La newsletter di Halloween, con Boris, Leopardi, Licantropus, Napoleone III, Lucca Comics, How I Met Your Mother, Tommaso, Rousseau, il merito e soprattutto la prospettiva del lungo termine
Notte di Halloween, questa in cui esce la nostra solita newsletter settimanale. Si tratta, com’è ovvio, di un caso, ma a dir la verità sono varie le coincidenze che mi portano in questo momento a pensare alla notte delle streghe.
In primo luogo, come vedrete scorrendo la newsletter, ho letto o visto qualcosa che si può – direttamente o indirettamente – legare al tema: ad esempio ho cominciato il secondo volume di L’attraversaspecchi, che tratta abbastanza di frequente di poteri magici e inquietanti, ma ho anche visto Licantropus, special televisivo della Marvel proprio incentrato su queste celebrazioni.
Inoltre, questa settimana è caduto anche l’anniversario della Marcia su Roma, uno degli eventi più tragici della nostra storia contemporanea, che comunque qualcuno come al solito ha cercato anche di celebrare in termini nostalgici. Insomma, un orrore del passato che tenta di ritornare attuale, anche nella forma della pantomima: un tipico tema da Halloween, no?
E a proposito di pantomime – ma questa volta in senso più simpatico –, devo dirvi che questa newsletter vi è stata calorosamente preparata almeno in parte dalla Toscana: complice il ponte lungo che quest’anno coinvolge Ognissanti (e quindi Halloween), ho mantenuto la promessa fatta tempo fa alla famiglia di portarli a Lucca Comics. E ne abbiamo approfittato per un giretto anche a Pisa, che avevamo per la verità visitato da poco ma che è stato molto bello rivedere. Queste precise parole, anzi, le sto scrivendo poco dopo essere rientrato da Lucca: ho i piedi in fiamme e una buona dose di stanchezza addosso, ma ne è valsa la pena (quantomeno per i pupi entusiasti).
E ora, basta con costumi vecchi e nuovi e feste di Halloween: voi non potete scegliere tra dolcetto o scherzetto, visto che non c’è alternativa a questa newsletter. E allora cominciamo.
Quello che ho letto
Diamo il via ai vari discorsi della settimana partendo come sempre dai libri.
Libera nos a Malo di Luigi Meneghello: del bel libro di Meneghello vi ho già parlato la settimana scorsa: si tratta essenzialmente di un volume di ricordi. Cresciuto a Malo, in provincia di Vicenza, negli anni '30, lo scrittore poi emigrato in Gran Bretagna racconta la sua infanzia, soffermandosi in particolare sulle caratteristiche del dialetto e su come quella strana lingua – capace di cambiare radicalmente di paese in paese, e a volte perfino di famiglia in famiglia – abbia in qualche modo formato la storia e la mentalità degli abitanti di Malo. Tra strano senso del peccato, scoperta dell’altro sesso e giochi a volte seri e a volte pericolosi, Meneghello ci fornisce uno spaccato di un’Italia d’altri tempi. Per inciso: visto che in questi giorni si parla tanto di fascismo e di marcia su Roma, è curioso notare come per un ragazzino veneto cresciuto sotto il regime la questione di Mussolini e della camicia nera fosse estremamente marginale. Nei libri si rimarca spesso di come il fascismo non riuscì davvero a “plasmare” gli italiani come invece avrebbe voluto: e lo si vede anche in queste pagine, pagine in cui l’esperienza della confessione religiosa o i rapporti con i preti rubano largamente il campo al sabato fascista o all’etica del combattente. Ma non fatevi trarre in inganno: il volume di Meneghello non è un trattato storico-sociologico, quanto piuttosto un libro di racconti divertenti e intelligenti sul passato di una parte dell’Italia. Se vi interessa, lo potete comprare qui.
