Parliamo delle sfide dell'intelligenza artificiale a scuola, ma anche di Luigi Einaudi, Michela Ponzani, Hannah Arendt, Soren Kierkegaard, i Monty Python, Pane amore e fantasia, Bizzotto e il Wrexham
Avete ascoltato la prima puntata di LibSophia? No? E magari non sapete nemmeno di cosa si tratti? Niente paura, ve lo spiego subito.
Martedì scorso a Trieste abbiamo presentato una nuova iniziativa che, spero, potrebbe interessarvi. Si chiama infatti LibSophia ed è un approfondimento (in forma di video e di podcast) sul pensiero liberale, dalle sue origini – con John Locke, Alexis de Tocqueville e altri – alle sue propaggini più contemporanee. E dico “abbiamo” perché per una volta non si tratta solo della solita playlist interna al mio canale YouTube.
Il progetto è infatti realizzato da me con l’importante sostegno della Fondazione Luigi Einaudi e di Trieste Campus. La prima è una delle fondazioni più prestigiose e più antiche presenti in Italia, intitolata tra l’altro a un grande pensatore, economista e Presidente della Repubblica; il secondo è un soggetto molto più giovane, ma che farà molto parlare di sé nei prossimi anni, visto che si tratta di un vero e proprio campus che sta nascendo in questi mesi a Trieste (con anche grandissimi investimenti economici) e che mira a mettere assieme lo sport e la scuola.
Qui trovate il trailer di tutto il progetto e qui la prima puntata, incentrata proprio su Luigi Einaudi. Il 30 ottobre arriverà il secondo episodio, relativo alla parola chiave della “libertà”, e da lì in poi sarà tutto un susseguirsi: ogni quindici giorni sul web, e in particolare sui canali social della Fondazione Luigi Einaudi, si susseguiranno sempre nuove puntate per almeno un anno.
Per cambiare argomento, siete stati presenti questa sera a Loreo? No? E magari non sapete nemmeno di cosa si tratti? Niente paura, ve lo spiego subito.
Sto inviando questa newsletter, infatti, poco dopo essere rientrato a casa dopo una bella serata proprio in quel piccolo paese in provincia di Rovigo. Lì sono stato chiamato qualche settimana fa per presentare nel teatro locale il mio libro (Anche Socrate qualche dubbio ce l’aveva, che penso conosciate già), ma anche per parlare di scuola, intelligenza artificiale e di tutti gli altri temi di cui ultimamente si discute tantissimo. All’inizio non sapevo, però, che sarei andato a muovermi in un terreno “caldo”.
Come mi sono reso conto negli ultimi giorni, infatti, a Loreo è sorta una grossa polemica (o, almeno, grossa per le dimensioni del paese) riguardo a un progetto sperimentale varato dalla locale scuola media che vorrebbe introdurre delle forme di intelligenza artificiale nell’attività didattica. La polemica è ampia e articolata, e coinvolge anche questioni meramente economiche, quindi ve la risparmio; ma diciamo che ero partito per parlare di filosofia, argomento di cui non si occupa di solito quasi nessuno, e mi son trovato a muovermi invece in un campo in cui fioccavano le interrogazioni e i botta e risposta dei vari partiti.
Penso (spero) di essermela cavata senza danni, forse addirittura bene, ma anche queste novità sono tutto sommato emblematiche: che la filosofia stia, pian piano, uscendo dal proprio guscio? Se si litiga anche accesamente, in politica e sui giornali, per questioni che poi si cerca di dirimere anche grazie all’aiuto di un professore di filosofia, allora significa che forse questa materia non è più la cenerentola d’Italia e può ritornare ad avere un piccolo ruolo nel dibattito pubblico? A me piacerebbe pensare di sì, anche se forse è una pia illusione.
Ah, sempre per parlare di filosofia, prima di cominciare voglio ringraziare chi è stato presente stasera a Loreo ma anche la settimana scorsa a Trieste o a Parma. Varie persone sono venute a salutarmi ricordando quando si erano messe in contatto con me via mail o sui social, o appunto anche tramite la newsletter, e mi ha fatto molto piacere. A Trieste sono perfino comparse due mie ex allieve di scuola, che ora studiano là e che hanno voluto farmi una sorpresa: è bello arrivare in una città e sentirsi anche un po’ a casa. E una cosa simile è successo anche a Loreo, con un’allieva che però mi ha ricordato che sono passati 15 anni da quando le insegnavo la filosofia, e insomma mi ha fatto sentire un po’ anziano.
