livello inferiore.
Così, tra un discorso e l’altro, Raimo ha finito per citare anche me (assieme ovviamente ad altri) nel dire che, appunto, a volte è meglio affidarsi a YouTube, dove si trovano cose più valide che altrove.
Ovviamente il contenuto di quel post è largamente condivisibile: si fa fatica a trovare materiale, e spesso questo materiale non è pensato per un pubblico come quello dei ragazzi delle superiori (e direi neppure per quello dell’università, il più delle volte). Il punto focale della riflessione che vorrei fare oggi, però, non è questo.
Incuriosito dal dibattito innescato da Raimo, infatti, sono andato a leggermi i commenti al suo post. Molti fornivano qualche altro spunto, o collegamento a risorse più o meno interessanti. Una piccola parte dei commenti, però, si rivelava abbastanza critica nei confronti dell’intera impostazione del collega romano: in particolare mi è rimasto in testa il commento di un suo follower, che diceva qualcosa tipo «E speriamo che video di filosofia continuino ad essere introvabili: non vogliamo il Bignami di Stato».
Ci ho ripensato più volte questa settimana a quell’espressione: “Bignami di Stato”. Efficace, perché in tre parole sintetizza tutto un atteggiamento di doppia ritrosia verso la proposta di Raimo. Per i più giovani che forse non sanno di cosa si sta parlando, il “Bignami” era, in passato – ma magari esiste ancora oggi –, un piccolo libretto che riassumeva il programma delle varie materie. C’era il Bignami di filosofia, che in poche decine di pagine riassumeva tutto il manualone della materia; c’era quello di storia, quello di italiano, quello di matematica, quello di fisica e così via. Prendeva il nome, se ricordo bene, dalla casa editrice che per prima aveva lanciato sul mercato questi “riassunti per studenti che non hanno voglia di studiare”. Da lì in poi, per gli studenti di una volta, il Bignami era sinonimo di riduzione al minimo dei contenuti, di quattro cose in croce da imparare a memoria per cercare di arrivare al 6 col minimo sforzo.
Ma quell’utente non aveva parlato solo di Bignami. Aveva scritto: “Bignami di Stato”. Perché nella sua lettura il fatto che la Rai potesse ospitare delle videospiegazioni avrebbe di fatto trasformato lo Stato stesso in un erogatore di riassunti superficiali.
L’opinione di quel commentatore, probabilmente, non è così rara tra gli insegnanti. Fino a qualche anno fa, forse, anch’io sarei stato di quell’avviso, anche se probabilmente non mi sarei avventurato in espressioni così tranchant, che non tengono conto del fatto che in realtà il materiale audiovisivo presente sul web è molto variegato, e solo raramente “sintetico”; anzi, a volte permette perfino di approfondire rispetto ai libri in adozione nelle scuole. Solo per fare un esempio, perfino nei miei video ci sono spesso più contenuti di quanti se ne trovano nel manuale medio del liceo.
Però, come dicevo, anch’io qualche anno fa sarei stato scettico nei confronti dei video e della loro opportunità didattica. Lo sono stato, in fondo, fino alla pandemia: era già successo in varie occasioni che i miei studenti mi avessero suggerito di creare dei video e caricarli su YouTube, ma io avevo sempre glissato. Dicevo: «Ma no, non posso mica spiegare in un video, non posso ridurre e svilire così i concetti: la filosofia merita tempo, spazio, dedizione». Mi pareva riduttivo limitare i grandi passaggi della storia del pensiero a pochi minuti su YouTube.
Cos’è cambiato da allora? Essenzialmente due cose. Primo, ho fatto la prova, e mi sono reso conto che invece su YouTube ci si può prendere i propri tempi e i propri spazi, e si può imbastire una lezione degna di questo nome anche davanti a una telecamera e ad un microfono, senza rimetterci troppo in termini di qualità.
Secondo (e principale) motivo, mi sono reso conto che c’è bisogno anche di questo. Quello che il commentatore del post di Christian Raimo non coglie, infatti, è quello che spesso sfugge a chiunque viva un po’ chiuso nella propria realtà, e cioè che non tutto il mondo ragiona, pensa e capisce come noi.
È una tendenza che abbiamo tutti, quando ci chiudiamo in noi stessi o quando anche, semplicemente, non abbiamo modo di confrontarci di continuo con gli altri: diamo per scontato che quello che capiamo noi possa essere capito anche da tutti gli altri (o da una buona parte di essi), che quello che conosciamo noi sia conosciuto anche da tutti gli altri (o da una buona parte di essi), che quello che riteniamo importante noi sia ritenuto importante anche da tutti gli altri (o da una buona parte di essi). E invece non è così: noi non siamo il mondo.
Io, ad esempio, posso sorbirmi il libro di Vercellone di cui parlavo qualche riga più sopra magari sbuffando un po’ per lo stile troppo astruso, ma capendolo senza troppi patemi; eppure so bene che un libro del genere non sarebbe proponibile agli studenti delle superiori, forse neppure ai più bravi, e che anche uno studente universitario farebbe sicuramente fatica a leggerlo. Lo so perché, a furia di confrontarmi con loro, conosco il livello dei diciottenni di oggi.