L’attraversaspecchi 2. Gli scomparsi di Chiardiluna di Christelle Dabos: come vi dicevo all’inizio, in quest’ultimo weekend ho affrontato un viaggio verso la Toscana; un viaggio che si è rivelato più lungo del previsto, dato che vari altri italiani, oltre a me, hanno pensato bene di sfruttare il ponte e ingolfare l’autostrada. Ad ogni modo, da tempo in famiglia abbiamo scoperto una modalità per gestire (quasi sempre) al meglio i lunghi viaggi: quella di ascoltare un audiolibro. Come già sapete se siete abbonati alla newsletter dagli inizi, questa tattica ci ha permesso di leggere (o sarebbe meglio dire ascoltare) diverse opere anche piuttosto impegnative, dal giallo al fantasy. La scorsa estate, in particolare, ci siamo dedicati al primo volume della saga L’attraversaspecchi, scritta dalla francese Christelle Dabos. Ora mi hanno costretto a far partire anche il secondo volume, che è altrettanto corposo ma che abbiamo quindi già cominciato prepotentemente ad affrontare. Che dire? Mi sembra che gli stessi pregi e gli stessi difetti del primo romanzo si riversino, uguali uguali, anche sul secondo: gli intrighi di palazzo e la grande fantasia della scrittrice sicuramente costituiscono un valore aggiunto della storia, ma al contempo non riesco minimamente ad amare i personaggi al centro della vicenda (a parte forse Archibald, l’irriverente ambasciatore), che mi risultano a volte insulsi, a volte decisamente odiosi. E se, in quest’ultimo caso, questo permette quantomeno di tenerti attaccato alle pagine (perché i personaggi odiosi speri che finiscano male), quando sono gli stessi due protagonisti a risultarti insulsi, né carne né pesce, c’è poco da gioire. Sarà anche per questo che, nel viaggio d’andata verso Pisa, ho cominciato ad un certo punto a sbadigliare vistosamente; e che, per garantire una guida sicura, ad un certo punto abbiamo quindi dovuto mettere in pausa il libro e passare alla musica. Certo ero stanco, e certo al ritorno è andata meglio, ma in ogni caso non mi pare un buonissimo segno. Comunque il libro, se vi interessa, lo trovate qui.
What We Owe the Future di William MacAskill: anche di questo libro ho già cominciato a parlarvi. Qui non vi scriverò sostanzialmente nulla di nuovo, sia perché, appunto, basta recuperare la mail della settimana scorsa per averne una prima panoramica, sia perché, soprattutto, alcuni degli spunti di riflessione di MacAskill ve li propongo qui di seguito, qualche riga più avanti, nella rubrica Quello che ho pensato. Ne riparliamo là, insomma. Se poi il libro volete anche comprarlo, potete trovarlo qui.
Quello che ho visto
È giunto il momento anche di una veloce panoramica su quanto ho visto in quest’ultima settimana. In lista ci sono due serie TV storiche, anche se recuperate per motivi diversissimi, a cui si va ad aggiungere uno speciale televisivo a tema Halloween.
Boris episodio 4.01 (2022), di Giacomo Ciarrapico e Luca Vendruscolo, con Francesco Pannofino, Pietro Sermonti, Alessandro Tiberi: quindici anni fa ho molto amato Boris, una serie che all’epoca sembrava incredibilmente innovativa almeno per gli standard nostrani perché in grado di ironizzare con intelligenza su un ambiente – quello delle fiction – che sembrava estremamente italiano, come avrebbe detto Stanis, uno dei protagonisti. Forse anche per questo, a più di dieci anni dalla sua interruzione, ero da un lato incuriosito ed eccitato ma dall’altro anche impaurito dalla decisione di Disney+ di