L'intelligenza artificiale davanti alla morte, con spunti però anche su Charlie Chaplin, Alessandro Barbero, Franco Battiato, Socrate, Tom Selleck, i Monty Python, Dylan Dog e Henry David Thoreau
Rieccoci qua di nuovo insieme per una nuova newsletter settimanale. Se siete qui per la prima volta, sappiate che in questa mail, che spedisco ogni lunedì spesso a tarda sera, condenso tutto quello che di culturalmente rilevante ho fatto durante la settimana: quindi troverete, proseguendo nella lettura, i video e podcast che sono usciti questa settimana ma anche i libri che ho letto e i film che ho visto.
Poi troverete anche la parte forse più corposa della mail, riservata a una riflessione in genere di carattere storico-filosofico. Come noterete, tendo lì a stare abbastanza alla larga dall’attualità più spicciola, anche se questa settimana in realtà ci sarebbero stati molti temi degni di nota da trattare: le uscite (improvvide) del ministro Valditara, la drammatica morte di un numero consistente di migranti nei nostri mari, perfino la polemica sui libri di Roald Dahl di cui abbiamo parlato insieme agli abbonati del canale YouTube su Telegram in questi giorni.
Magari su quest’ultimo tema, su Dahl, spenderò qualche parola nelle prossime settimane perché la questione in effetti mi stimola qualche idea che potrebbe essere interessante anche per voi, ma oggi come vedrete al centro della riflessione settimanale c'è ancora una volta l'intelligenza artificiale, un tema di cui credo dovremmo cominciare a occupare in maniera seria; non perché io, al riguardo, sia particolarmente allarmista, ma perché questo ambito rappresenta sicuramente la sfida e la prospettiva del prossimo futuro.
Presto arriveranno comunque anche altre novità: sto lavorando ad articoli, corsi, perfino qualche piccolo evento di cui vi darò certo notizia. Ora però addentriamoci nella newsletter e cominciamo come sempre dei libri.
Quello che ho letto
Come vedete, nell’elenco dei libri di questa settimana ci sono tre saggi e nessun romanzo. È un po’ una particolarità, ma non è l’unico elemento che balza agli occhi: ad unire i tre volumi della settimana c’è anche il fatto che sono tutti e tre piuttosto brevi, anche se piuttosto diversi tra loro per tono e stile. Vediamoli.
Il futuro dell’immagine di Federico Vercellone: il primo libro della lista è questo saggio del 2017 del professor Federico Vercellone, di cui ho già parlato anche in alcune altre occasioni nelle settimane scorse. La lettura me la sto portando dietro da un po’, e devo dire che non è troppo agevole. Il tema del saggio è l’estetica contemporanea e il ruolo dell’arte – anzi, per la precisione dell’immagine – in un mondo come quello attuale che, sotto diversi punti di vista, è in grande mutamento. Il procedere della trattazione è complesso, difficile: spesso chi si occupa di estetica – vuoi forse anche per il fatto di dover riflettere su qualcosa che mal si presta ad essere sintetizzato in parole – ha una prosa particolarmente involuta, che allude senza mai spiegare troppo chiaramente. Anche Vercellone, che pure ha delle intuizioni qua e là interessanti, mi sembra andare in questa direzione, rendendo un po’ oscuri o comunque pesanti i passaggi del proprio discorso. Comunque è presto per valutare del tutto l’opera: con la scusa che certe frasi bisogna rileggerle più volte (nonostante non si tratti di Heidegger e non si stia parlando dell’essere, eh), sono ancora più o meno solo alla metà del volume. Se vi interessa, lo potete comprare qui.
