Noi davanti alla questione della striscia di Gaza, ma parlando anche di Wes Anderson, Only Murders in the Building, Venezia, 1984, apartheid, Non così vicino, Cartesio e Ippolito Nievo
È passata una settimana dalle prime parole che scrivevamo, qualche giorno fa, riguardo alla crisi che si è venuta a creare attorno alla Striscia di Gaza, e per la verità non molto è cambiato. Ci sono stati molti morti, sì, ma nell’aria si sente un’atmosfera quasi di quiete prima della tempesta, l’impressione che forse il peggio debba ancora arrivare.
Al tema questa settimana ho dedicato vari discorsi, come vedrete. Da un lato, proprio oggi è uscito un breve video che fa il punto sulla situazione così com’è in questo momento, direi quasi “sul campo di battaglia”, ma che cerca anche di suggerire un diverso approccio alla questione rispetto a quello che sempre più spesso si vede sui social network. Ma sul tema – se vi interessa – ritornerò in maniera più estesa anche più avanti in questa stessa newsletter, nella rubrica Quello che ho pensato.
Per il resto, parleremo di libri che mi sembrano interessanti, di film e serie TV che vanno abbastanza di moda e poi di tante altre cose, come al solito.
Prima di cominciare – e di immergerci anche in alcuni orrori del nostro tempo – concedetemi però di sfuggita un paio di note più liete: ieri il canale YouTube ha raggiunto un traguardo importante, ha superato infatti i 10.000.000 di visualizzazioni. Significa che i miei video (senza contare tra l’altro i podcast fuori da YouTube, che sono conteggiati a parte) sono stati visti 10 milioni di volte. Considerando che sono video spesso lunghi, complessi, di studio e non certo d’intrattenimento, mi pare una cifra importante e che, nel mio piccolo, mi inorgoglisce molto. Ovviamente i miei numeri non sono nemmeno i soli: ci sono tanti altri studiosi – anche in discipline diverse – che fanno un ottimo lavoro e ottengono risultati simili se non migliori. Segno che c’è ancora interesse per la cultura, per il sapere, per la riflessione. Mi sembra che ci sia, nonostante tutto, motivo di sperare.
La seconda cosa: se siete di Rovigo vi ricordo che sabato 21 ottobre, alle 10 al Teatro Sociale, si terrà la grande festa per il centenario del Liceo Scientifico Paleocapa. Io sarò sul palco per una rievocazione storica coi miei ragazzi, e anche per tenere le redini della mattinata, facendo (più o meno) da “showman dei poveri”. Se avete fatto questa scuola, se siete parenti di chi l’ha fatta o se siete semplicemente curiosi, al momento credo ci sia ancora qualche posto disponibile tra il pubblico (gratis, previa prenotazione a questa mail, indicando ovviamente che si vuole un posto per l’evento del Paleocapa del 21 mattina).
E ora cominciamo davvero.
Quello che ho letto
Partiamo dai libri. Questa settimana ritorniamo un po’ all’antico, con un volume nuovo e due vecchi, che mancavano da queste colonne da un po’.
Le confessioni d’un italiano di Italo Nievo: in primo luogo, questa settimana – dopo aver terminato qualche libro “urgente” – ho finalmente ripreso a leggere Le confessioni d’un italiano di Ippolito Nievo, uno dei testi base del Risorgimento italiano che mi sta tenendo compagnia ormai da diversi mesi. Come ricorderete, infatti, si tratta di un libro lunghissimo, di migliaia di pagine, ma posso ben dire di essere già oltre la metà, e quindi mi sa che, dopo tutto questo sforzo, almeno poi dovrò necessariamente portarlo a termine. Questa settimana comunque l'ho ripreso in mano, riallacciando le fila del discorso: il nostro Carlino, il protagonista, è ormai diventato un nobile veneziano, e però guarda con una certa sfiducia a quello che sta accadendo alla Serenissima, visto che Napoleone è alle porte e i nobili della laguna non sembrano minimamente in grado di fronteggiarlo. Ci stiamo insomma avvicinando all'esito del Trattato di Campoformio, al passaggio del Veneto all'Austria e a tutto quel che ne conseguirà. Come spesso accade in questo romanzo, vicende storiche più alte si legano però a quelle personali dei vari personaggi creati da Nievo, con un modo curioso, divertente e interessante di trattare le varie questioni. Lo scrittore, infatti, riesce a guardare alle vicende umane con un occhio sardonico, molto diverso da quello che esibiva in quegli stessi anni il suo collega Manzoni; Nievo è sempre divertito e divertente, non prende niente troppo sul serio e per questo riesce ad essere acuto e sagace nelle sue descrizioni, con una penna assai mordace. Insomma, lungo e prolisso, ma consigliato. Il libro è acquistabile qui.