rilanciarla con una quarta, breve stagione. Impaurito perché le cose che hai molto amato non vorresti mai vederle invecchiare; in certi casi, preferiresti che rimanessero immutate ed immutabili nella tua memoria, ferme, come qualcosa di bello che c’è stato ma che non tornerà mai più (e che quindi non potrà neppure peggiorare). È lo stesso motivo per cui non ho ancora fatto vedere ai miei figli alcuni dei film più strani e più belli che guardavo da ragazzo: per paura che con il loro cinismo possano rovinarmi il ricordo che ho di quelle pellicole. Nonostante queste mie paure da vecchio imbolsito, nei giorni scorsi ho comunque provato a guardare almeno il primo episodio di Boris 4, che rivede all’opera il cast delle vecchie stagioni. Gli attori ci sono tutti, anche se ovviamente i loro personaggi sono invecchiati con loro: non mancano Francesco Pannofino, Alessandro Tiberi, Pietro Sermonti, Caterina Guzzanti, Carolina Crescentini, Ninni Bruschetta, Paolo Calabresi, Antonio Catania e tutti gli altri. Tra gli sceneggiatori invece manca, inevitabilmente, Mattia Torre, deceduto nel 2019, ma Ciarrapico e Vendruscolo, i due rimanenti, paiono garantire perfetta continuità, diventando la vera anima di tutta l’operazione. Forse è presto per giudicare il risultato a partire dal solo primo episodio, ma devo dire che almeno in parte le mie paure sono state fugate: è rimasto lo stesso clima cialtrone degli esordi, ma ovviamente i temi sono ora in parte nuovi (si ironizza sulle piattaforme di streaming più che sulla Rai) e i personaggi sembrano almeno in parte aver avuto un’evoluzione. Infine, mi ha lasciato letteralmente a bocca aperta il finale dell’episodio d’apertura, che non vi rivelerò ma che mi è sembrato particolarmente efficace (forse lo si poteva prevedere, ma io, come si suol dire, “non l’avevo visto arrivare”). Insomma, aspettiamo a lanciarci in lodi, ma poteva davvero andar peggio. Vi racconterò dei prossimi episodi. Intanto la trovate su Disney+.
Licantropus (2022), di Michael Giacchino, con Gael García Bernal, Laura Donnelly, Harriet Sansom Harris: visto che questa sera è Halloween, già dai giorni scorsi avevo pensato di mettervi in lista almeno un titolo horror e durante la settimana mi sono quindi messo a guardare se nel catalogo delle varie piattaforme di streaming potevo trovare qualcosa di adatto allo scopo e che, contemporaneamente, non avessi ancora visto. Mi sono imbattuto quasi subito in questo Licantropus, che non è un film vero e proprio quanto piuttosto uno special televisivo (della durata di circa un’ora) realizzato dalla Marvel per Disney+. Non è però il solito film o la solita serie di supereroi: ispirato al protagonista della serie a fumetti Werewolf by Night, racconta di un lupo mannaro che vive le sue trasformazioni con un certo senso di colpa. L’aspetto più bello di questo mediometraggio, però, è l’ironia sottintesa che fuoriesce da ogni fotogramma. In primo luogo, la fotografia è in bianco e nero fin quasi alla fine, a riecheggiare le vecchie pellicole horror di una volta (ma un po’ anche Frankenstein Jr., a dirla tutta); poi il protagonista è ben interpretato, con un certo spirito, da Gael García Bernal, che forse ricorderete ne I diari della motocicletta o in Mozart in the Jungle; infine, è uno di quei film in cui finisci addirittura per fare il tifo per i mostri. Insomma, un divertissement simpatico e irriverente che merita di essere visto. Lo trovate anch’esso, come detto, su Disney+.
