Le (problematiche) polemiche politiche attorno al libro di storia di Greppi, ma parliamo anche di Intelligenza artificiale, Mission: Impossible, Ratataplan, Immanuel Casto e Thomas Hobbes
Ed eccoci qua, a esami finiti, a caldo torrido forse anche un po’ passato, più o meno a un terzo delle vacanze estive (lo so, studenti: la cosa vi angoscia, vero?). Per conto mio, finalmente, un po’ di pace, dopo un anno vissuto davvero intensamente.
Ed è il momento, quindi, di fare anche il punto e di pensare alle opzioni future. Per fortuna, infatti, le occasioni per darsi da fare non mancano: dopo il buon successo di Anche Socrate qualche dubbio ce l’aveva, stiamo pensando al nuovo libro, che probabilmente uscirà nel 2026; e dopo la grande corsa per preparare i materiali per La storia in scena, il manuale per le superiori di cui trovate notizia più avanti, altre cose importanti bollono in pentola anche in quell’ambito.
Ci sarà, comunque, tempo di parlare di tutto questo nel momento opportuno. Intanto non dimentichiamo gli appuntamenti di quest’estate, perché un po’ di movimento è previsto anche nell’assolato mese di luglio: questo giovedì, alle 21, sarò ad esempio in Pescheria Nuova a Rovigo, sempre per parlare di Anche Socrate; la settimana successiva, sabato 19, sarò invece alle 20:30 alla Casa insieme di Thiene, in provincia di Vicenza (l’evento è gratuito ma bisogna prenotarsi qui); il venerdì dopo ancora, il 25, sarò invece a Grado, in Friuli, presso la Libreria Ubik, probabilmente attorno alle 18.
Detto questo, però, ora è il momento di ricominciare con le nostre solite attività: parliamo cioè di libri, film e attualità. Iniziamo.
Quello che ho letto
Cominciamo dai libri, con due titoli che ormai conoscete e un nuovo volume che fa il suo ingresso in lista.
Leviatano di Thomas Hobbes: che corsa, ragazzi. Da giorni non sto (quasi) facendo altro che leggere il Leviatano di Thomas Hobbes, libro molto impegnativo che devo finire entro domani sera, quando si terrà la consueta riunione del Club del Libro. Per la verità, tanto impegno è servito a qualcosa: sono infatti ormai in dirittura d’arrivo, mi mancano poche decine di pagine e direi che ce la farò quasi sicuramente a portare a termine l’impresa. Ma ne è valsa la pena? Sì e no, direi. Sicuramente sì per diversi motivi: primo, perché il Leviatano è un classico e merita una lettura integrale, almeno una volta nella vita; secondo, perché vi si trovano – ben esposte e ben argomentate – le idee politiche di Hobbes, che magari si possono non condividere ma che di sicuro hanno una loro coerenza interna non irrilevante; terzo, perché lo stile del filosofo è metodico, strutturato, ben argomentato e, a suo modo, piacevole. Tanti pregi, dunque, ma quali sarebbero allora i “no”? Be’, ne citerei due, proprio per scovare il pelo nell’uovo: in primo luogo è un libro anche molto lungo e quindi a suo modo dispersivo, in cui si rischia di perdere il filo di ciò che veramente conta, tra tanti discorsi che forse si potevano limare o addirittura non inserire; e in secondo luogo, si sente che è un libro del Seicento, attento a inserire nel discorso politico anche molti (troppi) discorsi religiosi, citazioni bibliche, menzioni di miracoli e altre cose ancora. Ad ogni modo, i pregi superano di gran lunga i difetti: certo non è un libro semplice, ma indispensabile. Lo potete acquistare, se volete, qui.
