Parliamo del dogmatismo nella scuola italiana all'epoca del ministro Valditara, ma anche di Adolescence, Platone, Win or Lose, Jean-Jacques Rousseau, Herbie, le reliquie e Thomas Piketty
Viva l’Emilia, viva le Dolomiti, viva il Belgio. Direte: che c’entrano l’uno con l’altra? Per me c’entrano. Vi spiego.
Giovedì scorso sono stato a Modena per parlare agli insegnanti emiliani de La storia in scena, il nuovo manuale di storia per le scuole superiori pubblicato da Garzanti/Deascuola a cui ho collaborato (maggiori info qui). Venerdì sono poi stato a Pieve di Cadore, in provincia di Belluno, per presentare Anche Socrate qualche dubbio ce l’aveva, e più avanti vi spiegherò come e perché. Da sabato, infine, sono ospiti a casa mia dei ragazzi belgi per uno scambio culturale che ha coinvolto la classe del mio figlio più grande (a ottobre era stato lui ad andare in Belgio, come forse ricorderete).
Insomma, è stata una settimana di grandi e diversi stimoli, mentre il mondo va avanti sballottato tra Trump (che questa settimana si è per la verità un po’ calmato, almeno sul versante internazionale), l’Europa (grandi discussioni sul suo ruolo futuro, anche in chiave militare) e il Manifesto di Ventotene (ho letto cose, al riguardo, che voi umani…).
Più di qualcuno tra voi mi ha chiesto, in questi giorni, di intervenire su tutti questi temi, ma sto cercando di farlo come sempre a modo mio, provando perlopiù a mettere ordine nelle idee e suggerire stimoli per la riflessione, più che a dare soluzioni definitive. Sull’Europa ho scritto già la settimana scorsa qui sulla newsletter (trovate tutto scartabellando nell’archivio, se vi siete persi la mail), su Trump la settimana prima ancora, mentre su Ventotene ho immaginato una possibile risposta di Altiero Spinelli a Giorgia Meloni che vi linko più avanti (ma un cenno al riguardo, a suo tempo, l’avevo fatto anche nel video dedicato a Luigi Einaudi). Penso che in un futuro prossimo potremmo anche leggere per intero quel manifesto, spiegandolo e contestualizzandolo molto meglio di quanto non si stia facendo in questi giorni, per puro interesse politico.
Ma, appunto, queste sono cose di cui parleremo meglio nelle prossime settimane, passata la diatriba del momento. Intanto cominciamo, qui, coi nostri soliti argomenti, e dunque partiamo dai libri.
ps.: a proposito, avrete notato che ho lanciato da qualche giorno sui social una nuova rubrica, Email dall’oltretomba. Che ne pensate?
Quello che ho letto
E cominciamo allora con questi benedetti libri. In lista questa settimana non ci sono grosse novità, ma uno dei volumi di cui già da tempo vi parlavo l’ho portato a termine e quindi è venuto il momento di tirare le somme.
Sacre ossa di Federico Canaccini: come vi anticipavo, questa settimana ho concluso e addirittura presentato un libro di cui vi ho più volte parlato nelle scorse puntate della nostra newsletter: Sacre ossa di Federico Canaccini. Come vi dicevo, si tratta di un saggio storico incentrato sul culto delle reliquie, soprattutto (ma non solo) in ambito medioevale; un saggio che cerca di comprendere il fascino di quelle ossa, ma anche le varie derive ed esagerazioni che quel culto produsse. E, come vi dicevo anche all'inizio, quel libro mi sono trovato anche a presentarlo: pochi giorni fa ho infatti partecipato, a Pieve di Cadore, in provincia di Belluno, a un dialogo proprio con Canaccini su fede e scetticismo, su storie e filosofia. E devo dirvi, in fin dei conti, che sia il libro che Canaccini stesso mi hanno sorpreso: perché davanti a un tema così sacrale e delicato, lo studioso romano è riuscito a cogliere sia il lato profondo che quello in un certo senso ironico della questione, spostandosi dal culto più spontaneo e sentito a quello più macabro o addirittura ridicolo. Se leggete il libro, vi consiglio in particolare di soffermarvi su tutta la storia del prepuzio di Gesù o sulle pagine relative agli spacciatori di reliquie, tutte molto ben documentate. Insomma, se avete una qualche passione per il Medioevo ma anche per i bisogni più profondi dell'umanità, questo può essere il libro che fa per voi. Lo potete acquistare qui.