1984 di George Orwell: come ho forse già annunciato altrove, il prossimo libro che abbiamo scelto di leggere all'interno del Club del libro tra gli abbonati del canale YouTube è il celebre 1984 di George Orwell. Un romanzo che ho letto almeno un paio di volte, una da liceale e l'altra credo all'università, ma che non fa male riaffrontare adesso, a distanza di parecchi anni; spero anzi che questa ennesima rilettura mi aiuterà a scovare qualche spunto in più, qualche suggestione nuova, magari facendomi notare cose a cui non avevo dato troppo peso in precedenza. La trama credo la conosciate più o meno tutti: il protagonista è Winston, un grigio burocrate che lavora al Ministero della Verità in un distopico mondo del futuro. In questa realtà futuribile l'Inghilterra è diventata la sede di un governo totalitario perennemente in guerra contro vari nemici e perennemente interessato a controllare la mente dei suoi cittadini, perlopiù tramite la manipolazione della storia e del linguaggio. Ad esempio, uno dei compiti di Winston, che viene mostrato fin dalle prime pagine del libro, è quello di correggere vecchi quotidiani, o meglio cancellare in essi le tracce di persone che sono state “vaporizzate” dal partito, un po' come faceva Stalin con le vittime delle sue purghe. Il clima è cupo e teso, e la narrazione vera e propria passa quasi in secondo piano visto che l'obiettivo principale è quello di descrivere questo stato totalitario e totalizzante che Orwell temeva si sarebbe prima o poi imposto nella storia; e allo scrittore britannico, tra l’altro, proprio questa settimana ho dedicato anche un video che trovate segnalato più avanti, video in cui entro maggiormente nel dettaglio storico e forse anche filosofico di tutto questo. In generale, comunque, 1984 è una delle letture più interessanti che ancora oggi si possano fare per chi voglia capire non solo i rischi del totalitarismo (che ormai, nella sua forma più elementare, in buona misura ci siamo lasciati alle spalle), ma anche i pericoli delle nostre moderne società civili, che nonostante l'impianto democratico riescono a volte ad emulare, almeno in parte, quei sistemi che tormentavano gli incubi di Orwell. Se il libro vi interessa, lo potete acquistare qui.
Il mondo scritto di Martin Puchner: infine, ho potuto finalmente ributtarmi in questi giorni anche su Il mondo scritto di Martin Puchner, saggio molto discorsivo che cerca in un certo senso di tracciare una storia dell'evoluzione della letteratura nelle grandi società umane. Partendo da quelle primitive rappresentate dalla saga di Gilgamesh, passando poi per i tempi di Socrate, Confucio, Buddha e Gesù, arrivando quindi al Giappone di Genji, al Don Chisciotte di Cervantes e perfino, nell'ultimo capitolo, all’Harry Potter di J.K. Rowling, l'idea è quella di fornire una panoramica di quanto la letteratura abbia inciso sulla storia, nascendo da precisi contesti culturali e però portandoli anche avanti, cambiandoli, esaltandoli o modificandoli. In generale – visto che questa settimana sono riuscito anche a finirlo – Il mondo scritto mi è sembrato un buon libro; forse non straordinario, perché l'autore tende a voler raccontare tutto dal suo punto di vista, inserendo all'interno della narrazione frequenti digressioni sui suoi viaggi alla ricerca delle tracce dei testi, e a me dei suoi viaggi interessava francamente poco; ma, al di là di questo eccessivo protagonismo, il libro mi pare possa essere anche suggestivo. Tra l’altro, a suo merito, bisogna anche dire che traccia un percorso che non si limita, come spesso avviene, alla sola letteratura occidentale, ma abbraccia anche quella araba, quella orientale e perfino quella africana. Direi che se siete alla ricerca di un testo introduttivo ma anche affascinante sul lungo percorso della letteratura mondiale, questo probabilmente è il libro che fa per voi. Lo potete acquistare qui.
