La storia siamo noi, nessuno si senta offeso: e parliamo però anche di Imitation Game, Meloni, Only Murders in the Building, Leopardi, 1984, Cartesio, Wittgenstein e La parola ai giurati
Finalmente è finita. Sì, queste tre parole credo possano riassumere quello che nella mia testa continua a ronzare da un giorno e mezzo, da sabato a ora di pranzo: finalmente è finita!
Come vi avevo raccontato, l’altroieri si è tenuto infatti l’evento a cui ho lavorato per più di un anno, ma a ritmo particolarmente intenso nelle ultime settimane: la mattinata di celebrazioni del centenario della scuola in cui lavoro (e che ho frequentato da ragazzo, e che ha frequentato mio padre, e che ha frequentato mia sorella, e che sta frequentando mio figlio… insomma, un affare di famiglia). Una celebrazione in grande stile: al Teatro Sociale, che è il teatro più prestigioso della provincia, alla presenza di Prefetto, Sindaco, autorità civili e culturali, eccetera eccetera eccetera.
Dico “finalmente” perché è stata un’impresa titanica, sia perché – a parte due o tre persone veramente fidate – attorno a te quando ci sono eventi del genere si genera un vuoto incredibile e ti trovi solo a dover fare quasi tutto, sia perché c’è stata una serie pressoché interminabile di imprevisti.
Solo per farvi un veloce elenco di quello che è successo nei 10 giorni precedenti alla mattinata di festa, menzionerei questi fatti:
il gruppo teatrale del liceo mi ha dato buca;
c’è stato un attacco hacker alle piattaforme informatiche del Comune e quindi tutta la biglietteria del teatro è andata in tilt (e quindi non si sapeva più chi aveva prenotato cosa);
per un qui pro quo stavamo per perdere il “service” che ci doveva fare da regia per l’evento;
tre giorni prima del gran giorno, ho distrutto (con la grossa complicità di mia figlia, amore di papà) la portiera della macchina, per fortuna senza gravi conseguenze, ma rimanendo comunque a piedi nei giorni in cui dovevo portare diversi scatoloni al teatro;
ho perfino bucato la bici.
Però, alla fine, ce l’abbiamo fatta. Più avanti, nella sezione Quello che ho pensato, vi racconto cosa ho imparato da tutto questo e in generale com’è andata, ma adesso penso che siate più interessati ai libri e ai film, quindi partiamo subito col succo vero e proprio della newsletter.
Quello che ho letto
Cominciamo dai libri. Nessuna grossa novità all’orizzonte questa settimana, ma in compenso molta molta politica.
1984 di George Orwell: vi ho già parlato, credo, del Club del Libro, la nuova iniziativa per abbonati in cui una volta al mese ci troviamo online su Google Meet per discutere di una lettura comune. Questo mese tocca a 1984, un classico su cui c’è sempre molto da dire. La storia credo la conosciate un po’ tutti: in un futuro distopico, la Gran Bretagna è governata da un partito socialista di stampo staliniano che ha imposto sulla popolazione un controllo capillare e totalitario. I membri del partito, in particolare, sono sotto il costante sguardo del Grande Fratello, sono sottoposti a frequenti rituali che hanno il sapore del lavaggio del cervello e devono collaborare alla quotidiana riscrittura della storia e del linguaggio effettuata, a fini propagandistici, da un Partito che finisce comunque inevitabilmente per divorare i propri leader. In questo universo chiuso e claustrofobico si trova ad agire Winston, il protagonista, che giunto praticamente alla mezza età sente però una sorta di richiamo alla verità, alla libertà, alla negazione di tutto quello che il Grande Fratello sta cercando di imporre. Un rifiuto profondo, pre-razionale, che nemmeno lo stesso Winston riesce pienamente a spiegarsi, ma che si fa pian piano strada dentro di lui, fino all’incontro con una donna. Sì, sono quasi a metà del romanzo, al momento in cui il protagonista viene appunto avvicinato da una ragazza; una ragazza che prima lui sospetta essere una spia, ma che poi si rivelerà essere altro. Non dico di più, per non incappare in spoiler, ma spero che già questo basti a suscitarvi un po’ di curiosità, se non avete mai letto questo libro. Si tratta sicuramente di uno dei romanzi più importanti del Novecento e – nonostante non abbia forse il ritmo di un thriller – è sicuramente una lettura prima o poi obbligata. Se vi interessa, lo potete comprare qui.