L’intelligenza artificiale di Platone di Luca Mari e Alessandro Giordani: come sapete, cerco di prestare molta attenzione alle nuove uscite in libreria, soprattutto quando si tratta di libri di storia o filosofia. Da un paio d’anni, sui social, segnalo ogni settimana i titoli che mi sembrano più interessanti e, in diversi casi, finisco anche per acquistarli e leggerli; e così scopro che a volte trovo ciò che effettivamente mi aspettavo, mentre altre volte mi imbatto in sorprese – talvolta piacevoli, talvolta meno. Nonostante questa abitudine, capita comunque che qualcosa mi sfugga. Ed è questo il caso del volume che ho iniziato questa settimana, scoperto non sugli scaffali ma grazie al messaggio di una follower, che ha subito acceso la mia curiosità. Il tema, del resto, è intrigante: l’idea di studiare il rapporto tra Platone e l’intelligenza artificiale può sembrare una provocazione, quasi uno scherzo; ma in realtà, con un po’ di attenzione, si possono trovare legami tutt’altro che banali tra il filosofo della vecchia Atene e le sfide del nostro presente. Il libro prova a esplorare tutto questo, e va detto che alcune delle suggestioni proposte coincidono con riflessioni che io stesso – e non solo io – avevo già avuto modo di fare. Sono in realtà ancora all’inizio del libro, quindi è presto per tirare delle conclusioni, ma per ora ho notato che, dopo un avvio piuttosto filosofico e quindi più accessibile, gli autori tendono a virare su aspetti più tecnici, che forse potrebbero risultare meno stimolanti per un pubblico ampio. Staremo a vedere: vi aggiornerò. Intanto, se vi incuriosisce, potete acquistarlo qui.
DiversaMente di Immanuel Casto: ho già avuto modo di parlarvi, nelle settimane scorse, di DiversaMente, l’ultimo libro di Immanuel Casto dedicato alla comunicazione e a come renderla più efficace, partendo soprattutto dalle peculiarità dell’autore. Il libro è molto divulgativo, semplice, pensato per chi forse non ha mai affrontato davvero questo tema; eppure, pur nella semplicità dei contenuti, riesce a essere estremamente efficace nel delineare alcuni punti chiave e nel suggerire strategie comunicative migliori. Personalmente, nonostante mi sia occupato più volte di questi argomenti – anche solo per l’attività che svolgo su YouTube –, lo sto trovando illuminante: perché, pur parlando di concetti in parte noti, riesce a sintetizzarli in modo chiaro, mettendo subito in evidenza cosa funziona e cosa no nelle nostre strategie comunicative più abituali. E tra l’altro ci mostra anche, concretamente, come diventare più bravi a parlare e a trasmettere il nostro pensiero agli altri. Al di là del libro in sé, penso infatti che questo sia un tema di vitale importanza, oggi più che mai, visto che nessuno ci insegna davvero a comunicare: la scuola ci insegna a scrivere, la TV forse ci insegna a litigare, ma nessuno ci spiega come relazionarci con gli altri portando il nostro punto di vista e rispettando quello altrui. Un po’ dovrebbe farlo la filosofia – e in parte, in effetti, lo fa – ma una vera “strategia della comunicazione” raramente viene insegnata ai ragazzi, o esercitata. E invece, in un’epoca di social network e di crescente chiusura in se stessi, ce ne sarebbe davvero bisogno. Il libro, dunque, è consigliato sia a chi si occupa di comunicazione per lavoro, sia a chi semplicemente si trova (ogni tanto) a discutere con colleghi, compagni di classe o familiari su questioni anche quotidiane. Se vi interessa, lo potete acquistare qui.
Quello che ho visto
E passiamo ora ai film: vedrete che nell’elenco di questa settimana ci sono solo classici, con almeno trent’anni di storia alle loro spalle. Ma non spaventatevi: sono tutte belle pellicole. Vediamole.
