La sicurezza nelle proprie idee e nella propria volontà, da Byung Chul Han a Gattaca, da Robespierre a Carlo M. Cipolla, senza dimenticare l'impero romano, la Guerra di Troia, Tommaso, Meneghello
La novità della settimana è stata, indubbiamente, la nascita veloce e rapida del nuovo governo guidato da Giorgia Meloni, il primo nella storia italiana con una premier donna. Ovviamente è ancora troppo presto per giudicarne l’operato; nell’attesa, online si è molto ironizzato su certe novità linguistiche (la sovranità alimentare, il merito, il Ministero del Mare e così via). L’aspetto linguistico, in effetti, è da tenere d’occhio: a volte si tratta solo di banali operazioni di rebranding, in cui cioè il cambiamento di un nome è solo un’azione di facciata; in altri casi, però, è indice di una volontà più forte. Vedremo.
Faccio notare però che Meloni usa spesso le parole in modo diverso dagli altri, a volte anche un po’ goffamente: avrete notato, ad esempio, che dopo i colloqui con Mattarella ha parlato del “magistero” di quest’ultimo, quasi che la sua fosse una carica più religiosa che politica; allo stesso modo forse avrete notato che la leader di Fratelli d’Italia raramente parla di Stato o di Paese, ma preferisce di gran lunga il termine Nazione, e penso non sia una scelta casuale. Questo potrebbe avere implicazioni anche piuttosto pesanti, ma – di nuovo – è presto per dare giudizi definitivi. Contrariamente a quanto pensano alcuni filosofi, io sono dell’opinione che una cosa siano le parole, un’altra cosa siano i fatti, e non necessariamente i due elementi vadano d’accordo. Detta in altri termini: si possono cambiare le parole e lasciare inalterati i fatti, così come si possono cambiare i fatti e lasciare inalterate le parole.
Intanto, qui in questa newsletter si parla ancora una volta di libri, di film, di filosofia, di storia e di tutto il resto. Proprio in questi giorni, tra l’altro, il canale YouTube ha tagliato il traguardo dei 900 video caricati. Sì, avete letto bene: 900. Una cifra spropositata. E ora si comincia a viaggiare verso quota mille.
Quello che ho letto
Partiamo come al solito dai libri. Questa settimana in lettura ci sono ben due volumi nuovi, entrambi, in un certo senso, non scritti (almeno non completamente) in italiano: leggete e scoprirete cosa intendo.
Il buon soldato Sc’vèik di Jaroslav Hasek: vi ho già parlato in lungo e in largo di Giuseppe Sc’vèik, soldato austroungarico (ma in realtà praghese) durante la Prima guerra mondiale che è entrato nella storia della letteratura soprattutto per il suo quoziente intellettivo particolarmente basso. Anche nelle pagine lette questa settimana gliene sono successe di tutti i colori: dopo aver perso l’ufficiale a cui faceva da attendente – ufficiale che è andato verso la prima linea mentre Sc’vèik veniva buttato giù dal treno –, il nostro protagonista ha iniziato a vagare per la Boemia con l’intenzione di dirigersi a piedi verso la linea del fronte; ovviamente ha sbagliato strada, incappando in contadini e disertori di tutti i tipi. Infine, è stato fermato dalla polizia: interrogato da un zelante funzionario, è ora accusato di essere una spia russa infiltrata oltre le linee nemiche. Rischia l’impiccagione, ma sono abbastanza sicuro che con la sua stupidità riuscirà ancora in qualche modo a tirarsi fuori dai guai (anche solo per via del fatto che il libro è ancora lungo). Divertente, dissacrante e pieno di fantasia, il libro di Hasek è una delle satire antimilitariste (e anti-austroungariche) più interessanti di sempre. Se vi interessa, potete comprarlo qui.
