La vita che si espande oltre il nichilismo, parlando tra le altre cose di Everything Everywhere All at Once, Pasolini, Costantino, Socrate, Wu Ming, Grecia, Il problema dei tre corpi, I promessi sposi
Eccoci di nuovo qui, cari amici, dopo un’ulteriore settimana, a parlare di libri, film, riflessioni storico-filosofiche varie. Purtroppo la cronaca in queste settimane ci avrebbe dato molti spunti da affrontare, e non sempre felici: è notizia proprio di queste ore di un nuovo naufragio nel Mediterraneo, che fa il paio con la strage di Cutro avvenuta ormai svariati giorni fa; nel frattempo pure in Ucraina la situazione continua a destare preoccupazione e, soprattutto, non sembra che si sia in grado di intravedere uno spiraglio di pace.
Questa settimana, però, ho deciso di non soffermarmi troppo su queste questioni, almeno non direttamente. Di qualcosa ho parlato tramite i social network, più che altro per cenni, anche perché come forse sapete non mi piace entrare a gamba tesa nel dibattito quotidiano: forse per il mio piglio di storico, le questioni mi piace vederle con un po' di distacco. Ciò non toglie che a volte fare il punto su quello che sta accadendo diventa anche necessario e quindi proprio questa sera, subito prima di rivedere questa newsletter, ho realizzato una diretta che mi è stata da più parti richiesta per fare il punto sulla questione ucraina (e su come l’abbiamo raccontata in questi mesi).
Per quello che però riguarda noi qui in questa newsletter, rimaniamo su temi comunque interessanti e comunque attuali, ma che hanno un piglio forse più vasto: come vedrete, questa settimana toccheremo addirittura la questione del senso della vita. C’è di che far tremare i polsi. Partiamo però, come sempre, prima di tutto dai libri.
Quello che ho letto
Nell'elenco dei libri di questa settimana non ci sono novità particolari: tutti e tre i volumi ho già cominciato a presentarveli nelle settimane scorse. Li sto però portando tutti e tre gradualmente avanti e quindi volevo un po' aggiornarvi sulle rispettive trame e su quello a cui mi hanno fatto pensare.
Il problema dei tre corpi di Liu Cixin: partiamo dal romanzo di fantascienza cinese Il problema dei tre corpi, che, nonostante io sia ancora ben lontano dalla fine, mi sento già di consigliare caldamente a chiunque sia appassionato di filosofia della scienza. Non è un caso che mi sia trovato almeno in due o tre occasioni nelle ultime settimane a citarlo in classe mentre spiegavo, segno che obiettivamente le storie raccontate da Cixin si prestano bene a fare da esempio o da collegamento con le riflessioni dei più grandi filosofi della storia. La trama è abbastanza complessa: come vi raccontavo nelle mail scorse, tutto parte con una scena ambientata all'epoca della rivoluzione culturale di Mao, in Cina, ma ben presto ci si sposta intorno agli anni 2000, quando uno scienziato si trova all'improvviso trainato dentro ad uno strano fenomeno forse connesso con la radiazione cosmica di fondo. Appassionato di fotografia, questo scienziato ad un certo punto si accorge che su tutte le foto (sia analogiche che digitali) che scatta compare una scritta numerica, che, un po' alla volta, si accorge essere una sorta di conto alla rovescia. Cercando di indagare ulteriormente su questo conto alla rovescia fa anche l'esperienza di uno strano videogioco, per la verità anche piuttosto suggestivo, in cui i personaggi devono barcamenarsi in uno strano mondo in cui si alternano ere cosiddette del caos ed ere cosiddette dell'ordine: durante le prime sembra non esistere nessuna legge della fisica e gli eventi naturali, dal sorgere del sole all'alternarsi delle stagioni, sembrano essere completamente casuali e imprevedibili; nelle seconde, invece, tutto sembra procedere in maniera abbastanza regolare, tanto che gli scienziati paiono essere in grado di elaborare leggi fisiche e quindi di conoscere il mondo e sviluppare una civiltà. Non so se queste poche note bastino rendere conto della gran quantità di idee che emergono nella trama, ma in generale si può dire che il romanzo, pur con i suoi toni quasi da thriller, sembri offrire per ora una riflessione (anche profonda e originale) sulla regolarità della natura e sui suoi limiti. Vedremo, procedendo con la lettura, dove poi lo scrittore cinese andrà a parare. Se vi interessa, comunque, potete comprarlo qui.
