La nostra ignoranza della matematica e i suoi effetti sull'economia, l'altruismo e la vita quotidiana, ma anche Aristotele, la Marvel, Peter Sellers, la Prima Repubblica e l'Attraversaspecchi
Se mi seguite sui social network (a proposito, ecco i contatti per Instagram, Facebook, Twitter), sapete già che la scorsa settimana è stata una settimana intensa. Con la famiglia ci siamo concessi un’ultima capatina fuori città, per una sorta di weekend lungo a La Spezia; ma poi sono ricominciate le riunioni scolastiche, ho lanciato alcuni nuovi progetti per il canale YouTube e, soprattutto, ho compiuto gli anni (sono 43, oramai).
Più avanti in questa newsletter troverete qualche informazione in più sulle novità che riguardano il canale, e vi consiglio in particolare di concentrarvi sulle sezioni Quello che ho registrato e pubblicato (c’è un video spero molto chiaro sull’argomento) e Quello che puoi fare per sostenere il canale; ma intanto concentriamoci su altre questioni.
Prima di cominciare con la solita presentazione di libri, film e riflessioni, vi devo infatti dare un appuntamento: se siete di Rovigo o bazzicate da queste parti, sappiate che giovedì 8 settembre interverrò al seminario Come cambia la scuola?, organizzato da ZICO - Zona a Ingegnosità Collettiva. L’evento si terrà presso il Teatro Duomo ad ingresso gratuito tra le 18:15 e le 20:00; per partecipare, ci si iscrive qui.
E ora cominciamo.
Quello che ho letto
Partiamo come al solito dalle letture. Già da qualche settimana mi trovo “bloccato”, in un certo senso, con dei libroni che ho cominciato e che sto portando avanti, ma che, proprio per la loro gran mole di pagine, faccio fatica a finire. Per fortuna questa settimana sono arrivato alla parola fine di uno di questi volumi, Fidanzati dell’inverno, e ormai sono molto vicino anche a concludere La fonte meravigliosa, visto che nell’aria si sente odore di epilogo. Per premiarmi, ho cominciato anche un libro nuovo.
La fonte meravigliosa di Ayn Rand: come vi dicevo già la settimana scorsa, sto cercando in tutti i modi di arrivare alla fine di questo corposo romanzo e ormai comincio a intravedere l’ultima pagina. Soprattutto, da un po’ si nota che la Rand sta tirando le fila del discorso e sta portando a compimento tutte le sottotrame create lungo il libro. Rimane l’impressione che già vi ho riportato più volte, che vale per il romanzo come per tutta la filosofia della pensatrice di origini russe: la Rand sa scrivere e sa sostenere bene le sue idee, ma queste idee mi sembrano tagliate con l’accetta. La sua è una visione estremamente manichea, di un mondo visto sempre in bianco e nero, in cui i buoni sono gli individualisti e i cattivi sono tutti quelli che osano pronunciare, anche solo timidamente o per sbaglio, la parola “altruismo”. Sono d’accordo con la Rand quando sostiene il valore del merito e il fatto che spesso, nella società moderna, un certo tipo di talento venga frustrato e umiliato, ma non credo affatto che questo accada sempre; e non è detto che l’altruismo voglia dire per forza diminuzione dei diritti per chi si è guadagnato qualcosa. Insomma, quella della Rand mi pare una filosofia estremista, che presenta anche degli elementi di verità ma che sa poco ascoltare le ragioni altrui, incapace di cogliere la complessità di questo mondo, in cui spesso merito e demerito sono mescolati assieme e individualismo ed altruismo non sono necessariamente autoescludenti. Comunque il libro cattura, anche parecchio, e non stupisce che abbia avuto grande successo. Lo si compra qui.
