La differenza tra Einstein e un'ameba, ma parliamo anche di Renzo Piano, Primo Levi, intelligenza artificiale, Costituzione, Martin Lutero, Socrate, Libia, Monty Python, Wim Wenders e Bruno Latour
Quello che si è appena concluso è stato un weekend molto impegnativo, ma, se possibile, la settimana prossima si preannuncia ancora più gravosa.
Partiamo però dal passato. La settimana scorsa ho avuto vari impegni scolastici e para-scolastici, che sono culminati in un sabato intensissimo, un paio di giorni fa: prima, al mattino, sono intervenuto all’Open Day del Ser.D, il Servizio per le Dipendenze della locale Ulss 5 Polesana, per parlare anche di scuola e di stress (qualcosa di più dettagliato ve lo racconterò oltre, nella parte Quello che ho pensato); prima e dopo quell’intervento, inoltre, sono stato al lavoro coi ragazzi del gruppo G124 di Renzo Piano di cui vi ho parlato anche altre volte (ad esempio qui) e con vari studenti della mia scuola, per preparare il campo ai lavori in Piazza Masslo a Rovigo. Anche di quest’ultima cosa vi dirò qualcosa di più dettagliato più avanti.
La settimana prossima, invece, mi attende un impegno ancora più “totalizzante”, perché per la prima volta addirittura dal 2018 – tra pandemia e altro – accompagnerò una classe in viaggio d’istruzione per più giorni. Anzi, ne accompagnerò due: perché questa settimana (partiamo addirittura questa notte, ritrovo alle 4:40 am, quindi tra poche ore!) andrò a Praga, mentre la settimana prossima a Milano.
In tutto questo dovrei riuscire comunque a pubblicare video e podcast, salvo imprevisti. E soprattutto ad impostare almeno la newsletter di lunedì prossimo, che comunque completerò da casa (il lunedì sarò sempre a Rovigo, manco a farlo apposta).
Di sicuro avrò molto da raccontarvi riguardo a questi viaggi; viaggi di cui, mi pare, i ragazzi hanno molto bisogno dopo tre anni di vita scolastica ridotta.
Ora però mettiamo da parte il passato e il futuro e ricominciamo a parlare dell’oggi, iniziando dalla nostra solita panoramica sui libri letti.
Quello che ho letto
Per quanto riguarda i libri questa settimana non ci sono grandi novità: ho portato avanti i volumi che già sto leggendo da un pezzo. Spero però di darvi comunque qualche spunto interessante.
Etica dell’intelligenza artificiale di Luciano Floridi: cominciamo da un saggio che sto “masticando” ormai da parecchio tempo; un saggio che, suo malgrado, si sta rivelando anche estremamente attuale. Si tratta di un libro pubblicato in realtà qualche mese fa ad opera di quello che è il più importante filosofo dell'intelligenza artificiale e dell'informatica non solo italiano ma forse anche europeo: il nostro Luciano Floridi. Il libro nasce come una sorta di summa di tutti i principali studi che sono stati condotti negli ultimi anni sui regolamenti e sulle norme etiche da provare ad implementare nel campo molto vasto dell'intelligenza artificiale, un campo che spazia dalla domotica ai big data, dai computer più o meno tradizionali fino anche ai chatbot. Il libro è uscito prima dell'esplosione della bolla di ChatGPT, che ha investito come un tornado i media tradizionali e ha catalizzato nelle ultime settimane l'attenzione di molti; pertanto, per gran parte dei suoi capitoli si occupa di questioni che al momento possono anche apparire secondarie, ma in realtà lo sono solo fino ad un certo punto, fornendo comunque spunti e stimoli interessanti. Per fortuna, però, sono ormai abbastanza avanti con la lettura e sono finalmente arrivato ai capitoli più attuali, quelli in cui Floridi, quasi presagendo lo scoppio della bolla, si è occupato delle preoccupazioni riguardo all'evoluzione futura dell'intelligenza artificiale, citando anche Elon Musk e altri imprenditori che negli ultimi anni si sono espressi con toni apocalittici sulla questione. In questo senso, leggere le parole del filosofo italiano è per certi versi un toccasana: Floridi riesce a distinguere bene tra i rischi e le opportunità, con un fare pragmatico ed estremamente realistico, senza lanciarsi in toni da Cassandra ma senza neppure sposare un entusiastico e ingenuo ottimismo. In tutte le pagine del libro, che possono anche sembrare a volte fin troppo tecniche, Floridi mostra infatti una notevole serie di sfaccettature etiche connesse ai vari fronti dello sviluppo tecnologico; il campo dell'intelligenza artificiale, quindi, non lo manda certo in crisi, anzi gli offre la possibilità di riprendere alcuni argomenti e svilupparne altri, mostrandoci come in ogni caso non ci sia da strapparsi i capelli per l'evoluzione tecnologica ma piuttosto da implementare delle “buone pratiche” che possano aiutarci a governare lo sviluppo futuro. Insomma, un libro concreto (anche se è scritto da un filosofo) che vale la pena leggere se vi occupate di questioni di questo tipo. Lo potete acquistare a questo link.