Ratataplan (1979), di Maurizio Nichetti, con Maurizio Nichetti, Angela Finocchiaro, Edy Angelillo: la storia cinematografica di Maurizio Nichetti è molto particolare. Esordì come regista sul finire degli anni Settanta con questo Ratataplan, che venne baciato da un buon (e inatteso) successo di critica e di pubblico; poi proseguì per qualche anno, con anche frequenti comparsate televisive, per interrompersi – dopo una serie di titoli più deludenti al botteghino – tra gli anni Novanta e i primi anni Duemila. A quel punto, Nichetti è scomparso dalle scene, o almeno dalle scene nazionali, dal piccolo e dal grande schermo. Di recente mi è capitato però di imbattermi in alcune sue comparsate sui social, e questo mi ha fatto venir voglia di recuperare quantomeno Ratataplan, il film d’esordio, originalissimo, che si può vedere facilmente su RaiPlay. La storia praticamente non c’è: Nichetti interpreta il giovane ingegnere Colombo, che non pronuncia una sola battuta in tutto il film; quasi uno Charlot post-moderno, il giovane cerca lavoro, barcamenandosi tra assurde invenzioni e l’attività di cameriere, cercando nel frattempo di far anche colpo su una vicina di casa. Il tutto è molto surreale, stralunato, e non so nemmeno se si possa parlare di vera comicità; ma in mezzo a scene assurde, mimi e pantomime, emerge quantomeno uno slancio, una strana forma di poesia. Come detto, lo trovate su RaiPlay.
Mission: Impossible (1996), di Brian De Palma, con Tom Cruise, Jon Voight, Emmanuelle Béart: ci sono attori che, in un certo senso, non tramontano mai. Passano gli anni ma restano sempre sulla cresta dell’onda: coinvolti in maxi-produzioni, protagonisti al botteghino, amatissimi dai fan. Forse il caso più emblematico, in questo senso, degli ultimi anni è quello di Tom Cruise, che col tempo ha saputo ritagliarsi un ruolo davvero sorprendente. Basti pensare che, quindici o vent’anni fa, quel divo sembrava in declino, ormai avviato su una parabola discendente: alcune vicende personali – in particolare il suo coinvolgimento con Scientology – avevano infatti logorato il rapporto con il grande pubblico, tanto che molti non lo potevano più vedere. E invece oggi Cruise è più che mai sotto alle luci della ribalta: continua a essere uno degli attori più pagati e si rivela ancora capace di portare in sala milioni di spettatori, anche quando si tratta dell’ennesimo sequel di una saga longeva. Personalmente, non ho ancora visto l’ultimo Mission: Impossible, e non ho neppure troppa voglia di farlo: i film troppo adrenalinici non sono esattamente il mio genere. Ma in famiglia c’è chi la pensa diversamente, e così abbiamo trovato un compromesso: recuperare almeno i capitoli precedenti della saga, in streaming. Dato che i figli più piccoli non conoscevano nemmeno Mission: Impossible, siamo partiti dal primo film, uscito nel lontano 1996, un film che è ancora oggi uno dei più iconici della serie, grazie anche alla celebre scena in cui Tom Cruise si cala nel caveau della CIA a Langley, sospeso a pochi centimetri da terra. Rivederlo oggi, a quasi trent’anni di distanza dalla sua uscita, è stata una piacevole sorpresa: il film regge tutto sommato bene, è ben diretto (da De Palma!), ben recitato, e alterna in modo efficace tensione e rilassamento. Certo, la sceneggiatura qua e là lascia a desiderare, ma non si può avere tutto. E poi ho anche un motivo personale per rivalutare questo film: molte scene iniziali sono ambientate a Praga, dove sono stato di recente in viaggio d’istruzione; una lunga sequenza si svolge infatti proprio dentro al Národní Muzeum, che ho visitato solo pochi mesi fa. Il film, insomma, è ancora godibilissimo e – a giudicare dall’entusiasmo dei miei figli – ha riacceso in casa nostra l’interesse per l’intera saga. Può meritare una visione e, se vi va, potete trovarlo su Netflix.
