Il senso di comunità al tempo del ministro Piantedosi, ma parliamo anche de Gli spiriti dell'isola, Marx, Australia, Orwell, Primavera araba, Mamma ho perso l'aereo, Dylan Dog e fantascienza cinese
In queste settimane l’Italia pare essere ritornata a scoprire la politica. Per mesi, forse addirittura per anni, lo scontro politico è sembrato molto distante dalle corde degli italiani: si discuteva solo di vaccini, di armi da inviare o non inviare all'Ucraina, di inflazione e di soldi da spendere, ma mai veramente di politica. Perfino la vittoria di Giorgia Meloni alle ultime elezioni a me è sembrata quasi passare sottotraccia, forte di un grande astensionismo e più in generale di un diffuso disinteresse verso la situazione del paese.
In queste ultime settimane qualcosa però pare essere cambiato, anche se è presto per capire se si tratta di una tendenza duratura o solo di un fuoco di paglia. Però, ripeto, qualcosa di nuovo c'è: Elly Schlein è diventata segretaria del Partito Democratico e improvvisamente tutti si sono messi a parlare di lei (chi bene, chi male) dopo che per mesi l'avevano praticamente ignorata; a Firenze c'è stato un pestaggio di matrice più o meno fascista e di colpo la città ha dimostrato di tenere molto, invece, all'antifascismo; c'è stata poi la tragica strage di Cutro di cui parleremo anche più avanti, che ha assunto subito – e credo giustamente – un carattere più politico di quanto mi aspettassi; e poi, infine, la questione Cospito che continua a smuovere le acque del dibattito pubblico da ormai diverse settimane.
Tutto questo, da un certo punto di vista, potrebbe essere visto come un buon segnale: l'indifferenza con cui si guardava ai fatti centrali della nostra società e del nostro paese nei mesi scorsi onestamente mi preoccupava un po', e vedere dei timidi segnali di partecipazione da un certo punto di vista mi sembra una buona cosa. D'altra parte, devo anche dire che non so quanto questa partecipazione sia matura, o non sia solo un mero gesto di appartenenza, un tentativo di far vedere di esistere, di non essere scomparsi e di avere ancora una propria identità, in un mondo che però si sta evolvendo molto in fretta e che delle nostre identità statiche se ne fa tutto sommato poco.
Forse sarò pessimista io, forse verrò smentito nel giro di poco tempo ma a me pare che anche questi slanci politici siano ancora abbastanza immaturi, nel senso che mi pare manchi, dietro a tutto questo, una chiara visione del mondo o delle stesse iniziative che si vorrebbe intraprendere. Bisognerà cominciare a pensare, a promuovere, a immaginare se si vuole creare una politica degna di questo nome nel 2023, e finora mi sembra questo non l'abbia fatto quasi nessuno.
Ma non era tanto di politica che volevo parlarvi oggi. Come sempre discuteremo invece piuttosto di libri, film, riflessioni varie. Cominciamo subito.
Quello che ho letto
Partiamo dai libri (e non solo dai libri): questa settimana penso di avere, infatti, spunti diversificati da offrirvi che spero possano risultare intriganti.