What We Owe the Future di William MacAskill: di questo libro mi pare di aver già detto qualcosa nelle settimane scorse, perché ne avevo letto alcune recensioni che mi avevano incuriosito. Ora me lo sono procurato e ho cominciato a leggerlo, anche se devo mettervi in guardia fin da subito: non è ancora stato tradotto in italiano (anche se, visto quanto sta vendendo e il dibattito che sta suscitando, credo che presto arriverà anche nel nostro paese), quindi se lo si vuole affrontare bisogna leggerlo in lingua originale, cioè in inglese. Fin da subito, il saggio di MacAskill – giovane filosofo morale scozzese (ha appena 35 anni) – si propone come portatore di una visione particolare: il long-termism, che forse in italiano potremmo tradurre come lungo-terminismo. MacAskill afferma, infatti, che noi esseri umani siamo sempre portati ad analizzare le cose soffermandoci sulle conseguenze a breve termine, quelle che riguardano cioè noi e il nostro ristretto ambito di azione. Dovremmo invece iniziare a valutare le cose nel lungo termine, soprattutto da un punto di vista etico. L’umanità, tutto sommato, è ancora giovanissima; il passato alle nostre spalle, che sembra immenso, è in realtà molto breve rispetto al futuro che si prospetta davanti alla nostra specie; e tutto questo implica che abbiamo delle responsabilità enormi su questo futuro. Il titolo del saggio, non a caso, si potrebbe tradurre così: Cosa dobbiamo al futuro. Sembra, in certi punti, quasi di sentire un Hans Jonas con gli steroidi: MacAskill infatti riprende (non so quanto consapevolmente) certe idee del pensatore tedesco, portandole fino alle estreme conseguenze, e chiedendosi cosa possiamo fare oggi di proficuo per garantire un futuro prospero a chi verrà dopo di noi. Per la verità, però, sono ancora abbastanza all’inizio del discorso e lo studioso scozzese per ora sta soprattutto portando dati a supporto della sua visione; le conseguenze morali arriveranno poi. Ma la tendenza pare comunque già piuttosto chiara. Ne riparleremo di sicuro anche nelle prossime settimane, perché il tema è particolarmente scottante: anche perché è piuttosto evidente che MacAskill finirà per parlare di ambiente e surriscaldamento globale, di lavoro, di primo e di terzo mondo, oltre che più in generale di economia, quindi ci sarà di che discutere. Se comunque vi interessa (e se riuscite a leggere in inglese, anche se il saggio non è linguisticamente troppo complesso), lo trovate qui.
Libera nos a Malo di Luigi Meneghello: qualche giorno fa ho dovuto accompagnare una mia classe quarta alla visione di un piccolo spettacolo teatrale organizzato dagli insegnanti di lettere. Grazie alla collaborazione con ArteVen, circuito regionale di attori e teatranti qui del Veneto, varie nostre classi hanno potuto infatti assistere a lezioni-spettacolo su alcuni grandi scrittori. Alla mia quarta, in particolare, è toccata una lezione su Luigi Meneghello, importante scrittore vicentino riscoperto proprio qualche anno fa, autore de I piccoli maestri e altri libri di discreto successo. A suo tempo, quando era diventato improvvisamente di moda (anche per via del film che fu tratto da quella sua opera), avevo letto anch’io qualcosa di suo, poi me ne ero gradualmente dimenticato. La lezione a scuola è riuscita però particolarmente bene: un po’ perché Meneghello, col suo uso del dialetto, ben si presta ad essere letto a voce alta, con una recitazione intensa; un po’ perché io partivo con aspettative relativamente basse, visto che non sempre mi pare che incontri con questi relatori che vengono da chissà dove suscitino l’attenzione dei ragazzi, e invece in questo caso l’attore ha saputo condurre il tutto in maniera egregia. Insomma, dopo la lezione sono tornato a casa con la voglia di riprendere in mano Meneghello; e in libreria, dopo ampie ricerche, ho ritrovato la mia copia di Libera nos a Malo, bel libro in cui lo scrittore scomparso nel 2007 rievocava la propria infanzia proprio a Malo, in provincia di Vicenza. Se siete veneti, si legge tutto d’un fiato; se non siete veneti, ci sono ampie note a corredo per sostenervi. È divertente e intelligente allo stesso tempo. Lo si compra qui.