A che ora si mangia? di Alessandro Barbero: questa settimana mi è capitato sottomano anche questo libriccino di Alessandro Barbero e, incuriosito dal titolo e animato da grande fiducia nell’autore, l'ho comprato e letto tutto d'un fiato, anche perché è effettivamente molto molto breve. A ben guardare, anche definirlo libro è forse un po' esagerato, visto che in realtà si tratta forse più di un articolo lungo (comunque pubblicato a sé, probabilmente con l’intento di strappare qualche euro al curioso lettore, giocando sulla fama di Barbero). Quello che a voi interessa maggiormente, però, è probabilmente sapere se il libro valga la pena della lettura: e in questo caso non saprei bene come rispondere; il volumetto è effettivamente interessante ma mi è sembrato anche dal punto di vista editoriale un po' furbo. Il tema è quello degli orari dei pasti e di come questi orari si siano evoluti lungo gli ultimi due secoli: prima si fa notare, giustamente, che tra il '700 e il '900 l'orario del pranzo si è gradualmente spostato all'incirca da mezzogiorno alla sera, tanto è vero che ha finito per sostituire la cena; poi si nota come questo graduale spostamento ha portato alla nascita di una seconda colazione per riempire il vuoto del pranzo classico; infine, il percorso si è completato con un generale cambiamento di nomi, almeno in italiano, dove il pranzo spostato alla sera è diventato alla fine dei conti “cena” e la seconda colazione è diventata “pranzo”. Detta così può sembrare anche una questione piuttosto complicata, ma in realtà con poche pagine tutto si spiega e tutto si comprende piuttosto facilmente, grazie anche a vari riferimenti documentari e letterari forniti dall’autore. Il guaio, casomai, è che effettivamente per dirimere una questione di questo tipo bastano probabilmente cinque o al massimo dieci pagine, e d'altra parte bisogna anche ammettere che una problematica del genere forse non merita niente di più di questo. Invece Barbero ne trae un libro breve ma non brevissimo, che sembra perfino un po' allungato nel suo insistere sempre sugli stessi argomenti. Sarebbe forse stato interessante ampliare un po' il discorso e analizzare più in profondità le cause sociali di questo slittamento degli orari dei pasti, ma su questo tema lo storico piemontese fa solo qualche accenno, preferendo invece dilungarsi sulle citazioni da questo o quel memoriale. Insomma, mi aspettavo forse un po' di più, ma comunque il libretto rimane – per rimanere in tema culinario – abbastanza gustoso. Lo potete acquistare qui.
La filosofia di Dylan Dog di Giulio Giorello: concludiamo con il saggio di cui ho iniziato a parlare la settimana scorsa e che in questi giorni ho rapidamente concluso. Si tratta di un libro postumo, visto che il povero Giorello è venuto a mancare nel 2020 a causa del covid; e proprio per questo si tratta in realtà di un libro che raccoglie una serie di articoli e di introduzioni che il filosofo della scienza ha scritto lungo gli anni (dagli anni '80 agli anni '10) parlando, direttamente o indirettamente, di Dylan Dog, uno dei suoi fumetti preferiti. Bisogna dire che anche in questo caso l'operazione non è del tutto riuscita: gli articoli che Giorello scriveva per il Corriere della Sera erano abbastanza generici e vaghi, come spesso accade sulla stampa nazionale; sfioravano gli argomenti filosofici senza mai entrare veramente in profondità e, riletti uno dietro l'altro, danno soprattutto l'impressione di una passione per Dylan Dog che fa anche sorridere ma che non ti lascia poi niente di particolare, non ti fa conoscere nulla che già non sai… Insomma, il libriccino lo vedo più come un omaggio a Giorello e forse a Tiziano Sclavi che non come un vero e proprio saggio di filosofia. Se però amate il filosofo o il fumetto, forse potrebbe comunque interessarvi. Lo trovate qui.
Quello che ho visto
Passiamo ora ai film e alle serie TV. Come vedrete, questa settimana non sono riuscito a guardare nulla di particolarmente nuovo, forse perché anche l'offerta di queste settimane dei servizi di streaming mi pare tutto sommato abbastanza deludente. In compenso ho recuperato dei classici anche molto datati, più o meno belli.