Svolta a destra? di ITANES: avrete sicuramente sentito parlare, in questi giorni, delle vicende sentimentali della Presidente del Consiglio, Giorgia Meloni. Le conosco perfino io che, in casi del genere, di solito chiudo subito il sito o cambio subito canale, quindi immagino che tutta Italia sia pienamente edotta su quanto è accaduto tra lei e il compagno (o, meglio, ex compagno) Andrea Giambruno. La cosa interessante della questione, più che il fatterello scandalistico in sé, è forse la strana lotta di potere all’interno del centrodestra, con una Presidente del Consiglio che viene messa in imbarazzo da una televisione privata – Mediaset – che teoricamente sarebbe sua stretta alleata: si parla già di regolamenti di conti e di lotte interne, cosa che certo non depone a favore del nostro sistema politico (già il fatto che ci sia una TV privata sostanzialmente in mano al governo sarebbe preoccupante, ma ormai ci siamo abituati; ma che questa TV poi diventi strumento di “sgambetto” politico all’interno del proprio stesso campo è francamente surreale). A seguire tutte queste vicende, però, a me sorge sempre una domanda: ma è questo il paese reale? Perché mi sembra che buona parte degli italiani guardi alla politica un po’ come si guardavano una volta le telenovelas: per vedere il prossimo scandalo, per farci magari un meme, per sfogare un po’ di rabbia o un po’ di sogni ad occhi aperti e poco altro. Seguire la politica è quasi come guardare un film: qualcosa di distante e vagamente assurdo, che ci richiede un po’ di sospensione dell’incredulità. E che ci sia un reale scollamento, uno scarto, tra il paese e la politica non è certo cosa nuova: lo conferma, tra le altre cose, anche Svolta a destra?, lo studio di ITANES sulle ultime elezioni politiche italiane, quelle del 2022, quelle che hanno visto il trionfo proprio di Giorgia Meloni. Il libro in questione – pubblicato dal Mulino, e pieno di tabelle, di analisi di dati e studi sugli andamenti di voto – cerca di capire se in effetti il paese è cambiato e la vittoria di Meloni rappresenti una svolta nel modo di pensare e di votare degli italiani. La risposta che sembra emergere (e sono circa a un terzo del volume) è che no, il paese in realtà non è cambiato: non è diventato improvvisamente di destra, o almeno non lo è più di quanto non lo fosse cinque anni prima. Piuttosto, sembra di poter dire che il paese è sempre più disaffezionato dalla politica, cambia partito (ma non coalizione) abbastanza facilmente e passa altrettanto facilmente all’astensionismo. Il successo di Meloni, insomma, non sarebbe il frutto di un improvviso innamoramento verso la nuova leader, ma soprattutto dei difetti di tutti gli altri protagonisti della politica. E in generale, per essere brutale, sembra comunque che al paese di tutto questo gliene importi francamente poco. Il saggio ad ogni modo è interessante, tecnico, da studiare. Continuerò a leggerlo e vi racconterò altre cose interessanti via via che emergeranno: se volete comprarlo anche voi, potete prenderlo qui.