Quello che ho visto
Passiamo ora a film e serie tv, con titoli in buona parte piuttosto originali.
Only Murders in the Building episodio 3.08-3.09 (2023), di Steve Martin e John Hoffman, con Steve Martin, Martin Short, Selena Gomez: questa settimana ho visto anche un paio di nuovi episodi di Only Murders in the Building, gli ultimi due prima del gran finale (che ho deciso di tenermi da parte e gustare con calma, anche se avevo la curiosità di sapere chi fosse il colpevole). Come forse ricordate, questa è una serie TV di cui vi ho parlato spesso, incentrata infatti su tre detective dilettanti alle prese anche con un podcast e soprattutto una serie di omicidi. Questa terza stagione mi sta in generale convincendo un po' meno delle due precedenti: la grande presenza di attori di prim’ordine, infatti, mi sembra aver tolto spazio alla chimica che c'era tra i tre protagonisti e in generale il risultato mi pare un po' più convenzionale. Detta in altri termini, per dare abbastanza scene a Meryl Streep e a Paul Rudd, si sono tolte scene a Steve Martin, Martin Short e Selena Gomez, cosa che alla lunga indebolisce a mio avviso l'impianto generale dello show. Ad ogni modo, le puntate sono pur sempre ben scritte, la trama è abbastanza appassionante e quindi il tutto si lascia tranquillamente guardare. Mi manca ancora, come detto, il gran finale, ma per il momento si procede. La trovate su Disney+.
Il cigno / Il derattizzatore / Veleno (2023), di Wes Anderson, con Rupert Friend, Benedict Cumberbatch, Ralph Fiennes: se avete aperto Netflix in questi giorni non potete non aver notato una serie di cortometraggi ampiamente reclamizzati sulla piattaforma di streaming. Hanno tutti dei titoli poco accattivanti, dei colori un po' spenti e, quando li fate partire, un ritmo particolarissimo. Se conoscete un po' il suo stile non potete non esservi accorti che si tratta di brevi film realizzati da Wes Anderson e usciti praticamente in contemporanea ad Asteroid City, il suo ultimo film da poco lanciato al cinema. In realtà l'intento di questi corti non è però puramente promozionale: essi derivano infatti da un accordo stretto qualche mese fa tra Netflix e la società che detiene i diritti delle opere di Roald Dahl. Netflix, infatti, grazie ad un cospicuo investimento economico ha deciso di adattare alcune di queste storie inizialmente in un film, optando però poi per la realizzazione di diversi cortometraggi, legati l'uno all'altro dal fatto di essere tutti affidati al genio visivo di West Anderson. Le storie già di per sé sono strane, e vengono rese ancora più strane dall'immaginario del regista: tra derattizzatori che assomigliano essi stessi a topi a bambini che si travestono loro malgrado da cigni, il campionario umano è piuttosto variegato e la fantasia regna sovrana. Inoltre Anderson adatta il racconto, come sempre, esaltandone l’aspetto narrativo: uno dei personaggi, infatti, funge sempre da voce fuori campo (anzi, in questo caso “in” campo) a commentare e spiegare tutto quello che vediamo, dando alla messinscena un carattere ancora più vacuo e finto. Non so se poi – come spesso accade coi film di Anderson – queste storie siano puri giochi di bravura stilistica o dietro ci sia un qualche messaggio: tendo a pensare che in genere il regista statunitense si diverta soprattutto a fornirci strani ritratti di uomini sospesi tra bruttezza e bellezza, tra basso ed alto, trascurando in realtà ogni altro pensiero superiore. Ad ogni modo, per l’originalità e per il grande cast, vale la pena di vederli. Ah, quasi dimenticavo: se volete sapere qualcosa della trama, Il cigno racconta di atti di bullismo contro un cigno e un bambino; Il derattizzatore racconta di un uomo fin troppo bravo a stanare i ratti; Veleno racconta infine di un serpente che s’insinua sotto alle lenzuola di un uomo a letto. Mi manca da vedere La meravigliosa storia di Henry Sugar, il più lungo di questi corti, ma sarà per la settimana prossima. Intanto, come detto, trovate tutto su Netflix.