Telefoni bianchi (1976), di Dino Risi, con Agostina Belli, Cochi Ponzoni, Vittorio Gassman: ogni tanto mi piace curiosare nei cataloghi delle piattaforme di streaming, non alla ricerca della novità del momento o del film campione d’incassi, ma di qualche vecchio titolo dimenticato che valga la pena riscoprire. A volte ho fortuna e mi imbatto in pellicole degne di nota; altre volte, invece, mi sembra di rigirare sempre le stesse cose. Qualche giorno fa, per fortuna, è andata bene: ho trovato un film che non ricordavo – o forse non avevo mai neppure sentito nominare – ma che portava la firma di un regista importante. Si tratta di Telefoni Bianchi, film degli anni Settanta diretto da Dino Risi, uno dei grandi maestri del nostro cinema, anche solo per aver girato quel capolavoro che è Il sorpasso. Il titolo e la breve sinossi mi hanno subito fatto capire che il film era ambientato durante il fascismo: se non lo sapete, il cinema dei “telefoni bianchi” era infatti un genere molto in voga negli anni Trenta, fatto di commedie leggere e sentimentali, spesso incentrate su giovani donne che, per una serie di fortunate coincidenze, trovavano l’amore e salivano la scala sociale. Il nome di quel genere cinematografico, d’altra parte, derivava proprio dalla presenza di eleganti telefoni bianchi nei set, simbolo di benessere borghese. Spinto dalla curiosità per il regista, il titolo e il contesto storico, ho deciso insomma di guardare la pellicola. Non sarà forse tra i migliori film di Risi, ma l’ho trovato interessante e godibile, con diversi momenti riusciti. La storia segue le disavventure di una giovane cameriera veneziana che, pur essendo fidanzata con un pescatore del posto, cede facilmente alle avances degli uomini che incontra. Lo fa per debolezza, certo, ma anche per il desiderio di cambiare vita, di uscire dalla miseria. Dopo molte vicissitudini, il destino le sorride: si trasferisce a Roma e, incredibilmente, diventa l’amante di Benito Mussolini. Questo le apre tutte le porte, in particolare quella del cinema, dove può intraprendere la carriera che sogna. Non vi svelo come il film vada a finire, ma vi segnalo due cose che, da sole, valgono la visione. La prima è il personaggio interpretato da Vittorio Gassman: ormai maturo, ma sempre istrionico, veste i panni di un divo del cinema d’allora, vanitoso e superficiale, ma anche segnato da un’umanità struggente, che emerge nella seconda parte del film. La seconda è la piccola, splendida parte riservata a Ugo Tognazzi, così profondamente umana e al tempo stesso misera: chi ha visto il film sa bene cosa intendo. Ecco, Telefoni bianchi forse non è un capolavoro, e forse la trama principale non colpisce davvero nel segno, ma ci sono almeno due o tre storie collaterali che funzionano alla perfezione, e che rimangono impresse nella memoria. Se vi incuriosisce, lo trovate su Amazon Prime Video.
Quello che ho pensato
Avrete letto nei giorni scorsi della polemica scaturita riguardo ai contenuti di un manuale di storia per le scuole superiori. Il manuale in questione è quello firmato da Carlo Greppi e altri suoi collaboratori, ed è balzato agli onori della cronaca a causa di Augusta Montaruli, deputata di Fratelli d’Italia passata alla storia qualche settimana fa per aver mimato il verso di un cane durante un dibattito televisivo.