How I Met Your Mother episodi 1.01-1.02-1.03 (2008), di Carter Bays e Craig Thomas, con Jash Radnor, Cobie Smulders, Neil Patrick Harris: How I Met Your Mother non è certo nuova, né per me né, sospetto, per voi. È stata una delle serie di maggior successo dei primi anni '10 ed è ormai finita quasi dieci anni fa, nel 2014. Ciononostante, ha lasciato – un po’ come Friends, anche se in maniera meno forte – un segno sull’immaginario dei giovani: solo per fare un esempio, ieri a Lucca Comics mi sono imbattuto in almeno un paio di cosplayer di Ted Mosby, uno con l’ombrello giallo e vari altri segni distintivi, l’altro con il suo costume di Halloween (quello della scheda per le elezioni, se ve lo ricordate). Io, peraltro, la serie l’ho già vista per intero un paio di volte, una prima da solo e una seconda con i figli, quindi ritirare fuori qui questo show (e soprattutto i suoi primi tre episodi) può sembrare un po’ strano. C’è però un discorso da fare. Come ho spiegato agli abbonati del canale nell’ultima diretta che abbiamo fatto tra noi su YouTube, tra le mille altre cose che sto facendo c’è anche il tentativo di riprendere in mano il mio inglese e portarlo ad un livello un po’ più alto. Uno dei modi (ma non l’unico, per la verità) in cui sto concretizzando questa mia volontà è quello non solo di leggere in inglese (cosa che già faccio abbastanza abitualmente) ma anche di ascoltare persone inglesi o americane che dialogano nella vita quotidiana. In questo senso, una sitcom in genere offre molti spunti interessanti: sono presenti personaggi diversi, con interessi diversi e a volte anche con accenti diversi, che interagiscono tra loro sulle più diverse circostanze in situazioni però abbastanza familiari. Insomma, ho ricominciato a vedermi How I Met Your Mother in inglese, in lingua originale; un’operazione che ho già fatto in passato anche con Friends. A primo acchito, l’impatto è buono: How I Met Your Mother è per certi versi anche relativamente prevedibile, quindi conoscendo i personaggi si sopperisce facilmente con l’intuito ad alcune battute in inglese che possono sfuggire. Inoltre devo anche ammettere – ma me ne ero reso ben conto a suo tempo anche con Friends – che le battute in lingua originale suonano spesso decisamente meglio che in italiano, un po’ perché effettivamente a volte sono difficili da tradurre o adattare, un po’ per la superficialità (o il sensazionalismo) di certe traduzioni. Non so quanto continuerò con questa serie in particolare (in fondo so già come va a finire: alla fine conosce la madre e…), ma per ora mi diverto. Anche questa serie la trovate – sia doppiata in italiano che in lingua originale – su Disney+.
Quello che ho pensato
Come ho scritto poco sopra, da qualche tempo ho cominciato a leggere il saggio What We Owe the Future del giovane filosofo scozzese William MacAskill. Sono ancora nelle prime fasi, anche perché lo sto leggendo in inglese e, per quanto riesca a capire piuttosto bene il contenuto, la lettura in una lingua straniera mi risulta un po’ più faticosa (e quindi lenta) di quella in italiano. Ciononostante, il libro offre già alcuni interessanti spunti di riflessione.
In primo luogo MacAskill si definisce, quasi subito, un aderente alla corrente del lungoterminismo (parola che ho inventato io qui sul momento, cercando di tradurre il corrispettivo inglese). Per farla breve, sostiene che l’umanità abbia bisogno di iniziare a pensare nell’ottica del lungo termine. Come ho scritto altrove, questo atteggiamento sembra ricalcare, anche se con parole diverse, alcune riflessioni fatte negli anni '80 dal filosofo tedesco (ma americano d’adozione) Hans Jonas, che invitava già allora a pensare più al futuro che al presente, più ai nostri figli che a noi stessi. Evidentemente, i problemi che Jonas aveva cominciato a intuire 40 anni fa non solo non sono stati affrontati, ma si sono enormemente aggravati (penso ad esempio alla questione del cambiamento climatico, un problema che si può valutare nella sua portata solo se si guarda non tanto al presente quanto soprattutto al futuro, anche quello abbastanza lontano).
L’idea di questo lungoterminismo, però, è interessante non solo per discutere di ecologia, ma anche in senso più ampio. A me pare che, a ben guardare, uno dei principali difetti di noi esseri umani sia quello di non riuscire a cogliere lo sguardo d’insieme, sia in termini di tempo che di spazio. Ogni nostra analisi – da quelle più banali dell’uomo comune fino però anche a quelle più elaborate dei filosofi – risente infatti di una visione a breve raggio. Quando parliamo dell’umanità, molto spesso pensiamo a noi stessi; quando parliamo del mondo, molto spesso stiamo pensando al nostro paese o al nostro continente; quando vagheggiamo sull’universo, quasi sempre pensiamo alla Terra o al nostro sistema solare; quando parliamo della storia, quasi sempre pensiamo agli ultimi secoli, al massimo al periodo dagli antichi greci in poi, che però rappresenta solo un piccolo frammento dell’intera storia dell’universo.