Le confessioni d’un italiano di Ippolito Nievo: questo volumone, come ben sapete, mi sta facendo compagnia ormai da diversi mesi, sia perché è lungo e corposo, sia perché lo leggo sostanzialmente nei ritagli di tempo, quando voglio mettere momentaneamente in pausa una qualche lettura più urgente. Nonostante sia un romanzo che ha sulle spalle più di 150 anni d’età, infatti, rimane una lettura a suo modo gustosa, accattivante, che si può davvero compiere un po’ a pezzi, a piccoli bocconi. Sottolineo però quel “a suo modo”: è pur sempre un libro risorgimentale, un romanzo scritto per gente d’altri tempi, con una prosa prolissa, periodi lunghi e complessi, parole anche arcaiche; ma, messo in conto tutto questo, è pieno d’ironia, perfino di felicità e gioia di vivere, oltre che di commenti sarcastici e sardonici sulla condizione della Repubblica di Venezia (e dell’Italia intera) all’epoca della discesa di Napoleone. In breve, ecco la trama fin dove sono arrivato: il protagonista è Carlino, prima bambino e poi uomo nel Veneto di fine Settecento. Allevato in una famiglia nobile ma quasi come uno sguattero, si innamora della figlia del conte locale, “la Pisana”, che ha più o meno la sua età e al cui fianco cresce, anche se lei ha un carattere civettuolo e volubile. Poi varie vicende politiche e perfino criminali si susseguono, fin quando il destino di Carlino cambia d’improvviso, perché suo padre ritorna dall’Impero Ottomano e gli lascia una cospicua rendita ma soprattutto un seggio nel Maggior Consiglio, anche se questo seggio arriva forse nel momento meno opportuno, quando Venezia è alle soglie della disfatta. Ora sono infatti arrivato ai capitoli in cui la Serenissima si sgretola e anche i sogni d’amore dei protagonisti (di Carlino, ma anche del povero dottor Lucilio) vanno in frantumi: e però nel modo in cui Nievo racconta l’ottusità dei nobili veneziani, delle monache e della gente comune c’è comunque sempre di che divertirsi. Se volete comprarlo, lo trovate qui.
Quello che ho visto
Passiamo ora ai film, con un paio di classici e una serie TV che giunge al finale di stagione.
Only Murders in the Building episodio 3.10 (2023), di Steve Martin e John Hoffman, con Steve Martin, Martin Short, Selena Gomez: ecco, ho finalmente finito anche la terza stagione di Only Murders in the Building, la mia preferita tra le serie “leggere e senza troppe pretese” degli ultimissimi anni. Come ho già scritto nelle settimane scorse, questa terza annata a me è sembrata in realtà un po’ sottotono rispetto alle due precedenti, e anche il finale mi ha confermato nell’impressione che già avevo maturato. Si è deciso, infatti, di lasciar spazio ad attori famosissimi che potessero comparire in maniera stabile nello show (Meryl Streep e Paul Rudd su tutti) e questo ha inevitabilmente spezzato la chimica tra i tre protagonisti principali, che sono sembrati più distanti che mai tra di loro. Peccato. Certo, si preannuncia già una quarta stagione, immagino ancora con Meryl Streep nel ruolo di Loretta (che però personalmente mi è già diventata insopportabile, e spero la facciano fuori quanto prima) e può darsi che si cerchi bene o male di tornare alle origini. Già il fatto che l’omicidio ritorni ad essere del tutto confinato all’ambiente domestico del condominio secondo me potrebbe essere un fattore positivo. Se la serie vi interessa, la trovate su Disney+.
The Imitation Game (2014), di Morten Tyldum, con Benedict Cumberbatch, Keira Knightley, Matthew Goode: qualche anno fa non si faceva altro che parlare di Alan Turing. In particolare quando uscì questo film, The Imitation Game, che mi è capitato di rivedere dopo un po’ di tempo in questi giorni, il nome dello sfortunato matematico britannico sembrava essere davvero sulla bocca di tutti. Sono rimasto quindi parecchio sorpreso, negli ultimi tempi, quando mi sono reso conto che in realtà le generazioni che stanno affrontando adesso le superiori spesso non sanno di chi si tratti. Il nome di Turing è ritornato in auge di colpo qualche anno fa, ma è stato in un certo senso un fuoco di paglia, visto che è purtroppo poi ricaduto rapidamente nell’oblio; e poco conta che sia stato un vero genio, ben più significativo di un Elon Musk o di qualche altro personaggio del genere che, con le sue bizzarrie, riempie le pagine dei giornali. Per fortuna esistono film che in un modo o nell’altro riescono a tener vivo il ricordo e a riproporlo ai più giovani: The Imitation Game, in questo senso, è un buon film biografico che, pur concedendo qualcosa al romanzesco, fornisce un discreto quadro dell’importanza del personaggio. Turing, oltre ad essere un grande matematico ed un pioniere nel campo di quella che sarebbe poi divenuta l’informatica, è famoso – e il film si sofferma soprattutto su questo – per aver decifrato i messaggi di Enigma, la potente macchina usata dai tedeschi per criptare le proprie comunicazioni durante la Seconda guerra mondiale. Al lato storico-matematico, inoltre, nel film si aggiunge anche quello biografico: come forse sapete, Turing era omosessuale e fu per questo perseguitato dalla giustizia britannica nel dopoguerra, fino a togliersi la vita. A quanto ho capito, al momento The Imitation Game lo trovate sia su Netflix che su Amazon Prime Video, e vale la pena vederlo.