Il problema dei tre corpi di Liu Cixin: cominciamo da un libro decisamente originale. Nei giorni scorsi ho cominciato a leggere infatti un romanzo di cui per la verità, per ignoranza mia, fino a pochi giorni fa non avevo mai sentito parlare. Mi è stato però caldamente consigliato e ho pensato quindi di recuperarlo in fretta, confidando nel fatto che il consiglio fosse valido: ed in effetti così è stato. Il problema dei tre corpi è il romanzo di fantascienza più famoso della già cospicua produzione dello scrittore cinese Liu Cixin; ma soprattutto è un libro che già nei primi capitoli si rivela estremamente appassionante e ben scritto, oltre a riguardare problemi di filosofia della scienza che trovo particolarmente intriganti. L'inizio, in realtà, lascia pensare più a un romanzo storico che a un romanzo fantascientifico: tutte le prime scene, infatti, sono ambientate all'epoca della rivoluzione culturale di Mao, con in particolare un professore di fisica che viene perseguitato e infine ucciso per aver insegnato la teoria della relatività, accusata dai giovani maoisti di essere reazionaria. Ma quello è solo uno spunto iniziale; poiché ci si sposta subito a seguire le vicende della figlia di quel professore, prima isolata in una zona boschiva, poi accusata ingiustamente dal regime, infine coinvolta in un progetto scientifico assai misterioso. Infine, almeno fino a dove sono arrivato io, ci si sposta in anni molto più recenti, con strani fenomeni fisici che emergono all’orizzonte e una guerra che sembra si combatta sottotraccia. Insomma, già da queste prime note che probabilmente a voi suoneranno come abbastanza confuse si delinea il quadro di un romanzo pieno di rimandi, sia dal punto di vista storico e politico (e mi sorprende che in Cina si possa parlare con tale durezza degli errori del passato del Partito Comunista), sia dal punto di vista scientifico. Tenete conto, solo per fare un esempio, che all’interno della narrazione mi sono da poco imbattuto in una sorta di rivisitazione della storia del tacchino induttivista di Russell, storiella che amo molto. Il libro lo sto leggendo quindi con una certa avidità, ma devo anche confessarvi che è piuttosto corposo e quindi, nonostante ne abbia già divorato un centinaio di pagine, non sono ancora entrato, credo, nel vivo dell’azione. Ve ne parlerò ancora, comunque. Intanto, se vi interessa, il libro è pubblicato in Italia da Mondadori e potete acquistarlo qui.
Dylan Dog Speciale 35 - Una risata vi resusciterà di Alessandro Bilotta e Sergio Gerasi: la settimana scorsa vi ho raccontato del libro di Giulio Giorello dedicato alla filosofia di Dylan Dog. La conclusione di quella lettura mi ha fatto venir voglia di riprendere in mano un fumetto che in realtà non leggevo da diversi anni, ma che ha avuto un certo ruolo nella mia prima adolescenza. Così, chiedendo un po' in giro, mi è stato consigliato di leggere qualcosa di Alessandro Bilotta e soprattutto una storia in qualche modo inerente alla serie Il pianeta dei morti che, mi dicono, ha suscitato un certo interesse tra gli appassionati negli ultimi anni. Alla fine, tra un passaggio di mano e l'altro, sono riuscito a procurarmi lo speciale dell'anno scorso, Una risata vi resusciterà, scritto dallo stesso Bilotta e disegnato da Sergio Gerasi. E devo dire che il mio desiderio di ritrovare le atmosfere di quando avevo 12 o 13 anni è stato ampiamente soddisfatto: la storia è infatti incredibilmente riuscita, capace di unire un buon tocco di umanità a una trama solo apparentemente horror; e, come non mi accadeva da almeno trent'anni, mi è sembrato di rivivere, anche se in maniera aggiornata, le stesse storie profonde e originali dei primi numeri scritti alla fine degli anni '80 da Tiziano Sclavi ed entrati giustamente nell'immaginario collettivo di tutti gli appassionati di fumetti. Per parlarvi della trama dello speciale devo però fare qualche spoiler, quindi fermatevi subito se avete paura che le mie note possano rovinarvi la sorpresa; ma visto che ormai la storia è uscita da più di un anno penso di poterla comunque illustrare: alla centro della vicenda c'è Waldo Wilkinson, un attore dilettante dalla doppia vita nella Londra di fine anni '70 o inizio anni '80. Questo personaggio, bugiardo patologico ma dotato di fantasia e umanità, si rivelerà alla fine essere nientemeno che il Groucho che fa da sempre da spalla a Dylan, solo ritratto prima di assumere le sembianze che l’hanno reso famoso. Tutto questo, però, non basta a rendere giustizia all’ottima storia (e all’ottima sceneggiatura) imbastita da Bilotta, a cui si aggiungono dei disegni originali e intriganti di Gerasi. Sicuramente una delle migliori storie di Dylan che abbia mai letto, quindi se avete l’occasione cercate di recuperarla.