L’attraversaspecchi 1. Fidanzati dell’inverno di Christelle Dabos: come vi anticipavo, questo libro (anzi, audiolibro) l’ho finalmente finito. Per chi non lo sapesse, si tratta di una saga fantasy diretta principalmente al pubblico young adult, cioè ai teenager o poco più, che ha avuto un ottimo successo in tutto il mondo: al centro della trama di questo primo volume ci sono due personaggi, Ofelia e Thorn, destinati a sposarsi nonostante appartengano a due mondi completamente differenti. Ma non è tanto la storia d’amore – quasi assente – a tenere banco, visto che al centro delle vicende ci sono piuttosto gli intrighi di corte a cui la povera Ofelia è sottoposta una volta giunta nel Polo, la terra del nord abitata da Thorn e dai suoi simili. Più che a una saga d’amore, insomma, il primo volume ce la presenta come una saga fantasy vecchio stile: non ci sono i draghi, almeno nel senso letterale del termine, ma poco ci manca. È una specie di Trono di spade, ma per ragazze, con meno scene cruente e comunque una certa inventiva. L’esito, alla fine, qual è? Be’, devo dire che ai miei figli il libro è piaciuto, anche se a loro, come a me, non è scattata la voglia di leggere subito il secondo volume (nonostante il primo si concluda in maniera interlocutoria, come se fosse il finale di stagione di una serie TV). A me ha convinto fino ad un certo punto: certo, per essere un libro per ragazzi è scritto bene ed è anche abbastanza appassionante, ma mi sembra che non riesca mai a fare il salto di qualità, ad osare qualcosa di più. I personaggi sembrano più incoerenti che in grado di crescere e l’ambientazione generale mi pare pensata soprattutto per garantire dei colpi di scena più che per creare un livello di lettura più profondo. Insomma, un libro discreto, ma in giro secondo me c’è di meglio, anche nel suo genere. Se vi interessa, lo trovate qui.
All of the Marvels di Douglas Wolk: ho scoperto questo libro – disponibile per il momento solo in inglese – nelle settimane scorse leggendo delle recensioni in un paio di siti americani, e ne sono rimasto subito incuriosito. Visto che in formato ebook costa solo 6,50 euro ho deciso di dargli una possibilità e di provarlo. L’autore, Douglas Wolk, è un giornalista statunitense che negli anni ha scritto, tra gli altri, per il Washington Post, il New York Times e Rolling Stone, occupandosi perlopiù di musica e di fumetti. A partire dal 2019 si è lanciato però in un progetto assai ambizioso: leggere tutto quello che la Marvel Comics ha pubblicato dal 1961 ad oggi, in più di sessant’anni di storia. Si tratta di circa 27.000 albi a fumetti, che però Wolk si è sorbito per intero. Il libro è il resoconto di questa strana avventura, tra storie memorabili ed altre da dimenticare, tra personaggi celeberrimi come Spider-Man o gli X-Men ed altri di cui forse neppure gli autori si ricordano più. Insomma, un progetto più unico che raro. Visto che qualche fumetto Marvel, da ragazzino, l’ho comprato anch’io, ho voluto confrontarmi con l’esperienza di Wolk e ho quindi cominciato a leggere il suo libro. Sono ancora agli inizi, per la verità, ma quando sarò a buon punto vi farò un ampio resoconto. Se vi interessa, intanto, lo potete comprare qui.
Quello che ho visto
Dopo tanti discorsi sui libri, parliamo un po’ anche dei film. In lista questa settimana ce ne sono tre molto diversi tra loro.
Pallottole su Broadway (1994), di Woody Allen, con John Cusack, Dianne Wiest, Chazz Palminteri: il giorno del mio compleanno l’ho passato con la famiglia tra Portovenere e La Spezia. Alla sera, rientrati all’appartamento che avevamo affittato in zona, abbiamo deciso di festeggiare con una pizza e un film. Visto che nella casa era disponibile Amazon Prime Video, abbiamo pescato un titolo da lì e la mia scelta è finita su questa vecchia commedia di Woody Allen che non rivedevo da tanto tempo (complice il compleanno, sono riuscito a costringere i figli a guardarla con me). Non la vedevo, credo, dagli anni '90 o al massimo dai primi anni Duemila, e non me la ricordavo benissimo, tanto che nella mia memoria era diventato un film simpatico ma nulla più. In realtà è meglio di così. Certo, non si tratta del film in assoluto più bello di Allen, ma di sicuro, dopo il periodo d’oro tra la fine degli anni '70 e l’inizio degli anni '80, è uno di quelli più riusciti. La trama riprende molti dei temi cari al cineasta newyorkese: ambientato a fine anni '20, il film ripercorre le vicende di uno sceneggiatore di Broadway che vuole mettere in scena la sua nuova commedia ma che, non trovando finanziatori, è costretto ad accettare i soldi di un mafioso, desideroso quest’ultimo che nella pièce ci sia una parte per la sua amante. Da queste premesse nascono molte scene buffe, ma l’apice arriva quando lo scagnozzo del boss incaricato di controllare l’attricetta si rivela anche un abile sceneggiatore, quasi scalzando il protagonista. C’è molta satira sul mondo dello spettacolo e dell’arte, ovviamente, ma sempre con lo sguardo disincantato e leggero di Allen.