La parola ai giurati (1957), di Sidney Lumet, con Henry Fonda, Martin Balsam, Lee J. Cobb: ci sono pochi film, nella storia del cinema, che amo quanto La parola ai giurati. E lo amo non solo perché è ben fatto e ottimamente recitato (con un cast azzeccatissimo, tra l’altro), ma anche perché è uno dei pochi film che si possono definire veramente educativi. Se lo si guarda, non si può rimanere indifferenti; se lo si guarda, non si può non uscire diversi da quell’esperienza: è un film talmente intenso, talmente capace di colpire nel segno che non ti può non cambiare. E questo nonostante sia una pellicola in bianco e nero realizzata addirittura nel 1957, quando non esisteva ancora la scuola media unica e l’uomo non era ancora andato nello spazio. Se non l’avete mai visto, si tratta di un dramma giudiziario dal forte sapore teatrale (tutta l’azione si svolge in un’unica stanza, con dodici personaggi – appunto i giurati – che discutono tra loro). Al centro della trama c’è infatti una variegata giuria formata da dodici uomini molto diversi tra loro, accaldati e stanchi, chiamati a giudicare un giovane imputato di omicidio. Le prove sembrano convergere tutte verso la colpevolezza, e infatti la prima tendenza dei giurati è proprio quella di risolvere in fretta la questione. Uno degli uomini, però, avanza a sorpresa dei dubbi e le cose cominciano a farsi complicate. Il caso d’omicidio, in realtà, conta molto poco, e questo diventa sempre più evidente man mano che la storia si sviluppa: quello su cui ci si concentra è invece come gli uomini maturino un loro giudizio, come si lascino influenzare dai pregiudizi di vario tipo e come a volte siano in grado di convergere, dialogando onestamente e apertamente, verso una valutazione più serena. Da un certo punto di vista, La parola ai giurati è quindi un saggio su come funziona la filosofia, e infatti mi è capitato spesso di farlo vedere a scuola, alle mie classi, come forma di educazione alla riflessione e al dialogo. È disponibile su Amazon Prime Video e ve lo consiglio caldamente.
Quello che ho pensato
Oggi più che con riflessioni sull’attualità, vi voglio ammorbare un po’ con un piccolo fatto personale, che però, credo, ci può insegnare qualcosa di più ampio. Vi voglio parlare, infatti, di questa festa del centenario del Liceo Scientifico “Paleocapa” su cui sono tornato più volte.
In primo luogo, dovete sapere che mi ci sono trovato dentro un po’ per sbaglio. Un paio d’anni fa, mentre ero nell’ufficio della preside della mia scuola a parlare di non ricordo bene cosa, notai appeso al muro il Regio Decreto di intitolazione della scuola a Pietro Paleocapa, insigne (ma anche un po’ oscuro) ingegnere idraulico dell’Ottocento. E mi lasciai sfuggire davanti alla preside un commento di questo tipo: «Oh, guardi, tra un paio d’anni il liceo festeggia un secolo di vita. Bisognerà pensare a qualcosa, a una qualche cerimonia».
La preside mi prese alla lettera, e poco tempo dopo mi mise a capo della “Commissione Centenario”. Cosa anche comprensibile, per carità: insegno storia, sono un tipo abbastanza organizzato e ho già collaborato a vari progetti. Non pensavo però che la cosa sarebbe cresciuta fino a quello che poi è stato.