Attenzione, però: non voglio dire che invece trent’anni fa le cose fossero migliori. Anche trent’anni fa un libro del genere avrebbe mandato in crisi quasi tutti gli studenti liceali d’Italia. Chi dice il contrario probabilmente non mette piede in un liceo da molto tempo e ha idealizzato anche la sua esperienza da liceale; ed è abbastanza comune per chi oggi è in grado di leggere libri difficili pensare di essere sempre stato in grado di farlo, e che di conseguenza anche gli altri dovrebbero avere le stesse capacità.
Invece la cultura non funziona così, e noi insegnanti lo sappiamo bene (o dovremmo saperlo bene). La cultura è come una scala: va percorsa gradino dopo gradino. Magari alla fine, certo, si arriva a leggere Heidegger senza troppa difficoltà (anche se Heidegger rimane difficile anche da là sopra), ma per arrivare fin lassù bisogna prima passare attraverso tutta una serie di tappe intermedie. Se metti Essere e tempo in mano a un ragazzino di diciassette anni, novantanove volte su cento te lo ritira addosso dopo poche pagine; che è quello che avverrebbe anche se dessi I fratelli Karamazov a uno di quinta elementare. E non ha neppure troppo senso dare dell’ignorante a un bambino di dieci anni perché non è in grado di leggere Dostoevskij: semplicemente, non è ancora pronto.
L’errore che commettono molti intellettuali (o presunti tali) in Italia è proprio questo: pretendere che tutti siano già arrivati in cima alla scala, senza però fare poi granché per aiutare le persone a fare gli scalini intermedi. Anzi, gli scalini intermedi vengono guardati a volte con sufficienza, dall’alto in basso: quante volte ho visto professori universitari denigrare i manuali (spesso scritti dai loro stessi colleghi o addirittura dai loro maestri) perché «la vera cultura non si fa con i manuali». Certo che non si fa coi manuali, ma non si arriva alla vera cultura se non si passa tramite i manuali.
E allora anche i video su YouTube, mi sembra, possono assolvere a questo compito. Possono essere quegli scalini (magari iniziali, oppure a metà strada) che consentono di iniziare la salita, di dare avvio a un percorso che, se tutto va bene, porterà fino in cima, o comunque nelle parti alte della scala. La divulgazione – ma più in generale anche la scuola secondaria – ha proprio questo scopo: avvicinare alla materia, dare qualche indicazione, permettere di approfondire, colmare quel divario che a volte c’è tra l’ignoranza completa (da cui tutti partiamo) e la sapienza completa (che è una meta che ci sfugge sempre in avanti).
Faccio solo questo ulteriore esempio, che mi è venuto in mente proprio mentre ragionavo su questi discorsi. Qualche anno fa, ben prima della pandemia, mi è capitato di partecipare a una presentazione di un libro di storia a Modena. Sul palco quella sera mi sono trovato, per una serie di circostanze, con un gruppo di altre persone, tutte contraddistinte dal fatto di essere laureate in storia, anche se ognuna in un settore diverso (io in contemporanea, un altro in archeologia, un altro ancora in storia militare e così via).
Parlando è venuto fuori che il primo stimolo ad amare la storia, per tutti, era arrivato da un fumetto: nel mio caso a farmi appassionare alla disciplina era stata la saga della macchina del tempo su Topolino; nel caso di un altro erano state le storie di Asterix ambientate al tempo dell’Impero romano; nel caso di un altro ancora era stato forse Blake e Mortimer. Insomma, fumetti che trasformavano la storia in racconto, e addirittura in racconto per ragazzi o per bambini, ma ai quali tutti noi dovevamo molto.
Ecco, la cultura passa anche tramite queste cose. È chiaro che oggi non farei certo studiare i miei studenti su una avventura di Topolino, avventura che è pensata per intrattenere e non per formare futuri storici, ma nonostante questo mi trovo ancora oggi a consigliare fumetti, romanzi, film o serie TV che possano stimolare la riflessione e la curiosità su questi temi; e sono convinto che non ci siano mai gradini troppo “bassi” o “elementari” da cui partire: ed è anche per questo che nel mio canale trovate anche video di filosofia per ragazzi delle medie o spiegazioni di educazione civica che partono proprio dalle basi. Sarebbe stupido dare per scontato che tutti sapessero e che tutti avessero una naturale predisposizione per le materie: in una scuola democratica si va incontro, anzi, soprattutto a quelli che sono sul pianerottolo di partenza e li si aiuta a fare i primi scalini, ben sapendo che è solo quando si comincia che si prende il ritmo, e che è solo quando si fa qualche passo che si è in grado di guardare le cose da una prospettiva nuova.