Alibi seducente (1989), di Bruce Beresford, con Tom Selleck, Pavlina Porizkova, William Daniels: questa settimana mi sono accorto che su Warner TV, emittente che dovreste trovare gratuitamente sul digitale terrestre, sta girando in repliche infinite un film di fine anni '80 che non vedevo da circa trent'anni: si tratta di Alibi seducente, dimenticabile commedia thriller interpretata da quello che all'epoca era un vero e proprio sex symbol del piccolo schermo, un Tom Selleck appena uscito fresco fresco da Magnum, P.I. Quando ero bambino, questo, tra i film che i miei genitori per un motivo o per l’altro avevano registrato in videocassetta, era uno dei miei preferiti, tanto che devo averlo visto decine e decine di volte. C'è stato un momento della mia infanzia, infatti, in cui non facevo altro che riguardare I Goonies, Piramide di paura, Senza indizio e appunto Alibi seducente: e se i primi due sono tutto sommato ottimi film per ragazzi, e il terzo è più che discreto, Alibi seducente – me ne sono bene accorto in questi giorni, quando ho provato a riguardarlo – è tranquillamente e largamente più scarso della quaterna. La trama è molto semplice: uno scrittore di gialli in crisi incontra una giovane e bella ragazza rumena accusata di un efferato omicidio; colpito dalla purezza della ragazza, lo scrittore decide di fornirle un alibi completamente inventato solo per tirarla fuori di prigione. Per poi dare maggiore sostanza a questo alibi, lo scrittore decide di ospitare l'indagata a casa sua, ma le cose si complicano subito quando la ragazza inizia a manifestare dei comportamenti molto strani, tanto da far temere allo scrittore che possa essere davvero una omicida. Detta così può sembrare anche una trama abbastanza accattivante, ma in realtà ci sono un buon numero di buchi di sceneggiatura e soprattutto l'interpretazione della co-protagonista, l'allora top model Pavlina Porizkova, non è certo indimenticabile. Quando ero bambino, però, ricordo che mi faceva molto ridere il contrasto tra la voce fuori campo, che accompagna tutta la pellicola, e quello che effettivamente accadeva sullo schermo, che era invece molto meno nobile di quanto la voce non lasciasse pensare; un espediente che già allora era trito e ritrito ma che io avevo imparato a conoscere solo con quel film. Insomma, rivederlo in questi giorni è stato soprattutto un omaggio alla mia infanzia, un gesto vagamente nostalgico, e devo anche dire che qualcosa di buono nella pellicola c'è: ad esempio Tom Selleck, che risulta sempre a suo agio in ruoli da “macho incerto”. Però non so onestamente se questo film lo consiglierei anche a qualcun altro.
Il monello (1921), di Charlie Chaplin, con Charlie Chaplin, Jackie Coogan, Edna Purviance: come ho scritto anche sui social network, proprio ieri sera sono riuscito a convincere i miei figli a guardare non sono un film in bianco e nero, cosa che di per sé è già abbastanza rara, ma addirittura un film muto, cosa che fino ad oggi non mi era forse mai riuscita. Per non bruciarmi subito quest'unica opportunità con il cinema muto, ho deciso di puntare su un film che non potevano non amare: Il monello di Charlie Chaplin, disponibile in questi giorni su RaiPlay in modo completamente gratuito. Effettivamente l'esperimento è riuscito: perfino il figlio più piccolo, che sta per compiere otto anni, è rimasto tutto il tempo incollato allo schermo, commuovendosi quando il monello veniva portato all'orfanotrofio, saltellando quando Charlot faceva a botte col pugile di periferia e facendo in generale sempre il tifo per il simpatico vagabondo interpretato da Charlie Chaplin. La storia credo la conosciate: un piccolo bambino viene abbandonato da una ragazza madre in difficoltà e allevato da un poveraccio, che vive di espedienti anche grazie al suo aiuto. Ad un certo punto però il bambino si ammala e l'orfanotrofio viene a prenderlo: per fortuna l'intervento della madre, ora diventata ricca, risolve la situazione. Se non l'avete mai visto, dovete assolutamente rimediare: dura circa un'ora ed è ancora oggi uno dei più grandi capolavori della storia del cinema. Cercatelo su RaiPlay, dove ci sono anche altri grandi film di Chaplin.
Monty Python’s Flying Circus episodio 1.04 (1969), di e con i Monty Python: ritorno a parlarvi, dopo un po’, anche dei Monty Python, il celebre gruppo comico britannico. Come già anticipato nelle settimane scorse, sto un po’ alla volta riprendendo in mano la storica serie Monty Python’s Flying Circus, che esordì sulla BBC addirittura nel 1969 e che oggi si trova senza difficoltà, anche se in lingua originale e con i sottotitoli, su Netflix. Questa settimana ho visto il quarto episodio della prima stagione, intitolato Il momento di strapazzare le civette, mandato in onda originariamente dell'ottobre 1969. Anche in questo caso ci sono molte gang memorabili, ma forse quella più simpatica di tutte è lo sketch intitolato L'autodifesa contro la frutta fresca, una gag in cui un militare istruisce i suoi soldati su come difendersi dagli attacchi condotti con banane, frutto della passione, arance e altro ancora. Il non-sense, com’è facile intuire, regna sovrano.