Per quanto riguarda gli eventi live, altre date presto arriveranno. Dopo il ponte di Ognissanti (o di Halloween, se siete giovani) ci sarà un bel fuoco di fila: lunedì 4 novembre sarò a Verona, a Eataly; martedì 5 novembre parlerò del libro a Rovigo, alla Gran Guardia; giovedì 7 novembre sarò a Pisa, a Palazzo Blu, per parlare di altri mondi.
A questo proposito, un’ultima cosa: visto che ogni tanto qualche collega professore o qualche studente mi dice che mi vorrebbe invitare nella sua scuola ma non sa come fare, vi dico che c’è un modo semplice per farlo, e consiste nello scrivermi. Basta anche rispondere a questa newsletter o più facilmente indirizzare una mail a scrip@ermannoferretti.it e dovrei riuscire a darvi le mie disponibilità. Riesco a muovermi in buona parte del nord Italia senza troppi problemi, come forse avete notato già dall’elenco delle mete di questa settimana, quindi fatevi avanti senza timore. Se invece, come è già accaduto, mi scrivete dalla Sicilia, provateci ma non so se durante quest’anno scolastico sarà possibile; comunque, tentar non nuoce.
E però ora basta con appuntamenti e iniziative: siete probabilmente qui per sentir parlare di libri, film, riflessioni varie, e soprattutto di storia e filosofia. Cominciamo.
Quello che ho letto
E iniziamo allora dai libri, come sempre.
Aut-Aut di Søren Kierkegaard: come vi ho già raccontato molte volte, ogni mese gli abbonati del canale hanno l'opportunità di scegliere il libro che sarà protagonista di un incontro online chiamato "Club del libro", che si tiene generalmente all'inizio di ogni mese. Per novembre, la scelta è ricaduta su un classico della filosofia: Aut-Aut di Søren Kierkegaard. È un'opera ampia, non particolarmente difficile ma di certo densa, frammentaria e originale. Procurarsi questo libro è già di per sé un'impresa: personalmente, sono riuscito a recuperare una vecchia edizione Adelphi in più tomi che avevo già in casa, ma che non avevo mai letto interamente, limitandomi in passato solo a sfogliarne alcune parti come Il diario del seduttore. Mi sono però reso conto che, anche volendo acquistarlo in libreria, è facile commettere qualche errore. Infatti sugli scaffali si trova abbastanza facilmente un’edizione economica – quella Oscar Mondadori – che, a un primo sguardo, sembra completa, ma che in realtà contiene solo una sezione dell’opera. Rivolgendosi invece all'edizione Bompiani, che dovrebbe raccogliere i capolavori di Kierkegaard, ci si imbatte in un problema simile: anche in questo caso il volume riporta solo alcune parti di Aut-Aut e non l'opera nella sua interezza. Al momento, l'unica opzione per avere l’opera integrale sembra essere proprio l'edizione Adelphi, che però ha un prezzo di circa 80 euro complessivi, rendendola inaccessibile per molti. È un vero peccato che un capolavoro del genere risulti così difficile da reperire, soprattutto se consideriamo che l'edizione Adelphi non è neppure disponibile in formato elettronico, cosa che forse permetterebbe di risparmiare qualche decina di euro. Comunque, mi sono messo di buona lena a leggere il primo dei cinque volumi, finendolo in fretta e addentrandomi un po' anche nel secondo. La prima parte è dedicata all'analisi del Don Giovanni di Mozart, con l’aggiunta, all’inizio, di alcune massime e aforismi sparsi. L’obiettivo di questa sezione è presentare il modo di pensare dell’esteta, di colui cioè che vive la vita nell’attimo e nel momento, una filosofia incarnata appunto nel personaggio di Don Giovanni, di cui Kierkegaard tenta un’analisi approfondita. Proprio quell’analisi, ve lo confesso, è a tratti un po’ pesante, soprattutto perché si concentra molto sull’aspetto musicale del componimento di Mozart, rendendo questo lungo saggio più adatto a chi ha familiarità con la musica classica che per il lettore appassionato di filosofia. Ma, come forse sapete, Aut-Aut è un libro molto discontinuo, con momenti molto diversi tra loro, e quindi le parti più interessanti arriveranno di sicuro. Per il momento, se volete acquistarlo, potete trovarlo qui.
