La newsletter da Parigi, con discorsi su Aristotele e Carlo Verdone, Woody Allen e Seneca, Agatha Christie e Don Camillo, Ms. Marvel e Philip K. Dick
Bonsoir à tout le monde! Come vi avevo annunciato la settimana scorsa, vi sto scrivendo direttamente dalla capitale francese, da Parigi, dove sono arrivato oggi con la famiglia. Mi aspetta una settimana intensa, anche perché per i figli è la prima visita alla metropoli transalpina. Anzi, tra pandemia e piccola età degli ultimi pargoli, erano ormai diversi anni che non facevamo un viaggio all’estero. In sei è un’impresa, sotto diversi punti di vista: è costoso, è faticoso e bisogna stare sempre attenti alla resistenza dei pupi alle lunghe camminate, alla loro adattabilità ai menù stranieri e a molte altre variabili. Ora però ci pareva che i tempi fossero maturi. Incrociate le dita per noi.
Come vi anticipavo già la settimana scorsa, comunque, ho pensato di preparare con un po’ d’anticipo questa newsletter. Qui di seguito, quindi, troverete tutti i video, i libri e i film che ho preparato, letto e gustato nella settimana precedente alla partenza. Lunedì prossimo, poi, vi racconterò per bene com’è andata la spedizione all’estero e anche quali libri sono riuscito a leggere.
Ah, e se siete aficionados del canale YouTube, non temete: ho preparato talmente tanti video (già caricati sul canale, pronti per essere resi pubblici) che, in questa settimana, posso permettermi di pubblicarne anche a distanza. Rimanete sintonizzati, dunque!
Quello che ho letto
Partiamo, come al solito, dai libri. Visto che è estate, a dominare sono i gialli, anche se alcuni – come noterete – hanno un pesante sfondo filosofico.
Ubik di Philip K. Dick (1969): prima di tutto una nota legata alla cronologia: questa è la parte della newsletter che ho scritto per ultima. Ubik, infatti, l'ho finito questa mattina in aereo durante il viaggio da Venezia a Parigi, visto che mi mancavano solo una manciata di pagine e non avevo voglia di aspettare per un’intera settimana per sapere come andava a finire. Così questo paragrafo l’ho scritto un po’ in aereo, un po’ sul minivan che dall’aeroporto ci stava portando verso il centro di Parigi (d’altronde, su quel minivan si sono addormentati di colpo di tutti i figli e non avevo molto altro da fare), e risente quindi molto della lettura “a caldo”. Spero ad ogni modo che possa darvi qualche spunto e mettervi la voglia di leggere. La trama di Ubik è complessa e, visto che si tratta di un thriller di fantascienza con pure qualche venatura horror, preferisco non rivelarvi nulla. Posso però dirvi questo: dopo un inizio relativamente canonico (almeno per quanto riguarda il genere fantascientifico e in raffronto ad altre opere di Dick), la trama comincia all’improvviso a prendere una piega completamente inaspettata e imprevedibile. Anzi, ad un certo punto si perde quasi il senso generale della storia, non capendo bene dove Dick voglia andare a parare. Tutto però si riequilibra verso la fine, quando i vari fili si riannodano ed emerge un tema effettivamente filosofico, anzi direi quasi religioso. Credo di non farvi nessuno spoiler nel dirvi che tutta la storia (o almeno la parte “strana” della storia) può essere letta come una metafora della vita umana, soprattutto secondo l'interpretazione gnostica e in parte platonica, a cui lo stesso Dick negli anni di scrittura di questo romanzo pareva essere molto interessato. Secondo lo gnosticismo e, più in generale, secondo varie dottrine spirituali sorte nell'età antica che in parte si richiamavano al platonismo (ivi compreso pure il cristianesimo), nel mondo si fronteggiano infatti due principi in perenne lotta tra loro: un principio malvagio, che consuma e corrompe, legato anche alla materialità, e uno invece buono, legato allo spirito, che invece conserva e si oppone al decadimento. Questa lotta eterna tra bene e male, tra luca e ombra, tra spirito e carne segna la “resistenza” del mondo, resistenza che non è però un processo di miglioramento, quanto di sopravvivenza a una sorta di incidente di percorso (ovvero la vita). Se poi pensate che Ubik, l’oggetto che dà il titolo al romanzo, sembra essere di volta in volta un semplice spray (incorporeo, quindi), un toccasana per la vita, un’arma o perfino Dio, capite che la faccenda è piuttosto complicata. Il libro, se vi interessa, lo si acquista qui.