Il sistema periodico di Primo Levi: come vi ho spiegato la settimana scorsa, questo famoso libro di Primo Levi non l'avevo ancora mai letto, e però si sta rivelando molto bello. Si tratta di una serie di racconti ispirati ognuno ad un diverso elemento della tavola periodica, e tutti (o almeno tutti quelli che ho letto finora) più o meno ambientati nell'epoca precedente alla deportazione di Levi in campo di concentramento, quando era prima un giovane studente di chimica all'università e poi un professionista in alcune società italiane durante la Seconda guerra mondiale. L'andamento del libro è piuttosto ondivago: alcuni racconti sono decisamente autobiografici, altri maggiormente incentrati su aspetti di fantasia. Però un po' alla volta si riesce a ricostruire la vita – sia quella vera che quella “di fantasia” – di Levi, il rapporto cinico e disincantato col fascismo e con le leggi razziali, la decisione di partecipare alla Resistenza. Proprio in questi ultimi giorni sono arrivato al racconto Oro, in cui l'autore ricostruisce la propria cattura quando era partigiano in Piemonte. E proprio da lì vorrei riportarvi il passaggio più interessante tra quelli che ho letto questa settimana: «Nel giro di poche settimane ognuno di noi maturò, più che in tutti i vent'anni precedenti. Uscirono dall'ombra uomini che il fascismo non aveva piegati, avvocati, professori ed operai, e riconoscemmo in loro i nostri maestri, quelli di cui avevamo inutilmente cercato fino allora la dottrina nella Bibbia, nella chimica, in montagna. Il fascismo li aveva ridotti al silenzio per vent'anni, e ci spiegarono che il fascismo non era soltanto un malgoverno buffonesco e improvvido, ma il negatore della giustizia; non aveva soltanto trascinato l'Italia in una guerra ingiusta ed infausta, ma era sorto e si era consolidato come custode di una legalità e di un ordine detestabili, fondati sulla costrizione di chi lavora, sul profitto incontrollato di chi sfrutta il lavoro altrui, sul silenzio imposto a chi pensa e non vuole essere servo, sulla menzogna sistematica e calcolata». Il libro, e ne vale la pena, può essere acquistato qui.
Non siamo mai stati moderni di Bruno Latour: il libro di Latour con cui chiudiamo non ho ancora capito se mi affascina o mi inquieta. Da un lato, infatti, c’è lo stile molto particolare del sociologo francese scomparso poco tempo fa: uno stile che definirei quasi pop, che parla dei grandi sistemi filosofici e scientifici servendosi anche di tabelle, grafici, esempi e provocazioni continue, e che quindi risulta da un lato anche piuttosto efficace, ma dall'altro un po' vertiginoso. Per quanto riguarda l’altro aspetto, le tesi sostenute da Latour mi sembrano certo in parte condivisibili, ma forse anche a tratti esagerate. Il fulcro di tutto il libro è l'idea che la tradizionale suddivisione tra età antica e medievale da un lato ed età moderna dall'altro sia ampiamente sopravvalutata, in quanto quella che in genere identifichiamo come la modernità non sarebbe in realtà per nulla diversa da tutte le altre tendenze ed epoche. Questa tesi di fondo viene sostenuta dal sociologo mostrando come ad esempio la separazione tra scienza e politica, che noi consideriamo essere una delle basi della modernità, sia perlopiù artificiosa; che il ritorno all'essere richiesto da molti filosofi, in primis Heidegger, sia in realtà puramente pretestuoso, perché l’essere non è mai scappato né è stato soffocato dalla tecnica; che la suddivisione tra umano e non umano, tra soggetto e oggetto non sia affatto reale. Su tutti questi punti Latour ha effettivamente alcuni argomenti interessanti, che portano almeno in parte a dargli ragione; dall’altro lato, però, mi sembra come ho già detto in passato che il sociologo abbia finito un po' per innamorarsi della propria idea e per portarla così fino alle estreme conseguenze, dimenticando che in realtà una parte di verità c'è anche nella tesi tradizionale, nella visione di una modernità differente dalle mentalità precedenti. Insomma, per farla breve, forse un’analisi meno netta e più problematica della questione avrebbe reso il libro ancora più interessante. Ad ogni modo ne parlerò ancora perché mi mancano alcuni capitoli per terminarne la lettura. Se vi dovesse interessare, potete comunque acquistarlo qui.