La pagina incriminata di quel manuale riguarda i fatti più vicini ai nostri giorni. Si tratta infatti di un commento di poche righe sull’attuale governo Meloni, che presumibilmente conclude l’opera di Greppi ed è sicuramente situato in una di quelle pagine a cui nessuno arriva mai, a fine volume. Il testo è il seguente:
All’inizio degli anni Venti cresce improvvisamente anche il partito erede del MSI e di AN, Fratelli d’Italia, guidato da Giorgia Meloni, che diventa Presidente del Consiglio nel 2022. I risultati sono impietosi: l’affluenza al voto del 63,91% è la più bassa della storia delle elezioni politiche della Repubblica e premia FdI che, nonostante ottenga poco più di 7 milioni di voti – circa un quarto dei votanti sia alla Camera sia al Senato, su oltre 50 milioni di aventi diritto – riesce a far convergere su di sé una quantità sorprendente di voti dell’estrema destra. La Lega cala parecchio, FdI si impone come primo partito e inaugura una nuova stagione della storia d’Italia. In coalizione con la Lega, con Forza Italia – che rimane presto orfana del suo leader Silvio Berlusconi, morto nel giugno 2023 – e altre formazioni minori, il governo Meloni fa proprie gran parte delle parole d’ordine di questa fase di rinascita dell’ultradestra europea. Arriva così al potere, per la prima volta, un secolo dopo la marcia su Roma e 77 anni dopo la Liberazione dal fascismo, un partito che ne ha raccolto l’eredità e continua ad avere una stretta relazione con la sua base, dichiaratamente fascista.
Il testo, per la verità, proseguirebbe, ma penso che possa bastare questo primo estratto per capire da dove nasce la polemica. Più avanti si parla anche del decreto sicurezza, definito dichiaratamente “liberticida”.
Subito dopo le polemiche di Montaruli è intervenuto il ministro Valditara, che ha richiesto un esame del libro e ha sollecitato l’Associazione Italiana Editori a intervenire sul testo, analizzandolo in profondità e prendendo in considerazione i rilievi mossi. Questi finora i fatti. Ma cosa possiamo dire al riguardo?
Ora, ci sono due tipi di analisi da fare su tutta questa faccenda, a mio avviso. La prima è di carattere storico: si tratta di studiare ciò che Greppi ha scritto per capire se quella pagina del manuale sia accurata, condivisibile oppure criticabile. Il secondo livello riguarda invece le polemiche politiche.
Sottolineo fin da subito che questa distinzione tra le due questioni non è di poco conto, ma rappresenta in realtà il vero cuore del problema. Perché noi possiamo tranquillamente criticare qualsiasi manuale di storia, ritenerlo impreciso o perfino fazioso; ma questo deve necessariamente implicare un intervento politico? Deve spingere il ministero ad adottare per quei libri atti di tipo censorio? Perché, alla fine, è proprio questo ciò di cui si sta discutendo: se il ministro Valditara abbia il potere di valutare – secondo i suoi parametri – l’attendibilità storica di un libro di testo scritto da uno studioso e pubblicato da una casa editrice libera e autonoma, e di sottoporlo eventualmente a censura.
Ora, indipendentemente da quello che si pensi del libro di Greppi – e tra poco vi dirò cosa ne penso io – temo che le dichiarazioni di Montaruli e di Valditara siano in realtà gravi, non solo perché paventano appunto interventi censori a danno degli storiografi, ma anche perché, in un modo o nell’altro, finiscono per essere intimidatorie.
Anche se la questione Greppi si risolvesse in un nulla di fatto, infatti, d’ora in poi ogni editore saprebbe di poter essere bersaglio delle critiche di qualche oscuro deputato di Fratelli d’Italia, e di poter essere osteggiato dal Ministero. Insomma, ci penserebbe due volte prima di esprimere un qualsiasi giudizio anche solo minimamente controverso sulle forze di governo. Questo è ciò che provoca la censura, sia essa effettiva o anche solo minacciata: mette a tacere le voci critiche.
Devo dire che, purtroppo, questa sembra essere una tendenza piuttosto frequente nelle attuali forze di governo. Abbiamo visto vari ministri della cultura lanciarsi in polemiche con il mondo degli attori e degli intellettuali; ora li vediamo riversarsi anche sul mondo degli storici. Polemiche che a prima vista possono sembrare innocue, simili a milioni di altre, ma che a lungo andare si rivelano in realtà pericolose.