Come fare per avere più tempo? di Oliver Burkeman: di questo libro vi ho già parlato qualche settimana fa, salvo poi un po' dimenticarmene. Come tutti i manuali, infatti, non ha bisogno di essere letto tutto d'un fiato, anche perché non ha certo una trama che ti cattura; è questo, almeno nel mio caso, fa sì che spesso questi libri io li inizi carico di interesse ma che poi, al primo momento di noia, li abbandoni altrettanto in fretta. Il volume di Burkeman, però, ha il pregio di trattare un argomento che mi interessa parecchio, quello cioè della gestione del tempo, tema che – come potete facilmente immaginare vista la mole di video, di podcast e di newsletter che produco ogni settimana – mi riguarda da vicino. E bisogna dire anche che, a differenza di altri volumi di questo tipo, questo saggio affronta almeno la questione con un po' di sale in zucca, non esaltando la produttività fine a se stessa, ma cercando anzi di dare qualche nozione, seppure forse ingenua, di carattere filosofico e perfino esistenziale. Il risultato, almeno fino a dove sono arrivato io, è soprattutto un invito a rendere più sensato il tempo che si ha a disposizione e non a fare più cose; ad avere maggior consapevolezza delle proprie occupazioni e delle proprie forme di divertissement (pascalianamente parlando) che non ad essere più produttivi. Questo mi piace, anche se forse è presto per trarre conclusioni definitive. Anche in questo caso, infatti, non sono ancora molto avanti nella lettura e quindi tornerò a parlarvi sicuramente del libro anche nelle prossime puntate. Intanto, se vi interessa, lo si può acquistare qui.
Quello che ho visto
E ora passiamo ai film, o meglio agli audiovisivi. Come noterete, infatti, questa settimana partiamo in realtà da una conferenza online che mi avete suggerito voi e che, per circostanze anche abbastanza fortuite, sono riuscito a godermi per intero; poi però si arriva anche a film veri e propri.
Per un nuovo Marx (2020), con Giovanni Sgrò e Roberto Fineschi: YouTube è una risorsa estremamente utile per chi vuole studiare e conoscere. È vero che all'interno della piattaforma ci sono centinaia se non migliaia di video che, con la scusa della cultura e magari anche della storia o della filosofia, raccontano in realtà fregnacce di scarsissimo valore; ma allo stesso tempo è anche vero che in mezzo a questo marasma ci sono anche dei contributi molto interessanti. Questo è anche il caso del video che vi segnalo oggi e che potete vedere qui: si tratta di una conferenza di un paio d'anni fa organizzata dall'Istituto Italiano di Studi Filosofici di Napoli ed incentrata sulla revisione del pensiero di Marx che è in corso in questi anni a seguito della pubblicazione integrale non solo delle sue opere ma anche e soprattutto dei suoi appunti e delle sue lettere all'interno di quell'opera gigantesca che viene chiamata Mega 2. L'incontro, che dura circa tre ore, vede intervenire due importanti studiosi di Marx che hanno operato negli ultimi anni in Italia, ovvero Giovanni Sgrò e Roberto Fineschi: il primo si concentra in particolare sulle opere giovanili di Marx, mostrando come i nuovi documenti portino a ripensarle e ridefinire in maniera importante; il secondo si concentra invece sul Capitale e sulla sua tormentata genesi, fatto che era già abbastanza noto agli studiosi ma che adesso, con le nuove fonti, assume un carattere in parte nuovo. La conferenza, che è molto tecnica e sicuramente assai specialistica, penso però possa essere utile anche per il semplice appassionato che magari ha studiato un po' Marx senza approfondirlo fino in fondo; e soprattutto è utile a mio avviso anche per capire le difficoltà in cui incappa uno studioso di storia della filosofia davanti a documenti che possono essere rivisti e riconsiderati anche nel corso degli anni.