Ufo 78 dei Wu Ming: l'ultimo romanzo dei Wu Ming, anch’esso a tema fantascientifico, mi sta generando sentimenti contrastanti. Certe parti mi stanno infatti piacendo e prendendo, tanto che le leggo tutte d’un fiato, con grande velocità; certe altre, invece, mi convincono meno e mi portano anche di tanto in tanto a sospendere la lettura del romanzo per dedicarmi ad altro. Segno, forse, delle diverse mani che hanno lavorato alla scrittura dell'opera, ma forse anche solo del fatto che in questo romanzo gli autori bolognesi hanno cercato di condensare tutta una serie di temi tra loro anche molto diversi. La trama l'ho in parte già raccontata: nel 1978, mentre a Roma si sta organizzando un convegno di appassionati di ufologia, e mentre in contemporanea nella Lunigiana una comune formata anche da ex tossici cerca di trovare la serenità, nella capitale viene rapito Aldo Moro. Questo scatena tutta una serie di eventi che si intrecciano tra loro: a fare da catalizzatore di tutta la storia è infatti Martin Zanka, ex giornalista comunista e prolifico scrittore di fantascienza popolare che è un vero e proprio mito per gli ufologi ma che ha anche un figlio ex tossicodipendente che vive nella comune. In più, al mix già piuttosto complicato si aggiunge anche una serie di misteriose sparizioni e apparizioni che avvengono sul Monte Quarzerone, proprio in Lunigiana. Al momento sono circa alla metà dell'opera e per ora il giudizio rimane sospeso, anche se globalmente abbastanza positivo: se però le storie degli ufologi e della politica degli anni '70 vi interessano, il libro potete recuperarlo qui.
Come avere più tempo? di Oliver Burkeman: anche di questo libro vi ho già parlato nelle settimane scorse. All'apparenza può sembrare un volume di self help, uno di quei saggi che vi promettono di insegnarvi come lavorare di più e meglio, magari anche trovando un po' di tempo per voi stessi tra una carriera e l'altra. In realtà però, il saggio si rivela un po' diverso dalla media e proprio per questo gli sto dando una qualche possibilità. Burkeman sa scrivere e sa anche cosa i lettori più attenti non vogliono più sentirsi raccontare: lui stesso ammette, infatti, che la vera sfida non è essere più produttivi ma decidere a cosa dedicarsi, come occupare il proprio tempo. Quasi fosse uno novello Seneca e citando perfino in diversi capoversi direttamente Martin Heidegger, l'autore cerca così di invogliarci a riflettere maggiormente sul tempo, sempre un po' col piglio del libro di self help, ma almeno con un po' di maturità in più rispetto alla media e con un po' di consapevolezza. Sono ancora piuttosto indietro, però, per dirvi se ne valga la pena. Intanto, se volete, lo si può acquistare qui.
Quello che ho visto
Oltre ai libri, però, come sempre bisogna che ci soffermiamo un attimo pure sui film. Questa settimana vi presento due pellicole tra loro molto diverse: la prima è recente ed anzi è stata esaltata dalla critica, tanto che proprio questa notte ha anche trionfato ai premi Oscar, portando a casa ben 7 statuette; la seconda invece è un film di svariati anni fa, passato un po' sotto silenzio alla sua uscita e che però si rivela ancora oggi piuttosto sagace. Infine, subito in apertura, ho tirato fuori anche un pezzo di storia della TV italiana.