Quello che ho pensato
Come vi ho in parte già accennato all’inizio, ci sarebbero molte cose da dire, questa settimana. I mezzi di informazione tradizionali si sono focalizzati soprattutto su due questioni: da un lato, l’anniversario dell’inizio della guerra in Ucraina; dall’altro, la morte improvvisa di Maurizio Costanzo, giornalista e presentatore televisivo tra i più celebri degli ultimi quarant’anni e passa.
Su questi due temi si sono però già consumati fiumi di inchiostro e credo non valga la pena di tornarci sopra, anche perché di quello più interessante (la guerra) ho già scritto a suo tempo e la situazione in fondo in questi ultimi mesi non è davvero cambiata.
Per non soffocare nell’attualità più spicciola, vorrei proporvi oggi, invece, una piccola riflessione che riguarda ancora il tema dell’intelligenza artificiale, attorno al quale ho girato abbastanza con la mente nelle ultime settimane. Come vi raccontavo la settimana scorsa, questo è stato anche l’argomento di una lezione che ho tenuto qualche giorno fa a Bologna, giocando “fuori casa”, e proprio da uno studente in quell’occasione è venuta la domanda che dà il via al pensiero di questa settimana.
Parlando di differenze tra intelligenza artificiale ed intelligenza umana, il giovane liceale bolognese mi ha chiesto se secondo me in futuro le intelligenze artificiali saranno in grado di evolvere come fanno gli umani, di diventare via via sempre più evolute in maniera autonoma e indipendente rispetto a noi. Una domanda per la verità piuttosto intelligente: le macchine da qualche tempo sono in grado di apprendere, in un certo senso mimando anche gli schemi di apprendimento umani. E se anche oggi la distanza tra questi due tipi di apprendimento è enorme, non è detto che in futuro le differenze non possano diminuire.
Certo, l’idea che le macchine possano staccarsi dal controllo umano è pura fantascienza; però si può evolvere in molte direzioni: imparando cose nuove, dotandosi di schemi di funzionamento diversi da quelli imposti alla partenza dal programmatore, diventando qualcosa di diverso da ciò che si era inizialmente programmati ad essere. E qualcosa del genere, anche se in misura contenuta, le macchine hanno già cominciato a farlo.
Sul momento, a Bologna, davanti all’intervento del ragazzo ho provato ad abbozzare una risposta, ma sul tema ho riflettuto anche nei giorni successivi, anche perché mi sono trovato a dover scrivere un articolo (di cui presto vi parlerò) che sfiorava argomenti simili. In sintesi, la risposta è stata questa: non credo che le macchine evolveranno mai veramente, se non sempre entro certi limiti o procedimenti pensati dall’uomo. E questo non perché, in linea teorica, non siano in grado di farlo, ma perché mancherà loro la spinta autonoma a farlo.
Cerco di spiegare il perché di questa risposta, anche se prima di tutto dobbiamo intenderci: qui col termine “evoluzione” non intendo, come forse avrete già intuito, l’evoluzione biologica, darwiniana, della specie. Intendo, piuttosto, quella spinta al miglioramento culturale complessivo del genere umano, quell’anelito a conoscere di più e meglio, a modificare l’ambiente secondo i nostri scopi, a lasciare traccia della nostra presenza sulla faccia della Terra. Oltre all’evoluzione biologica che ci ha portati dalla scimmia all’homo sapiens sapiens, infatti, c’è anche questa “evoluzione” in senso lato, questo progressivo miglioramento artistico e culturale: ed è proprio questo secondo tipo di evoluzione che secondo me le macchine non potranno mai spontaneamente replicare.
Il motivo è semplice: non hanno i nostri stimoli, almeno per ora. Cos’è, infatti, che nel corso degli ultimi millenni ha spinto l’uomo a creare sistemi di pensiero e di potere sempre più elaborati, ad uscire dalle caverne e a costruire palazzi alti centinaia di metri? In quattro parole, a mio avviso è stata: la paura della morte.