La Repubblica di Platone: il Club del libro per gli abbonati, il particolare gruppo di lettura che portiamo avanti, sul canale, ormai da diversi mesi, ha scelto per l'inizio di aprile di discutere de La Repubblica di Platone. E così mi sono messo a leggere e rileggere questo capolavoro della storia della filosofia, che però risulta anche incredibilmente impegnativo e che necessita di una certa attenzione. Per il momento sono arrivato circa a un quarto dell'opera e in particolare al libro terzo, ormai quasi concluso; e così, dopo una lunga discussione sulla giustizia prima e poi dello Stato, ora sono immerso sulla musica e le arti, le menzogne e l’onestà all’interno dell’organizzazione pubblica. Lo stile di Platone è sempre molto affascinante, perché grazie al dialogo riesce a presentare tanti punti di vista e però a portare anche il discorso sui punti focali delle varie questioni che affronta. Non sorprende che quel particolare modo di procedere abbia avuto così tanto successo nella storia della filosofia, ma, allo stesso tempo, ci si rende anche conto, leggendo con attenzione, che anche quello del dialogo è in fondo un artificio, utile a volte per portare acqua al proprio mulino senza discutere davvero di ogni singola questione. Platone è infatti abile a forzare la mano quando serve, a spiegare certe cose e non spiegarne altre, a discutere certi punti e glissare su altri, pur dando l'impressione di procedere sempre in modo onesto e completo: segno che anche quella che sembra essere la più chiara delle trattazioni in realtà qualche insidia la presenta. Comunque il libro è molto interessante e offre tantissimi spunti, degni di ulteriori riflessioni. Se vi interessa, potete comprarlo qui.
Capitale e ideologia di Thomas Piketty: più di qualcuno di voi, nei giorni scorsi, mi ha scritto chiedendomi di Piketty, l’autore di cui ho cominciato da poco a leggere Capitale e ideologia; autore interessante ma anche complesso, visto che mescola – almeno in questo libro – economia e storia, sociologia e politica, tra l’altro lungo centinaia e centinaia di pagine. Piketty in realtà annuncia, fin dalle prime pagine, di volerlo fare in modo assai scientifico, supportato da una miriade di dati, e questo lascerebbe ben sperare. Al tempo stesso, però, arrivato alla fine della lunghissima introduzione non so se posso davvero fidarmi dell’autore; perché certo i dati sono importanti e sembrano essere riportati con dovizia e abbondanza, ma alla base del lavoro sembra esserci un impianto volutamente ed esplicitamente ideologico che un po’ mi lascia perplesso. Ideologico – per stessa ammissione dell’autore – in senso strano, particolare, non convenzionale, ma pur sempre ideologico: il che lascia pensare che Piketty userà sì i dati, ma ne fornirà – e ha già cominciato a farlo – un’interpretazione chiara, netta, strutturata. Ora, è chiaro che questo è il lavoro di qualsiasi studioso, che non si può limitare a mettere in fila dei numeri ma deve cercare di fornirne un’interpretazione, una linea, uno schema; io continuo a pensare, però, che quest’operazione sia sempre un dare ordine al caos, e bisognerebbe farla tenendo presente che dal caos si parte e al caos in un certo senso bisognerebbe ritornare. La dico in un altro modo: posso anche accettare la tesi principale del libro, cioè che ogni società inventi delle ideologie per giustificare le proprie disuguaglianze, ma in realtà lo fa in maniera assai contraddittoria, e anzi forse non ne inventa solo una ma cento, di ideologie; ideologie che poi si rincorrono e intrecciano l’una con l’altra. Non vorrei, insomma, che l’atteggiamento di Piketty – che ha un po’ del guru, diciamocelo – finisse per condannarci a quell’errore che è purtroppo assai diffuso anche tra valentissimi studiosi: quello di voler adattare la realtà ai propri schemi, più che creare e modellare gli schemi a partire dalla realtà. Vedremo, perché, nonostante le molte pagine lette, di strada per me come lettore ce n’è ancora molta. Intanto, se volete, il libro potete acquistarlo qui.
Quello che ho visto
E ora passiamo senza indugio ai film.