La grande scommessa (2015), di Adam McKay, con Steve Carell, Christian Bale, Ryan Gosling: molti di voi, questo film, l’avranno già visto, perché quando uscì nel 2015 destò un certo scalpore e venne candidato a molti premi (aggiudicandosi anche un Oscar). Io invece me l’ero finora perso, un po’ perché l’avevo etichettato come un “dramma finanziario” – genere che non mi attira particolarmente –, un po’ anche perché mi pareva lungo e impegnativo. L’ho recuperato nei giorni scorsi su Amazon Prime Video e direi che in realtà ne è valsa la pena. La regia di McKay (quello del recente Don’t Look Up) è originale quanto basta; gli attori sono ottimi (un plauso soprattutto a Steve Carell, molto convincente); la storia, pur essendo molto complessa, si riesce a seguire nei suoi punti chiave. Inoltre è istruttivo: l’ho fatto vedere ai miei figli, e il fatto che ogni tanto fosse Selena Gomez a spiegare l’economia non guastava. La trama, brevemente: tratto da una serie di storie vere, il film ripercorre le gesta di alcuni investitori che nei primi anni Duemila intuirono che il mercato stesse per crollare a causa della fragilità dei mutui subprime; questi investitori, dunque, decisero di puntare “contro” questi mutui e, nonostante la titubanza dei loro colleghi che li prendevano per scemi, incassarono dei grandi introiti quando poi nel 2007 il mercato effettivamente crollò. Al di là dell’attenzione alle storie personali, però, il film è un pesantissimo atto d’accusa alle banche e a Wall Street, accusati di giocare come se fossero dei ragazzini coi soldi degli americani, sicuri che tanto – qualora fallissero – interverrà lo Stato (coi soldi dei contribuenti) a risanare tutto.
Nudi alla meta (1959), di John Boulting, con Ian Carmichael, Peter Sellers, Terry-Thomas: chiudiamo l’elenco con un film che è una piccola chicca, uno di quei film che magari sulle prime non vi dice nulla e che è anche un po’ difficile da vedere, ma che in realtà si rivela poi molto interessante. Per dire: lo trovate facilmente su Netflix, ma appena lo fate partire vi rendete conto che è disponibile solo in lingua originale, al massimo coi sottotitoli in italiano ma senza doppiaggio. Scommetto che molti di voi, a questo punto, rinuncerebbero alla visione; eppure secondo me vale la pena di resistere. Nudi alla meta (o I’m All Right Jack in lingua originale) è una divertente commedia britannica della fine degli anni '50 che parte come un film sul classico protagonista pasticcione messo a far guai in un contesto inedito, ma che si trasforma ben presto in una acida satira di costume. Il protagonista è Stanley Windrush, uomo piuttosto inetto interpretato da Ian Carmichael e protagonista in realtà di una serie di film comici usciti con grande successo in quegli anni. Windrush, per una serie di vicissitudini, trova lavoro come operaio non qualificato all’interno di una fabbrica inglese e qui si scontra con una serie di problemi: da un lato c’è il sindacato, molto forte e compatto, che difende il diritto dei lavoratori a lavorare il meno possibile; dall’altro c’è la proprietà, cinica e priva di scrupoli, che sfrutta non tanto i lavoratori – con cui ha instaurato un quieto vivere – quanto i meccanismi finanziari e i committenti stranieri. Insomma, la satira tocca i nervi scoperti della lotta di classe dell’epoca, non risparmiando nessuno. Ma la nota più azzeccata del film sta negli attori: a interpretare il cinico proprietario d’azienda c’è nientemeno che un giovane Richard Attenborough (quello di Jurassic Park e La grande fuga), ma ancora più bravo è Peter Sellers nei panni del sindacalista con un debole per Lenin e l’Unione Sovietica. Sellers all’epoca era già noto in Inghilterra soprattutto per i suoi programmi radiofonici, ma stava iniziando a farsi notare anche al cinema: di lì a poco avrebbe interpretato Il dottor Stranamore e La Pantera Rosa, le due pellicole che lo avrebbero reso un divo, ma già in Nudi alla meta mostrava il suo tratto caratteristico di una comicità molto umana e paradossale.