Il guaio – e adesso smetto di parlare di me e parlo di cose un po’ più generali – è che alla gente la storia interessa. La storia piace. Soprattutto se poi è la propria storia, la storia vissuta, quella quotidiana, quella vera, che si sente sulla pelle. “La storia siamo noi”, cantava Francesco De Gregori in una bella canzone del 1985; ed è proprio vero: la storia siamo noi. È che a volte chi insegna storia non riesce a farlo capire.
Il lavoro per il centenario, infatti, è diventato ciclopico quando ci siamo accorti – io e i ragazzi che lavoravano con me – che Rovigo è piena di ex studenti del Liceo Scientifico che vogliono raccontare la loro storia, che vogliono lasciare il loro ricordo, il loro tassello. Ed è un tassello interessante, importante, che va preservato.
Ci siamo recati molte volte in archivio, io e i miei studenti, nel corso dello scorso anno scolastico, ma abbiamo trovato cose perlopiù burocratiche: certo, di tanto in tanto saltava fuori una qualche carta curiosa, o un fatterello originale, ma in quegli incartamenti ci sono un’infinità di cose di routine che non hanno grande valore.
Quando però ascolti le storie delle persone che hanno vissuto quegli anni, cambia tutto. Certo, molte storie si assomigliano: quando chiedi agli ex studenti com’era il rapporto coi professori, tutti ti rispondono che era “formale, rispettoso”, che è una risposta che vale ancora oggi. Ma quando cominci a scavare, a tirare fuori altre cose apparentemente secondarie, emerge un mondo intero.
Com’era andare a scuola durante la Seconda guerra mondiale? Abbiamo avuto la fortuna di trovare alcuni ex studenti novantenni che ce l’hanno raccontato. Com’era andare a scuola negli anni '50 e '60, quando il liceo era ancora per pochi eletti e sui professori gravava un’aura di intoccabilità? Ce l’hanno raccontato. E sono emerse anche storie di professori maneschi e altri umanissimi, di ragazzi che ogni mattina facevano venti chilometri in bici sotto la neve e di altri che scappavano dalla finestra durante l’ora di religione.
Com’era essere al liceo nel '68? Quali cambiamenti si chiedevano, al preside e ai docenti? E dopo, nel '77? E così via: abbiamo potuto intervistare rappresentanti di tutte le generazioni che si sono succedute, filmando e iniziando a pubblicare sul web le interviste.
D’altronde noi avevamo sete di sentirci dire queste cose, ma anche i testimoni avevano sete di raccontarcele. Per un anno, ogni settimana mi sono arrivate mail, segnalazioni, inviti a raccogliere queste testimonianze; e abbiamo cercato, nei limiti del possibile, di soddisfarle tutte.
Ma questo si è visto ancora più prepotentemente sabato, quando poi abbiamo messo in scena il nostro evento. Mi ero accorto, nei giorni precedenti, che il pubblico non sapeva bene cosa aspettarsi: più di qualcuno mi ha telefonato o scritto per chiedermi un “programma” della manifestazione, quando noi – nei vari inviti – avevamo semplicemente indicato l’orario (dalle 10 alle 12) e nulla più. In queste richieste mi sembrava di scorgere una certa preoccupazione. Sotto sotto, mi pareva che tutti mi chiedessero: «Non è che ci sarà una barbosa relazione storica, una carrellata di autorità e nulla più?» Per fortuna ci avevamo pensato (forse perché anche io sono naturalmente refrattario alle cose troppo barbose), e abbiamo offerto qualcosa di diverso.
Come ho scritto anche sui social, ce la siamo giocata sul lato “umano”, che poi è quello che nella storia colpisce di più, e giustamente. “La storia siamo noi”, ho scritto sopra: e cercando di rimanere fedeli a questo assunto, abbiamo proposto una storia bassa, semplice, delle piccole cose, ma allo stesso tempo concreta, in cui ognuno poteva riconoscersi e trovare traccia di sé.
In uno “spettacolo”, chiamiamolo così, che è partito inevitabilmente dai saluti istituzionali (ma non eccessivi) e che è stato comunque inframmezzato da qualche breve momento canoro e letterario, abbiamo proposto la storia del liceo in due modi.