Come hanno intuito – in modi e forme diversificate – decine di filosofi nel corso degli ultimi secoli, ciò che più caratterizza la specie umana è la spinta ad espandere la vita; quella che Spinoza chiamava conatus, che Hobbes definiva bramosia naturale, che Schopenhauer identificava con la volontà di vivere, che Nietzsche presentava come volontà di potenza, che Bergson individuava nello slancio vitale, che Jung chiamava libido e che Adler presentava come aspirazione alla superiorità: mille espressioni diverse per identificare sempre più o meno la stessa cosa, cioè una spinta, un’energia a espandere la vita.
E questa energia non può che nascere dalla consapevolezza – a volte chiara e distinta, altre volte implicita e che non si ha il coraggio di confessare a voce alta – che la vita è limitata. È quel limite, anzi è l’insopportabilità di quel limite, che ci porta a voler lasciare il segno, a voler vivere di più e meglio, a cercare di creare qualcosa che duri nel tempo, oltre a noi. E quindi a voler dar vita a qualcos’altro, sia esso un figlio, un’ideologia politica o un poema letterario. Ho il forte sospetto che se l’uomo fosse stato immortale, non avrebbe fatto grandi progressi su questo mondo; e che ciò che distingue più propriamente l’uomo dagli altri animali sia quindi la consapevolezza della propria morte, cioè il fatto di potersi prefigurare il proprio decesso.
Se questo è vero, le macchine non possono avere il nostro stesso stimolo a evolvere. Che cosa sono, infatti, queste intelligenze artificiali? Da un lato c’è il loro lato materiale, fisico: il server in cui gira il programma, i terminali in cui si inseriscono gli input e da cui si ricevono gli output. E questo “lato materiale” delle macchine è ovviamente soggetto al divenire, e quindi deperibile, “mortale”. Ma questo lato materiale non pensa, non ha coscienza di sé; è davvero una res extensa cartesiana completamente staccata dalla sua res cogitans.
Perché la sua res cogitans artificiale è il codice, il programma. E il programma è un’entità immateriale, a ben pensarci. Un codice, un algoritmo, qualcosa che non ha di per sé materia: è molto più simile a un’idea platonica (o, meglio ancora, a un teorema euclideo) che a alla materia bruta.
Ad esempio, potreste dire che il Teorema di Pitagora sia soggetto al divenire? Che possa “morire” o deteriorarsi o scomparire? Ovviamente no: queste sono parole ed espressioni che, se riferite ad un teorema geometrico, non hanno alcun senso. Allo stesso modo, anche un algoritmo non può deperire, non può consumarsi: non importa dove viene scritto o dove viene eseguito, esso sembra avere un’esistenza altra, indipendente dalla realtà fisica.
Se questo – per quanto possa sembrare influenzato da Frege – è vero, allora gli algoritmi sono immortali; e se non hanno paura di morire, forse non hanno neppure lo stimolo ad evolvere.
Lo so, per ora sono pure suggestioni e solo il tempo potrà dirci se davvero il meccanismo del progresso funziona come qui ho cercato di delineare. Ma, visto che siamo in tema di suggestioni e di intelligenze artificiali, vorrei chiudere proprio con una suggestione – guarda caso – fantascientifica. Ricordate, probabilmente, Blade Runner, il capolavoro di Ridley Scott uscito nei cinema ormai più di quarant’anni fa, nel 1982. Ebbene, là le macchine tentavano di evolversi, ribellandosi a quello che era in un certo senso il loro “codice”; ma lo facevano proprio quando acquisivano consapevolezza della morte, del fatto cioè di essere destinate alla distruzione. E lo facevano perché non erano semplici programmi in esecuzione su un qualsiasi computer, ma erano androidi, cioè robot umanoidi, in cui, cartesianamente parlando, la res cogitans e la res extensa costituivano un tutt’uno.
Senza questa precondizione, senza la fusione vera di anima e corpo che avviene solo nell’uomo, la ribellione delle macchine sarebbe stata impensabile. Chissà se sarà davvero così.