Aiuto, Poirot! di Agatha Christie (1923): come vi ho raccontato già più volte, durante gli spostamenti in macchina con tutta la famiglia, soprattutto nel periodo estivo, abbiamo preso l’abitudine di ascoltare degli audiolibri. Negli ultimi anni ci siamo dedicati soprattutto alla saga di Harry Potter, letta magistralmente da Francesco Pannofino, ma ogni tanto ci piace anche un po’ variare. L’ultimo libro (o, meglio, audiolibro) di questa sequela è stato Aiuto, Poirot!, classico giallo di Agatha Christie pubblicato per la prima volta addirittura nel 1923 e che abbiamo concluso qualche giorno fa, prima della partenza per Parigi. Il libro, quasi sicuramente, l’avevo già letto da ragazzo, ma non me ne ricordavo praticamente nulla ed è stato bello riviverlo coi figli. Della trama, com’è prevedibile, vi posso dire poco: al centro delle vicende c’è ovviamente il detective Hercule Poirot, convocato in Francia da un ricco miliardario che teme per la propria vita. Quando Poirot, accompagnato dall’imbranato Hastings, giunge sul posto, però, il miliardario è già morto, e in circostanze assai misteriose. Da lì partono le indagini del detective belga, che, tra colpi di scena, improbabili storie d’amore e altri omicidi riesce a dipanare la matassa. Devo dire che il libro è un classico della produzione della Christie, e almeno fino ai tre quarti della storia segue pedissequamente le regole della “signora del giallo”. Il finale, però, non mi ha soddisfatto granché: mi è sembrato poco originale e poco onesto, per via di alcuni elementi che la Christie non aveva fornito al lettore in modo sufficientemente chiaro, non permettendogli così di rivaleggiare alla pari con Poirot, come sempre dovrebbe avvenire in romanzi del genere. Rimane comunque un giallo appassionante e leggero, adatto all’estate. Lo si può comprare qui.
Aristotele detective di Margaret Doody (1978): tra le altre cose sto portando avanti la lettura pure di questo giallo ambientato nell’antica Grecia, anche se per la verità lo sto facendo un po’ stancamente. Come ho già scritto qualche settimana fa, la storia non è male, la Doody sa scrivere e vengono rispettate tutte le regole del giallo classico, con in più un’ambientazione originale e fantasiosa; ma, nonostante questo, la storia non riesce ad appassionarmi. Bisogna anche ammettere che finora (e sono arrivato a un terzo del totale delle pagine) Aristotele si vede davvero poco e moltissimo – forse troppo – spazio è lasciato al narratore e protagonista, un cittadino ateniese che deve cercare di proteggere un parente dall’infamante accusa di omicidio. In compenso, bisogna ammettere che il ritratto della vita ateniese, tra clan e schiavi, pare piuttosto accurato. Se vi interessa, lo potete comprare qui.
Quello che ho visto
La settimana scorsa, se vi ricordate, vi ho presentato soprattutto documentari e serie tv; oggi rimediamo con almeno due film, due classici, a cui aggiungiamo di nuovo una serie.