Soffermiamoci un attimo su quest’ultimo punto, in particolare. Prendiamo in esame i più grandi filosofi che hanno analizzato la storia: d’impatto, i primi nomi che vengono in mente sono quelli di Platone, di Agostino, di Vico, di Voltaire, di Rousseau, di Hegel, di Marx, di Popper, limitandoci solo ai più famosi. Eppure, se andiamo ad esaminare quello che questi grandi filosofi hanno detto sulla storia, ci accorgiamo che nella maggior parte dei casi la storia a cui hanno pensato è stata al massimo la storia della civiltà: cioè hanno costruito grandi discorsi esaminando più o meno gli ultimi 3.000 anni della storia del nostro pianeta. Pensate ad Hegel, che ci presenta la storia come un progressivo realizzarsi dell’Assoluto: quando parla ha in mente le società umane e null’altro. Pensate a Marx, che dice che la storia è storia del lavoro: anche lui considera solo l’uomo da quando ha cominciato a lavorare la terra.
Il problema è che la storia anche solo del pianeta Terra, però, è enormemente più lunga: secondo gli studi, la Terra pare avere 4,5 miliardi di anni, mentre le prime civiltà umane sono nate appena 3.000 anni fa. Cogliete la sproporzione? 4,5 miliardi contro 3mila anni. Scritte in cifre: 4.500.000.000 contro 3.000 anni.
In pratica, noi tentiamo di creare grandi filosofie della storia, di formulare enormi sistemi di pensiero ragionando però solo dello 0,00006667% del tempo. La proporzione, se non ho sbagliato i conti, è esattamente questa. È come se noi volessimo parlare della vita di un uomo vissuto 100 anni analizzandone appena 2 giorni e mezzo. E su quei due giorni e mezzo costruissimo però un intero sistema filosofico, convinti che quelle poche ore possano spiegare una vita intera, tra l’altro lunghissima. Capite bene, credo, che non si possa giudicare la vita di un centenario solo da un paio di giorni; così non ha alcun senso giudicare la storia e le sue eventuali leggi analizzandone solo lo 0,00006667%.
A ben guardare, questo nostro difetto di prospettiva non è però connesso solo alla storia, ma a tutto il nostro modo di ragione e di guardare al mondo: diamo per scontato, ad esempio, che tutti gli esseri umani di ogni epoca ragionino e sentano come noi, e così facciamo una fatica incredibile a metterci nei panni altrui e a guardare le cose da una prospettiva diversa. È addirittura un luogo comune che i professori non capiscano gli studenti, nonostante siano stati studenti a loro volta solo pochi anni prima, ma a loro volta neppure gli studenti capiscono i professori. I genitori non capiscono i figli e viceversa. I poliziotti non capiscono i criminali e i criminali non capiscono i poliziotti. I medici non capiscono i pazienti e i pazienti non capiscono i medici. È tutto un circolo vizioso di incomprensioni che, spesso, non dipendono dalla scarsa capacità mentale dei soggetti coinvolti, ma dalla loro incapacità di vedere al di là del proprio naso e della propria piccola condizione del momento. Ognuno si sente al centro del mondo e valuta il mondo stesso dalla sua piccolissima prospettiva, credendola l’unica possibile.
Qualcosa del genere lo aveva mirabilmente descritto anche Voltaire, nel Settecento, all’interno del racconto filosofico Micromega. In quella breve storia che vi consiglio caldamente di rileggere, il filosofo francese raccontava la discesa sulla Terra di due alieni giganteschi, che non capivano le preoccupazioni e le riflessioni dei terrestri, giudicandole davvero presuntuose. Quei piccoli esseri per loro quasi invisibili pretendevano di essere gli elementi più importanti e maestosi dell’universo, non rendendosi conto di essere in realtà del tutto simili alle formiche.