Non così vicino (2022), di Marc Forster, con Tom Hanks, Truman Hanks, Mariana Trevino: da un po' di tempo sulle piattaforme di streaming mi imbattevo nella propaganda di Nn così vicino, l'ultimo film con Tom Hanks disponibile su Amazon Prime Video. Il titolo mi suonava familiare, soprattutto perché mi ricordavo di aver letto da qualche parte che era tratto da un romanzo, L'uomo che metteva in ordine il mondo, di cui avevo anche sentito parlare positivamente e che avevo adocchiato in libreria, pur senza arrivare a comprarlo. Così, un po’ per il libro, un po’ per la faccia corrucciata che Tom Hanks esibisce nella locandina, me lo immaginavo come un film sul classico vecchio scorbutico, capace magari di strappare qualche risata; come una sorta di attualizzazione del mito di Walter Matthau, o qualcosa del genere. Detta in altri termini, me lo immaginavo come un film abbastanza convenzionale, da cui non aspettarsi niente di sorprendente. Poi però ho anche notato che esibiva un buon voto sui vari siti che raccolgono le valutazioni degli utenti e quindi ho provato a farlo andare, pensando che almeno sarebbe stato banale ma divertente. Devo dire che avevo decisamente sbagliato i conti: il film è divertente in un paio di occasioni o poco più, ma non punta affatto sulla comicità, e la storia è un po' meno scontata di quanto mi aspettassi. Per farla breve, il protagonista, un certo Otto, è effettivamente un vecchio scorbutico e maniacale, che però nasconde una storia anche abbastanza dolorosa; e i suoi problemi col vicinato non rimarranno confinati al semplice fatto di avere un cane che fa la pipì nel posto sbagliato, ma assumeranno uno slancio civico piuttosto interessante. Certo, qualche limite il film ce l'ha: la soluzione finale è stereotipata e poco credibile; l'attore che interpreta Otto da giovane – tra l'altro uno dei figli di Tom Hanks – è incredibilmente inespressivo; e in generale non basta un pur bravo Hanks padre a tenere in piedi tutto. Diciamo però che il risultato è discreto e simpatico, ad un certo punto perfino quasi commovente. Lo trovate su Amazon Prime Video.
Quello che ho pensato
Inevitabilmente, il tema della settimana non può che essere quello che sta accadendo tra Israele e la striscia di Gaza. Difficile che non abbiate seguito gli aggiornamenti delle ultime giornate. Sabato scorso, Hamas, il gruppo radicale che controlla la striscia di Gaza, ha fatto partire un attacco a sorpresa contro alcuni villaggi nel sud di Israele, compiendo molti omicidi anche efferati. Da questa sortita inattesa in territorio israeliano, l'organizzazione è tornata tra l’altro con alcuni ostaggi che pare aver portato dentro il proprio territorio. A quel punto Israele ha reagito in maniera assai dura, varando una sorta di assedio totale della Striscia, assedio che, dice, continuerà fino a quando non saranno restituiti questi ostaggi.
La crisi è ovviamente molto grave, sia per il già alto numero di vittime che si sono registrate, il più alto da molti anni a questa parte, sia perché la situazione è ancora molto tesa e potrebbe rapidamente degenerare. Israele infatti pare da giorni prepararsi ad un’invasione via terra, che sarebbe pericolosa e foriera di lutti, probabilmente, per tutti. Ma su questo ho detto qualcosa di più nel video che ho pubblicato oggi e che potete ascoltare qui.
Questi, almeno, i fatti, che certo sono piuttosto eccezionali ma nella lunga storia del conflitto israelo-palestinese non sono neppure così sorprendenti. Quello che però più mi ha colpito in questi giorni è stato, come spesso accade, il nostro modo di reagire a questi fatti.