I promessi sposi del trio episodio 1 (1990), di e con Tullio Solenghi, Anna Marchesini, Massimo Lopez: partiamo proprio da qui, dalla storia della TV italiana che menzionavo qualche riga più sopra. Questa settimana, complice il fatto che il mio figlio più grande è stato appena interrogato sui Promessi sposi al liceo ed ha portato a casa un bel voto, c'è venuto voglia di cercare su RaiPlay se sul servizio di streaming della nostra TV pubblica era disponibile la vecchia serie parodistica dedicata ai personaggi di Manzoni e realizzata nel 1990 dal Trio, ovvero i tre comici Massimo Lopez, Tullio Solenghi ed Anna Marchesini. Effettivamente non è stato difficile trovare nel catalogo questa serie che però sia io che mia moglie non rivedevamo da almeno trent'anni, dal momento cioè della sua prima messa in onda, quando eravamo bambini. Io ne ricordavo solo alcune cose, e mia moglie lo stesso, ma guardare di nuovo almeno il primo episodio assieme ai ragazzi non è stato male come immaginavo. Temevo, infatti, che a distanza di tanti anni la serie rivelasse la sua età, di essere passata vistosamente di moda e di essere molto ingenua e/o grossolana; in realtà, al netto di qualche battuta che oggi si fa fatica a capire perché legata al clima di quegli anni, la serie rimane ancora divertente, forse un tantino lenta ma intelligente e ricca di sorprese interessanti. Perfino i miei figli, abituati all'era di TikTok e alla comicità molto più elaborata di certe serie TV, si sono lasciati sfuggire qualche risata e hanno visto quantomeno una puntata con un discreto interesse. E dire che non sapevano chi fosse Pippo Baudo, che pure della puntata ha un ruolo importante, e che non potevano riconoscere le parodia delle pubblicità di allora e altre cose di questo genere. Se vi interessa, come ho già detto, su RaiPlay trovate tutta la serie completa.
Everything Everywhere All at Once (2022), di Daniel Kwan e Daniel Scheinert, con Michelle Yeoh, Stephanie Hsu, Ke Huy Quan: questo film è stato decisamente la sorpresa della settimana, almeno per me. Non lo avevo visto quando era uscito la prima volta al cinema, anche se ne avevo sentito parlare con toni lusinghieri; ma la incredibile serie di nomination che ha portato a casa in vista della cerimonia degli Oscar mi ha convinto ad andarlo a vedere e a dargli una possibilità. Non ne sono rimasto affatto deluso: come vi spiegherò un po' anche nella sezione Quello che ho pensato e come ho cercato di raccontare in un video apposito che ho realizzato proprio ieri e che trovate linkato più avanti, il film mi è piaciuto soprattutto per via della sua estrema originalità, per aver tentato di affrontare un tema complesso e perfino filosofico in un modo estremamente moderno, capace credo anche di conquistare l'attenzione dei più giovani col suo dinamismo e la sua commistione estrema di genere. Dentro c'è in effetti di tutto, come già il titolo suggerisce: ci sono scene d'azione alla maniera di Hong Kong, ci sono altre scene di comicità surreale o grottesca, ci sono riflessioni sul nichilismo, ci sono momenti di vita grigia e piatta da film drammatico sulle periferie americane, c'è perfino la fantascienza e la storia d'amore. Un melting pot davvero incredibile che però, nonostante tutto, riesce alla fine a colpire nel segno, riesce a lasciare un messaggio, tra l'altro anche piuttosto condivisibile. Forse non è un film per tutti e forse perfino un po' troppo lungo, ma in generale mi è piaciuto e mi sentirei davvero di consigliarvelo se amate le pellicole sorprendenti e visivamente intriganti.