Da questo punto di vista, anche nel campo della lunghissima storia della filosofia Voltaire rappresenta un’eccezione o quasi: sono molti di più i pensatori, infatti, che si sono vantati di aver trovato la chiave nascosta dell’universo di quelli che si sono resi conto di essere un granello di sabbia in un meccanismo infinitamente più grande di loro. Detta in altri termini: non è stato solo Hegel a credere di aver scoperto la legge della storia, ma in fondo quasi tutti i filosofi hanno pensato, in un modo o nell’altro, di aver capito tutto, di aver svelato ogni mistero.
Si fa prima in questo senso ad elencare le eccezioni, cioè quei pochi che invece hanno ricordato all’uomo la sua pochezza e che le cose che ci sfuggono sono molte di più di quelle che conosciamo: gente come Socrate, Montaigne, Pascal, Hume, Popper e pochissimi altri. Filosofi a cui, anche nei programmi ministeriali, si dedica tutto sommato poco spazio, perché ci affascinano di più Platone o Aristotele, Cartesio o Kant, Marx o Freud.
A proposito di empatia e della nostra incapacità quasi strutturale di metterci nei panni degli altri vorrei chiudere la riflessione di questa settimana con una nota in un certo senso locale. Forse avrete letto sui giornali o sentito in TV della notizia che ha coinvolto Rovigo negli ultimi giorni. In pratica, una docente del locale istituto tecnico industriale è stata colpita, durante una lezione in aula in una classe prima, da dei pallini sparati da una pistola ad aria compressa. La pistola era maneggiata da uno degli studenti, mentre altri scherzavano con lui e altri ancora riprendevano la scena col cellulare. Il video della scena ha cominciato rapidamente a girare e in un batter d’occhio è finito sui social network e sui giornali. Da lì lo scandalo di portata epica.
Queste cose accadono periodicamente: se avete memoria storica, sicuramente ricordate decine di altri casi simili comparsi sulle testate di anno in anno, dai genitori che aspettano il prof all’uscita da scuola per menarlo agli studenti che rovesciano il cestino della carta straccia addosso al docente mentre è seduto in cattedra. Alcune di queste cose sono più gravi, altre meno, e sono sicuramente segno di qualcosa che non va.
Non ci interessa però mai sapere davvero quali siano le cause di questo problema, o se il fenomeno sia in aumento o in diminuzione; non cerchiamo statistiche, indagini approfondite o analisi serie, ci accontentiamo dell’indignazione a buon prezzo che viene spacciata da sedicenti esperti sui giornali.
Se aveste l’occasione – come sto avendo io in questi mesi – di frequentare degli archivi scolastici vi rendereste conto che il fenomeno è molto meno nuovo di quanto si pensi. Come ho scritto anche sui social network, situazioni di questo tipo ci sono sempre state, solo che magari se ne trovava traccia, all’epoca, solo nelle relazioni riservate che i presidi inviavano al Provveditorato e non su Facebook o TikTok. Ma a noi interessa il qui ed ora, l’oggi, la nostra piccola esperienza, il nostro piccolo frammento di memoria o di conoscenza, e su quello pontifichiamo e pontifichiamo all’infinito.
Il darci così tanta importanza, senza uscire da noi stessi e dalle nostre minuscole coordinate spazio-temporali, è ovviamente una forma di difesa davanti a un mondo che ci appare minaccioso e inarrivabile, carico di misteri che non siamo disposti ad accettare; ma è anche un modo per non capire quasi nulla di questo mondo, di comprendere ancor meno di quanto potremmo.
P.S.: qui di seguito trovate i tweet che ho scritto riguardo alla faccenda delle pistolettate, a futura memoria.
Quello che ho registrato e pubblicato
Ritorniamo ora a temi meno legati all’attualità con l’elenco dei video e dei podcast che sono usciti nell’ultima settimana. Eccoli.