Ms. Marvel episodi 1.01-1.02 (2022), di Bisha K. Ali, con Iman Vellani, Matt Lintz, Yasmeen Fletcher: in fatto di tv, la novità della settimana è stata Ms. Marvel, altra miniserie realizzata dalla Marvel e proposta su Disney+, in un’offerta di supereroi che comincia ormai a diventare fin troppo corposa. Fin da subito, però, questa serie si presenta ben diversa dalle altre: l’eroina è in primo luogo una vera e propria ragazzina, di 16 anni; in secondo luogo per una volta non siamo a New York, ma a Jersey City (che comunque è poco distante dalla Grande Mela); e terzo ma più importante, la protagonista non è una WASP (White-Anglo-Saxon-Protestant, ovvero di pelle bianca ed espressione più o meno della maggioranza della popolazione più rappresentata in tv) ma una ragazza di origine pakistana. Molte delle dinamiche della serie, infatti, si giocano sul contrasto tra le usanze culturali della famiglia di Kamala – questo il suo nome – e il mondo americano, così consumistico e per certi versi superficiale. La famiglia di Kamala è religiosa, di mentalità anche relativamente aperta ma non in grado di accettare le eccessive stravaganze della figlia, che, in segreto, è invece una fan di Captain Marvel e spera di riuscire ad andare ai raduni dei fan in costume da cosplayer. In più, in questo contorno che ricorda Sognando Beckham con vent’anni di ritardo, ci si aggiungono i superpoteri, che arrivano all’improvviso e misteriosamente. Ho visto per ora i primi due episodi, che sono simpatici (anche se non straordinari); vi racconterò il resto più avanti.
Io e Annie (1977), di Woody Allen, con Woody Allen, Diane Keaton, Tony Roberts: come vi ho già raccontato altrove, durante la convalescenza da Covid di qualche giorno fa ho visto molte puntate di Friends, anche col mio figlio più grande, ammalatosi ad un certo punto anche lui ma indipendentemente da me. Negli ultimi giorni abbiamo fatto un po’ di quarantena assieme all’insegna di Ross & Rachel, Monica & Chandler, Joey e Phoebe. Ad un certo punto, durante una puntata (non mi ricordo più quale) abbiamo così potuto sentire assieme una battuta su una donna vestita con abiti solitamente maschili, qualcosa del tipo: «Toh, guarda, sembri Diane Keaton». Mio figlio a quel punto mi ha guardato perplesso: «Sembra chi?» Non me lo sono fatto ripetere due volte: ho tirato fuori il DVD di Io e Annie, ho fermato Friends e gli ho detto: «Adesso facciamo una pausa, impariamo chi è Diane Keaton e soprattutto capiamo da dove deriva questa comicità newyorkese che sembra piacerti tanto. Vediamo chi l’ha non dico inventata, ma quasi». E così ci siamo rivisti il capolavoro di Woody Allen, che quest’anno compie 45 anni (il film, non Woody). In realtà Io e Annie, il mio figlio maggiore, l’aveva già visto, ma quand’era più piccolo e non se ne ricordava granché. Io, come faccio con anche altre pellicole che amo particolarmente, devo rivederlo una volta ogni 2-3 anni almeno, e devo dire che mi pare che continui ad invecchiare molto bene: la scena in cui, in coda al cinema, fa intervenire Marshall McLuhan è ancora memorabile, così come quella in cui dialoga con Diane Keaton mentre in sovrimpressione di vedono i loro pensieri; senza dimenticare lo schermo diviso a metà per le rispettive sedute psichiatriche, o il fermare la gente per strada per chiedere il segreto dell’amore. Insomma, un film che ha fatto decisamente scuola, visto che oggi queste cose sono fin troppo frequenti nei film comici, eppure Woody Allen era uno dei primissimi (se non il primo in assoluto) a usarle. Un film che merita di stare nella vostra videoteca: attualmente non è disponibile in nessun servizio di streaming, ma se volete comprarvi il DVD ne vale la pena (anche perché lo vendono ad appena 7 euro). Lo potete trovare qui.
Compagni di scuola (1988), di Carlo Verdone, con Carlo Verdone, Christian De Sica, Nancy Brilli: vi segnalo che su Amazon Prime Video si può recuperare questo classico della filmografia di Verdone che ho anch’io rivisto nei giorni scorsi, un film che è anzi uno dei suoi più riusciti. Ispirato direttamente a Il grande freddo di Lawrence Kasdan, Compagni di scuola si concentra su una riunione di ex studenti del liceo a 15 anni dal diploma. I tipi umani classici della scuola italiana e pure della commedia all’italiana ci sono tutti: Verdone interpreta il suo solito personaggio timido ed indeciso; De Sica ha il ruolo di “Tony Brando” (evidente omaggio a Brando De Sica, figlio proprio di Christian e della sorella di Verdone, Silvia), un cantante di periferia fallito; Massimo Ghini fa il compagno di scuola che si è buttato in politica; Athina Cenci la psicanalista solitaria; Angelo Bernabucci il classico coatto romano; Fabio Traverso quello tristo che nessuno riconosce più, e così via. Ne nasce un film dolceamaro, con qualche bel momento. A me Verdone di solito non fa impazzire, ma sicuramente questa è una delle storie che gli è riuscita meglio, pur tra qualche luogo comune.