Caro presidente, ti scrivo di Michela Ponzani: quando leggo un saggio, soprattutto se si tratta di un saggio di storia o di filosofia, mi rendo conto di portare con me una certa dose di pregiudizi, o, meglio, mi rendo conto di essere molto incline a valutarlo in base all'interesse personale che quel volume suscita in me, piuttosto che al suo valore per il grande pubblico. Ad esempio, libri di filosofia eccessivamente introduttivi, pensati per un pubblico completamente nuovo alla materia, tendono quasi a sembrarmi banali o inutili, anche se riconosco che in realtà non sono né banali né inutili, ma semplicemente rivolti a un pubblico diverso da me, a un pubblico che di questi argomenti ha una conoscenza limitata, mentre io li “mastico”, per lavoro, ormai da molti anni. Detta in altri termini, ci sono diversi livelli di approfondimento e di presentazione dei grandi problemi, e non è detto che i livelli a cui sono abituato io siano quelli più adatti a tutti. Forse è anche per questo motivo che il libro di Michela Ponzani, Caro Presidente, ti scrivo, non mi sta colpendo particolarmente. Si tratta, infatti, di un'opera di storia atipica: partendo da alcune lettere inviate ai vari Presidenti della Repubblica, Ponzani traccia un quadro della storia dell’Italia repubblicana, selezionando momenti significativi e umani e narrandoli con una prospettiva quasi sentimentale. Probabilmente, il libro funziona bene per chi non ha molta dimestichezza con la storia e per chi è abituato a fruirne attraverso mezzi più popolari, come la televisione o i documentari; per chi, insomma, alla storia vera e propria preferisce di gran lunga la memoria. Per chi, invece, conosce già bene questi argomenti, il libro potrebbe risultare meno coinvolgente, forse perché ci si aspetterebbe di trovare nelle lettere ai Presidenti della Repubblica qualcosa di più profondo rispetto a una semplice raccolta di vicende personali. D’altronde il taglio del libro, come accennavo, è molto televisivo, con tutti i vantaggi e i limiti che questo comporta: più spazio al sentimento e all’emotività, soprattutto su temi sensibili, e meno all'approfondimento. C’è però evidentemente bisogno anche di questo tipo di approccio, e non mi sorprende sapere che Ponzani sia spesso ospite di trasmissioni di divulgazione storica e che compaia sempre più frequentemente anche in vari talk show che trattano di attualità: anche quello è un ruolo sempre più necessario. In ogni caso, se vi interessa, potete acquistare il libro qui.
Storia del mondo in 12 partite di calcio di Stefano Bizzotto: questa settimana ho proseguito anche la lettura di La Storia del mondo in 12 partite di calcio del telecronista e giornalista sportivo Stefano Bizzotto. Come vi ho già raccontato, si tratta di un libro che cerca di intrecciare sport e storia: Bizzotto, infatti, parte da alcune importanti partite di calcio, che spaziano dalla Prima Guerra Mondiale fino agli anni più recenti, per raccontare però soprattutto il contesto storico che circondava quegli eventi. Dato che il calcio è uno sport seguitissimo, dietro a quelle partite c'è infatti anche moltissima storia: dalle trincee all'Anschluss, dalle tensioni della Guerra Fredda ai colpi di stato in Sud America, dal Muro di Berlino alla guerra in Jugoslavia. Sono ormai quasi alla fine del libro, mi mancano solo poche pagine; e questo anche perché, tra un'immagine e l'altra, il volume risulta più breve di quanto sembri inizialmente. Devo dire però che, forse grazie alla sua esperienza televisiva, Bizzotto ha uno stile semplice e scorrevole, che rende la lettura fluida e fa girare le pagine velocemente. Se siete appassionati di calcio e storia, o se avete un amico o un parente che ama uno di questi due argomenti, questo libro potrebbe essere un'ottima scelta da acquistare o regalare. Potete trovarlo qui.