Quello che ho pensato
Da un certo punto di vista, si potrebbe dire che buona parte della nostra vita si regga sul fatto che non capiamo la matematica. Citerò tre casi piuttosto emblematici per cercare di convincervi di questa tesi, aggiungendoci, in fondo, qualche considerazione personale tratta dalla vita quotidiana.
Cominciamo dalla pandemia. Quando è arrivata, un paio d’anni fa, ci ha colti completamente di sorpresa: all’inizio pensavamo fosse un fuoco di paglia, una cosa di poco conto; poi, quando ci siamo accorti che non era così, siamo rimasti scioccati, perplessi, disposti anche a misure assai drastiche per cercare di contenere il contagio. Ancora oggi, a distanza di due anni abbondanti da quelle prime settimane, abbiamo timore dei luoghi troppo affollati e ripensiamo ai periodi precedenti al 2020 come fasi di grande ingenuità.
Eppure, quella pandemia non era un evento così imprevedibile. Anzi, alcuni esperti l’avevano prevista. Stante l’aumento demografico sempre più importante, le interconnessioni sempre più forti tra paese e paese e il costante sorgere di infezioni nuove in determinati ambienti, avevano predetto che la prossima catastrofe dell’umanità sarebbe stata una catastrofe sanitaria e pandemica. Pochi li avevano ascoltati: eravamo molto più interessati al terrorismo, ad esempio, problema che ci spaventava tantissimo e nei confronti del quale abbiamo allocato una quantità enorme di risorse.
L’esempio che ho scelto non è preso a caso, e non è neppure del tutto mio. L’ho tratto dal nuovo libro del giovane filosofo scozzese William MacAskill, trentacinquenne che insegna ad Oxford. MacAskill ha da poco pubblicato un saggio che sta avendo un grande successo nei paesi di lingua inglese, ma che non è ancora disponibile in italiano: si intitola What We Owe the Future, traducibile come “Cosa dobbiamo al futuro”, e parla di etica. Sto cercando di procurarmelo, ma intanto ho ascoltato diverse interviste a MacAskill e letto qualche articolo al riguardo. L’idea del filosofo è che dobbiamo iniziare a pensare al futuro in termini più concreti, oserei dire anche matematici. Perché molto spesso il nostro altruismo – che di per sé è, dal punto di vista morale, ovviamente una cosa buona – si rivela completamente inefficace.
MacAskill insiste molto proprio sull’esempio di prima. Negli ultimi anni abbiamo riservato a livello globale circa 280 miliardi di dollari alla lotta al terrorismo, mentre alla prevenzione delle pandemie abbiamo dato solo 8 miliardi di dollari. Il che vuol dire che abbiamo finanziato l’antiterrorismo 35 volte di più. Allo stesso tempo, però, fino ad oggi nel mondo per Covid-19 si sono registrati 6,5 milioni di morti (1 milione dei quali solo negli Stati Uniti, il paese più ricco del pianeta), mentre nel decennio compreso tra il 2011 e il 2021 i morti per terrorismo sono stati circa 260.000. I morti per Covid sono 25 volte (in due anni) di più di quelli che ha fatto il terrorismo (in dieci anni).
Credo che il dato balzi agli occhi: abbiamo enormemente sovrastimato il peso del terrorismo, o sottostimato il peso delle pandemie. Le pandemie fanno molti più morti, eppure le abbiamo bellamente ignorate per molto tempo (e probabilmente tra qualche anno torneremo a farlo). E perché è accaduto? Perché viviamo di emozioni più che di numeri, verrebbe da rispondere.