Sarà che ormai, con un canale che si occupa di storia e anche di storia contemporanea, sono piuttosto esposto su tutte le questioni “calde” e tutti sentono il dovere di coinvolgermi ancora di più, ma negli ultimi giorni mi sono arrivati centinaia di messaggi e domande. Nella stragrande maggioranza dei casi, si è trattato di domande o commenti che hanno senso: c'è stato chi mi ha chiesto dei chiarimenti su alcuni aspetti della lunga diatriba tra questi popoli e chi ha voluto sottolineare degli elementi a suo modo importanti per comprendere meglio il fenomeno, a cui magari io non avevo dato troppa attenzione.
E fin qui tutto bene, verrebbe da dire: davanti a eventi così drammatici penso che il desiderio di comprendere o di fornire comunque elementi utili alla comprensione sia sano e proficuo, anche se poi ovviamente ognuno contribuisce al dibattito come sa e come può.
Ma il problema è che al di là di questi molti commenti interessanti, ce ne sono stati altri che invece mi hanno lasciato molto perplesso. La questione israelo-palestinese è una delle questioni più divisive del nostro tempo e, come avevo già notato allo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina, c'è gente che davanti a questioni del genere perde ogni lucidità e si trasforma in un mero tifoso dell'una o dell'altra parte.
Purtroppo questa caduta nella tifoseria non è affatto rara e anzi in molti casi finisce per coinvolgere anche persone intellettualmente molto preparate, perfino accademici o scrittori di chiara fama, dai quali ci si aspetterebbe ben altro atteggiamento o comunque un contributo più effettivo e positivo al dibattito.
Ho in mente in particolare alcuni fatti di cui si è anche abbastanza parlato in questi giorni, ma mi vorrei soffermare su uno di questi fatti: un tweet di Carlo Rovelli che ha attirato reazioni piccate anche a livello internazionale.
Di Rovelli abbiamo parlato anche da poco su questa newsletter, quanto ho raccontato la recente lettura de L'ordine del tempo, libro molto bello e suggestivo che parla di fisica e filosofia. Attualmente Rovelli è probabilmente lo scrittore italiano più venduto al mondo e questo gli dà una grande risonanza mediatica; gli dovrebbe dare, però, anche uguale senso di responsabilità. Quando parli a tanti, devi imparare a parlare a tanti, se vuoi che il tuo contributo sia positivo.
Invece mi sembra che il fisico italiano usi questa notorietà a volte male. Il tweet a cui mi sto riferendo è quello che potete leggere qui di seguito.
È scritto in inglese, ma si può tradurlo così: «Gli israeliani massacrano i palestinesi: nessun problema per l’Occidente. I palestinesi massacrano gli israeliani: l’Occidente rimane incredibilmente scioccato. Decenni e decenni in questo modo, e si continua. Se non è razzismo questo, cos’è?»
Ora, io non contesto il fatto che Rovelli si voglia presentare come filo-palestinese: penso che la questione mediorientale sia così tanto intricata e così piena di sfaccettature che il propendere da una parte o dall'altra sia a volte questione anche di diversa sensibilità. Intendo: ci sono buone ragioni per avere a cuore la causa palestinese, come ci sono ragioni per avere a cuore la causa israeliana. Quindi non c’è niente di male, in sé, nel proclamarsi filo-palestinese in linea di principio.
Detto questo, però, gli argomenti per sostenere il proprio punto di vista devono essere solidi, e non si può “barare”.
Il tweet di Rovelli infatti mi sembra palesemente vittima di diverse fallacie argomentative, in cui tra l’altro il fisico incappa spesso e volentieri. Si fa presto ad analizzarle, tra l’altro, visto che il suo tweet è formato da soli quattro enunciati (anzi: tre, più una domanda retorica).
Partiamo dalla prima frase: «Gli israeliani massacrano i palestinesi: nessun problema per l’Occidente». Prendiamo per vero che “gli israeliani”, genericamente, massacrino “i palestinesi”, genericamente. Già qui ci sarebbe molto da dire e da questionare, ma lasciamo perdere i dettagli: assumiamo che sia vera la prima parte della frase, che cioè gli israeliani massacrino i palestinesi. Anche concedendo questo, non sono affatto convinto che sia vero quello che viene dopo i due punti: per l’Occidente non costituisce un problema quello che succede ai palestinesi?