Quello che ho visto
Parliamo ovviamente anche di quello che questa settimana ho visto sugli schermi di casa. Come vedrete, c’è in lista una serie TV che ormai mi fa compagnia da parecchio tempo ma ci sono anche due film, non certo due novità che però credo possano risultare comunque molto interessanti.
Superstore 2.15-2.16-2.17 (2017), di Justin Spitzer, con America Ferrera, Ben Feldman, Mark McKinney: niente di particolarmente nuovo, questa settimana, sul fronte televisivo. Ho infatti continuato a guardare, un po’ distrattamente, altre puntate di questa sitcom di cui vi ho già parlato più volte, simpatica pur senza essere straordinaria e di tanto in tanto capace di toccare anche alcune tematiche sociali. I tre episodi visti negli ultimi giorni in realtà si rivelano più tradizionali del solito – incentrati su equivoci o piccole e grandi ipocrisie dei protagonisti – ma comunque abbastanza gustosi visto che i personaggi sono oramai rodati. La potete vedere su Netflix.
Gattaca - La porta dell’universo (1997), di Andrew Niccol, con Ethan Hawke, Uma Thurman, Jude Law: più interessante è il discorso che si può fare su Gattaca, film che ormai ha ben 25 anni sulle spalle ma che può risultare ancora estremamente interessante. A memoria, non l’avevo mai visto e l’ho messo – trovandolo su Netflix – soprattutto per accontentare mia figlia, visto che i due protagonisti (Hawke e Thurman) sono i genitori di Maya Hawke, una delle protagoniste di Stranger Things, nata appena un anno dopo la realizzazione del film (la scintilla tra i due pare scoppiò proprio sul set). In realtà, alla fine la figlia si è addormentata – aveva passato tutto il pomeriggio alle giostre, beata lei – mentre il film me lo sono gustato tutto io. Sì, perché Gattaca non è affatto brutto, anzi: si tratta di una fantascienza un po’ metafisica e sicuramente molto etica, portata avanti con un incedere lento ma anche inquietante che ricorda certi bei film del passato. La storia, in breve: in un futuro non troppo lontano, tutti gli esseri umani sono sottoposti ad analisi genetiche che ne individuano fin dall’infanzia non solo i problemi fisici come la probabilità di incappare in una certa malattia, ma anche le abilità potenziali. Così si sono create delle vere e proprie caste tra chi è più dotato geneticamente e chi lo è meno. Vincent, il protagonista, non accetta però la sorte insita nel suo DNA, quella cioè di essere un “non-valido”, e quindi assume una nuova identità, spacciandosi per un individuo superiore e infiltrandosi in una sorta di agenzia spaziale che sta preparando un viaggio su Titano. Le cose però presto si complicano perché nella struttura avviene un omicidio. Adesso non posso rivelarvi troppo, ovviamente, per non incappare negli spoiler, ma la pellicola è interessante anche al di là della trama: il tema centrale è infatti il solito dissidio tra natura e ambiente; anzi direi, ancora meglio, tra natura e volontà. Le nostre prospettive, le nostre potenzialità sono davvero predeterminate dai nostri geni? Non potremo davvero mai fare di più di quanto è già insito in noi fin dalla nascita? Oppure la nostra forza di volontà può spingerci a superare i nostri limiti, prevalendo anche su chi sarebbe teoricamente più dotato? Il tema è intrigante perché finisce per toccare anche l’argomento della libertà, dell’autodeterminazione, della volontà di potenza e così via. Magari la pellicola di Niccol poteva essere, qua e là, un po’ più veloce o venir sfrondata di qualche passaggio poco utile, ma in generale spinge verso riflessioni interessanti e quindi mi sentirei di consigliarla. Tra l’altro, oltre ai due protagonisti, spicca anche il cast di contorno: ci sono Jude Law, Ernest Borgnine, Gore Vidal, Tony Shalhoub.