MacAskill usa questo esempio per proporre una nuova forma di altruismo, che lui ed altri chiamano altruismo efficace, ma di questo magari parleremo un’altra volta. A me qui, ora, interessa rimarcare il fatto che il problema nasce dal fatto che non riusciamo a (o non vogliamo) stimare adeguatamente i rischi, le percentuali.
Questo tema emerge prepotentemente anche in Rumore, il libro che sto leggendo in queste settimane e di cui vi ho già parlato in qualche newsletter passata. Scritto da Daniel Kahneman, Olivier Sibony e Cass R. Sunstein, il saggio indaga i molti modi in cui prendiamo decisioni sbagliate, sia come singoli che come aziende o gruppi sociali.
Questi errori decisionali a volte sono causati da dei bias, cioè dei pregiudizi che ci spingono più o meno inconsapevolmente a sovrastimare certi dati e a sottostimarne altri. Nel caso del terrorismo, ad esempio, è evidente che esiste nella società contemporanea un bias dovuto alle immagini dell’11 settembre, a come i telegiornali e i notiziari ci presentano i fatti. Un attacco terroristico fa molta più sensazione di una malattia presa da uno che ha il raffreddore, e pertanto siamo spinti ad allocare le risorse in un certo modo influenzati da una percezione in parte esagerata e non lucida dei fatti.
Ma ad influenzarci e a farci sbagliare non sono solo i bias. C’è anche quello che Kahneman e soci chiamano rumore, cioè un errore non facilmente ascrivibile a pregiudizi. Molto spesso questo rumore è associato proprio all’incapacità di fare bene i conti, di far bene le stime; cioè alla nostra scarsa mentalità matematica, al nostro scarso rigore.
L’esempio classico è quello del professore che quando è allegro dà voti alti, quando è stanco li dà più bassi (il tutto dimostrato da diversi rilievi empirici); che un giorno usa una certa scala di misura, un altro giorno ne usa una molto diversa, senza rendersene conto. E non lo fa perché ha dei pregiudizi nei confronti di un ragazzo o di un altro, ma semplicemente perché non riesce ad essere oggettivo, non riesce a rimanere fedele alle proprie scale di riferimento. Anche qui, insomma, c’è un rapporto oserei dire a volte umorale con i numeri.
Il terzo esempio viene da La grande scommessa, il film di cui vi ho parlato qualche paragrafo fa. Come vi ho già raccontato, quella pellicola si concentra sul crack finanziario del 2007; un crack che alcuni riuscirono a prevedere semplicemente studiando i numeri.
L’economia moderna, quella basata sulla grande finanza e sulla borsa, sembra in effetti basarsi molto sui numeri, ed è anzi innegabile che sia così. Ma è difficile dire che quest’economia sia oggettiva: anche in campo finanziario e azionario entrano anzi spesso in gioco speranze, bias e rumore. Non è un caso, anzi, che Kahneman e molti psicologi comportamentali negli ultimi anni si siano occupati prevalentemente di economia.
Prendiamo proprio la crisi del 2007. Alla base di quel crollo – a cui prima o poi dedicherò anche un video esplicativo su YouTube – c’era certo un comportamento fraudolento delle grandi banche e delle società di rating, ma c’era anche un eccesso di fiducia. Nessuno voleva che il mercato crollasse, ovviamente; si erano però enormemente sottovalutati i rischi dei mutui. La tendenza di Wall Street e di buona parte delle borse è proprio questa: pensare, ottimisticamente, che tutto andrà bene, che l’economia continuerà a crescere e a svilupparsi e che qualche rischio vada spesso corso. E pensarlo non sulla base di numeri, di proiezioni o di cifre, ma solo sulla base di speranze alla fine dei conti abbastanza irrazionali.
Tutta la storia delle crisi economiche del XX e del XXI secolo è storia di eccessi di fiducia. Oggi abbiamo strumenti matematici che, in buona parte, ci permettono di stimare il rischio degli eventi e di agire di conseguenza (o quantomeno di apportare dei correttivi quando sbagliamo i conti); eppure siamo portati spesso a ignorarli, a non usarli a dovere, pensando, sotto sotto, che la matematica sia troppo arida, sia troppo pessimistica, non faccia davvero per noi. E così di tanto in tanto incappiamo in crolli clamorosi che, se fossimo stati più onesti con noi stessi, non sarebbe stato impossibile evitare (o almeno rendere meno drammatici).