Impiegati… male! (1999), di Mike Judge, con Ron Livingston, Jennifer Aniston, Stephen Root: la terza opera di questa settimana è un film di qualche anno fa per la verità non molto famoso e che quindi probabilmente non avete mai visto. Impiegati… male! è infatti una satira sociale americana priva di attori importanti, se non per una giovanissima Jennifer Aniston allora ancora solo relativamente famosa, che però riesce a risultare dissacrante e interessante anche a distanza di molti anni. Al centro della trama c'è un impiegato di una ditta informatica statunitense alla fine del secolo scorso, impiegato che vive il suo lavoro in modo abbastanza frustrante: annoiato da tutto e in crisi, il giovane uomo ad un certo punto rimane per una serie di eventi praticamente ipnotizzato, e questo lo porta a vivere in maniera molto più rilassata il lavoro e la vita. La conseguenza primaria è che per un po' non si presenta nemmeno in ufficio, ma poi questa sua nonchalance viene presa per grande distacco e maturità e l’uomo finisce per essere rapidamente promosso all'interno dell'azienda, fino a elaborare però anche uno strano piano per arricchirsi. Niente di straordinario o sconvolgente, ma, come già anticipato, un divertente ritratto di certe idiosincrasie del sistema lavorativo americano e soprattutto della dittatura della performance che sembra ancora oggi essere al centro dell'attenzione di una buona parte del mondo lavorativo. Se volete vederlo, il film lo trovate su Disney+.
Quello che ho pensato
“Tu sei abbastanza”, dicono tutti i manuali di autoaffermazione, tutti i libri e gli psicoterapeuti che vogliono insegnarci a vivere in maniera più equilibrata, senza cercare chissà dove una felicità che sembra sempre sfuggente. Io li capisco, il discorso è sensato: dobbiamo imparare ad amare ciò che siamo, ad accettarlo.
E però quella frase non è vera. Nessuno è abbastanza. E oggi vorrei spiegarvi perché, almeno secondo me.
Partiamo dall'inizio. La frase “Tu sei abbastanza” l'ho trovata, questa settimana, all'interno del libro Come avere più tempo? di cui vi ho parlato qualche riga più sopra. In quel saggio infatti l'autore esamina tutti i modi in cui tendiamo a crearci uno stress eccessivo riguardo al tempo e al lavoro, convinti di dover produrre e realizzare sempre di più. Non siamo mai contenti e, proprio per via della società della performance in cui viviamo, pensiamo di dover sempre riuscire ad essere ancora più efficienti e ancora più efficaci. Questa costante tensione verso l'automiglioramento, però, non sempre ci è utile e anzi a volte porta con sé un carico di stress e di ansia che può letteralmente distruggerci. Per questo Oliver Burkeman, anche piuttosto saggiamente, ad un certo punto afferma che dobbiamo convincerci di essere abbastanza, di aver fatto abbastanza.
Mentre leggevo quelle frasi, tra me e me pensavo che ovviamente questo discorso ha un suo senso e che è saggio e utile che ognuno di noi sappia essere contento di una vita vissuta su ritmi umani e non eccessivi; allo stesso tempo, però, mi rendevo anche conto che in realtà la frase “Tu sei abbastanza” sa essere anche subdola. Lo sappiamo tutti, infatti, di essere abbastanza, eppure nessuno di noi si accontenta davvero mai di questo. Ognuno di noi, in realtà, nella vita, cerca di essere di più di ciò che è, cerca di superare quell’abbastanza.
Provate a immaginare infatti una vita in cui una persona, fin da quando era bambina, viene abituata a pensare di essere sempre abbastanza: in fondo non studierebbe, non imparerebbe cose nuove, non si sforzerebbe di mettersi alla prova e di superare i propri limiti. Se si amasse completamente e solo per quello che è, una persona resterebbe ferma, pienamente soddisfatta di sé, senza progredire. Ma questo vorrebbe dire vivere? Siamo sicuri che la vita sia soddisfazione e non in realtà movimento, movimento che può nascere solo dal non essere contenti di essere dove si è?