Gli spiriti dell’isola (2022), di Martin McDonagh, con Colin Farrell, Brendan Gleeson, Kerry Condon: sempre su invito di voi fedeli lettori di questa newsletter, sono riuscito questa settimana a recuperare Gli spiriti dell'isola, film che ha ricevuto grandi lodi in questi mesi e che ha conquistato anche alcune candidature agli Oscar. La pellicola, bisogna dirlo subito, è molto particolare: si concentra su quello che pare essere un banale litigio tra amici, o forse anche semplicemente un'amicizia che si spegne da sé; il tutto con protagonisti due uomini di una certa età in un'isola al largo dell’Irlanda negli anni '20 del '900. Ma una questione di amicizie che potrebbe risultare estremamente banale si trasforma molto rapidamente in qualcosa di più grosso, visto che lascia il posto a ripicche, automutilazioni e dolore. Non nego che il film abbia discrete frecce al suo arco: da un lato, infatti, è sicuramente molto originale e, qua e là, apre degli squarci interessanti sul senso ultimo della nostra esistenza, sul valore delle amicizie e, in parte come dicevamo anche qualche riga più sopra, sul senso che diamo al tempo e su come lo impieghiamo. D'altra parte, però, sembra anche far di tutto per risultare in un certo senso ostico. L'ho guardato ad esempio insieme al resto della mia famiglia e non posso nascondervi che né i miei figli grandi, né mia moglie l'abbiano particolarmente apprezzato, segno di comunque uno stile che non è certo agevole, di un ritmo forse troppo lento e di una trama davvero esile. Forse anch'io non lo metterei tra i grandi capolavori, perché mi pare che in qualche modo la storia tenda a rimanere involuta e non completamente riuscita, ma ciononostante rimane un film che merita di essere visto e che ci pone interrogativi interessanti. Al momento non si trova su nessuna piattaforma di streaming ma solo in qualche cinema che ancora lo tiene in cartellone.
Mamma, ho perso l’aereo (1990), di Chris Columbus, con Macauley Culkin, Joe Pesci, Daniel Stern: non so se ne ho già parlato in passato, ma Mamma, ho perso l'aereo è uno di quei film che in casa mia periodicamente bisogna in qualche modo rivedere, un po' perché ho figli di diversa “anzianità” e quindi prima o poi ce n'è sempre uno nuovo che arriva all'età in cui può vedere e godersi film di questo genere, un po' perché si tratta di una di quelle pellicole decisamente poco impegnative, che possono strappare una risata senza troppo sforzo e che quindi si fa partire col telecomando senza pensarci troppo. A distanza di più di trent'anni dalla sua prima uscita, però, devo dire anche che questo film non ha perso molto del suo smalto e anzi, pur nel suo genere, rimane un ottimo prodotto. La storia credo la conosciate tutti: il piccolo Kevin McCallister viene dimenticato a casa dai genitori in partenza per le vacanze natalizie per Parigi. Così deve vedersela con un paio di ladri malintenzionati che hanno preso di mira tutte le case del quartiere: e il piccolo Kevin, nonostante qualche difficoltà iniziale, riuscirà a difendere la proprietà dei genitori e a far arrestare i due malviventi. Il film è grazioso e trova però il suo punto più interessante nel suo essere in fondo assai diseducativo: ci fa ridere, infatti, di una famiglia che si perde i figli per strada ed esalta un bambino che manifesta tutta la sua vena violenta e sadica nei confronti dei due malcapitati delinquenti. Anzi, da un certo punto in poi ti viene nettamente da fare il tifo per i due ladri, che subiscono una sorte fin troppo gravosa se confrontata ai piccoli reati di cui si erano resi responsabili. Ma proprio in questa vena di sadismo risiede, credo, il segreto del successo di questo film: un film che esalta la cattiveria infantile e, direbbe Freud, tramite un bambino ci permette di dare sfogo alla nostra natura violenta, al nostro Thanatos, al nostro desiderio di distruzione e di morte. Se volete rivedervelo, lo trovate su Disney+.
Quello che ho pensato
Ci sono vari elementi e vari fatti che questa settimana, in un modo o nell’altro, mi hanno fatto pensare a un tema che mi sta particolarmente a cuore: il rapporto tra noi e la comunità.