Quello che ho pensato
Come vi ho detto nell’introduzione, questa newsletter l’ho preparata in anticipo, perché oggi, lunedì 1° agosto, mi trovo in realtà a Parigi e da qui non è facile – giustamente – trovare il tempo per mettermi a disquisire di massimi sistemi. Se vi può consolare, prima dell’invio la sto comunque rileggendo dalla mia camera d’albergo, giusto per controllare che non vi sia qualche svista.
Il tema di cui vorrei parlarvi, d’altra parte, è sì d’attualità, ma di un’attualità che sa di eternità. E riguarda il ruolo della riflessione (politica, filosofica, sociale) quando questa riflessione si sposta dal passato al presente.
Il passato, infatti, lo conosciamo ormai piuttosto bene. Certo, la ricerca storica non finisce mai e si può sempre fare qualche scoperta che consente di cambiare idea su alcuni fenomeni dei secoli scorsi, ma grossomodo abbiamo una visione ormai piuttosto consolidata su cosa sono stati, ad esempio, il XVI, il XVII o il XVIII secolo. Una visione non solo consolidata, ma anche condivisa: quasi tutti gli storici sono ormai concordi nel dare una certa interpretazione alla politica napoleonica, nell’evidenziare quali siano stati i punti di forza e quelli di debolezza del regno di Luigi XIV e così via. Qualche diversità d’opinione emerge ancora, qua e là, ma si tratta per lo più di accentuare un tono piuttosto di un altro. Cose da specialisti, insomma, mentre grossomodo il giudizio sui grandi periodi storici è condiviso da più del – sparo una percentuale a caso, ma probabilmente non distante dal vero – 95% degli studiosi.
Le cose, invece, diventano tragicamente più complicate quando si smette di studiare il passato e ci si rivolge al presente. Lì storici, filosofi, sociologi portano avanti tesi per nulla concordi tra loro; ognuno dice la sua, e spesso le opinioni sono radicalmente opposte tra loro. Uno esalta Draghi, un altro lo attacca; uno dice che Putin è un criminale, l’altro che è un salvatore.
Si dirà: è la tipica difficoltà di chi guarda le cose troppo da vicino, quando si fa fatica a metterle a fuoco. È relativamente facile studiare Napoleone, perché da lui ci separano più di 200 anni, migliaia di studi e la conoscenza capillare di quasi ogni sua mossa, mentre il presente ci scivola via, non riusciamo a conoscerlo in toto e non abbiamo la lucidità per giudicare cosa è più importante e cosa meno. Pertanto risulta facile dare troppo peso a certi aspetti e troppo poco ad altri, e perdere almeno in parte di vista l’obiettività. C’è una buona parte di verità, in questo discorso: solo il tempo consente di veder meglio i rapporti di causa-effetto, le implicazioni e la portata dei singoli eventi. Ma, mi pare, il problema non è solo questo.
Secondo me il limite più grosso delle analisi sul presente è legato al fatto che il presente ci tocca in prima persona. Possiamo dare un giudizio su Napoleone che risulta condiviso perché, in realtà, di Napoleone non ci interessa granché: non lo amiamo e non lo odiamo, e proprio per questo possiamo giudicare serenamente il suo operato. Quando invece parliamo del politico del momento (che sia Letta, Conte, Salvini o la Meloni), non riusciamo a mantenere la stessa obiettività; non tanto (o non solo) perché quel politico agisce giorno per giorno davanti a noi, ma perché su quel politico riversiamo una serie di nostri interessi, perché lo apprezziamo (o, nei casi peggiori, lo amiamo) o lo disprezziamo (o, nei casi peggiori, lo odiamo). Il nostro limite principale, di cui non ci rendiamo neppure troppo conto, è insomma la nostra disonestà intellettuale, l’incapacità cioè di staccarci dai nostri bias e di giudicare il presente non con gli occhi dell’appassionato o del tifoso, ma con quelli dello studioso.