Win or Lose episodi 1.01-1.02-1.03 (2025), di Carrie Hobson e Michael Yates: la Pixar ha sempre realizzato ottime pellicole cinematografiche, a volte anche veri e propri capolavori. Era lecito quindi guardare con una certa attenzione alla loro prima produzione per la tv, Win or Lose, che proprio in questi giorni è arrivata su Disney+. A parlarmene per primo è stato uno dei miei figli, che ne ha sentito discutere e che se ne è guardato, di filata, tutti gli episodi, complice il fatto che la trama vertesse attorno al softball, sport con cui ha qualche legame. Io, dietro sua insistenza, ho finora guardato le prime tre puntate, che non sono affatto male. Come vi dicevo, al centro della trama c’è una piccola squadra di softball della provincia americana, impegnata in un campionato studentesco. Solo che le vicende sono narrate in ogni puntata dal punto di vista di un personaggio diverso, esplorandone soprattutto l’aspetto psicologico: prima c’è una giocatrice non particolarmente dotata ma anche vittima delle proprie ansie; poi c’è un arbitro che ha cercato letteralmente di costruire una corazza attorno a sé; infine c’è una delle giocatrici, costretta a comportarsi in modo molto più adulto di quanto la sua età richiederebbe. Il tutto disegnato e narrato nel puro stile Pixar, cioè in modo molto efficace e coinvolgente. Se siete giovani, ma forse anche se siete adulti, mi sentirei di consigliarla anche con un certo trasporto. Come detto, è su Disney+.
Adolescence episodio 1.01-1.02 (2025), di Jack Thorne e Stephen Graham, con Stephen Graham, Owen Cooper, Ashley Walters: mamma mia, che serie! Me l’hanno consigliata per primi i miei studenti, poi ho cominciato a sentirne parlare anche online, e alla fine ho deciso di guardarmi almeno il primo episodio di questa Adolescence, nuova miniserie appena resa disponibile da Netflix. Il risultato è stato che non sono riuscito a fermarmi: dopo aver visto la prima puntata non ho potuto fare a meno di guardare anche la seconda, e solo gli obblighi lavorativi mi hanno costretto a mettere infine in pausa lo show e a dedicarmi ad altro. La trama, senza troppi spoiler, è questa: in una mattina apparentemente normale, la polizia fa irruzione nella casa di un tredicenne inglese e della sua famiglia. Il ragazzo viene prelevato e portato in centrale, accusato di omicidio, anche se solo sul finale dell’episodio si capisce quali prove ci siano a suo carico e cosa è probabilmente accaduto. Al di là dei fatti, però, quello che colpisce è la tensione che la serie riesce a creare: tramite dei piani-sequenza che durano un intero episodio, entriamo praticamente dentro alla scena, diventando quasi un osservatore che si affianca al lavoro dei detective o agli interrogatori subiti dai ragazzi; e questo ovviamente crea un’angoscia simile a quella patita dai personaggi (che tra l’altro sono interpretati straordinariamente da attori anche molto giovani). Insomma, finora siamo dalle parti del capolavoro, almeno per una serie tv. Vedremo nelle prossime puntate se questo giudizio assai lusinghiero si confermerà. Attenzione solo al fatto che la serie è piuttosto forte, almeno psicologicamente. La trovate, come detto, su Netflix.
Un maggiolino tutto matto (1968), di Robert Stevenson, con Dean Jones, Michele Lee, David Tomlinson: sapete come funziona: quando si hanno dei figli (anche solo relativamente) piccoli, si coglie la palla al balzo e si cominciano a rivedere i film della propria infanzia. Con la scusa di dire “questo è sicuramente un film che fa al caso tuo, un film che ti piacerà”, in realtà si vanno a rievocare le pellicole con cui si è cresciuti, incuranti poi che piacciano davvero o non piacciano alla propria prole, desiderosi solo di rivivere per un’ora o due le emozioni di quando si era bambini. Be’, tra i film che da piccolo guardavo più spesso – anche perché li avevamo in casa in videocassetta, ai tempi in cui quello era l’unico marchingegno per vedere e rivedere film a ripetizione – c’era anche la saga disneyana di Un maggiolino tutto matto, cominciata nel 1968 e poi proseguita con altri tre film (prima di un rilancio più recente). Nei giorni scorsi, in una serata in cui per vari motivi ero da solo col mio figlio più piccolo, l’ho scorto su Disney+ e gliel’ho proposto, visto che lui, in effetti, non l’aveva ancora mai visto; e così mi sono divertito assieme a lui a rivedere le peripezie di Herbie, peripezie che risalgono a ormai 57 anni fa ma sembrano riuscire ancora a strappare più di qualche risata. Il quartopupo, infatti, ha passato la seconda parte del film – e in particolare la sequenza della gara El Dorado – in piedi a saltellare davanti allo schermo, facendo il tifo per Jim Douglas e il suo team contro l’odioso signor Thorndyke. Certo, con gli occhi dell’adulto il film è simpatico, ma nulla di che: lo spunto iniziale è interessante, qualche gag strappa una risata ma in generale il film risulta abbastanza prevedibile. Con gli occhi del bambino (quello di oggi o quello di ieri), però, è tutto un altro paio di maniche. Come detto, lo trovate su Disney+.