Il movente principale, com’è inevitabile, è stata la tragedia di Cutro, una tragedia che, man mano che si comincia a capire cos’è realmente accaduto, assume contorni sempre più drammatici. Purtroppo il mare ci consegna spesso delle storie tristi; ma quando queste vicende erano evitabili o comunque potevano essere meno gravose di quello che poi sono state, rimane un senso di frustrazione e di rabbia che non si può ignorare.
Oltre al dramma, però, in questi giorni le vittime hanno dovuto sopportare anche la beffa. La beffa di una politica che non si è dimostrata adeguata al ruolo che ricopre: quando succedono fatti del genere non si può mettere la testa sotto la sabbia, non si può soprattutto colpevolizzare la vittima, ma bisogna prima di tutto fare chiarezza e capire se si è sbagliato, e perché.
Le parole del ministro Matteo Piantedosi (se ve le siete perse, le trovate qui) sono state inqualificabili: un po’ alla volta, per fortuna, l’hanno ammesso più o meno tutti. Ma non sono solo le parole, il problema: è l’atteggiamento che ci sta dietro. Secondo le ricostruzioni, che cominciano ad essere via via più circostanziate, è piuttosto evidente che ci siano stati degli errori anche gravi nella catena dei soccorsi; perché di una nave in difficoltà al largo delle coste calabresi c’era contezza fin da molte ore prima rispetto alla tragedia. La magistratura dovrà ora appurare perché verso quella barca è stata mandata la Guardia di Finanza, che ha compiti sostanzialmente di polizia, e non la Guardia Costiera, che ha invece compiti di assistenza e salvataggio.
Non sfugge a nessuno, tra l’altro, soprattutto il dato politico che sta dietro a tutto questo. Per l’operato della Guardia di Finanza si fa capo a Piantedosi, il Ministro dell’Interno; per l’operato della Guardia Costiera si fa capo invece a Matteo Salvini, Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti. Alla fine dei conti, la responsabilità politica – da appurare, ma che inizia a delinearsi – è loro, non so se egualmente distribuita tra entrambi. Può darsi sia lieve o inesistente (a volte i sottoposti sbagliano, nonostante dall’alto arrivino le giuste direttive), può darsi sia una responsabilità più seria. Ma decine e decine di morti non si cancellano con un colpo di spugna.
Per il momento, però, rimaniamo su quello che sappiamo per certo. E tra quello che sappiamo per certo ci sono sicuramente le dichiarazioni di Piantedosi. Dichiarazioni, dicevo, che non sono fuori luogo solo per il momento in cui sono state pronunciate, ma anche per la filosofia di fondo che nascondono, una filosofia di fondo che è molto più diffusa e condivisa, temo, di quanto si creda. Ho cercato nei giorni scorsi di sottolinearlo anche in una breve serie di tweet, ma qui vorrei espandere il discorso e spiegarmi meglio.
Quando diciamo che la vittima di una tragedia o perfino anche di un crimine se la è in qualche modo cercata, spesso stiamo cercando di lavarci più o meno consapevolmente le mani di una cosa che in realtà ci riguarda e per la quale ci dovremmo sentire coinvolti. Quando, ad esempio, una donna viene molestata in un locale, affermare che quella donna è stata poco cauta (o che si è vestita in modo da invogliare il molestatore a commettere quel crimine) è orribile perché si sta cercando di colpevolizzare quella che è in realtà la vittima, ma è anche deresponsabilizzante. Inconsciamente, infatti, stiamo mettendo in atto un meccanismo di difesa, per cui scarichiamo sugli altri delle colpe che in qualche misura sentiamo nostre. Un molestatore, ad esempio, può fare questi discorsi per non assumersi la responsabilità dei suoi gesti violenti, ma anche uno che non c’entra nulla coi fatti può fare questi discorsi per non sentirsi chiamato in causa da una questione che è sociale, che va cioè al di là del singolo evento in sé.
Quando diciamo che le donne se la sono in qualche misura cercata, in realtà stiamo dicendo che non vogliamo fare nulla per cambiare una società che mette a rischio costantemente le donne stesse, che non vogliamo intervenire, che non vogliamo sentirci chiamati in causa.