Questo è un problema che attanaglia tutti, anche se in misura diversa. Chiunque segua gli interventi pubblici di filosofi, storici, sociologi e pensatori può giudicare la capacità di ognuno di mostrare una certa onestà intellettuale, di staccarsi almeno in parte dalle proprie posizioni ideologiche. Credo si converrà sul fatto che alcuni siano più bravi di altri. E, devo dire, questa bravura non dipende dalla qualità in sé dello studioso: ci sono grandi studiosi che, nel loro campo e nel loro settore, sono davvero – e meritatamente – dei pezzi da novanta, ma che incappano in clamorose stupidaggini appena passano a farsi intervistare in tv o dai giornali sulla questione del giorno; così come ci sono studiosi magari più modesti negli esiti del loro lavoro, che però mantengono una maggior equidistanza quando devono rispondere a domande sull’attualità.
Di nuovo, penso che il motivo principale di questa particolare disfunzione stia nella passione politica, che prende alcuni più che altri: la passione, per sua stessa natura, porta a non ragionare lucidamente, a vedere quello che si spera sia vero, anche quando gli indizi sono minimi, e a chiudere almeno in parte gli occhi su quello che si spera sia falso. Sia chiaro: non mi tiro fuori dal mazzo. Io cerco ostinatamente una certa obiettività, ma mi rendo ben conto che non riesco a raggiungerla mai pienamente. Ciononostante, credo di essere, su questo versante, messo molto meglio di certi colleghi, a volte anche molto più bravi del sottoscritto nel loro settore.
C’è poi, però, un ulteriore fattore da tenere presente. Non è solo la passione politica che porta, a volte, a sbilanciarsi più del dovuto. Soprattutto all’interno di certi circoli intellettuali mi pare che emerga anche un secondo elemento da tenere in considerazione: l’ego.
Se seguite, ad esempio, alcuni filosofi viventi, vi potete rendere conto di come i loro testi accademici siano spesso molti interessanti e pieni di spunti di riflessione, mentre le loro interviste alla tv o sui giornali siano invece molto più discutibili, a volte stimolanti quanto il delirio di un vecchio avventore di un bar. Come mai questo gap così evidente? Come mai studiosi che hanno pubblicato fior di studi poi, in tv, fanno discorsi uguali al vostro nonno complottista che ha la terza media, con l’unica differenza di usare qualche parola più forbita (ma solo per dire le stesse fandonie)?
Penso che un elemento da tenere in considerazione sia il desiderio – particolarmente acuto tra i filosofi, ma non solo tra di loro – di essere spesso controcorrente, di dire la parola che spiazza, di porsi contro il mainstream. E di farlo non solo (o non completamente) perché quel discorso che sostengono sia necessariamente il migliore, ma anche per il gusto di sparigliare le carte, di sentirsi il veggente che arriva nella trasmissione tv sconquassando l’uditorio, anche a costo di dire cose atroci. Cioè per il gusto di alimentare il proprio ego, la propria immagine. Come si spiegano, altrimenti, filosofi marxisti che di colpo si scoprono – sui grandi mass media – ideologi del post-fascismo? Come si spiegano professori universitari che all’improvviso mettono in dubbio i progressi della scienza? Magari tirando in ballo anche delle riflessioni che hanno sì una parte di verità, ma portandole alle estreme conseguenze solo per il gusto di stupire l’uditorio? Come si spiega tutto questo se non col desiderio di sentirsi al centro dell’attenzione e delle polemiche, di staccarsi dalla massa, di andare contro il potere costituito?
Insomma, mi pare che alla fine ad inquinare il dibattito attuale – quello che dovrebbe essere il serio dibattito tra studiosi, intendo – siano questi tre fattori: la difficoltà di guardare al presente perché la vicinanza rende più complessa la comprensione; la difficoltà di mettere da parte le proprie passioni politiche; la difficoltà di mettere da parte il proprio ego.