Quello che ho pensato
Se dovessi riassumere in un solo concetto quale sia il principale problema di impostazione della scuola italiana direi che lo si debba cercare nell’eccesso di dogmatismo.
Cosa intendo dire, con questa parola che di solito non si usa in ambito scolastico? Provo ad articolare questo pensiero, che in realtà affonda le sue radici molto lontano ma che è stato rinvigorito in queste settimane da alcune dichiarazioni dell’onnipresente ministro Valditara, che non smette di proporci la sua visione della scuola, visione che però a me sembra essere sorpassata dalla storia e spesso anche dai fatti.
Forse avrete letto, infatti, che ormai qualche giorno fa il ministro, presentando le nuove linee guida partorite dal suo dicastero, ha insistito molto sul fatto che la scuola italiana debba presentare ai ragazzi dei solidi punti fermi. Nella bozza delle nuove indicazioni nazionali, ben commentate da Chiara Valerio qui, si legge ad esempio che (cito testualmente) «la matematica è un linguaggio formale capace di distinguere il vero dal falso. Il teorema di Pitagora, ad esempio, era vero 2500 anni fa, è vero oggi e lo sarà per l’eternità. Abituare lo studente, e quindi il cittadino di domani, a ragionare e a distinguere fra vero e falso, è senza dubbio una delle competenze più rilevanti e attuali di questa disciplina, in una società come quella di oggi, basata sui social network, dove le notizie giungono senza filtri, se non manipolate».
Bel discorso, se non fosse che non è affatto vero che il teorema di Pitagora sia vero per l’eternità e permetta di distinguere il vero dal falso. Coi miei studenti di quinta superiore, ad esempio, ho spiegato da poco la crisi della matematica di inizio Novecento, la scoperta delle geometrie non euclidee e la difficoltà estrema di fondare quella disciplina. Questo vuol dire che loro, a diciotto anni, sanno benissimo che la matematica non insegna la Verità con la “v” maiuscola, eterna e immutabile, valida sempre e dovunque: cosa che tra l’altro era stata capita già da Kant nel Settecento. Lo sanno gli studenti, lo sanno i matematici, lo sapeva Kant: l’unico che non lo sa è il ministero, pare.
Negare il quinto postulato di Euclide (quello su cui si basa tutta la geometria che studiamo a scuola e, di conseguenza, anche il teorema di Pitagora), non è solo possibile: è stato fatto e rifatto. Negando quel postulato si costruiscono le cosiddette geometrie non euclidee, che non sono solo un gioco di stile o un esperimento teorico, ma funzionano e in certi casi funzionano anche meglio nel descrivere la realtà di quanto non ci riesca Euclide.
Senza le geometrie non euclidee non avremmo, ad esempio, la teoria della relatività generale di Einstein, non avremmo neppure il GPS che usiamo per guidare in autostrada e non avremmo tutta una serie di grandi innovazioni tecnologiche che sono derivate dalle intuizioni di Einstein e di molti altri fisici. Quindi no, il teorema di Pitagora non è una verità eterna, invariabile e inattaccabile in saecula saeculorum. È, piuttosto, una verità parziale, che vale entro certi limiti, condizionata dai postulati di partenza.