Quello che ho visto
Parliamo, ovviamente, anche di film, anche se questa settimana come in quella scorsa ho visto più che altro un paio di serie TV e quello che appare sì come un film, ma in realtà è un lungo e affascinante documentario.
Monty Python's Flying Circus episodi 1.07-1.08 (1969), di e con Graham Chapman, John Cleese, Michael Palin: dei Monty Python vi ho parlato spesso nelle ultime settimane: è stato forse il più importante gruppo comico al mondo tra la fine degli anni '60 e gli anni '70, capace di rivoluzionare il modo di fare comicità in TV, a partire dalla britannica BBC. Conoscevo da tempo i loro film, visto che sono particolarmente affezionato in particolare a Brian di Nazareth, ma ho visto e rivisto anche molte loro gag televisive; finora, però, non avevo mai recuperato per intero lo show con cui esordirono nel 1969, il Flying Circus mai doppiato in italiano. Per fortuna oggi i sistemi di streaming come Netflix lo rendono facilmente disponibile con i sottotitoli anche al pubblico italiano, e davvero vale la pena di vederlo, nonostante abbia più di cinquant'anni sulle spalle. Imperturbabili rispetto al tempo che passa, infatti, le gag riescono ancora a strappare forti risate; e soprattutto il gusto caotico e anarchico della comicità del gruppo britannico riesce a lasciarti a bocca aperta anche per la fantasia delle creazioni. Nell'episodio Nudo integrale, che è uno dei più belli che ho visto finora, ci sono ad esempio scene memorabili come quella sui mafiosi che tentano di estorcere il pizzo all'esercito britannico, o quella del cliente che va a lamentarsi nel negozio di animali per l’acquisto di un pappagallo morto; scena quest’ultima che, ho scoperto, divenne talmente famosa da venir citata perfino da Margaret Thatcher durante i suoi comizi presso le convention del Partito Conservatore. Insomma, una serie veramente, veramente deliziosa.
Il sale della terra (2014), di Wim Wenders e Juliano Ribeiro Salgado, con Sebastião Salgado: Il sale della terra è forse il più bel film di cui non avete mai sentito parlare. Si tratta infatti di un documentario, genere che di solito non affascina più di tanto e che però nasconde delle perle preziose. Io non lo frequento troppo, ma sono stato attratto dal fatto che questa pellicola, disponibile su Amazon Prime Video, era cofirmata da Wim Wenders, grande regista tedesco per il quale ho da molti anni un debole. Così ho provato a guardarmelo e sono rimasto estasiato da una pellicola che riesce ad avere un fortissimo impatto visivo. Il tema del film è la vita e la carriera di Sebastião Salgado, uno dei più grandi fotografi viventi, nato in Brasile, a lungo residente anche in Europa ma soprattutto famoso per i suoi reportage in giro per il mondo, soprattutto in Africa o, negli ultimi anni, nei luoghi più impervi ed inesplorati del pianeta, dalle foreste pluviali al Circolo polare artico. Salgado si è formato però, per una buona parte della sua carriera, soprattutto come un fotografo di denuncia: andava laddove c'era la povertà, laddove c'era sfruttamento, e con la sua fotografia evocativa in bianco e nero riusciva a suscitare sentimenti molto forti nel suo pubblico; negli ultimi anni poi, complice l'età e un rinnovato interesse per il pianeta, ha perlopiù abbandonato i soggetti umani, dedicandosi invece alla natura, in quello che lui stesso definisce un atto d'amore per la Terra. Il film ripercorre alcune delle sue fotografie più importanti e dei suoi servizi più famosi, commentati dallo stesso Salgado, il cui volto si sovrappone spesso alle sue immagini in un montaggio che devo dire risulta particolarmente azzeccato. Wenders, d'altra parte, è un regista che sa lavorare benissimo con l’aspetto visivo e, messo di fianco a un altro maestro del settore, è riuscito a tirare fuori il meglio possibile da questa pellicola. Insomma, un film essenzialmente di immagini che però colpisce anche al cuore e che consiglio caldamente.