Quello che ho visto
Passiamo ora ai film, o meglio ai film e alle serie TV, visto che proprio questo secondo genere la fa abbastanza da padrona questa settimana.
Pane, amore e fantasia (1953), di Luigi Comencini, con Vittorio De Sica, Gina Lollobrigida, Marisa Merlini: se seguite da tempo questa newsletter, vi siete sicuramente accorti della mia passione per i vecchi film in bianco e nero. Non si tratta sempre e solo dei grandi capolavori del passato, ma a volte anche di pellicole che rievocano la società di un tempo, magari anche in modo un po' stereotipato. Questo è anche il caso di Pane, amore e fantasia, classico della commedia romantica italiana degli anni '50 che è possibile recuperare su RaiPlay, ma che quasi sicuramente avete già visto. Si tratta infatti di uno dei film italiani più famosi di sempre, anche se non certo uno dei più belli o originali: abbozzo che mescola temi da barzellette sui carabinieri e storie d'amore sfortunate, è ambientato in un immaginario paese di montagna dei primi anni '50, in un clima da Italia della ricostruzione che però non è ancora diventata né ricca né industriale. Scritto diretto da Luigi Comencini, il film presentava all'epoca due star di prima grandezza, che certo contribuirono al suo grande successo commerciale, visto che all’uscita fu il film più visto di tutto l'anno: un già affermato Vittorio De Sica e una giovane ma aitante Gina Lollobrigida. La storia è molto semplice: un maresciallo di mezza età viene trasferito in uno sperduto paesino di montagna e poi, una volta accasato, inizia a fare la conoscenza della varia umanità che lì vive. C'è il parroco, che conosce tutti da quarant'anni e che si occupa come può delle virtù dei suoi concittadini; c’è la più bella e più povera ragazza del paese, la “Bersagliera”, che campa con piccoli furtarelli; c'è una levatrice che sembra avere qualche segreto nel suo passato; e ci sono poi i paesani, sempre attenti a registrare tutto quello che accade nel villaggio e a spiare a destra e a sinistra. In generale c'è però tanta povertà, ben compensata dalla fantasia e appunto, come il titolo suggerisce, dall'amore, che ripaga di ogni sofferenza e lascia sperare in un domani migliore. Il film non è, come detto, nulla di che, prevedibile e scontato dalla prima all'ultima scena; però appunto dipinge un’Italia uscita dalla guerra con le ossa rotte e però anche desiderosa di ripartire, di darsi in qualche modo da fare e sperare in un domani più roseo. E poi De Sica, anche in ruoli così macchiettistici, era davvero eccellente. Il film lo trovate, come anticipato, su RaiPlay.
Monty Python’s Flying Circus episodi 3.06-3.07 (1972), di e con Graham Chapman, John Cleese, Michael Palin: ve l'ho già detto, credo, la settimana scorsa: mi sta salendo un po' l'ansia perché ho letto che Netflix sta per togliere dal suo catalogo le puntate del Monty Python's Flying Circus, che finora erano disponibili, anche se solo in lingua originale sottotitolata, sulla piattaforma. Così, anche se un po' a singhiozzo, sto cercando di recuperare le ultime puntate che mi mancano per terminare lo show, visto che alcuni di questi episodi non li ho in effetti mai visti per intero in vita mia. Purtroppo, però, non è più estate e non ho tutto il tempo libero di prima, e mi trovo così spesso con l'acqua alla gola, considerando anche il fatto che, essendo in inglese e trattandosi di una vecchia serie tv degli anni ’70, richiede pure una certa attenzione. Detta in altri termini: guardarla di fretta, magari mentre cucino o aspetto che i figli finiscano l’allenamento di basket, non rende giustizia alla serie. Comunque anche questa settimana sono riuscito a vedere due episodi, tra l’altro abbastanza divertenti. Tra tutte le gag che il gruppo britannico ha messo in scena, sottolineerei quella del negozio di formaggi, che mi ha fatto ridere come non succedeva da tempo: è una scenetta così assurda che si inserisce perfettamente, quasi come un marchio di fabbrica, nello stile dei Monty Python. Se volete gustarvi questo e gli altri episodi prima che vengano rimossi, li trovate ancora su Netflix.