Quindi sì, non c’è niente di male secondo me a studiare anche tramite i video, se sono ben fatti; come non c’è niente di male a cercare nuove strade per imparare: strade che magari sulle prime possono anche sembrare semplici o semplicistiche, ma che – se sono fatte bene – ci possono portare anche molto lontano.
Per dire e per concludere, da quando ho ceduto sul fronte di YouTube i miei studenti hanno cominciato a dire che dovrei andare anche su TikTok. Io ho sempre risposto col solito discorso da vecchio babbione: «Ma dai, la filosofia e la storia non si possono svilire finendo su TikTok». E invece forse sbaglio: la filosofia e la storia dovrebbe anche essere in grado di andare su TikTok, perché forse oggi TikTok è il luogo migliore in cui si possono avviare dei percorsi (anche se ora come ora non saprei ancora come).
D’altronde, anche mia moglie la settimana scorsa mi fa: «Ma tu su TikTok non ci sei?» Quando la domanda arriverà anche da mia madre, vorrà dire che sarà proprio ora di caricare qualche video anche là.
Quello che ho registrato e pubblicato
È ora il momento di tracciare come al solito l’elenco di tutti i video e di tutti i podcast usciti sui vari canali questa settimana:
I 10 libri più belli che ho letto nel 2022: un resoconto di com’è stato quest’anno che si avvia a conclusione dal punto di vista delle letture
La crisi del debito sovrano del 2011: la storia che sfocia quasi nell’attualità, col racconto di cosa è accaduto in Italia una decina d’anni fa
La crisi dell’Impero Ottomano: perché gli ottomani, così forti nel Cinquecento, cominciarono a indebolirsi nei secoli successivi?
L'autunno del Medioevo - Audiolibro spiegato parte 14: un nuovo capitolo della lettura integrale del capolavoro di Johann Huizinga
La legge per Marsilio da Padova (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
La rivoluzione industriale in Inghilterra (per il podcast “Dentro alla storia”)
La nascita delle fabbriche in Inghilterra (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono i nuovi abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri e videocorsi che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
Il principe di Niccolò Machiavelli: ne ho parlato varie volte sul canale, leggendolo pure per intero; questa settimana lo cito anche nell’elenco dei migliori libri che ho letto quest’anno; eppure mi sono accorto di non averlo ancora consigliato tra i libri della settimana. E quindi è giunto il momento di consigliare definitivamente anche Il principe, il capolavoro di Niccolò Machiavelli che non può certo mancare nella biblioteca non solo di un appassionato di filosofia o di politica, ma di chiunque si occupi a qualche titolo di cultura (e d’Italia). Un testo semplice ma allo stesso tempo complesso, profondo nella sua linearità, che ha ancora moltissimo da insegnarci sotto diversi punti di vista. Lo si trova in varie edizioni, sempre al costo di pochi euro, perfino in versioni riscritte in italiano corrente: lo potete comprare a partire da qui.
Ritratti digitali fantastici con Photoshop: in queste settimane vanno molto di moda, sui social network, le app che sfruttano l’intelligenza artificiale per creare dei ritratti artistici dei soggetti (ne ho usata una anch’io per divertirmi un po’). E però pensate a quanto sarebbe bello se proprio voi foste in grado di realizzare disegni di quel tipo. Ebbene, c’è un corso Domestika che, a meno di 17 euro, vi insegna a fare proprio questo, con un percorso strutturato in 19 lezioni tramite Photoshop. I risultati (con gli alunni più bravi, ovviamente) sono davvero entusiasmanti. Lo trovate qui.
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né fare corsi, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Cosa c’è in arrivo
Quelli scorsi sono stati giorni molto intensi e devo dire che a questo Natale arrivo francamente un po’ spompato: ho sempre l’acqua alla gola, non riesco a programmare con un po’ d’anticipo quello che vorrei fare e ho dovuto più volte riorganizzare i piani perché non riuscivo a tener fede a quello che mi ero proposto. Non so quindi se con l’avvento delle vacanze natalizie riuscirò a riprendere il ritmo giusto o mi concederò qualche giorno di pausa per rifiatare; in ogni caso, il programma dei prossimi video prendetelo come un’indicazione di massima che potrebbe essere anche completamente stravolta nel giro di poche ore. In ogni caso, dovrebbero (o potrebbero) arrivare:
domani vorrei riuscire a fare una diretta riservata agli abbonati per scambiarci gli auguri di Natale (se non vi siete ancora abbonati al canale YouTube, è l’occasione giusta per farlo);
nei prossimi giorni poi vorrei proporvi un nuovo video di filosofia per ragazzi (incentrato nientemeno che su Parmenide) e un video di storia romana;
per quanto riguarda i podcast inizieremo invece Ockham e andremo avanti con la prima rivoluzione industriale;
e poi a Natale credo proprio che mi prenderò un giorno di pausa, il primo da molti mesi a questa parte!
E questo è tutto anche per questa settimana. Godetevi questi giorni e stringetevi alle persone (e agli animali) a cui volete bene. Un caro saluto: ci rivediamo qui tra sette giorni.