Fleishman a pezzi episodio 1.02 (2022), di Taffy Brodesser-Akner, con Jesse Eisenberg, Lizzy Caplan, Claire Danes: anche di Fleishman a pezzi, nuova serie disponibile su Disney+ e ben recensita da molti critici televisivi, vi ho parlato un paio di settimane fa. In effetti la storia si dipana quasi come un romanzo, forte anche di una voce fuori campo che racconta continuamente i pensieri e gli stati d'animo del protagonista. Al centro nella trama c'è infatti appunto questo Toby Fleishman, un medico newyorkese poco più che quarantenne che da poco si è lasciato con una moglie particolarmente assente e che sta cercando di rifarsi una vita, pur tra mille difficoltà dovute ai figli, all’aura di questa consorte che stenta ad andarsene e a un equilibrio sentimentale e sessuale ancora molto precario. In questa seconda puntata, lunga e complessa, la commedia tende però a lasciare un po' più di spazio al dramma, visto che in effetti, soprattutto nel finale – che non vi rivelo per non fare spoiler – il tono si fa un po' più cupo. È comunque presto per esprimere una valutazione sulla resa dello show, quindi mi riservo di riparlarne più avanti quando avrò visto qualche altra puntata in più. Intanto, come detto, la potete recuperare su Disney+.
Quello che ho pensato
Come ho scritto in apertura, la giornata di sabato, questa settimana, è stata densa di avvenimenti. Se mi seguite sui social network avrete visto anche un paio di immagini di quei momenti: una in cui parlo al microfono e una in cui invece porto delle pietre su una carriola (anzi, ve le ripropongo anche qui di seguito). È stata infatti una giornata di discorsi e sudore, di azioni fisiche e azioni intellettuali.
Per quanto riguarda il lavoro fisico, che è stato anche quello più lungo e faticoso (ho ancora qualche dolorino ai muscoli), per ora vi posso dire che ha riguardato una piccola piazza di un quartiere relativamente periferico di Rovigo, vicino alla scuola in cui insegno: da tempo stiamo infatti collaborando con il gruppo G 124 fondato da Renzo Piano, che da anni lavora al recupero (loro dicono, “rammendo”) delle periferie. E così un gruppo di volenterosi ragazzi della mia scuola, a cui mi sono poi aggiunto anch'io, ha passato in pratica il sabato a spostare cose per preparare i lavori che partiranno a brevissimo nella piazza, sotto la direzione di alcuni borsisti stipendiati proprio dal grande architetto genovese e con la supervisione, il supporto e il tocco anche proprio di Piano stesso.
È un progetto a cui collaboro da più di un anno di cui, qua e là, vi ho anche fatto menzione, con video sul canale YouTube o con menzioni qui sulla newsletter. È un progetto anche piccolo, a dirla tutta: non si tratta della piazza centrale della città, non è un punto di grande passaggio a Rovigo che già di per sé è piccola e poco visibile; ma, allo stesso tempo, è anche un atto simbolico, l'idea che si possa fare qualcosa di bello anche in una zona poco appariscente; che si possa creare spazi di comunità anche coinvolgendo i ragazzi, facendoli diventare almeno per qualche ora protagonisti di un'azione che è realmente azione pubblica e sociale.
Della filosofia di Renzo Piano (e di Edoardo Narne, che è il suo braccio operativo) questo mi piace particolarmente: l'idea che, certo, i grandi architetti disegnano le nostre città, che le rendono più moderne e funzionali, che possono mettervi dentro anche degli importanti valori estetici; ma allo stesso tempo che questo disegno delle città debba passare anche attraverso i cittadini che quelle città le abitano, debba coinvolgerli sia nel modo in cui si pensano gli spazi, sia poi anche nel modo in cui si realizzano le opere. Perché solo così quegli spazi diventano realmente loro: perché ti appartiene davvero solo ciò in cui hai messo impegno.