Welcome to Wrexham episodio 1.09 (2022), con Ryan Reynolds e Rob McElhenney: da ragazzo ero molto appassionato di sport, soprattutto di calcio. Seguivo in televisione praticamente tutte le partite della mia squadra del cuore, prestando attenzione anche, per quanto possibile all’epoca, ai campionati stranieri (a tal proposito, ho una vecchia passione per l'Arsenal che deriva dai libri di Nick Hornby). Poi, col passare degli anni, questo interesse per il calcio è andato via via scemando, un po' perché il mondo del pallone ha molte pecche e storture, e un po' perché non amo troppo l'esasperazione che spesso coinvolge i nostri tifosi. Tutte le polemiche sui rigori non dati, sugli arbitraggi ingiusti e così via mi lasciano indifferente o addirittura insofferente, e spesso preferisco sport meno polemici e più spettacolari, come il basket (anche se ormai pure alle partite giovanili di pallacanestro si sentono genitori che urlano per tutta la partita contro gli arbitri: evidentemente gli imbecilli sono dappertutto). Ad ogni modo, continuo a guardare qualche partita di calcio di tanto in tanto e a seguire distrattamente le vicende di uno sport che, in sé e per sé, resta bello e interessante. Tutta questa lunga premessa mi serve per dirvi quanto sto apprezzando Welcome to Wrexham, una serie disponibile su Disney+ che racconta le avventure e le disavventure di una piccola squadra di calcio gallese, il Wrexham, che è stata recentemente acquistata da due star di Hollywood: Ryan Reynolds, famoso per Deadpool, e Rob McElhenney, conosciuto soprattutto per la serie It's Always Sunny in Philadelphia. Mi sta piacendo perché – al di là della curiosità attorno a due ricchi americani che si gettano nel mondo del calcio europeo – la serie cerca di capire cosa appassiona davvero i tifosi del Vecchio Continente. E quello che emerge è che non è la forza di una squadra o il bel gioco a portare la gente allo stadio, ma il senso di appartenenza, il legame indissolubile tra persone, comunità e squadra. Insomma, Welcome to Wrexham ci fa riflettere sul fatto che dietro al calcio c'è un senso di comunità e legame che dà un nuovo significato alle polemiche, alla rabbia e alla gioia che si vivono negli stadi. La trovate, come detto, su Disney+.
Quello che ho pensato
È decisamente l'anno dell'intelligenza artificiale: tutti ne parlano, a volte con toni entusiastici, altre volte con toni allarmistici. E allora, forse, vale la pena di mettere nero su bianco qualche riflessione su questo tema, anche perché ultimamente vengo chiamato spesso a discuterne. Proprio stasera, anzi, sono di ritorno da Loreo, dove, come vi raccontavo, ne ho parlato diffusamente.
Già di per sé questa cosa è significativa: per una volta, a essere interpellati non sono infatti solo ingegneri, informatici o tecnici, ma anche umanisti. È come se davanti a quest’innovazione tecnologica ci si rendesse conto, per la prima volta, che non sono in gioco solo competenze tecniche o ingegneristiche, ma anche (e forse soprattutto) quelle legate alla storia e alla filosofia. Mi inorgoglisce il fatto che si stia riconoscendo che anche noi, soprattutto se abbiamo qualche base di conoscenza scientifica, possiamo contribuire al dibattito, e anzi, a un dibattito estremamente attuale.
D’altro canto, devo anche dire che in effetti il vero problema dell'intelligenza artificiale non è tanto capire come funzioni o quali implementazioni avrà in futuro, ma come noi esseri umani dovremo gestire il cambiamento di paradigma che sta emergendo, sia in termini di intelligenza stessa, sia dal punto di vista dell’educazione. Non a caso, mi chiedono spesso di parlare di AI proprio nelle scuole, dove finora l'intelligenza è stata umana, fin troppo umana; e dove si è spaventati da una cosa che sembra disumana (ma che in realtà è più umana di quanto appaia).
In primo luogo, bisogna ammettere che almeno a prima vista l'intelligenza artificiale è molto diversa dall'intelligenza a cui siamo abituati. È estremamente efficiente nel compiere compiti specifici (salvo occasionali errori) e risponde senza posa alle nostre richieste, purché siano formulate correttamente. Elabora testi che a noi costerebbero ore di fatica e disegni che a noi richiederebbero anni di apprendistato, e fa tutte queste cose velocemente e a costi (almeno per noi) contenuti.