Lo stesso meccanismo, mi pare evidente, entra in gioco anche nei fatti di cronaca di Cutro. Se diciamo che è da irresponsabili mettersi in viaggio con queste condizioni metereologiche, da un lato non comprendiamo minimamente la vita dei migranti che compiono questi gesti per vera e cupa disperazione, ma dall'altro cerchiamo di autoassolverci, di scaricare una colpa che almeno in parte sentiamo nostra su qualcun altro.
«Non è colpa mia se non sono venuto incontro a salvarti: eri tu che non dovevi partire». Che suona un po’ come quella celebre battuta: «Non è colpa mia se l’ho picchiato: è lui che è nero».
Questo comportamento, ovviamente, non è degno di un ministro e di un governo, che dovrebbero invece assumersi le loro responsabilità o quantomeno aver fiducia in una magistratura che ora sarà chiamata ad appurare tali responsabilità. Solo per fare un esempio, guardate con che dignità il governo greco, invece, si è assunto la responsabilità su un disastro ferroviario su cui, probabilmente, non aveva responsabilità dirette; e lo ha fatto perché è quello che deve fare un governo che non riesce ad assolvere al suo compito, che è quello di garantire la sicurezza.
Il problema, però, non è solo questo. È che l’atteggiamento di Piantedosi e soci mi pare ormai diffuso e presente, magari in misura più lieve, anche su questioni di ben minore importanza.
Vi faccio solo due esempi tratti dalla mia vita scolastica, per fortuna molto meno cruenti e dolorosi ma comunque interessanti. Questa settimana ho partecipato a una assemblea dei genitori della classe di uno dei miei figli. Il problema è sorto dal fatto che in quella classe sono state comminate dai docenti delle note di classe e in generale che il clima in aula non è sempre proficuo. Vista la situazione, alcuni genitori hanno chiesto così un confronto aperto con quei docenti e quindi è stata organizzata questa assemblea online, in cui è stata presentata più in dettaglio la situazione.
Purtroppo, come spesso accade, a questa riunione partecipavano quasi esclusivamente i genitori di quei ragazzi che in genere si comportano bene, mentre i genitori degli studenti più indisciplinati o scatenati probabilmente mancavano. Al di là di questo, che è comunque un problema diffuso, molti miei colleghi genitori hanno però insistito sul fatto che i loro figli, se si comportano bene, non dovrebbero essere chiamati in causa dal comportamento generale della classe, e quindi non dovrebbero essere redarguiti o colpevolizzati con note di classe. D’altra parte, quegli stessi genitori hanno invitato i docenti a bocciare i soggetti più indisciplinati perché lesivi dell'immagine, dell'impegno e della dedizione dei compagni invece più motivati.
Discorsi di questo genere, come insegnante, negli anni ne ho sentiti parecchi. Ogni volta che nascono problemi in una classe a livello disciplinare, c'è almeno un genitore che invita alla bocciatura perché il proprio figlio o la propria figlia non deve essere rallentato da questi compagni meno bravi o meno attenti. Da un lato questi genitori hanno indubbiamente ragione: tutti a scuola si devono impegnare e non è giusto che una parte della classe venga danneggiata da chi ha poca voglia di fare. Dall'altro lato, però, a me sembra che questo atteggiamento, inconsapevolmente, non faccia altro che replicare le stesse dinamiche che Piantedosi ha messo in evidenza in maniera così criticabile.
La classe, così come la comunità, non è un insieme raccogliticcio di persone in cui ognuno deve badare a se stesso. La classe, così come la comunità, è un insieme di persone che sono state messe assieme per raggiungere congiuntamente uno scopo, che può essere la promozione oppure il benessere comune. Non siamo soggetti isolati e indipendenti gli uni dagli altri: siamo associati, viviamo in base a patti che sanciscono quali regole ci impegniamo reciprocamente ad osservare. Questa è la base di ogni nostro vivere comune: pago le tasse perché è una sorta di impegno con la comunità; non getto cartacce per strada perché è una sorta di impegno con la comunità; cerco di svolgere al meglio il mio lavoro perché è una sorta di impegno con la comunità. Mi aspetto e spero che anche gli altri facciano lo stesso con me, e quando non lo fanno mi indispettisco, perché l'atteggiamento irrispettoso di chi vive fianco a fianco a me danneggia, in quel caso, anche a me.