Primo: per mezz’ora abbiamo mostrato cosa accadeva – per brevi spunti – a scuola dagli anni '20 ad oggi, e cosa in parallelo succedeva in Italia e nel mondo. Così, sulle note musicali di brani d’epoca (da Gershwin a Bob Dylan, dagli A-ha a Mengoni), abbiamo parlato dei professori che insegnavano nel nostro liceo mentre venivano emanate le leggi razziali, delle richieste del Comitato studentesco nel 1968 mentre a Parigi si occupava la Sorbona e di come le lezioni si interruppero al ritrovamento del cadavere di Aldo Moro.
Dico abbiamo, perché ci abbiamo lavorato io e i ragazzi assieme, cercato di “drammatizzare”, o rendere un po’ più teatrale e dinamica, la cosa. Gli spunti storici venivano proclamati dagli studenti che per tutto l’anno avevano lavorato al progetto, che si alternavano al microfono mentre le immagini scorrevano sul megaschermo (e mentre io scandivo le annate: «Dal 1943 al 1953, al Paleocapa…»). Il tutto ha creato un effetto mi pare significativo, perché la storia veniva raccontata dai giovani, che tra l’altro – nonostante l’emozione di essere su un palcoscenico storico, davanti a centinaia di persone – hanno letto con intensità e precisione i loro brani.
Ognuno degli spettatori ha rivisto così un pezzo della sua storia – scorrevano foto di classe, immagini di scambi culturali, locandine di rappresentazioni teatrali –, sia personale che collettiva, ricordando che mentre era sui banchi di scuola si combattevano la Guerra del Vietnam o quella del Golfo, cadeva il Muro di Berlino o entrava in vigore l’euro. Ed è proprio qui che la storia colpisce al cuore: quando i grandi eventi si calano nella memoria individuale, quotidiana; quando fanno il paio con la nostra vita concreta.
Secondo: per una decina di minuti abbiamo proposto poi anche un video che è composto di vari estratti di una serie di interviste che abbiamo realizzato lungo tutto l’anno scorso. Anche lì, la storia diventa vita vissuta: i testimoni parlano di come andavano a nascondersi nel campanile della chiesa antistante alla scuola quando arrivavano i bombardamenti nel 1944 e 1945, oppure di come vennero a sapere durante un compito in classe del ritrovamento del cadavere di Aldo Moro. Il video, se vi interessa, lo potete vedere qui. Tutto sommato, pur avendo avuto qualche difficoltà tecnica, ne andiamo abbastanza orgogliosi.
Ebbene, tutto questo, come dicevo, pare aver colpito nel segno. Tra sabato e oggi ho ricevuto decine, forse addirittura centinaia di messaggi di persone felici per queste due presentazioni. E non messaggi fatti di frasi di circostanza: qualcuno ha parlato addirittura di commozione, molti di emozione. E la cosa mi ha stupito, perché noi abbiamo semplicemente messo in ordine quello che emergeva quasi da solo, senza sfruttare chissà quali artifici retorici: abbiamo aggiunto un po’ di musica e scelto con cura le foto e le parole, certo, ma senza voler strafare (ci abbiamo messo perfino le Spice Girls in sottofondo, voglio dire).
Eppure è la storia, quando da storia alta diventa storia personale, che ha un potere enorme sulle nostre vite. La storia siamo noi, ma anche noi siamo la nostra storia. Rivedere il passato nostro o quantomeno della nostra generazione ci aiuta a capire chi siamo, ci definisce; ci fa vedere i nostri pregi e i nostri difetti, i nostri slanci ideali ed i nostri errori, e ce li fa guardare però perfino con un po’ di benevolenza. Ci vien da pensare: quanto eravamo sciocchi, quanto eravamo ingenui; ma non c’è malessere in questo, non c’è rimpianto. C’è un amore, un’accettazione che è, in fondo, il modo più saggio di guardare al proprio passato.
Insomma, mi sembra che in quei momenti la gente si sia rivista, e abbia sorriso di sé. E ha fatto più o meno tutto da sola: noi abbiamo fornito solo il sottofondo, perché appunto la storia è lo sfondo delle nostre vite; il resto ce lo mette ognuno di noi.