Da ormai un secolo sappiamo che di verità assolute, in realtà, non ne esiste forse nemmeno una, e che ogni branca del nostro sapere ci offre una visione parziale del mondo, condizionata dal nostro punto di vista, dai nostri paradigmi culturali, dalle nostre interpretazioni. Il che non vuol dire che tutte le visioni si equivalgano e che tutte le interpretazioni abbiano pari dignità; ma vuol dire, semplicemente, che dobbiamo riconoscere la parzialità costante delle nostre spiegazioni del mondo, il fatto che non ci possiamo cioè appellare a dogmi immutabili ma dobbiamo costantemente sottoporre a critica le nostre conclusioni, aprendoci alla revisione.
Purtroppo questo Valditara sembra non saperlo, o fa finta di non saperlo, perché da tempo è in atto un grande tentativo di negare tutto questo. Un tentativo che affonda le sue radici nella paura del mondo per come si sta delineando.
L’età contemporanea, soprattutto per come si è venuta delineando a partire dal 1991, è un'età di sconquassi, di perdita di punti fermi: gli equilibri mondiali che si erano imposti dopo la Seconda guerra mondiale sono andati in crisi; il capitalismo è diventato sempre più finanziario e si è trasformato in qualcosa che non sembra rispondere più a niente e a nessuno; le industrie e la tecnologia si evolvono a un ritmo vertiginoso che rischia di travolgerci. Il mondo insomma cambia estremamente in fretta, e chi non ha gli strumenti culturali per affrontare questo cambiamento se ne sente assai minacciato.
C'è insomma una grande paura, davanti alla quale si può rispondere in due modi: o approfondendo la propria conoscenza, aprendo la propria mente, preparandosi e cercando di guidare questo cambiamento; oppure mettendosi sulla difensiva, rifiutando per quanto è possibile la novità e trincerandosi su alcuni punti fermi, anche e soprattutto su quelli sorpassati dalla storia. Purtroppo mi sembra che il ministero abbia fatto questa seconda scelta, com’è dimostrato da tutta una serie di iniziative che sono state prese negli ultimi mesi, iniziative che possono essere lette come messaggi molto chiari lanciati al proprio elettorato.
A dimostrarlo sono anche una serie di altre cose. Ad esempio, vi sarete resi conto che il ruolo dell'insegnante si è, negli ultimi decenni, profondamente svilito. Questo è dovuto sicuramente a una serie di cause sociali, alla crisi del concetto stesso di autorità e a una scuola che non viene più percepita come un mezzo di emancipazione sociale ma piuttosto come una perdita di tempo oppure come un'istituzione che deve semplicemente riconoscere il valore pregresso (e prestabilito) del proprio figlio, senza insegnargli nulla. A questa crisi del ruolo dell'insegnante bisognava a mio avviso rispondere con un rilancio di questa figura nelle cose concrete: bisognava chiedere agli insegnanti una maggior preparazione e una maggior formazione, ovviamente poi riconoscendola anche a livello economico; bisognava stimolare e sostenere quegli insegnanti che si lanciano in progetti arditi e importanti; bisognava insomma far vedere che gli insegnanti possono essere all'altezza del duro compito che si prospetta davanti a loro.
Invece la difesa di Valditara di questi mesi è stata sempre improntata sul tema dell'autorità più che dell'autorevolezza. Gli insegnanti infatti non vanno criticati, punto e basta; l'istituzione scolastica non va denigrata, punto e basta; bisogna portare rispetto, rispetto e ancora rispetto. Il che, in principio, è ovviamente anche molto giusto; ma è anche chiaro che l'imposizione dall'alto di questo tipo di risposte non può bastare, e non risolve minimamente il problema. Perché l'autorevolezza non la guadagni con l'imposizione di un supposto principio di autorità, ma con la stima conquistata sul campo.
Per questo parlo di dogmatismo: perché, per quanti passi avanti si siano fatti negli ultimi decenni, rimane sulla scuola italiana un'impostazione di stampo gentiliano, profondamente antiquata: il professore continua a essere visto come chi, dall'alto della sua cattedra, dall'alto del suo prestigio, dovrebbe inondare le menti della cultura, trasmettendola a un gruppo di studenti che dovrebbero teoricamente pendere dalle labbra del docente.
Questo modo di intendere la scuola poteva forse andar bene a inizio '900, quando i giovani rampolli della buona società erano abituati alla sottomissione e all'interno della scuola dovevano imparare semplicemente a replicare quella sottomissione. Ma quel sistema è morto e sepolto, nella nostra società, da almeno cinquant'anni e stupisce che si voglia recuperarlo adesso, in un momento di crisi profonda, quasi non rendendosi conto che il passato non può tornare semplicemente perché è nei desiderata del ministero e dei suoi consiglieri.