Il posto (1961), di Ermanno Olmi, con Sandro Panseri, Loredana Detto, Guido Spadea: su Amazon Prime Video ho ripescato invece questo vecchio film di Ermanno Olmi, in un certo senso il suo primo vero lungometraggio dopo i documentari realizzati in età giovanile. Si tratta per la verità di un film piccolo fin dalla trama: si concentra infatti su un ragazzo, Domenico, che lascia la provincia lombarda per trasferirsi momentaneamente a Milano in cerca di un impiego. Lo trova, dopo alcune prove selettive, all’interno di una grande ditta, in una Lombardia che si sta industrializzando e si sta ingrandendo grazie al boom economico; ma trova anche una ragazza, Antonietta detta Magalì, di cui si invaghisce, forse anche perché lei risulta essere il suo unico punto d’appoggio a Milano. Purtroppo le sue speranze sono destinate a rimanere deluse. La trama, com’è facile intuire, è risicata, come sono risicati i dialoghi (gli stessi protagonisti pronunciano pochissime frasi e recitano soprattutto con gli occhi e le espressioni); ciononostante, non si può non essere partecipi del destino di questo ragazzo timido e impacciato, portato di peso in un mondo – quello impiegatizio – freddo e solitario, in cui ognuno fa i suoi conti, bada alla propria scrivania e torna a casa solo e infelice. La grande città appare infatti alienata e alienante in confronto alla campagna delle origini, dove si viveva in un certo senso tutti l’uno sull’altro, in un regime di solidarietà arcaica che ora la grande città ha spazzato via. Insomma, un bel film, delicato e lento, per palati fini. Da notare anche per i due protagonisti, che erano all’epoca appena degli adolescenti e sicuramente degli esordienti: non avrebbero praticamente più recitato, ma lei, Loredana Detto, sarebbe poi diventata la moglie proprio di Olmi.
Quello che ho pensato
Come avrete letto nella newsletter della settimana scorsa, negli scorsi giorni ho finito Psicopolitica di Byung Chul Han, un libro che mi ha suscitato sentimenti contrastanti, dando seguito ad una tendenza con cui per la verità mi trovo spesso a dover fare i conti quando affronto certi libri di filosofia, soprattutto europei, soprattutto continentali (francesi, tedeschi, italiani). Parlarne credo mi aiuterà a focalizzare meglio cosa penso di una certa parte della filosofia politica più recente.
In primo luogo, devo dire che il saggio di Han è un libro che consiglio: è pieno di ottimi spunti, di riflessioni acute, di analisi interessanti e condivisibili. C’è però anche un “ma”, ed è un “ma” capitale: mi sembra sbagliato nell’impostazione generale. E, attenzione, il difetto non riguarda solo il libro di Han: riguarda la grande maggioranza dei libri di filosofia marxisti e post-marxisti usciti nell’ultimo secolo e mezzo in Europa, forse. Il difetto, in estrema sintesi, mi pare essere questo: Han e soci sono troppo innamorati delle loro idee.
Tutto nasce, a mio avviso, addirittura da Hegel, che è il padre di questo atteggiamento, a cui lo stesso Marx doveva molto e da cui poi si sono originati tutti questi epigoni contemporanei. Nonostante la sua enormità e la sua complessità, tutta la filosofia di Hegel si può, in buona sostanza, riassumere in un’unica idea: esiste una forza, razionale e infinita, che guida la storia dal di dentro e che riesce a spiegare tutti i fenomeni, tutte le circostanze, tutti i pensieri. Una volta trovata quella forza – l’Assoluto –, tutto il resto viene di conseguenza: si tratta di applicare la dialettica (che è la legge di dispiegamento dell’Assoluto) ad ogni settore della vita o della conoscenza, e in effetti il lavoro di Hegel fu per buona parte della sua vita essenzialmente applicativo.
Marx, che criticava Hegel in molti aspetti, aveva però ripreso dal suo maestro questo amore per le “idee onnicomprensive”, per le idee “che spiegano tutto”. Anche la filosofia di Marx si può riassumere, infatti, in un unico concetto: l’economia (cioè i rapporti di sfruttamento) segna la storia dell’umanità. Capito questo concetto, lo si poteva applicare ovunque: alla letteratura, alla religione, alla politica, alle guerre e così via. Tutto aveva una base economica, tutto era determinato dal possesso dei mezzi di produzione.