È ovvio che qui sulla newsletter non si possono più di tanto riportare le ore di lavoro fisico in un cantiere, e allora vale la pena, ora, soffermarsi soprattutto sulla seconda cosa che ho fatto questo sabato: un piccolo intervento, una piccola riflessione che ho svolto presso il Servizio per le dipendenze sempre qui a Rovigo. Le operatrici e gli operatori dell’Ulss locale hanno infatti deciso di realizzare un Open Day della loro struttura, per presentarsi alla cittadinanza e sensibilizzare i rodigini (e le scuole) sul loro operato, e mi hanno chiesto di intervenire, portando un piccolo contributo.
Anche in questo caso si è trattato di una cosa piccola, forse anche più piccola di quella che abbiamo fatto in Piazza Masslo: ho parlato davanti a poche decine di persone, in un evento tutto sommato contenuto e per pochi minuti. Però nel preparare questo breve intervento ho ripensato ad alcune cose che ci siamo detti varie volte nelle scorse settimane, e penso che riproporle e ampliarle sia utile anche qui.
Come ho anticipato anche sui social network, il discorso è partito da un paragone, probabilmente improvvido, tra un’ameba ed Albert Einstein. A mia difesa posso dirvi che l'idea di paragonare due cose così diverse tra loro non è mia: arriva in realtà da Karl Popper, che accennò a questo confronto in Congetture e confutazioni, nel 1972, e poi riprese il paragone in alcuni suoi discorsi e conferenze. Popper parte sostenendo che in realtà la differenza tra un’ameba ed Einstein non è così grande come crediamo: entrambi infatti cercano di affrontare la vita e i problemi che si pongono loro davanti con strategie risolutive basate sul metodo della prova e dell'errore.
Quando hanno da risolvere un problema – per un’ameba semplicemente sopravvivere, per Einstein capire lo spazio-tempo – fanno delle congetture, a volte esplicite, a volte implicite, e poi provano a vedere se queste congetture risolvono il problema. Un’ameba spesso riesce a sopravvivere grazie all'unica congettura che probabilmente è in grado di fare; quando però le condizioni cambiano e quel suo tentativo fallisce, l’ameba semplicemente muore. Non è in grado, quell'organismo unicellulare, di elaborare nuove strategie risolutive: il primo errore ne segna la fine.
Albert Einstein, ma con lui anche ogni essere umano dotato di raziocinio, invece non cade per forza al primo errore: o, meglio, l'errore diventa lo stimolo per cambiare strategia, per cercare una nuova metodologia di risoluzione del problema, per azzardare una nuova congettura. Sono esperienze di vita quotidiana che facciamo ogni giorno anche noi: quando ad esempio abbiamo fame, andiamo in dispensa a cercare cibo, congetturando che sia rimasto qualcosa e che i nostri figli non abbiano svuotato tutto. Se però la dispensa risulta tristemente vuota, non è che ci lasciamo morire di fame perché abbiamo fallito, perché la nostra prima congettura è risultata erronea; tutt'altro, cerchiamo un altro modo per soddisfare la nostra fame. Ad esempio, andiamo a guardare in frigorifero, oppure ci risolviamo a fare la spesa, oppure ancora chiediamo ospitalità a qualcuno o, nella peggiore delle ipotesi, ci rivolgiamo alle macchinette self-service o a un’app per le consegne a domicilio. In certi casi possiamo anche posticipare la risoluzione del problema, pensando che mangeremo più tardi quando qualcuno ci porterà del cibo. In ogni caso non moriremo mai di fame per il fatto di aver sbagliato la nostra prima congettura.
In vari casi facciamo quindi tutta una catena di congetture, chiedendoci più volte cosa fare; incappiamo in una serie di errori, in una serie di ipotesi che si rivelano sbagliate. Perché sbagliamo spesso, sbagliamo tantissimo, commettiamo decine se non centinaia di errori ogni giorno. Errori spesso molto banali: non ci ricordiamo dove abbiamo appoggiato le chiavi, clicchiamo distrattamente sull'app sbagliata del cellulare quando volevamo fare un'altra cosa, ci scappa un lapsus linguistico o cose di questo genere. Altre volte facciamo errori più gravi, se non addirittura gravissimi; ma il meccanismo, a ben guardare, è sempre lo stesso: abbiamo pensato di dover agire in un certo modo, tramite una banale congettura, e quel modo, che magari in altre circostanze si rivela fruttuoso, in quel momento non ha portato invece al risultato sperato.