Si badi bene, non sto facendo un elogio del '68 (per come lo intende il ministro), cioè di una scuola eccessivamente permissiva. Sto dicendo che il rigore scientifico e che la formazione seria e approfondita degli studenti devono passare però attraverso metodologie ben diverse da quelle di un tempo, direi anche più democratiche. L'idea ad esempio che la storia la si possa imparare solo ascoltandola e basta è un'idea che era antiquata già quando a scuola ci andavo io, trent’anni fa, e mi stupisce che si provi a riproporla. Io la storia, ai miei tempi, la volevo certo studiare ma anche rielaborare; la volevo certo ascoltare, ma volevo anche poter replicare ad essa; mi piaceva certo pendere dalle labbra di qualche bravo docente, ma mi piaceva anche che quel bravo docente lasciasse un po' anche a me la parola, dandomi il coraggio di osare una interpretazione o una critica al dato storico.
Tanto più che oggi la scuola non deve preparare gente abituata a ripetere e obbedire, come sognava Mussolini; deve preparare, invece, gente abituata a pensare, a sottoporre a critica. Nelle indicazioni del ministero si dice che la matematica aiuterebbe a distinguere il vero dal falso, in modo da non cadere vittime delle fake news; invece, secondo me, proprio quell'approccio di stampo fideistico davanti alla matematica favorisce le fake news, invece di contrastarle.
Il dire alle persone che esiste un vero e un falso, o meglio ancora un assolutamente vero e un assolutamente falso, porta a una visione semplicistica della realtà, priva di qualsiasi sfumatura, ingenua e infantile; e porta, così, a credere che una verità ci sia sempre, e che quando non la si veda chiaramente; e che essa, di conseguenza, possa essere nascosta da qualche potere oscuro che mira a non farcela scoprire. È proprio l’idea del vero e del falso che Valditara porta avanti che produce le fake news, paradossalmente.
Per darvi un esempio lampante di tutto questo vi citerò un solo caso che però, secondo me, è decisivo: quello della pandemia da Covid-19. In quei giorni tremendi, come ricorderete, i social network erano invasi da persone che si dichiaravano deluse dalla scienza, perché la scienza non sapeva dare risposte rapide, efficaci e precise davanti al diffondersi del morbo. E io, quando leggevo quei deliri, fra me e me pensavo: ma come si può avere un'idea così ingenua della medicina? Come si può avere un’idea così fideistica e sbagliata della nostra conoscenza? È possibile che la gente non si renda conto che la scienza non è un dogma, non è una verità stabilita per sempre, ma una ricerca incessante, piena di errori, di inciampi e di insicuri progressi?
Quella gente che si arrabbiava con gli scienziati era gente abituata a pensare che nel mondo esistessero due sole cose: il Vero e il Falso, eterni e immutabili. La scienza stava per loro dalla parte del Vero e altre cose (ad esempio i discorsi dei politici) stavano dalla parte del Falso. Ebbene, credere nella scienza è meglio che credere nella cartomante di periferia, certo, ma è pur sempre un po’ un errore: perché la scienza non è verità rivelata, perché la scienza può commettere errori, perché anzi la scienza fa proprio dell’errore la sua forza. La cartomante non sbaglia mai, a sentir lei: ogni volta che le rimproverate una predizione che non si è avverata, lei tenterà di dirvi che semplicemente non avete interpretato bene il suo vaticinio, o che l’evento non si è ancora verificato ma sta arrivando. Lo scienziato, invece, quando sbaglia non può scappare dal proprio errore, perché ha decine di altri colleghi che lo smascherano: e proprio qui sta la forza della scienza.
Se però si è abituati a pensare che esistano il Vero e il Falso, tutto ciò che sta nel mezzo (cioè in realtà tutta la realtà) fa saltare il banco, fa saltare gli schemi mentali. La scienza non è Vera, è al massimo un’approssimazione (migliorabile) di verità, un avvicinamento alla verità. Ma per chi ragiona in modo dicotomico, o la scienza è Vera (e allora deve risolvere tutti i problemi) o è Falsa (e allora è un inganno). Capite com’è facile, da qui, scivolare verso fake news di vario tipo? Capite che questo insistere sulla Verità di Valditara possa essere anche pericoloso, e certo non formativo?