Le idee di Hegel e Marx erano sbagliate? Sì, certo: non c’è nessuna forza razionale che guida la storia (a meno che non ammettiamo che il nazismo e la morte di decine di milioni di persone fossero il frutto della ragione), come non è vero che l’economia spiega tutto (esistono moventi anche psicologici, politici, sentimentali dietro agli eventi, e la sociologia lo spiega da decenni). Però, allo stesso tempo, quelle idee avevano una parte di verità: è vero infatti che la storia a tratti procede come Hegel sperava, ed è vero anche che a volte l’economia è realmente la base, il movente di molti fenomeni. Le idee di quei due filosofi erano quindi parzialmente vere, ma non totalmente. Portavano con loro una parte di verità. Il guaio di Hegel e Marx non era, quindi, non saper cogliere delle parti di verità; ma assolutizzare quelle parti di verità, fino a farle diventare idee totalizzanti. La realtà è sempre più complessa di come certi sistemi filosofici vorrebbero, e per un elemento importante che cogli te ne sfuggono, contemporaneamente, almeno altri due o tre.
Questo, mi pare, è però anche il difetto del libro di Han (e con lui di moltissimi altri pensatori di quella scuola). Coglie infatti qualcosa di profondamente vero della nostra società – il fatto cioè che il sistema capitalistico neoliberista sfrutti i sentimenti e la psiche delle persone, controllandole tramite la promessa di piacere – ma lo assolutizza, tanto da farlo diventare il paradigma onnicomprensivo della nostra età contemporanea. Per Han non c’è dubbio: l’uomo contemporaneo è reso schiavo dai social network, dalla pubblicità, da una politica che è ormai nettamente psicopolitica, ben più in là di quanto Orwell avesse anche solo lontanamente immaginato.
Temo però che, purtroppo, la realtà sia più complessa di così. Tendo a dar ragione ad Han quando dice che il capitalismo ha saputo rinnovarsi, giocando sul piacere e sulle sue promesse; così come sono disposto a dargli credito quando – per la verità riprendendo cose già dette anni fa dalla Scuola di Francoforte – sostiene che ogni uomo è diventato lo sfruttatore di se stesso. Quello che però non credo è che questo possa spiegare tutte le nostre società contemporanee. Le nostre società non sono solo questo; esistono ancora ampi spazi di libertà, esiste una lotta interna tra questa tendenza e le altre; e, allo stesso modo, non credo affatto che il neoliberismo, come forza impersonale, domini il mondo. Ci prova, ma non ci riesce mai completamente. Altrimenti, solo per fare un esempio molto semplice, non si spiegherebbe come mai aziende come Facebook/Meta possano andare in crisi e perdere consensi, come la politica stia pian piano varando leggi per limitare l’invadenza dei big del settore (e non lo fa certo perché i filosofi l’abbiano richiesto) e perché non solo i social network ci influenzino ma anche noi influenziamo i social network, spingendoli dove i loro programmatori non li avevano pensati o previsti. Sono propenso a pensare, per completare il discorso, che tra vent’anni i social network che secondo Han adesso dominano il mondo non ci saranno più, o saranno tutt’altra cosa; e che siamo nel mezzo di un percorso di cambiamento che non è ancora finito, ma che possiamo in qualche misura influenzare e governare.
Prima di dire, in altri termini, che c’è una forza sovrumana e invisibile – il fantomatico neoliberismo – che ci rende tutti schiavi ci andrei cauto; direi, semmai, che ci sono aziende, ben visibili, che provano a farlo e a volte ci riescono in parte, ma che anche queste aziende devono fare i conti con mille altre forze contrapposte, anch’esse ben visibili, anch’esse molto potenti: ad esempio la religione, ad esempio la passione sportiva o politica che esistono anche al di fuori dei social network e del capitalismo, ad esempio la sessualità e così via.