Il pensiero di Leopardi: il pessimismo storico: iniziamo a presentare la filosofia del più grande poeta italiano dell’Ottocento, partendo dalla prima fase della sua riflessione
La questione del merito: nel nuovo governo Meloni, il Ministero dell’Istruzione pare aver cambiato nome; e provo a spiegarvi perché se ne è discusso molto
Ionici: il principio alla base di tutto: la filosofia non è solo un affare “da adulti”, ma può – spero – affascinare anche i ragazzi più giovani
Napoleone III: verso il bonapartismo: Napoleone III è stato l’ultimo imperatore, e più in generale l’ultimo regnante, dei francesi. Ecco la sua parabola
L’Autunno del Medioevo - Audiolibro spiegato parte 10: nuova puntata della lettura integrale e commentata del capolavoro di Huizinga, questa volta sul tema dell’amore
Gli attributi di Dio per Tommaso (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
La rivoluzione francese dopo i giacobini (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono i nuovi abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri e videocorsi che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
Il contratto sociale di Jean-Jacques Rousseau: Rousseau è uno di quei filosofi che a scuola si affrontano sì, ma sempre un po’ di fretta, compresso com’è – per cause puramente cronologiche – tra gli illuministi, i giusnaturalisti e Kant. Detta in altri termini: la fretta di arrivare a trattare quel mostro sacro dell’autore della Critica della Ragion Pura può a volte penalizzare proprio Rousseau, che però in campo politico è stato davvero uno di quei filosofi che lasciano il segno, capace di influenzare decine di filosofi e di leader politici dopo di lui. Il contratto sociale è forse, da questo punto di vista, il suo libro più importante e merita di essere letto, anche per capire molte cose della storia europea dell’Ottocento e del Novecento. Lo si può comprare qui.
Introduzione a Procreate: quando vi dicono che con il computer e con il tablet si possono fare cose fantastiche, come incredibili disegni o animazioni grafiche, probabilmente storcete di solito un po’ il naso; perché sapete che è possibile, ma allo stesso tempo vi rendete conto di quanto sia difficile per un principiante approcciarsi a strumenti così complessi come i software che vengono usati per realizzare quelle creazioni artistiche. Per fortuna ci sono però dei corsi che ci mettono sulla buona strada, e Domestika ogni tanto li raggruppa. Introduzione a Procreate non è infatti un solo corso, ma ben 7 corsi impacchettati assieme, per un totale di ben 55 lezioni; e la notizia migliore è che il tutto costa solo 12,90 euro. Se vi piacerebbe disegnare e avete un iPad, questo è il pacchetto che fa assolutamente per voi. Lo potete acquistare qui.
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né fare corsi, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Cosa c’è in arrivo
Chiudiamo con un veloce elenco dei video (presumibilmente) in arrivo nei prossimi giorni:
arriverà innanzitutto un nuovo video della serie filosofica dedicata ai ragazzi più giovani, parlando questa volta dei pitagorici e della matematica;
poi vorrei portare avanti due progetti iniziati nei giorni scorsi, quello relativo alla filosofia di Leopardi e quello sulla Guerra di Troia;
arriveranno infine soprattutto podcast, in cui parleremo di Tommaso d’Aquino e dell’ascesa di Napoleone Bonaparte, a più riprese.
E questo è tutto, per questa settimana. Spero che abbiate offerto buoni dolcetti ai bambini che saranno di certo venuti a suonarvi alla porta e che passiate un buon ponte, visto che Ognissanti quest’anno è caduto così bene. Ci rivediamo qui lunedì prossimo.
A proposito del lungoterminismo ,
non posso che dirmi profondamente d accordo , mentre leggevo quelle parole
( "MacAskill si definisce, quasi subito, un aderente alla corrente del lungoterminismo (parola che ho inventato io qui sul momento, cercando di tradurre il corrispettivo inglese). Per farla breve, sostiene che l’umanità abbia bisogno di iniziare a pensare nell’ottica del lungo termine" )
ho avuto un pensiero fulmineo : purche' tutto cio' non porti alla preoccupazione ecologica,
la quale assomiglia piuttosto a una forma di appiattimento e conformismo dal punto di vista concettuale .
Purtroppo si e' finito proprio a parlare dell ambiente !
La mia posizione e' la seguente : si faccia si' la raccolta differenziata ,
ma non attribuisco ai movimenti verdi ed ecologisti un valore filosofico e concettuale!
Assolutamente no !