Alfred Adler, psicanalista austriaco che mi piace spesso citare, sosteneva che la vita è tutto tranne stare fermi, che cioè sia innato nell'essere umano il desiderio di fare dei passi avanti, di cambiare, di migliorare. Lui chiamava questo aspetto “aspirazione alla superiorità”: ogni essere umano, infatti, nasce incapace di fare quasi tutto, ma gradualmente, crescendo, sente la spinta a cercare di superare i propri limiti, di imparare a fare quelle cose che inizialmente non sapeva fare. Proprio questa aspirazione ci spinge così ad imparare a camminare, ad imparare a parlare, ad imparare a stare al mondo, ad imparare ad avere relazioni con gli altri esseri umani, a cercare un partner o una partner, a cercare un lavoro e a farlo sempre meglio, a crearsi una famiglia o degli affetti, a fare carriera e via discorrendo. Tutta la vita non è altro che affrontare delle sfide, magari piccole, e gradualmente cercare di vincerle.
È ovvio che queste sfide non si possono vincere sempre e in alcuni casi vanno abbandonate prima di essere state superate, ma la felicità o comunque l'equilibrio psichico secondo Adler nascono dalla capacità di superare un certo numero di sfide e dal non rimanere bloccati in una serie di sfide perse. Il segreto della felicità, dunque, consiste anche nello scegliere le proprie sfide, nell'abbracciare solo quelle difficoltà che siamo effettivamente in grado di superare, e nel rinunciare a priori a quelle che invece non sono alla nostra portata.
In ogni caso Adler direbbe che la frase “Tu sei abbastanza”, che può da un certo punto di vista essere motivante e incoraggiante, non rende pienamente giustizia del senso della vita, visto che proprio il non sentirci abbastanza e ciò che ci spinge a vivere ed è ciò che rende la vita degna di essere vissuta. Ovviamente poi queste sfide, come abbiamo appena accennato, vanno declinate in modi saggi e gestibili: se scegliamo sfide che non possiamo vincere – perché troppe o troppo gravose – diventiamo in egual modo dei frustrati infelici, preda dei nostri stessi desideri irrealizzabili.
Questo discorso di Adler mi ha sempre affascinato ma io tenderei a declinarlo in maniera lievemente diversa. Non si tratta, infatti, solo di realizzare queste piccole forme di superiorità rispetto ai nostri limiti, ma si tratta, in senso più ampio, di espandere la vita. Noi non siamo abbastanza perché abbiamo il bisogno esistenziale in un certo senso di uscire da noi stessi, di superare noi stessi, letteralmente di espanderci.
Questo lo si vede, a mio avviso, in molte dimensioni dell'esistenza umana. Pensate ad esempio ad un religioso, tipica persona che riteniamo si chiuda abbastanza in se stesso e certo non ricerchi il successo o il denaro: in un certo senso anche un eremita, però, pur rimanendo chiuso in un monastero isolato espande la sua vita, perché tenta di riconnettersi cioè ad una dimensione più alta, che è quella della spiritualità, che è quella di Dio. Non rimane confinato in se stesso, nella sua misera materialità, ma espande la dimensione del suo essere, addirittura arrivando a una dimensione trascendente.
Questo però vale, più prosaicamente, anche per la vita ad esempio di un politico, che si appella a volte ad ideali più alti, che spera gli sopravvivano e quindi in un certo senso espandano la sua esistenza, oppure scende in campo per mero interesse egoistico, ma pur sempre per arricchirsi o per aumentare il proprio potere e quindi anche per rendere la sua esistenza un po' più larga, un po' più grande, un po' più ampia.
Perché facciamo figli, che di sicuro rappresentano anche una spesa e una fatica per molti anni? Perché con loro cerchiamo di espandere noi stessi, di dare maggiore profondità alla nostra vita, di allargare i nostri confini andando oltre quelli che sono i giorni che ci sono stati assegnati. Perché prendiamo un cane o un gatto in casa? Solo per la compagnia? Oppure anche perché una vita chiusa in noi stessi, una vita che “è abbastanza” ci genera in realtà una grande angoscia e una grande preoccupazione?