Il guaio di Han – da lui stesso qua e là rivendicato all’interno dei suoi saggi – è che davvero “puzza” di Hegel: c’è sempre quest’idea che esistano forze al di là dell’umano che guidano la storia e contro cui in qualche modo dobbiamo combattere. È un difetto comune anche questo a buona parte della filosofia politica europea: quello di pensare che esista il Potere, e che questo potere non sia umano o in mano a precisi esseri umani, ma una forza semi-divina che nessuno davvero controlla, che persegue scopi suoi propri e che cerca di plasmarci. Ovviamente, quando ipotizzi qualcosa del genere incappi in tutti i limiti del pensiero idealistico, in primis quello di non poter essere soggetto a smentita: proprio perché invisibile, questa forza non si vede; proprio perché dialettica (cioè soggetta anche a contraddizioni), questa forza non può mai essere smentita dai fatti. Come fai a dimostrare che una teoria è sbagliata, che questa forza sovrumana non esiste o non è così potente, quando la teoria prevede, già di per sé, che questa forza possa nascondersi, mascherarsi o dissimularsi?
Il problema, insomma, non è ciò che Han afferma nel suo libro: su quello penso anche che abbia, come detto, una certa parte di ragione. È il metodo che usa per arrivare a quelle conclusioni che non sta in piedi. E il fatto è che Han – come molti suoi colleghi – rivendica questa debolezza metodologica come se invece fosse una forza. Proprio in Psicopolitica afferma, infatti, la superiorità della narrazione sul dato, del racconto sulla statistica. La verità può essere solo detta e raccontata, mai ricavata dai numeri.
Qui sta il punto, a ben guardare. Un racconto, proprio perché racconto, è sempre in qualche modo soggettivo, è sempre in qualche modo soggetto alla fascinazione della parola, alla capacità affabulatoria di chi parla. Il dato invece è oggettivo e freddo. Ora, sono disposto ad ammettere che i dati non riescano a spiegare tutto, anzi; che i dati ci portino solo fino ad un certo punto della strada e poi ci lascino senza direzione: ma da qui a dire che è meglio raccontare storie che leggere i dati ce ne passa.
Badate bene: non è una questione puramente tecnica, questo discorso ha conseguenze importanti. Prendiamo ad esempio la pandemia in cui siamo stati immersi fino a pochi mesi fa. Molti esponenti della scuola a cui lo stesso Han appartiene – chiamiamoli i filosofi politici post-marxisti dell’Europa continentale – hanno espresso dubbi più o meno pesanti sui vaccini. Agamben – che è uno dei mostri sacri di questo gruppo – ha parlato esplicitamente in più occasioni di dittatura sanitaria, di pandemia inventata e rilanciato teorie del complotto. Altri filosofi dello stesso ambiente sono stati un po’ più cauti, ma hanno comunque espresso posizioni dubbie, criticando l’obbligo vaccinale o le campagne di vaccinazione.
Le radici di questi comportamenti si possono ritrovare nel loro metodo filosofico, temo. Quando ritieni che i numeri siano sempre un inganno perché la verità può essere solo detta (da un filosofo che sembra quasi uno sciamano, perché vede più in là degli altri), allora non puoi certo dare ascolto a dati epidemiologici; quando pensi che una forza invisibile – il neoliberismo – lotti per asservire gli uomini, che ogni decisione e azione della politica sia guidata da questa forza e che non esistano altri fattori a influenzarla, allora diventa scontato che la pandemia debba essere frutto sempre di quella stessa forza, del neoliberismo. Che, quindi, il virus sia stato inventato dalle industrie farmaceutiche che controllano i governi. Nulla può sfuggire alla spiegazione onnicomprensiva, al modello teorico che tanto ci piace e che abbiamo appiccicato al mondo.
Peccato che il mondo non sappia cosa farsene dei tuoi modelli teorici. Peccato che il mondo sgusci via, e presenti problemi sempre nuovi, forze e controforze sempre in contrasto e che la vita sia un’eterna lotta per capirci qualcosa. I numeri non possono spiegare tutto, ovviamente, e a volte sono addirittura impotenti; ma possono darci una mano nel nostro tentativo di orientarci in questa vita. Basterebbe studiare un po’ di storia – la storia reale, quella in cui emergono sempre forze contraddittorie e contrastanti ad ogni giro di boa – per capire che le idee troppo belle e troppo semplici esistono solo nella mente dei filosofi.