Questo problema, però, non riguarda solo la finanza o la lotta alle pandemie. Riguarda anche noi nella nostra vita quotidiana. Anche noi facciamo male i conti, ogni giorno.
Pensate ad esempio alle vostre finanze personali. Molto probabilmente, avete uno stipendio fisso: sapete bene, quindi, quanti soldi avete a disposizione mese per mese. Anche le vostre spese sono in buona misura prevedibili, se si escludono rincari improvvisi come quelli dell’energia degli ultimi mesi.
Eppure pochissimi riescono a gestire al meglio le loro finanze. Molti di noi spendono troppo, non rendendosi pienamente conto di quanti soldi hanno in banca; altri spendono forse troppo poco, temendo di rimanere a secco quando invece hanno riserve più che abbondanti per un certo tenore di vita. Non è solo questioni di prodigalità o di avarizia; è proprio, almeno in certi casi, incapacità di stimare i propri averi.
D’altronde, è anche su questi meccanismi che a ben guardare si fonda il meccanismo delle carte di credito. È provato da molti studi che quando paghiamo con la carta di credito spendiamo di più rispetto a quando paghiamo in contanti. Questo avviene perché la carta di credito (o il bancomat) ci rende in un certo senso meno “tangibile” la spesa: certo, leggiamo la cifra sul display, ma non ce ne rendiamo conto come quando tiriamo fuori le banconote dal portafoglio.
Se pagassimo sempre in contanti – al di là dei problemi sull’evasione fiscale e i pagamenti tracciabili – ci renderemmo conto in maniera molto evidente che i soldi stanno finendo; quando invece paghiamo col POS, i nostri ricordi si annebbiano e non sappiamo mai del tutto quanto abbiamo speso. Tendiamo a sottostimarlo, almeno fino a quando non apriamo il resoconto mensile e non ci chiediamo come è stato possibile spendere tutti quei soldi.
La stessa cosa avviene con le calorie. Se vi è mai capitato di dovervi mettere a dieta, vi sarete forse resi conto di aver bisogno di una di quelle app che permettono di segnare quante calorie stiamo introducendo, pasto dopo pasto, e di farne la somma. Perché solo segnando ogni singolo cibo, ogni singola quantità finiamo per avere una reale percezione di quel che mangiamo. Se invece ci affidiamo solo alla percezione o alla memoria, finiamo sempre per sottostimare la quantità di cibo assunto.
Qualcosa del genere è avvenuto, a livello personale, anche riguardo alla pandemia. Nei primi mesi il mondo sembrava diviso in due: quelli che dicevano «Io non mi ammalo mai e quindi non mi ammalerò nemmeno questa volta», e quelli che ritenevano di essere già ad un passo dalla terapia intensiva. Non contavano le misure di prevenzione, i vaccini o quant’altro; non contavano le statistiche: contava quello che “sentivamo”. Per non parlare dei vaccini, riguardo ai quali le statistiche sono state sbeffeggiate in modi mai visti prima.
È vero quello che dice la celebre poesiola di Trilussa, secondo cui quando si dice che in media ognuno mangia un pollo, può darsi che tu non ne mangi nessuno e che un altro ne mangi invece due. Ovvero, detta in altri termini: può anche darsi che le reazioni avverse ad un vaccino siano rarissime, ma se tu sei uno di quei pochi sfortunati allora la statistica ti consola molto poco. Ma tutta la nostra vita presenta dei rischi: anche fare un viaggio in autostrada comporta il rischio di un incidente, perfino – come dimostra il caso del povero signor Balocco – fare un giro in bici comporta il rischio di morire a causa di un fulmine. Eppure quando andiamo a fare il vaccino siamo preda di mille dubbi, dubbi che non abbiamo quando saliamo in auto o inforchiamo una bici. Perché le statistiche non ci rassicurano, non le ascoltiamo: ci facciamo influenzare molto di più dal sentito dire o dagli strali dello zio complottista che da un bel grafico ragionato.