Non che sia una completa novità, a dirla tutta: anche nei secoli passati si sono verificate situazioni di questo tipo. Ma spesso in quelle epoche emergevano anche intellettuali che – per acume – riuscivano a superare tutti quei limiti, e si potevano quindi permettere di parlare del (loro) presente in termini che ancora oggi ci paiono encomiabili. Oggi ce ne sono, di intellettuali del genere?
Quello che ho registrato e pubblicato
Ci avviamo verso la conclusione. Ecco anche, come al solito, i video e i podcast usciti questa settimana:
Lo stoicismo romano: Seneca, Epitteto, Marco Aurelio: da tempo mancava un tassello anche importante nel nostro corso di filosofia
Don Camillo: libro e film: il film lo avete visto tutti, ma vale la pena di leggere anche il libro, e vi spiego perché
Gli egizi: classi sociali e mummie: completiamo momentaneamente il percorso sugli egizi parlando anche di morte
Storia della politica estera italiana 4 (1922-1936): il fascismo: come agì Mussolini nei primi 15 anni di potere fascista per quanto riguarda la politica estera?
L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica - Audiolibro spiegato parte 3: l’ultima puntata dedicata al capolavoro di Walter Benjamin
La via nuova della logica medievale (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
Il Giappone dei Tokugawa (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che facciamo vi piace e volete darci una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che abbiamo implementato per voi. C’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal e, infine, ci sono libri e videocorsi che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco i nostri consigli della settimana.
I re taumaturghi di Marc Bloch: come scoprirete più avanti leggendo la sezione dedicata ai video in arrivo la prossima settimana, nella rubrica Book Club ho cominciato la lettura de L’autunno del Medioevo, classico saggio storico sugli ultimi secolo del Medioevo europeo. Quel libro, di cui vi parlerò meglio nelle prossime settimane, mi ha riportato alla mente tutta una serie di “letture obbligate” che bisogna in un certo senso fare quando si vuole scoprire non solo la storia del Medioevo, ma soprattutto la storia della sua mentalità. In questo senso, un altro classico imperdibile è di sicuro I re taumaturghi di Marc Bloch, libro del 1924 che ha fatto la storia della storiografia contemporanea. Il saggio racconta – con particolare attenzione alla Francia e all’Inghilterra – la credenza nei poteri taumaturgici (cioè guaritori) dei sovrani, che, tramite questa fede, riuscivano a cementare il loro ruolo e il loro potere. Il saggio, nonostante il suo secolo di vita, è quindi estremamente interessante, anche per l’approccio pluridisciplinare alla storia. Lo si può acquistare qui.
Scrittura creativa per principianti: dai vita alla tua storia: uno dei problemi più classici in cui incappa chi vuole mettersi a scrivere è il blocco dello scrittore, o la paura del foglio bianco. Ci si trova, cioè, davanti allo schermo del computer e non si riesce a dar forma alle proprie idee. Questo corso di Domestika, però, prova ad indicarvi la via con 15 lezioni tenute da Shaun Levin, uno dei più apprezzati insegnanti della piattaforma, al costo di appena 9,90 euro. Lo trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né fare corsi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Cosa c’è in arrivo
Cosa ci riserva la prima settimana d’agosto? Ecco cosa ho preparato per voi in questi giorni e che, salvo imprevisti, dovreste trovare giorno per giorno sul canale YouTube:
già domani concluderemo la storia della politica estera fascista, con la famigerata alleanza con la Germania hitleriana;
in settimana inoltre inizieremo la lettura di un nuovo libro, nell’ambito della rubrica Book Club, e per la prima volta sarà un saggio storico: L’autunno del Medioevo di Johan Huizinga. Vi piacerà sicuramente;
arriveranno poi il nuovo video su D’Annunzio, in cui cominceremo a conoscere i fatti legati all’impresa di Fiume, e un video della serie Travel Club, ferma da parecchio tempo;
non mancheranno, infine, neppure i podcast, con qualche altro discorso sulla logica medievale e una puntata sulla storia dell’Africa in età moderna.
E questo è tutto. Ci rivediamo qui tra sette giorni per raccontarci delle vacanze. A presto!