Nella classe funziona alla stessa maniera: magari non ci si sta simpatici, magari non si ha molto in comune ma si è sulla stessa barca, ci sono da affrontare una serie di prove spesso anche molto impegnative, e se si riesce a farlo assieme lo si fa meglio. Tanto è vero che sono convinto che una delle competenze – se non addirittura la competenza più importante – che la scuola dovrebbe aiutare a far maturare nei ragazzi sia anche la capacità di collaborare, cioè la capacità di stare assieme agli altri nel tentativo di raggiungere uno scopo comune.
Non si tratta di volersi bene, non si tratta di apprezzarsi a vicenda: a volte tra compagni di classe nasce spontaneamente un'amicizia, altre volte davvero ci si guarda quasi in cagnesco per cinque anni. Questo però non importa. Quello che importa è la capacità di collaborare e arrivare insieme ad uno scopo.
Purtroppo, siamo in una società sempre più individualista, in cui ognuno bada esclusivamente a se stesso senza volersi mai fare carico di quello che accade agli altri, di quello che accade a chi occupa il posto di fianco a noi sulla barca. Eppure, questo atteggiamento non fa altro che rendere più instabile questa barca, minare più in profondità la nostra stessa comunità. Se in una classe ognuno bada solo a se stesso, ognuno mira solo ad essere promosso fregandosene e infischiandosene degli altri, magari può raggiungere il suo scopo particolare, ma rimane solo e soprattutto non impara nulla dagli altri e con gli altri. A quel punto tanto valeva rivolgersi all'istruzione parentale e far scuola da soli, a casa. A quel punto tanto valeva andare a stare al Polo Nord e vivere da reclusi, se davvero quello che importa è solo farcela da soli.
Se invece vogliamo stare insieme agli altri dobbiamo anche farci carico degli altri, sia che siano simpatici, sia che siano antipatici, sia che siano meritevoli della nostra attenzione, sia che non se la meritino. Per questo le parole di Piantedosi non hanno alcun senso: che siano incoscienti o meno, i naufraghi vanno salvati sempre e comunque, cercando di dare tutto quello che si ha per farlo; allo stesso modo, probabilmente i compagni di classe dei vostri figli sono indisciplinati e meritano qualche nota sul registro, ma questo non esenta i vostri figli (e i miei) dal fare la loro parte, sia non facendosi riprovare dagli insegnanti, sia cercando, per quanto possibile, di spingere anche i compagni a far meglio.
Siamo ormai in una società in cui ognuno, davanti ad un problema, cerca solo un capro espiatorio a cui dare la colpa, qualcuno che sia responsabile di quel problema, possibilmente qualcuno che sia anche il più distante possibile da noi. Sono pochissimi quelli che si assumono la responsabilità di risolvere i problemi, quelli che davanti ai problemi si rimboccano le maniche e – sia che li abbiano causati loro, sia che non li abbiano causati loro – cercano di risolverli. Questa è la differenza tra persone che vivono per creare comunità, per costruire, per edificare, e persone che vivono per dissolvere comunità, per distruggerle, per farle crollare.
Purtroppo siamo circondati da politici che da anni lavorano in questa direzione, nel promuovere una costante deresponsabilizzazione delle persone, nell'indicare responsabili che sono sempre altri da noi, nello scaricare le colpe sull'Europa, sulla Russia, sulla Cina, sugli Stati Uniti, sui migranti, sugli stranieri, sulla sinistra, sulla destra, sui ricchi, sui poveri, su questo e su quello, mentre all'orizzonte ancora non si vede un politico serio che sappia dire agli italiani che le cause del loro male sono da ricercare spesso all'interno dei comportamenti degli italiani stessi.
Gli insegnanti almeno ci provano: davanti ai problemi della classe, spesso cercano di indicare alla classe stessa come risolvere questi problemi, come affrontarli, come farsene carico. Ma altrettanto spesso i ragazzi tendono di nuovo a lavarsene le mani, a dire che c'è sempre qualcuno che si comporta peggio di loro, che i professori sono ingiusti o che il sistema è malato.