Un sondaggio pubblicato da Il Tempo giusto un paio di giorni fa (lo potete vedere qui) asseriva che il 54,9% degli italiani si schierava con Israele mentre il 37,6% con i palestinesi. E questo poco dopo l’attacco di Hamas, in un momento in cui la causa palestinese non era troppo in auge; è presumibile che in altri momenti i filo-palestinesi, in Italia, fossero anche di più di quel 37%. Anzi, vi dirò: io ho il forte sospetto che – al di là di Hamas – l’opinione pubblica italiana sia stata spesso ripartita in modo più o meno uniforme tra filo-israeliani e filo-palestinesi. C’è stato anzi un tempo – negli anni '80 – in cui i nostri governi avevano un occhio di estremo riguardo per l’OLP. E questo, a dirla tutta, vale probabilmente anche per altri stati europei.
Certo, in America gli equilibri sono diversi, ve lo concedo. Ma non vedo affatto una “totale ignoranza” della questione palestinese in Occidente.
Passiamo alla seconda affermazione di Rovelli: «I palestinesi massacrano gli israeliani: l’Occidente rimane incredibilmente scioccato». Anche su questo avrei qualcosa da ridire. Certo, l’attacco di sabato scorso ha in parte scioccato l’Occidente, è vero. Ma non accade certo per ogni razzo che Hamas lancia contro Israele; come non accade per ogni ebreo ucciso qua e là nel mondo. Riusciamo ad essere indifferenti anche verso gli ebrei, noi europei. È che siamo ormai abbastanza indifferenti alla violenza.
Faccio solo un esempio, per capire: qualcuno ha definito l’attacco di Hamas qualcosa di simile all’11 settembre di Israele. Ebbene, ricordate com’eravate scossi dopo l’11 settembre? O ricordate anche solo com’eravate scossi dopo il Bataclan, dopo Charlie Hebdo e simili? Ecco, dopo questo recente attacco di Hamas eravate scossi allo stesso modo? A me pare di no.
Rovelli fa infatti confusione sulle cause dell’indignazione. Quand’è che ci indigniamo, quand’è che rimaniamo scioccati? Tutta la ricerca nel settore ci mostra che a colpirci sono le morti delle persone più vicine a noi, vicine geograficamente o culturalmente. Le morti delle persone che ci fanno dire: «Ah, cavolo, quei cadaveri potevamo essere noi». Se muoiono 100 italiani mentre sono al bar, presumibilmente rimarrò molto scosso; ma non perché mi piacciano gli italiani, quanto perché io sono italiano e mi capita di essere a volte al bar. Rimango scosso perché mi sento vicino a quelle vittime, perché al loro posto potevo esserci io o poteva esserci una persona a cui voglio bene.
Se muoiono 100 parigini rimango meno scosso, a meno che tra quei 100 non ci fosse qualche italiano in viaggio (nel quale potrei immedesimarmi).
Se muoiono 100 islandesi potrei non farci quasi caso; e non perché consideri gli islandesi un gruppo inferiore, ma semplicemente perché li sento più distanti da me.
Gli americani mi assomigliano, quindi rimango colpito quando muoiono. Gli israeliani mi assomigliano un po’ meno (non quanto gli americani), e quindi rimango colpito di meno. I palestinesi mi assomigliano ancora meno, quindi ci bado di meno.
Non è bello ma è normale. Accade così. Non c’è di per sé razzismo: c’è distanza. E infatti non è vero che l’Occidente si indigna per ogni morte di israeliano. Si è indignato questa volta, e per la verità neppure troppo, perché è stato un attacco davvero ignobile.
Questo non vuol dire che quel tweet di Rovelli sia completamente falso: è vero che – per motivi storici, politici, culturali – l’Occidente è stato più filo-israeliano che filo-palestinese. Ma una cosa è dir questo, e cercare dei correttivi; altra cosa è dare dei razzisti a tutti quelli che non la pensano come te, o che si indignano per la morte dei bambini.
Gli intellettuali dovrebbero aiutare a capire; cercare la precisione, la distinzione, il confronto sano: il loro mestiere è usare le parole, e dovrebbero farlo con cautela. Il tweet di Rovelli, invece, è degno di un ragazzino incazzato, e finisce per inficiare anche il suo scopo.