Per fortuna, in Italia si può ancora scrivere quello che si vuole, ed è poi il lettore – o al limite il consesso dei colleghi, anche loro liberi studiosi – a valutare la validità di ciò che viene scritto. Nel caso dei testi scolastici, poi, ci sono redazioni interne che vagliano il lavoro dello storico o dell’esperto di turno; senza contare, infine, che i testi vengono scelti dal collegio dei docenti, in assoluta libertà. Si tratta in tutti questi casi di specialisti, che hanno studiato la storia sicuramente molto più di Augusta Montaruli, e che magari hanno nel curriculum qualche titolo quando si tratta di scegliere un libro di testo per i propri studenti. Il che non vuol dire che siano infallibili, ovviamente; ma la critica è bene che venga eventualmente effettuata da altri storici, da altri insegnanti, da altri esperti, e soprattutto non da chi svolge un ruolo – quello della forza di governo – che in questo caso dovrebbe essere di equilibrio e di rispetto dei ruoli.
Ovviamente, lo stesso principio vale anche a parti invertite: se un manuale scolastico sostenesse che all’interno di un governo progressista degli ultimi anni ci siano stati esponenti post-comunisti, o politiche eccessivamente stataliste, ne discuteremmo (e magari, a seconda del tono con cui si dicono queste cose, su alcuni punti potremmo anche convenire), ma senza invocare interventi politici o censori.
D’altronde, se ci pensate, quali sono gli stati in cui i libri di testo vengono decisi dalla politica? Il primo che mi viene in mente è la Russia di Putin, dove una serie di libri che si rivelavano anche solo vagamente critici verso le scelte del leader (o verso lo stalinismo) sono stati rapidamente proibiti dalle commissioni istituite dal presidente. Ma appunto, la Russia non è una democrazia, non c’è libertà di espressione, e certo non rappresenta un modello a cui ispirarsi, neppure vagamente.
Altri paesi che ragionano in questo modo sono alcuni oscuri stati americani, in cui per motivi religiosi viene vagliato addirittura il contenuto dei testi di biologia o di scienze. Cosa che, giustamente, ci fa inorridire da questa parte dell’oceano, ma che, nel meccanismo di fondo, non è così diversa da quanto Valditara sembra prospettare.
Insomma, al di là di ciò che ha scritto Greppi, vale davvero la pena rinunciare alla nostra libertà di parola, di pensiero e di ricerca storica o scientifica? Solo perché ad Augusta Montaruli dà fastidio che il suo partito venga accostato al fascismo? Francamente, la domanda ha già una risposta più che evidente, se solo ci si pensa onestamente.
Ma parliamo anche del testo di Greppi, che in quest’ultima edizione non ho ancora avuto modo di tenere tra le mani. È un testo che sul mercato c’è da un paio d’anni, e che probabilmente è stato aggiornato di recente per includere anche gli ultimi fatti di cronaca; fatti che, comunque, il 99,9% degli insegnanti d’Italia non avrà il tempo di affrontare nella normale programmazione scolastica. Ammettiamo, però, anche il caso che qualcuno legga davvero quella pagina: c’è qualcosa di scandaloso in quello che Greppi scrive, e che vi ho riportato sopra? Francamente, l’unica cosa su cui si potrebbe discutere è un po’ il tono generale, che è effettivamente piuttosto forte. Ma i fatti riportati sono dati su cui è difficile discutere.
Che Fratelli d’Italia nasca dalla tradizione del Movimento Sociale, di cui mantiene tra l’altro la fiamma tricolore nel simbolo, è un dato di fatto più volte rimarcato dalla stessa Giorgia Meloni. E che il Movimento Sociale fosse un partito derivante dal fascismo è sempre stato apertamente ammesso (e anzi rivendicato) dai suoi membri.
Allo stesso modo, che questo partito ancora oggi mantenga forti legami col fascismo, al di là delle dichiarazioni di Giorgia Meloni, è provato da diversi elementi: ad esempio, dal fatto che la base del partito si dichiari in molti casi fascista; dal fatto che lo stesso presidente del Senato, Ignazio La Russa, rivendichi con orgoglio di tenere sulla sua scrivania un busto di Mussolini; e ancora, dal fatto che fino a pochissimi anni fa molti esponenti di spicco del partito non nascondessero le proprie simpatie per il Duce.