Gli esempi sarebbero ancora innumerevoli, ma direi che l’idea è piuttosto chiara. Ci ripetiamo spesso che la nostra è una società fredda, guidata dalla scienza e dalla tecnica, sottintendendo in realtà che dietro a questi elementi ci sia la matematica. Eppure, a me pare che anche questa sia una stima errata: è vero che la matematica prova a condizionarci, a darci dati che dovrebbero aiutarci a vivere e a prendere decisioni, ma noi continuiamo il più delle volte, bellamente, ad ignorarli.
Quello che ho registrato e pubblicato
Abbiamo fatto tanti discorsi, ma non dimentichiamoci dei video e dei podcast. Ecco quelli che sono usciti negli ultimi sette giorni.
Arrivano gli abbonamenti al canale: la notizia della settimana è ovviamente questa, il varo del sistema di abbonamenti su YouTube. Se vi piace quello che faccio e volete sostenerlo, questa è la via
Aristotele: il sillogismo dialettico: abbiamo già parlato a lungo del sillogismo aristotelico, ma ci rimaneva una piccola questione da affrontare
La cultura romana in età imperiale: abbiamo già parlato degli storici che si trovarono ad operare nella Roma imperiale; qui però parliamo di tutti gli altri studiosi e letterati
Le leggi elettorali italiane (1946-1994): ci stiamo avvicinando alle elezioni, ma per capire come funziona il meccanismo bisogna fare anche un po’ di storia
Il Museo Nazionale del Risorgimento di Torino: se organizzate un viaggio o una gita dell’ultimo minuto e amate la storia, tenete presente questo museo torinese
Il pensiero di Avicenna (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
La rivoluzione americana (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono i nuovi abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri e videocorsi che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
Memorie dal sottosuolo di Fëdor Dostoevskij: sta per uscire una nuova edizione – con la traduzione di Paolo Nori – di Memorie dal sottosuolo, uno dei capolavori più belli e più brevi di Dostoevskij, oltre che uno dei suoi libri più spiccatamente filosofici. La prima parte, Il sottosuolo, è anzi nient’altro che una lunga riflessione filosofica in cui il protagonista si scaglia contro il positivismo e l’utilitarismo, addirittura contro la matematica, in un monologo che sembra quasi farneticante ma che è in realtà estremamente intelligente ed attuale. Si parla di previsione, di volontà, di libertà, di creatività. E, soprattutto nella seconda parte, di vizio e inettitudine. Insomma, Dostoevskij al suo massimo livello: un libro che non si può non leggere almeno una volta nella vita, tanto più che rispetto alla media dello scrittore russo è breve (200 pagine appena) ed economico. Lo si compra qui.
Fotografia di ritratto con modelli inesperti: se vi piace fare delle fotografie, sapete bene che uno dei migliori modi per esercitarsi è quello di chiedere a qualche amico di posare per voi. Il problema, però, è che spesso questi amici non sanno come agire davanti all’obiettivo fotografico e quindi dovete essere voi a guidarli. Questo corso Domestika, composto da 15 lezioni e dal costo complessivo di 9,90 euro, vi aiuta a capire come muovervi e come migliorare i vostri ritratti. Lo si acquista qui.
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né fare corsi, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Cosa c’è in arrivo
Chiudiamo, come sempre, con la panoramica dei video e dei podcast in arrivo nei prossimi giorni:
proseguirà – già domani – la lettura commentata de L’autunno del Medioevo, il classico di storia di Johan Huizinga;
arriverà un nuovo video sulle leggi elettorali, che farà il punto sulle leggi utilizzate nella cosiddetta Seconda Repubblica;
sto preparando inoltre un video sulla filosofia di Newton, per gli amanti della fisica e non solo;
ci sarà spazio poi per Gabriele D’Annunzio, per completare la serie su di lui;
infine, per quanto riguarda i podcast, parleremo di Averroè e dei filosofi ebraici, oltre che degli esiti della Rivoluzione americana.
E questo è tutto. Passate una buona settimana: ci ritroviamo qui lunedì prossimo!