Quello che ho registrato e pubblicato
Come promesso, facciamo il punto, come ogni settimana, anche sui video e sui podcast che ho pubblicato nei giorni scorsi:
La filosofia di Duns Scoto: ecco un pensatore medievale importanti di cui non avevamo ancora parlato in video
La religione nella Roma tardoantica: culti orientali, gnosticismo, neoplatonismo e infine anche cristianesimo
L'autunno del Medioevo - Audiolibro spiegato parte 21: continua la lettura del capolavoro di Huizinga, con l’analisi di un paio di famose opere d’arte
La filosofia di Socrate (parte 1) [Filosofia per ragazzi 11]: continua il viaggio per ragazzi alla scoperta della filosofia, parlando di Socrate
L’umanesimo italiano e Petrarca (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
Altri umanisti italiani (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
La Restaurazione e il Congresso di Vienna (per il podcast “Dentro alla storia”)
Centro di gravità permanente e Matteo Ricci
@scrip79Cerco un centro di gravità permanente, cantava a inizio anni '80 Franco Battiato. Una canzone piena di frasi all'apparenza strane, ma in realtà ricercate e sensate. Una di queste fa riferimento ai gesuiti euclidei: e dietro c'è Matteo Ricci #storia #FrancoBattiato #Centrodigravitàpermanente #MatteoRicci #gesuiti #euclideiTiktok failed to load.
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Camminare di Henry David Thoreau: Thoreau non è uno di quei filosofi che di solito si studiano al liceo, e anzi forse spesso non lo si studia nemmeno all'università. Eppure è stato uno dei pensatori più influenti della sua epoca ed è ancora oggi uno dei più interessanti da leggere. La sua trattazione, in primo luogo, è tutt'altro che tradizionale: gli interessa poco parlare di metafisica e problemi puramente teorici quanto piuttosto di affrontare questioni concrete, sia che riguardino la disobbedienza civile, la vita nei boschi o appunto, come nel caso del libro in questione, l’arte del camminare. Visto proprio che camminare è un’attività che fa sempre bene allo spirito, allora come oggi, penso che il libro che ho scelto di proporvi qui di seguito possa risultare per voi assai interessante. Lo si può comprare qui.
Introduzione ad Adobe Premiere Pro: ogni tanto qualcuno di voi mi chiede come faccio a registrare i video per YouTube e soprattutto a montarli. Io uso un programma che si chiama Final Cut Pro X e che è disponibile solo per Mac, ma in realtà di programmi del genere sul mercato ce ne sono vari, a volte costosi e a volte un po' più economici. Uno degli standard più diffusi è rappresentato da Adobe Premiere Pro, software disponibile su tutti i sistemi operativi principali e quindi anche su Windows. Se volete cominciare a impratichirvi con questa applicazione, che è piuttosto complessa, vi conviene probabilmente partire da un bel corso, o meglio da una serie di corsi come quelli che vi suggerisco oggi e che sono offerti da Domestika in un agile bundle: il pacchetto è infatti composto da ben 38 lezioni ad un prezzo estremamente vantaggioso, di appena 9,99 €. Così, nel giro di poco tempo e con una spesa davvero minima, potrete imparare i rudimenti di un software professionale per il montaggio video. Il corso lo trovate qui.
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né fare corsi, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Quello che c’è in arrivo
Chiudiamo come al solito, prima di salutarci, anche con una veloce carrellata dei video che sono in lavorazione in questi giorni e che presumibilmente usciranno su YouTube e sui canali podcast in questa settimana:
arriverà sicuramente la terza e ultima puntata della serie di video dedicati alle prove dell'esistenza di Dio;
dovrei finalmente riuscire a fare anche un video su Spinoza in un'ora;
infine spero – ma dipenderà molto anche dai tempi di questa settimana – di riuscire a far partire una nuova serie di video dedicata alla primavera araba e alla guerra in Siria;
poi, ovviamente, ci sarà spazio anche per i podcast, visto che con filosofia parleremo di platonismo e aristotelismo in chiave rinascimentale mentre con storia discuteremo dell'età della Restaurazione, iniziando anche a vedere i moti del 1820.
E questo è tutto, per questa settimana. Ci ritroviamo qui tra sette giorni esatti. Non mancate.