Quello che manca nel libro di Greppi, semmai, è il tentativo di svolta che Meloni ha cercato di imprimere negli ultimi mesi e anni: un tentativo di smarcarsi almeno in parte da quell’ultradestra a cui ha a lungo fatto riferimento, e di presentarsi come una leader più moderata, più in linea col conservatorismo europeo. Sarebbe stato consigliabile, a mio avviso, riportare anche questo elemento, che permette di vedere tutta la questione in un’ottica più plurale. Ma per il resto, ciò che scrive Greppi è difficilmente opinabile.
Certo, il tono è un po’ forte – lo si può tranquillamente ammettere – ma vi dirò anche che non è raro che gli storici si esprimano con toni piuttosto duri nei confronti dei partiti attuali. Ricordo benissimo che, fino a pochi anni fa, quando al governo c’era Berlusconi, uscivano libri di testo per le superiori che parlavano del successo del Cavaliere come di un fatto nefasto per la scena politica italiana, dal punto di vista della tenuta delle istituzioni. E quella era un’opinione su cui sicuramente qualcuno avrebbe avuto da ridire, ma era un’opinione legittima, frutto del libero esame dei fatti che uno storico deve fare.
In altri casi ho visto libri di storia che non mancavano di riservare critiche ai governi di centrosinistra. Anche lì, il tono poteva essere più o meno duro, ma si restava sempre nell’ambito di un’analisi storica che ogni studioso ha il diritto di proporre, sia che la si condivida, sia che la si contesti. Tutto questo per dire che io probabilmente non avrei scritto le parole che ha scritto Greppi, non avrei usato il suo tono, ma non avrei nemmeno scritto cose completamente diverse da quelle che ha scritto lo studioso torinese. Perché i dati di fondo sono sostanzialmente veri.
E in ogni caso, anche se io avrei sottolineato di più l’abilità di Meloni nel districarsi in un contesto complicato, ritengo che Greppi e il suo editore Laterza abbiano tutto il diritto di dire ciò che pensano. E che non debba essere certo il ministro a dire a uno storico cosa è la storia, né tantomeno un deputato qualsiasi.
Non solo perché spesso non ne hanno le competenze, ma soprattutto perché il ministro dovrebbe tutelare la voce di tutti, difendere la libertà di insegnamento, garantire il pluralismo. E dare l’idea che si possa dire solo ciò che fa comodo al governo è quanto di peggio si possa fare in questo campo.
Quello che ho registrato e pubblicato
Diamo ora un’occhiata anche a tutto quello che è comparso sul canale negli ultimi giorni:
Cosa direbbero i filosofi sul reddito universale: tra le proposte più innovative degli ultimi anni, c’è stata quella del reddito universale
Tutto il Naturalismo rinascimentale in un'ora: Cusano, Ficino, Pomponazzi, Bruno, Campanella… tutti insieme, tutti in una sola ora di lezione
Atene verso la democrazia: conosciamo le riforme di Clistene, che fecero di Atene la vera culla della democrazia
L’importanza del dubbio: nuova puntata di LibSophia dedicata a una parola chiave non solo del pensiero librale, ma anche della filosofia
"Cuore di cane" di Michail Bulgakov - audiolibro spiegato parte 9: nuove disavventure per il nostro Sarik, cane ormai diventato uomo
I giudizi sintetici a priori di Kant (“Dentro alla filosofia”)
Il mondo arabo e la nascita di Israele (per il podcast “Dentro alla storia”)
Karl Marx scrive a Javier Milei [Email dall'Oltretomba]
Thomas Jefferson scrive a Donald Trump [Email dall'Oltretomba]
Marco Pannella scrive al governo [Email dall'Oltretomba]
Quello che devi fare per seguirmi sui social
Ah, prima di dimenticarci vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
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Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi e altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono gli abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i consigli della settimana.