Cos'è allora che distingue un’ameba da Albert Einstein? Il fatto che Einstein sa correggere i propri errori, o meglio il fatto che ci provi; il fatto che Einstein sa elaborare strategie ulteriori e non si ferma al primo inciampo; il fatto, infine, che gli errori diventano in un certo senso il carburante delle congetture successive, perché da quegli errori impara ad evitare certe cose (una volta che ho visto che la dispensa è vuota non continuerò ad entrarci all'infinito sperando che magicamente vi compaia il cibo) e a percorrere strade diverse.
Detta in altri termini, la cosa fondamentale per l'evoluzione della specie umana è la capacità di reagire agli errori. Nella nostra scuola siamo però abituati a perdere di vista questa banale constatazione: viviamo l'errore come un fallimento epocale, abituiamo i ragazzi a pensare di non dover mai sbagliare, e che una valutazione negativa inciderà per sempre sul loro percorso. Lo facciamo in mille modi diversi: dando grande peso a queste valutazioni e dandole spesso, in decine e decine di occasioni; dando un voto di maturità che non è il segno del punto a cui si è arrivati ma la somma quasi algebrica di tutti i risultati raggiunti nel corso degli anni; focalizzandoci sempre sulle singole prove più che non sul percorso.
In realtà però, a ben guardare, dalle prove positive non si impara nulla: un bel voto non fa altro che confermarti che quello che hai fatto fino a quel momento è andato bene, ma non ti fa imparare nulla di nuovo. Semplicemente ti dà una conferma (motivazionale?), ti dà un'indicazione, ma non ti insegna niente. Un brutto voto, al contrario, un segnale forte te lo dà: ti insegna che il metodo che hai usato fino a quel momento non è quello corretto, che la fatica che hai fatto non arriva allo scopo, che dovresti cambiare qualcosa. È lì, davanti al brutto voto, che si vede la differenza tra noi e le amebe: un’ameba continuerebbe a studiare nello stesso modo in cui ha sempre fatto, e continuerebbe a incappare in brutte valutazioni, senza far tesoro dell'errore commesso. Un essere umano razionale, invece, cercherebbe altre vie, magari sbagliando ulteriormente, magari in certi casi pure peggiorando la propria situazione, ma senza stancarsi di cercare.
La scuola incentiva tutto questo? Spinge i ragazzi a cercare strategie per superare i loro limiti o le loro difficoltà oppure, a volte, semplicemente scarica su di loro la responsabilità di queste difficoltà senza dare loro nuove strategie di risoluzione? A me pare che a volte sia gli studenti, sia in parte anche noi insegnanti indugiamo come delle amebe sugli errori, senza usare questi errori come punti di partenza per qualcosa di diverso o di nuovo. Tendiamo a vedere questi errori, questi brutti voti, come delle punizioni, delle etichette, dei punti fermi fissi, più che non inciampi di un percorso che non è ancora finito e che forse non finirà mai.
Insomma, dobbiamo imparare tutti ad amare di più i nostri errori, a pensarli e ripensarli invece che dimenticarli, per capire in cosa abbiamo effettivamente sbagliato. Personalmente, e lo dico spesso ai miei studenti, i voti che ricordo con maggior affetto (e sicuramente quelli che mi hanno insegnato di più nella mia carriera di studente) sono stati i voti negativi: per fortuna non sono stati tanti, però hanno inciso profondamente in quello che sono, soprattutto perché probabilmente ho avuto la forza di ripensarli, di capirli e di superarli.
L'augurio che dobbiamo fare a uno studente, dunque, non è quello di andare sempre bene a scuola, perché ad andare sempre bene si impara poco e non si cresce; quanto piuttosto di andare spesso bene, ma ogni tanto di commettere qualche sbaglio e qualche errore, cercando sempre, ogni volta, di capire come ripartire e migliorare da quell'errore.