Lo so, è vero che a volte i professori sono ingiusti e lo so, è vero che a volte il sistema è effettivamente malato, ma questo non assolve nessuno. Tutti abbiamo sempre una parte di responsabilità, quantomeno nel tentare di cambiare le cose. E se a volte le cose vanno male è proprio perché pochi accettano di risolvere anche i guai causati da altri, perché pochi capiscono che, al di là delle responsabilità che vanno comunque sempre appurate, bisogna anche collaborare, portare un peso e cercare di raggiungere uno scopo comune.
Quello che ho registrato e pubblicato
Vi siete persi qualche video o qualche puntata dei podcast? Non disperate: qui di seguito vi elenco tutto quello che è uscito questa settimana.
Le prove su Dio 3 - Scommessa, argomento morale, prova di Gödel: chiudiamo il percorso attraverso le principali prove sull’esistenza di Dio
La colonizzazione dell'Australia: vi spiego cosa c’è di vero nella classica storia dei carcerati in Australia
Primavera araba e situazione in Egitto: da tempo meditavo di fare una serie di video per spiegare quello che è accaduto dal 2011, e ora cominciamo
L'autunno del Medioevo - Audiolibro spiegato parte 22: ulteriore capitolo dedicato al senso estetico e all’idea medievale di bellezza
Il platonismo rinascimentale (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
L'ondata conservatrice in Europa (per il podcast “Dentro alla storia”)
I moti del 1820-1821 (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che devi fare per seguirmi sui social
Ah, prima di dimenticarci vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
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Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono i nuovi abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri e videocorsi che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
La fattoria degli animali di George Orwell: credo che George Orwell non abbia bisogno di troppe presentazioni: è stato non solo uno degli scrittori più importanti del Novecento, ma anche uno di quelli più profetici. La sua analisi dei rischi del totalitarismo contenuta in 1984 è ancora oggi una delle migliori per capire i regimi totalitari, anche quelli attuali, e da quel libro quindi abbiamo solo da imparare. Non bisogna però dimenticare anche l'altro suo grande capolavoro, La fattoria degli animali, tramite cui Orwell imbastì – lui che era socialista – la più serrata critica al sistema staliniano e alle degenerazioni di un comunismo che si diceva egualitario nelle parole ma non lo era davvero nei fatti. In questo senso, La fattoria degli animali è un po' un documento storico ma un po' anche un'analisi disincantata della natura umana, che crea slanci di rivoluzione e sovversione sociale spesso solo per creare, successivamente, nuove forme di dominio e sopraffazione degli uni sugli altri. Il libro lo potete comprare qui.
Humour grafico: dacci oggi la nostra vignetta quotidiana: saper disegnare è già bello di per sé; ma saper creare delle strisce che, con taglio comico, riescano a condensare un messaggio o un’idea è ancora più bello. Il corso che vi suggerisco questa settimana vi aiuta proprio a far questo: usare la fantasia per creare strisce e illustrazioni di sicuro impatto. Il corso si compone di 13 lezioni a 18,99 euro complessivi. Lo si può provare qui.
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né fare corsi, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Quello che c’è in arrivo
E concludiamo la newsletter, come sempre, anche con qualche anticipazione sul prossimo futuro. Questa settimana potrei, se tutto va bene, lavorare infatti a questo:
una nuova puntata della serie di filosofia per ragazzi, incentrata di nuovo su Socrate ma in particolare, questa volta, sul suo metodo;
un video di storia su Costantino e il suo Editto di Milano;
forse finalmente questo benedetto video su Spinoza in un’ora che continuo a rimandare da tempo;
credo che potrebbe uscire, poi, anche la seconda parte del percorso sulla Primavera araba;
infine, sul versante podcast arriveranno una puntata sull’aristotelismo rinascimentale per filosofia e una sull’indipendenza della Grecia in storia.
E questo è di nuovo tutto. Ci rivediamo qui tra sette giorni esatti. Fate i bravi!