Pascal affermava che l'uomo non è in grado di affrontare i suoi grandi dubbi esistenziali e che quindi cerca di riempirsi la vita con mille occupazioni pur di non pensare al senso della propria esistenza, pur di non rinchiudersi in se stesso. A me pare che sbagliasse: le mille occupazioni sono il modo migliore, se non l’unico, di vivere, perché ci fanno uscire un po' al di fuori di noi stessi. Anche la dimensione religiosa a cui pensava Pascal, da un certo punto di vista, non è infatti altro che una forma di divertissement: anche in quel caso ci occupiamo la vita, anche se a riempirci le giornate sono le preghiere o i riti piuttosto che la spesa da fare al supermercato o le incombenze della casa. Nessuno davvero si chiude in se stesso, perché richiudere se stessi vuol dire morire: anche Pascal dentro se stesso cercava Dio, cioè cercava qualcosa che andasse oltre se stesso, cercava di superare se stesso in maniera fin troppo slanciata.
Allora, da questo punto di vista, nessuno è mai abbastanza: tutti abbiamo bisogno di allargare i nostri piccoli confini e di farlo continuamente, per tutta la durata della nostra vita. A volte questo allargamento arriva in maniera direi quasi biologica facendo figli e nipoti e pronipoti; altre volte arriva in maniera ideale creando dei concetti, dei progetti, perfino delle fantasie; altre volte ancora ci capita di creare qualcosa con le nostre mani, sia un prodotto artigianale o un'invenzione tecnologica o semplicemente un oggetto che speriamo duri più in là di noi. Ma allargarci dobbiamo.
D'altronde, provate a pensare a una vita che rimane limitata in se stessa: senza movimento, senza espansione. In quel caso c’è la quiete, che equivale però in un certo senso anche alla morte. L'immagine che più mi viene in mente in questa prospettiva è quella del nichilismo, dell'annullamento cioè di tutto. Se gli esistenzialisti ritenevano che la nostra vita fosse sostanzialmente possibilità e quindi scelta, non affrontare queste possibilità al di fuori di noi implicherebbe il non affrontare la scelta e quindi lo smettere di vivere.
Non espandere noi stessi significa insomma fare i conti con nulla, cioè fare in fondo i conti con la morte. Lo dicevamo anche in altre occasioni: questa spinta ad espandere la vita non è altro che la reazione alla consapevolezza che la vita stessa ha dei limiti, limiti stringenti, limiti soffocanti; e il principale di questi limiti è sicuramente la morte, che rappresenta il termine ultimo dal punto di vista cronologico della nostra esistenza.
Questo mi sembrato di vedere in parte anche nel film Everything Everywhere All at Once che ha vinto proprio questa notte una marea di Premi Oscar e di cui ho parlato in un video apposito che trovate linkato nella prossima sezione. Il film parla in realtà proprio delle scelte di vita, di quello che si fa e di quello che si sarebbe potuto fare; scelte di vita che a volte generano esistenze all'apparenza molto soddisfacenti e altre volte invece tristi, fallimentari. Ma in ogni caso ogni scelta genera delle conseguenze, genera dei frutti, espande ciò la vita.
Anche la vita iniziale della protagonista, quella contrassegnata dalla misera lavanderia a gettoni e dalla figlia ribelle, in fondo è una vita che ha avuto un suo senso, perché ha generato qualcosa, fossero anche appunto una figlia problematica o un negozio in gravi difficoltà economiche. Il problema, casomai, è che quella serie di espansioni, di generazioni successive, di creazioni che la protagonista aveva messo in campo in una certa fase della sua vita sembrano essersi ormai arenate, sembrano cioè non riuscire andare oltre. Dopo aver messo su famiglia, dopo aver avviato un'attività, dopo aver educato la propria figlia sembra quasi che la protagonista, Evelyn, non abbia alcuna nuova prospettiva davanti a sé, perché tutte quelle strade in cui ha indirizzato l'espansione della sua vita sembrano ormai portare verso vicoli ciechi: la figlia è in rotta di collisione con la madre e rischia di non volerle più parlare; l'attività sembra sull'orlo del fallimento; perfino il marito pare vicino a chiederle il divorzio. Tutte le direttrici verso cui la vita si è espansa improvvisamente si bloccano: è proprio lì che sta la crisi esistenziale, è proprio lì che sta una vita che perde di senso.