La scuola dovrebbe stimolare un pensiero critico serio e coerente, maturo, capace di affrontare le difficoltà di questo mondo; nella visione del ministro mi sembra che invece si vada nella direzione opposta. Detta brevemente: che si ribadisca una visione dogmatica della scuola proprio nel momento in cui la scuola dovrebbe aprirsi all’antidogmatismo; direi, addirittura, allo scetticismo metodologico (come ho cercato di dimostrare anche in Anche Socrate qualche dubbio ce l’aveva).
E quindi, che fare? Per la verità credo che basti aspettare. Le proposte di Valditara e della sua commissione sono talmente fuori tempo massimo che nessun insegnante darà davvero loro corda: basta guardarsi in giro per rendersi conto che i docenti, con tutti i loro difetti, sono già anni luce avanti rispetto a Valditara e ai suoi supposti esperti (che in aula non ci entrano mai, tra l’altro). E non saranno tutte queste dichiarazioni sui giornali a cambiare le pratiche che ormai sono diffuse e non torneranno indietro.
Piuttosto, quello che mi preoccupa è che le linee guida di Valditara non servono certo a cambiare la scuola: servono solo ad accontentare la pancia di una certa parte di elettori, soprattutto anziani, soprattutto reazionari. Sono infatti pure mosse elettorali, senza nessun reale peso sulla didattica. E questo avrà l’effetto (e lo sta già imponendo) di favorire un sempre maggior scollamento tra società e scuola, tra anziani e giovani, tra politica e ragazzi: uno scollamento che sta sempre di più condannando il nostro paese.
Quello che ho registrato e pubblicato
Facciamo ora il punto sui video e sui podcast usciti questa settimana:
Identità e cultura dei greci: cosa faceva sì che i greci si sentissero tali? Cosa li univa? Proviamo a dare qualche risposta
Tutta la Restaurazione e i moti in Europa in 45': video riassuntivo di una pagina importante della storia dell’Ottocento
Corso di logica 19 - Prime regole dei quantificatori: una nuova puntata del nostro corso di logica
Il pensiero liberale di Voltaire: un video della serie LibSophia dedicata a uno dei più importanti pensatori del Settecento francese
Il pensiero di Mendelssohn e Lessing (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
Le battaglie decisive tra 1942 e 1943 (per il podcast “Dentro alla storia”)
Email dall'oltretomba: Orwell scrive a Musk e Zuckerberg
@scrip79E se i grandi pensatori del passato potessero commentare la nostra epoca? In questa puntata, George Orwell, l'autore di 1984, scrive a Elon Musk e Mark Zuckerberg per commentare le loro idee sulla libertà di pensiero. Vediamo cos'ha da dire... 🔔 Se il video ti piace, lascia un like e iscriviti al canale per non perdere le prossime lettere dal passato! #GeorgeOrwell #ElonMusk #MarkZuckerberg #Filosofia #Politica #freespeech #LibertàDiParolaTiktok failed to load.
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@scrip79E se i grandi pensatori del passato potessero commentare la nostra epoca? In questa puntata, Altiero Spinelli, uno degli autori del Manifesto di Ventotene, scrive a Giorgia Meloni dopo le sue dichiarazioni al Parlamento. Vediamo cos'ha da dire... #AltieroSpinelli #Ventotene #GiorgiaMeloni #europaTiktok failed to load.
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@scrip79📩 Una lettera persiana… al contrario. Ecco un nuovo messaggio dall’oltretomba, scritto nientemeno che da Montesquieu, il filosofo che con le sue Lettere persiane prendeva in giro l’Europa… e che oggi si ritrova a dover commentare l’Oriente. Arresti, lauree cancellate, proteste, poteri che vanno “tutti d’accordo”: cosa sta succedendo nella Turchia di Erdogan? #Montesquieu #LetterePersiane #Erdogan #Turchia #Libertà #Democrazia #EmailDallOltretomba #Satira #Attualità #FilosofiaPoliticaTiktok failed to load.