Il trionfo della borghesia di Eric J. Hobsbawm: Hobsbawm è stato uno dei più grandi storici del secolo scorso, e lo dimostra anche il successo de Il secolo breve, il suo libro dedicato al Novecento. Lo studioso britannico, però, si era occupato anche del secolo precedente, l’Ottocento, come dimostra anche quest’altro classico (forse meno noto), Il trionfo della borghesia, che si concentra sugli anni che vanno dal 1848 al 1875. Lo si può comprare qui.
sui social questa settimana ho segnalato come al solito diversi libri appena usciti che mi paiono interessanti, una sorta di “lista della spesa” che dovrebbe rivelarsi utile anche in primis per me. Ecco i volumi, se ve li siete persi (se vi interessano, cliccate sopra alle immagini per altre informazioni):
C’è poi un ulteriore modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ce n’è uno chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate, passando anche per il Club del Libro e il Simposio. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
È inoltre da poco ufficiale la notizia di un mio nuovo libro. Solo che questa volta io, più che scrivere, ho registrato. DeA Scuola e Garzanti Scuola stanno infatti per far uscire un nuovo manuale di storia per le superiori intitolato La storia in scena, scritto da Giuseppe Patisso, Daniela De Lorentiis e Fausto Ermete Carbone, a cui ho collaborato anch’io per una cospicua parte video. Al grande progetto lavoriamo da molti mesi, ma ormai siamo in dirittura d’arrivo e, se siete docenti, potrete adottarlo se vorrete già dal prossimo anno scolastico. Tra l’altro, oltre a me ci ha messo le mani anche Aldo Cazzullo, ma non mancano anche gli storici di fama internazionale. Io in particolare ho realizzato decine di videoreel che introducono tutti i capitoli dell’opera, e in più ho preparato un ciclo di venti videolezioni specifiche (e inedite) sulla storia delle donne dal Medioevo ai giorni nostri. Ecco intanto la copertina del primo volume, ma nelle prossime settimane vi mostrerò anche altri dettagli:
Ultima cosa da ricordare: in tutte le librerie è presente il mio nuovo libro, Anche Socrate qualche dubbio ce l’aveva. Il sottotitolo rende piuttosto chiaro di cosa si occupa: Come lo scetticismo filosofico può salvarti la vita nell’epoca della performance. In pratica riprendiamo il pensiero di alcuni grandi filosofi (Socrate, Occam, Montaigne, Hume, Popper e altri ancora) e cerchiamo di trarne degli insegnamenti per vivere meglio oggi, in un mondo in grande cambiamento; e cerchiamo di farlo tramite uno stile non difficile ma stimolante. Il libro è disponibile sia in formato cartaceo che ebook. Ecco qualche link per l’acquisto:
Quello che c’è in arrivo
Prima di salutarci, lasciate che vi presenti quello che ho intenzione di proporvi nella settimana entrante:
domani sera si svolgerà intanto la riunione del Club del Libro dedicata al Leviatano di Thomas Hobbes (se non siete abbonati, correte ad abbonarvi);
mercoledì e giovedì tornano i podcast, con una puntata su Kant e un’altra su Nasser;
venerdì vorrei proporvi un video della serie Travel Club, dedicato ai monasteri di Subiaco;
sabato sarà la volta di uno short “musicale”, incentrato su una canzone (che non vi anticipo) dal forte gusto storico;
domenica prossima vi presenterò, credo, un video su Ingmar Bergman, grande regista svedese che mise molta filosofia nei suoi film;
lunedì prossimo, infine, sarà ancora la volta del podcast filosofico e di Kant, con la distinzione tra fenomeno e noumeno.
E questo è tutto anche per questa settimana. Ci rivediamo qui tra sette giorni esatti (o a Rovigo, se passate da queste parti). A presto!
Gentile Ermanno. Il tuo commento sulla questione “Libro di Greppi”, mi sono permesso di condividerlo interamente ai miei colleghi del dipartimento di italiano, nonché ovviamente il tuo link🤗