E comunque, in definitiva, cos’ho imparato da quest’esperienza? Che organizzare grandi eventi è faticosissimo, e che avrei tanto bisogno di uno o due assistenti (anche per gestire il canale YouTube, a dirla tutta); ma anche che non serve inventarsi il mondo – o fare “gli splendidi”, come si cerca spesso di fare qui in provincia – per fare qualcosa di bello, perché il bello è già attorno a noi, se lo si sa vedere e se lo si sa far risaltare.
Quello che ho registrato e pubblicato
Se vi siete persi, questa settimana, qualche video o qualche podcast, questa è la sezione che fa per voi. Ecco tutto quello che è uscito negli ultimi giorni:
Wittgenstein: le Ricerche filosofiche: il tanto atteso secondo video su Ludwig Wittgenstein, che si concentra sulle sue riflessioni dopo il Tractatus
Bias di conferma e neoscetticismo: torno a parlare del mio punto di vista (più metodologico che filosofico) parlando della nostra innata voglia di conferme
Cartesio e le regole del metodo (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
L’autocrazia russa nella seconda metà dell’Ottocento (per il podcast “Dentro alla storia”)
Gli Stati Uniti di metà Ottocento (per il podcast “Dentro alla storia”)
Niels Bohr e la bomba atomica
Quello che devi fare per seguirmi sui social
Ah, prima di dimenticarci vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
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Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono gli abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
Operette morali di Giacomo Leopardi: gli studenti sono strani. A volte – anzi spesso, devo dire – si fanno catturare dalle cose che spiego in classe, fanno domande, contestano, intervengono, rendono la lezione dinamica. A volte però si distraggono: o perché sono preoccupati dalla verifica dell’ora dopo (e quindi vedo che continuano a sbirciare il libro dell’altra materia, a ripassare mentalmente), o perché hanno sonno (fare filosofia alle 8 del mattino non è facile per nessuno). Più raramente, però, li sorprendo che si distraggono a leggere altre cose. Ricordo che anni fa sorpresi un’allieva a leggere il Paradiso perduto di Milton e rimasi così sorpreso dalla scelta che le dissi: «No, ok, continua pure, se è per il Paradiso perduto puoi distrarti quanto vuoi». Be’, qualche giorno fa ho sorpreso un’altra allieva a leggere le Operette morali di Leopardi, che non è affatto una brutta cosa. Certo, stavolta credo ci fosse di mezzo un’interrogazione, ma diciamo che ci sono distrazioni peggiori nella vita. Il volume non è solo filosofico, ma ovviamente anche letterario; e tuttavia è ancora oggi una bella lettura per accostarsi anche al pensiero di Leopardi, qui presentato in forma anche ironica. Pertanto, il consiglio è di leggerlo anche voi (magari non durante una lezione a scuola). Il libro costa 10 euro e lo potete comprare qui.
sui social questa settimana ho segnalato come al solito diversi libri appena usciti che mi paiono interessanti, una sorta di “lista della spesa” che dovrebbe rivelarsi utile anche in primis per me. Ecco i volumi, se ve li siete persi (se vi interessano, cliccate sopra alle immagini per altre informazioni):
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Quello che c’è in arrivo
Chiudiamo come sempre con una veloce panoramica su quello che arriverà nei prossimi giorni. Ora che mi sono scrollato di dosso una serie di impegni urgenti, dovrei – spero – riuscire a ritornare a lavorare su buoni ritmi. Questi i video e i podcast che spero di realizzare:
domani, se tutto va come deve, esce un video su Zootropolis, il cartone della Disney del 2016 che offre qualche interessante spunto di riflessione;
venerdì spero di fare un nuovo video della serie dedicata alla logica;
sabato vorrei riuscire a pubblicare una lezione della serie Grandi eventi storici in un’ora, dedicata a Riforma e Controriforma;
domenica sera sarà la volta della diretta mensile riservata agli abbonati;
mercoledì, giovedì e lunedì prossimo invece toccherà ai podcast, con nuove puntate su Cartesio e sulla Guerra di Secessione americana.
E questo è tutto anche per questa settimana. Ci rivediamo qui tra sette giorni esatti: non mancate!