Quello che ho registrato e pubblicato
Parliamo come al solito anche dei video e dei podcast che ho prodotto questa settimana. Eccoli, senza dimenticarne nessuno:
La Primavera araba in Libia: facciamo il punto su quello che è successo in Libia a partire dal 2011
Come si fa un buon riassunto: a grande richiesta, alcuni suggerimenti per realizzare dei riassunti efficaci e corretti
La Costituzione italiana: articoli 5, 6, 7 e 8: prosegue il nostro viaggio alla scoperta dei principi fondamentali della Costituzione
L'autunno del Medioevo - Audiolibro spiegato parte 25: nuova lettura di un capitolo de L’autunno del Medioevo dedicato alla comicità tardomedievale
La filosofia di Socrate (parte 3) [Filosofia per ragazzi 13]: ritorna il ciclo di video dedicati ai ragazzi più giovani, parlando dell’etica socratica
Martin Lutero e la riforma protestante (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
Dai neoguelfi ai federalisti repubblicani (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che devi fare per seguirmi sui social
Ah, prima di dimenticarci vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
Il canale YouTube | Instagram | Facebook | Twitter | TikTok
Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono i nuovi abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri e videocorsi che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
M. Il figlio del secolo di Antonio Scurati: di questo libro vi ho già parlato qualche mese fa, perché secondo me è uno dei più intriganti nel campo della narrativa storica. Si tratta infatti di un romanzo che cerca di ripercorrere l'ascesa di Benito Mussolini nell'Italia dei primi anni '20, basandosi su fatti storici ricostruiti in maniera piuttosto affidabile, ma ovviamente anche creando una cornice narrativa e romanzando un po' sopra agli avvenimenti. In questo modo Scurati riesce a creare una storia appassionante e godibile, raccontando allo stesso tempo anche un pezzo importante della nostra storia d'Italia. Se, quindi, volete andare più in profondità negli anni del fascismo senza però studiarvi dei saggi storici che possono essere anche complessi e in parte noiosi, questo forse è il libro che fa per voi. Tra l'altro, ha vinto anche numerosi premi, e Scurati ne ha scritto anche diversi seguiti. Il primo volume lo potete comprare, a poco più di 20 euro, qui.
Diario di viaggio illustrato con tecniche miste: come vi ho già detto più volte in questa newsletter, questa notte, poco dopo l'invio della mail, partirò con un paio di classi quinte in direzione Praga, riprendendo a fare viaggi all'estero con la scuola dopo tre o quattro anni di stop. Ovviamente, come faccio anche con la famiglia, cercherò di memorizzare tutte le cose interessanti di questo viaggio, scrivendo anche qualche appunto, compilando cioè quella sorta di diario che tengo per ricordarmi il ristorante in cui ho mangiato, i musei che ho visitato e le piccole cose che potrebbero tornarmi utili nel caso in cui dovessi ritornare in quella città. Io uso prevalentemente la scrittura ma c'è anche chi si trova molto meglio con invece il disegno: il corso Domestika che vi suggerisco questa settimana serve proprio a migliorare in questo settore, insegnandoci come realizzare un vero e proprio diario di viaggio illustrato grazie a una grande varietà di tecniche. Se vi interessa, costa solo 9,99 € e si compone di 15 interessanti lezioni. Lo potete fare qui.
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né fare corsi, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Quello che c’è in arrivo
Chiudiamo come sempre con i video che sono in arrivo nei prossimi giorni, video che gli abbonati al canale avranno in parte già visto: complice il fatto che devo partire per la gita, ho infatti già caricato buona parte del materiale, concedendolo a loro in anteprima. Comunque, ecco quello che vi aspetta:
domani uscirà un video di storia romana dedicato agli ultimi imperatori del IV secolo, come Giuliano l'apostata e Teodosio;
poi sarà la volta di un video su Cecità, il bel romanzo di José Saramago che gioca su varie idee filosofiche;
inoltre arriverà una lezione su Giovanni Scoto Eugenia, grande filosofo medievale di cui non avevamo ancora parlato nei video;
infine, se sopravvivo alla gita, dovrei riuscire anche a realizzare un video sulla filosofia di Federico Fellini (ma in caso di emergenza preparatevi anche a una diretta in cui vi racconto semplicemente del viaggio);
per quanto riguarda i podcast, poi, verranno pubblicate puntate su Zwingli, su Calvino e forse anche sulla riforma cattolica per quanto riguarda filosofia, mentre in storia parleremo del 1848 in Italia.
E questo è tutto. Seguitemi sui social per qualche foto di Praga e aspettatemi perché lunedì prossimo arriverà una nuova newsletter con tante notizie, ancora altri libri e film. A presto!