Quello che ho registrato e pubblicato
Come ho detto in apertura, i video caricati sul canale YouTube sono ormai più di 900. Questa settimana, come al solito, ne sono arrivati sette di nuovi.
La Guerra di Troia: la vera storia: un’esplorazione riguardo a cosa c’è di vero dietro al racconto omerico
Avicenna e la filosofia araba: iniziamo a conoscere la filosofia islamica medievale, partendo da Avicenna
Un impero greco-romano: come si mescolavano tra loro la cultura greca e quella latina all’interno dell’impero romano?
L’Autunno del Medioevo - Audiolibro spiegato parte 9: continua la lettura del capolavoro di Huizinga, parlando questa volta dell’amore
La dottrina dei trascendentali (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
La dittatura giacobina (per il podcast “Dentro alla storia”)
La breve parabola di Robespierre (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono i nuovi abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri e videocorsi che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
Allegro ma non troppo. Con Le leggi fondamentali della stupidità umana di Carlo M. Cipolla: di questo libro ho già parlato sicuramente qua e là, o sulla newsletter o su qualche video. Carlo M. Cipolla, l’autore, è venuto a mancare ormai un po’ di tempo fa, nel 2000, ma in vita è stato uno dei più importanti storici dell’economia, molto apprezzato non solo in Italia ma in tutto il mondo. Come forse già saprete, Cipolla non era però solo un grande studioso: aveva anche uno straordinario senso dell’umorismo. E così negli anni ha cominciato a realizzare alcuni saggi ironici per gli amici, spesso in occasione delle feste natalizie. Questo libriccino edito dal Mulino ne raccoglie un paio, il più famoso dei quali è sicuramente Le leggi fondamentali della stupidità umana, che, tra il serio e il faceto, dice alcune cose molto interessanti su cosa sia la stupidità e su quanto essa sia pericolosa. Il libro costa meno di 9 euro ed è un piccolo classico: lo potete comprare qui.
Introduzione al disegno di persone partendo dall'immaginazione: disegnare non è solo una dote naturale; lo si impara a fare anche con molto allenamento e col maestro giusto. Per questo un corso online può essere molto utile, anche perché aiuta letteralmente a sbloccarsi. Domestika, in particolare, offre un corso di questo tipo affidato allo storyboard artist Tom Fox, strutturato in 14 lezioni per 18,90 euro complessivi. Lo trovate qui.
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né fare corsi, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Cosa c’è in arrivo
Chiudiamo con una veloce panoramica su cosa uscirà sul canale YouTube e sulle varie piattaforme poodcast nei prossimi giorni:
in primo luogo, arriverà il secondo video della filosofia per ragazzi, in cui affronteremo (in maniera semplice) il pensiero degli ionici di Mileto, cioè Talete, Anassimandro ed Anassimene;
a grande richiesta, inizieremo a presentare in termini filosofici anche il pensiero di Giacomo Leopardi, questa volta però per gli adulti;
per quanto riguarda storia dovremmo invece riuscire ad approfondire la vita e le azioni di Napoleone III, l’ultimo imperatore dei francesi;
arriverà poi una nuova puntata della lettura integrale de L’Autunno del Medioevo;
infine, per quanto riguarda i podcast, lasceremo spazio ancora a San Tommaso e alla Rivoluzione francese, con, in quest’ultimo caso, l’emergere della nuova figura di Napoleone Bonaparte.
E questo è tutto, almeno per questa settimana. Ci rivediamo sempre qui tra sette giorni per salutare questo ottobre che, almeno dalle mie parti, è stato incredibilmente caldo. Alla prossima!
Sto seguendo qualche sua lezione e apprezzo la newsletter che leggo con piacere e interesse. Sto leggendo, con molta fatica Storia della filosofia analitica (Franca D'agostini e Nicla Vassallo) e mi chiedevo se ha in programma delle lezioni sugli aspetti di questa filosofia, in particolare sulla filosofia della mente. Un cordiale saluto