Perché, infatti, Rovelli ha scritto quel tweet? Qual era il suo scopo? Far capire a quanta più gente possibile che bisogna proteggere i palestinesi dalla ritorsione israeliana? Non direi proprio. E infatti, se leggete le risposte che ha ricevuto, ci trovate soprattutto o gente disgustata (anche accademici e colleghi), o gente che si congratula con il fisico.
Quel tweet non ha fatto cambiare idea nemmeno a una singola persona. Non ha alimentato nemmeno un dubbio, temo. Ha solo spinto che vede le cose in bianco e nero a vederle ancora di più in bianco e nero. È a questo che servono gli intellettuali?
Il problema è, temo, quello a cui facevo cenno nel video di oggi: quello di approcciarci alle questioni non da studiosi ma da tifosi. Davanti alla questione israelo-palestinese non ci interessano i fatti, perché arriviamo davanti ai fatti già con la nostra idea delineata e inamovibile; e così dei fatti cogliamo solo quello che conferma l'idea che già abbiamo. Ci interessano le nostre idee più che il mondo; ci interessiamo a noi stessi più che alla realtà.
Ad esempio, sabato scorso, quando è partito l'attacco di Hamas, molti filo-israeliani, hanno detto frasi tipo: «I palestinesi si dimostrano ancora una volta dei mostri, come sempre»; mentre i filo-palestinesi hanno detto: «È colpa di Israele se Hamas ammazza i bambini». Il fatto in sé non contava minimamente: quello che contava davvero era solo far rientrare quel fatto nel sistema di spiegazioni che si era già costruito a priori, senza che quel fatto potesse incrinarlo.
Non vogliamo cambiare idea, non vogliamo ammettere che la situazione è complicata e che non c'è un buono e un cattivo da contrapporre: vogliamo che tutto sia semplice e che tutto confermi quello che ci pensiamo.
A noi piace mettere le bandierine, piace dirci filo-israeliani o filo-palestinesi. È proprio di un paio di giorni fa il sondaggio condotto credo da Repubblica di cui vi mostro qui sotto una sintesi; un sondaggio inquietante non tanto per le percentuali, prevedibili, quanto per la domanda che è stata posta agli intervistati.
Cosa vuol dire, infatti, “solidarizzo con Israele” o “solidarizzo con Hamas”? Solidarizzo con Israele nel senso che mi sento solidale con il loro lutto davanti alle vittime? Be’, spero che se questa fosse la domanda nessuno abbia avuto il coraggio di rispondere di no. Oppure solidarizzo con Israele e la decisione di invadere Gaza? Ma in quel caso cosa significa solidarizzare con una ritorsione militare?
Ancora peggio, mi chiedo cosa voglia dire “solidarizzare con Hamas”? Come si può essere solidali come un'organizzazione che ha deliberatamente ammazzato ragazzi, donne e bambini mentre ballavano o dormivano? Forse si intendeva solidarizzare col popolo palestinese, con la sua condizione? In questo caso penso che qualunque essere umano possa provare dispiacere davanti a un popolo costretto da decenni in campi profughi; ma anche in questo caso, solidarizzare con quel popolo non vuol dire niente.
Perché il problema sta proprio qui: che a noi piace mettere le bandierine, piace solidarizzare, piace pubblicare sui social network la nostra opinione, magari piazzandoci anche delle vignette o degli schemi iper-riduttivi. Ma soprattutto ci piace essere noi i protagonisti di questo discorso, perché quello che vogliamo davvero è qualificarci come quelli buoni, quelli che sanno, quelli che hanno capito.
Invece che metterci noi al centro, forse sarebbe più utile lavorare in una direzione diversa. Per fortuna c'è chi lo fa: davanti alle escalation di questi giorni alcuni governi hanno iniziato a trattare per una mediazione, a provare a convincere Israele a rinunciare all'attacco, a creare dei corridoi umanitari, a fare cioè qualcosa di concreto per la popolazione civile, senza prendere necessariamente le parti di Tizio o di Caio. Perché il problema è proprio questo: a furia di voler dire cosa pensiamo, a furia di metterci i riflettori addosso alla fine siamo sempre fermi a litigare tra di noi, a scrivere dal cellulare sul nostro bel divano mentre intanto la gente muore.