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Emilio di Jean-Jacques Rousseau: qualche riga più sopra ci chiedevamo come bisognerebbe educare i giovani. Poco dopo la metà del Settecento, Rousseau provò a dare una sua risposta, che diede tra l’altro il via a un ampio dibattito sulla naturalità dell’uomo e dell’educazione. Un dibattito che, non per nulla, è ancora estremamente attuale. Per recuperarlo, questa settimana vi consiglio di leggere l’Emilio, uno dei più importanti classici della storia del pensiero. Si può acquistarlo a prezzo anche piuttosto contenuto qui.
sui social questa settimana ho segnalato come al solito diversi libri appena usciti che mi paiono interessanti, una sorta di “lista della spesa” che dovrebbe rivelarsi utile anche in primis per me. Ecco i volumi, se ve li siete persi (se vi interessano, cliccate sopra alle immagini per altre informazioni):
C’è poi un ulteriore modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ce n’è uno chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate, passando anche per il Club del Libro e il Simposio. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
È inoltre da poco ufficiale la notizia di un mio nuovo libro. Solo che questa volta io, più che scrivere, ho registrato. DeA Scuola e Garzanti Scuola stanno infatti per far uscire un nuovo manuale di storia per le superiori intitolato La storia in scena, scritto da Giuseppe Patisso, Daniela De Lorentiis e Fausto Ermete Carbone, a cui ho collaborato anch’io per una cospicua parte video. Al grande progetto lavoriamo da molti mesi, ma ormai siamo in dirittura d’arrivo e, se siete docenti, potrete adottarlo se vorrete già dal prossimo anno scolastico. Tra l’altro, oltre a me ci ha messo le mani anche Aldo Cazzullo, ma non mancano anche gli storici di fama internazionale. Io in particolare ho realizzato decine di videoreel che introducono tutti i capitoli dell’opera, e in più ho preparato un ciclo di venti videolezioni specifiche (e inedite) sulla storia delle donne dal Medioevo ai giorni nostri. Ecco intanto la copertina del primo volume, ma nelle prossime settimane vi mostrerò anche altri dettagli:
Ultima cosa da ricordare: in tutte le librerie è presente il mio nuovo libro, Anche Socrate qualche dubbio ce l’aveva. Il sottotitolo rende piuttosto chiaro di cosa si occupa: Come lo scetticismo filosofico può salvarti la vita nell’epoca della performance. In pratica riprendiamo il pensiero di alcuni grandi filosofia (Socrate, Occam, Montaigne, Hume, Popper e altri ancora) e cerchiamo di trarne degli insegnamenti per vivere meglio oggi, in un mondo in grande cambiamento; e cerchiamo di farlo tramite uno stile non difficile ma stimolante. Il libro è disponibile sia in formato cartaceo che ebook. Ecco qualche link per l’acquisto:
Quello che c’è in arrivo
E chiudiamo come sempre anche con qualche anticipazione su quello che dovrei riuscire a proporvi (salvo imprevisti) nei prossimi giorni sul canale:
domani si parte con uno short dedicato a La libertà che guida il popolo, celebre dipinto di Eugène Delacroix;
mercoledì e giovedì torneranno poi i podcast, con la conclusione della presentazione dell’illuminista Lessing e la prosecuzione della Seconda guerra mondiale;
venerdì vorrei poi proporvi un video sulla figura di Edith Stein;
sabato tornerà Cuore di cane di Bulgakov, per la nostra solita lettura commentata;
domenica invece farò la diretta mensile riservata agli abbonati, per fare il punto su questo mese di marzo che ci sta ormai lasciando;
lunedì prossimo concluderemo con un nuovo podcast filosofico, dedicato, credo, a Shaftesbury.
E questo è tutto anche per questa volta. In settimana non ci saranno appuntamenti pubblici, ma tenetevi liberi per domenica 30 alle 21, quando su YouTube faremo la diretta per gli abbonati e, se abitate dalle parti di Rovigo, per venerdì 4 aprile, quando al Teatro di Pontecchio ripeteremo l’evento dell’anno scorso (altre informazioni arriveranno prossimamente). A presto!
Concordo totalmente con quello che hai scritto su Valditara. E' lo spirito critico che va allenato, che include anche la capacità di rivedere la propria opinione sulla base di elementi nuovi. E' l'approccio che ha la scienza (ma non sempre gli scienziati, come ho sentito dire a Telmo Pievani a proposito dei tempi del Covid, ogni tanto sarebbe stato bello che gli scienziati invece che sentenziare su qualcosa che ancora non conoscevano avessero detto un sano "non lo sappiamo ancora, ma ci stiamo lavorando"). Dio ci scampi dalle verità assolute calate dall'alto.