Prova ulteriore, a mio avviso, che ogni vita degna di essere vissuta non può bastare a se stessa, ma deve necessariamente continuare espandersi, da qualche parte, in qualche direzione. Pena la morte, pena l'inutilità, pena l'infelicità.
Quello che ho registrato e pubblicato
Facciamo il punto ovviamente anche sui video e sui podcast usciti questa settimana.
La filosofia di Pasolini: conoscete di sicuro Pier Paolo Pasolini, grande scrittore e regista italiano. Qui ho provato anche a parlare della sua filosofia
La filosofia di Everything Everywhere All at Once [Video Club storico-filosofico]: come vi ho anticipato ho visto anche il film pluripremiato agli Oscar e ne ho parlato in chiave filosofica
Introduzione alla Costituzione italiana: in molti mi avete chiesto di dedicare alcuni video alla Costituzione italiana ed effettivamente era proprio ora che cominciassi
Cosa abbiamo imparato dalla guerra in Ucraina: il punto su come parliamo del conflitto che da un anno sta segnando l’Europa
L’imperatore Costantino: Costantino è stato uno dei più importanti imperatori dell'antichità, soprattutto per i suoi rapporti col cristianesimo
L’aristotelismo rinascimentale (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
La Grecia diventa indipendente (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che devi fare per seguirmi sui social
Ah, prima di dimenticarci vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
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Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono i nuovi abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri e videocorsi che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
Apologia di Socrate di Platone: credo che l’Apologia di Socrate non abbia bisogno di tante presentazioni. Si tratta del primo libro mai scritto da Platone, interamente dedicato al processo che venne intentato al suo maestro Socrate e che si concluse con la condanna di quest'ultimo a morte. Studiato e citato infinite volte, letto e letto da milioni di studenti e perfino anche da noi all'interno del nostro Book Club storico-filosofico, è sicuramente un'opera che non può mancare nella biblioteca di un appassionato di filosofia. Tra l'altro è anche molto breve e molto semplice e quindi può essere tranquillamente letto anche da neofiti: se non l'avete ancora fatto, insomma, dovete assolutamente rimediare. Lo potete acquistare qui.
Inneschi creativi per scrivere storie: come si fa a tenere il lettore avvinghiato alla pagina? Come si fa a catturare l’attenzione con una storia e spingere le persone a continuare la lettura? Questo corso fornisce tutta una serie di validi suggerimenti per superare questo particolare tipo di blocco creativo, a 15,99 euro per 19 lezioni complessive. Lo trovate qui.
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né fare corsi, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Quello che c’è in arrivo
Chiudiamo anche con una veloce panoramica sui video che vorrei realizzare la prossima settimana. Come forse avrete notato, già in questa settimana ho modificato molto l’elenco di quello che avevo previsto lunedì scorso, quindi non prendete queste ipotesi come oro colato, visto che ultimamente sono costretto spesso, nel bene e nel male, a rivedere i programmi. Comunque intanto i video potrebbero essere questi:
in primo luogo dovrebbe arrivare finalmente il video di filosofia per ragazzi dedicato a Socrate e al suo metodo;
poi spero di riuscire a registrare un nuovo capitolo della lettura integrale dell'Autunno del Medioevo di Johan Huizinga;
infine dovrei realizzare anche un ulteriore video su Costantino e forse uno su Spinoza;
per quanto riguarda i podcast, invece aspettatevi qualcosa su Cusano e forse Ficino per quanto riguarda filosofia e invece sui moti del 1830 e forse del 1848 per quanto riguarda storia.
E questo è sostanzialmente tutto. Ci vediamo qui tra una settimana esatta, quando forse avrò anche qualche novità interessante da raccontarvi. A presto!