Tuttavia, per ora non sembra in grado di andare oltre a questo, e in particolare non sembra in grado di agire autonomamente al di fuori dei requisiti che le vengono posti. Da un lato questo è ovviamente un bene, perché impedisce all'AI di prendere iniziative non desiderate; dall'altro, però, allo stesso tempo ci responsabilizza enormemente, poiché ciò che l'AI produce è sempre e solo ciò che noi le chiediamo di produrre. Se pensavamo che le macchine potessero pensare al posto nostro, probabilmente abbiamo sopravvalutato le loro capacità: a pensare dobbiamo essere ancora noi, a decidere dobbiamo essere ancora noi. E questo potrebbe essere un guaio.
Proprio per questo motivo, la riflessione su questi strumenti diventa cruciale. Si tratta pur sempre di utensili, anche se potentissimi, che non abbiamo mai maneggiato prima e che ora dobbiamo imparare a utilizzare e definire. Dobbiamo capire cosa vogliamo che facciano, e come vogliamo che lo facciano.
Oggi le intelligenze artificiali generative creano testi simili a quelli che scrivevamo a scuola, immagini paragonabili a quelle prodotte con Photoshop, e ci fanno da tutor nell'apprendimento di varie discipline, in modo non troppo diverso da un buon insegnante. Tuttavia, si sostituiscono a noi solo nella misura in cui prepariamo loro la strada. Pensateci: ci sono moltissime altre cose che le AI potrebbero fare, ma che non fanno, semplicemente perché nessuna azienda ha deciso di investirci, perché nessuna azienda le ha abituate a farlo.
Facciamo un esempio concreto: oggi ChatGPT e strumenti simili riassumono testi in modo semplice e veloce, sfruttando una funzionalità che sembra pensata per soddisfare le esigenze del mondo business, che ha sempre bisogno di briefing e riassunti frettolosi. Allo stesso tempo, però, quelle IA non riescono a valutare l’originalità o la creatività di un testo, cosa che di per sé non sarebbe neppure troppo complicata. Dopo un uso prolungato, anzi, ChatGPT appare prevedibile, banale, quasi fastidiosa nella sua continua ricerca di accontentare tutti. La AI non prende posizione, non esprime giudizi, e questo perché è stata programmata così. L’originalità non è una sua priorità, la sintesi sì; e quindi – per ora – abbiamo strumenti che sintetizzano male ma difettano di inventiva.
Questo ci fa capire che il problema non è solo ciò che queste AI possono fare, ma anche ciò che noi decidiamo che facciano. E queste decisioni che prendiamo (o meglio che prendono le aziende che realizzano queste intelligenze artificiali) hanno un peso enorme, poiché determinano le direzioni in cui vogliamo svilupparci e con quali velocità.
In questo contesto, credo che la scuola abbia un ruolo fondamentale, forse rivoluzionario. È da anni che si parla di riformare il sistema scolastico, e l'emergere delle AI può accelerare finalmente questo processo. La scuola tradizionale, con il suo approccio nozionistico e mnemonico, è ormai superata, e non potrebbe essere altrimenti: tutti i dati del mondo si trovano facilmente, in quattro e quattr’otto, su internet, e le intelligenze artificiali possono risolvere moltissimi problemi al posto nostro in un batter d’occhio. Continuare a insegnare nelle stesse modalità di cinquanta o cento anni fa equivarrebbe a insegnare ai ragazzi come calcolare a mano le radici quadrate: un inutile spreco di tempo, visto che si può fare la stessa cosa molto più velocemente con la calcolatrice. Già i nostri genitori e i nostri nonni hanno fatto un primo passo: hanno ammesso le calcolatrici in classe, capendo che questo avrebbe liberato tempo per impegnare la mente con altre cose; e lo stesso ora si può fare con l’intelligenza artificiale, in modo ancora più deciso.