Meno ideologia fine a se stessa e più attività concrete, forse, farebbero qualcosa di meglio per la questione. Certo non la risolverebbero, proprio perché è intricata, proprio perché è più complessa di quanto ci piaccia ammettere, ma magari un piccolo contributo lo potremmo dare.
Quello che ho registrato e pubblicato
E ora concentriamoci sui video e sui podcast usciti questa settimana:
La crisi di Gaza a metà ottobre 2023: un aggiornamento su quello che sta accadendo in questi giorni attorno alla striscia di Gaza
Orwell tra "1984" e "La fattoria degli animali": in attesa del prossimo appuntamento del Club del Libro, parliamo di George Orwell
Il Sudafrica e l'apartheid: la storia di come il Sudafrica è passato attraverso l’apartheid e poi, faticosamente, ne è uscito
Botero e il pensiero politico della Controriforma (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
La vita e le opere di Cartesio (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
Liberalismo e conservatorismo in Gran Bretagna nell'Ottocento (per il podcast “Dentro alla storia”)
Heisenberg e Oppenheimer
Quello che devi fare per seguirmi sui social
Ah, prima di dimenticarci vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
Il canale YouTube | Instagram | Facebook | Twitter/X | TikTok
Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono gli abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
La repubblica del leone di Alvise Zorzi: questo saggio ha ormai più di cinquant’anni, visto che la sua prima edizione venne pubblicata, credo, nel 1971; ma è ancora oggi il libro forse più completo sulla storia della Repubblica di Venezia, che è stata un unicum non solo nel panorama italiano ma direi addirittura mondiale. Scritto da Alvise Zorzi, venuto a mancare qualche anno fa dopo una vita di intensi studi, il saggio conta quasi 800 pagine ma è edito oggi da Bompiani ad un prezzo più che accessibile, in sconto qui perfino al di sotto dei 13 euro. Merita assolutamente l’acquisto.
sui social questa settimana ho segnalato come al solito diversi libri appena usciti che mi paiono interessanti, una sorta di “lista della spesa” che dovrebbe rivelarsi utile anche in primis per me. Ecco i volumi, se ve li siete persi:
Walter Benjamin di Gianluca Solla: ne ho parlato qui;
La matematica della felicità di Roco Dedda: ne ho parlato qui;
Giustizia per gli animali di Martha C. Nussbaum: ne ho parlato qui;
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Quello che c’è in arrivo
Sabato prossimo qui a Rovigo ci sarà, come detto, il grande evento per il centenario della mia scuola e non vi nascondo che negli ultimi giorni sono stato preso parecchio dai preparativi e da tutte le varie beghe burocratiche. Quindi anche il programma dei video in arrivo prendetelo con le molle, perché potrebbe subire tagli e variazioni anche piuttosto repentine:
domani intanto dovrebbe toccare all’atteso podcast storico, dedicato alla Russia della seconda metà dell’Ottocento;
mercoledì, se riesco, vorrei fare uscire un nuovo capitolo della serie “La mia (anti) filosofia”;
giovedì, probabilmente, sarà la volta di uno Short/Reel/TikTok: come avrete notato ne ho già pubblicati due su Oppenheimer, ma ho già pronto anche il terzo;
tra venerdì e sabato prossimo dovrebbero poi arrivare altri podcast, rispettivamente su Cartesio e sugli Stati Uniti;
domenica prossima, quindi, potrebbe essere la volta del Simposio riservato agli abbonati dal livello Leopardi in su (ma aspettate conferma);
lunedì prossimo, infine, forse toccherà a un video filosofico ma per il momento non so ancora quale.
E questo per il momento è tutto. Molte incertezze, certo, ma in qualche modo arriveremo anche alla fine di questa settimana (e poi, terminati i grandi impegni per scuola, si riprenderà a respirare con più calma). Intanto voi tenete d’occhio l’attualità, come al solito senza strafare, e cercate di porvi sempre tante domande, senza cadere nella tentazione delle facili risposte. Un caro saluto!