Quello su cui la scuola dovrebbe concentrarsi, dunque, non è più la capacità di memorizzare o di eseguire lunghe e difficili operazioni a mano; piuttosto dovrebbe lavorare sullo sviluppo di una matura e autonoma capacità di scelta, un’abilità che ancora non viene sufficientemente sviluppata.
Pensiamo a come funziona il liceo oggi: in ogni materia, di solito, il docente presenta il programma, lo spiega, e lo studente deve impararlo più o meno a memoria, dimostrando di essere in grado di replicarlo. Ci sono ancora molti docenti che sorridono belli contenti quando sentono che durante un’interrogazione il ragazzo ripete a menadito le stesse parole che l’insegnante stesso aveva pronunciato in classe poche settimane prima. Studiare, in molti casi, diventa ripetere, e nulla più.
In matematica si imparano formule da applicare, nelle materie umanistiche si ripetono a memoria pensieri e poetiche di autori. Raramente si chiede agli studenti di esprimere opinioni o di proporre analisi originali. La scuola dell’era dell’IA dovrà invece formare studenti capaci di formulare domande e di interpretare i dati, invece di ripeterli, perché le risposte le daranno i computer.
In questo, la scuola parte avvantaggiata. Gli insegnanti potrebbero non sapere ancora bene come funzionano le AI, ma dovrebbero sapere come si insegna, in cosa consiste il loro lavoro. E il compito dell'utilizzatore dell'intelligenza artificiale, a ben guardare, è proprio simile a quello dell’insegnante: consiste nel fare le domande giuste e nel valutare le risposte che riceve. Che è esattamente quello che facciamo, ogni giorno, noi insegnanti. E allora potenziare queste competenze sarà cruciale. La sfida sarà trasmettere non più solo contenuti, ma abilità: non più dati, ma interpretazioni.
Ovviamente, per fare questo, sarà necessaria una formazione adeguata: non si può cambiare metodo di insegnamento dall'oggi al domani. Per questo sarebbe opportuno iniziare a sperimentare, con corsi di formazione e prove legate all'uso delle AI. Qualcosa già si sta facendo, ma ancora troppo poco, e con eccessiva titubanza, anche perché il Ministero dell'Istruzione sembra distratto da altre questioni, molto più marginali.
Nel frattempo, mentre decidiamo se temere o abbracciare questi strumenti, l'intelligenza artificiale continua a fare passi da gigante. Se solo un anno fa sottolineavamo gli errori di ChatGPT, oggi i modelli più recenti riescono a risolvere operazioni logiche complesse e a mettere insieme ragionamenti in più passaggi. In America si sperimenta ChatGPT come nuovo motore di ricerca alternativo a Google, e anche in Italia esistono già da tempo soluzioni come Perplexity, un'intelligenza artificiale che scansiona il web e riordina le informazioni in modo chiaro ed efficace. Di colpo, non serve più seguire tutorial per ogni cosa: basta chiedere a queste AI per ottenere subito la risposta desiderata.
Di fronte a tutto questo, però, c’è una cosa di cui sono particolarmente orgoglioso: che ciò che conta, come ho sottolineato, è saper porre le domande giuste, e quindi che ciò che conta è essere filosofi e storici. Le domande giuste, infatti, nascono dalla conoscenza della storia, dai cambiamenti che l'umanità ha già affrontato, e forse ancora di più dalla filosofia, che ci insegna che spesso le risposte dipendono dalle domande. Lo diceva già Platone, lo possiamo ripetere anche noi oggi.
Quello che ho registrato e pubblicato
E ora facciamo il punto, come al solito, sui video e sui podcast che ho registrato e pubblicato questa settimana:
Arriva LibSophia: la presentazione ufficiale del nuovo progetto realizzato assieme alla Fondazione Luigi Einaudi e Trieste Campus
Libsophia #1 – Luigi Einaudi: la prima puntata di LibSophia, dedicata alla figura di Luigi Einaudi
La civiltà minoica e la sua storia: incominciamo finalmente a parlare anche di storia greca, partendo come si conviene dalle origini
Storia delle Olimpiadi recenti: ultima puntata dedicata alla storia delle olimpiadi, in cui ci concentriamo sulle ultime edizioni dei giochi
Il calcolo infinitesimale e Leibniz (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
Il nazismo senza oppositori (per il podcast “Dentro alla storia”)
L’Unione Sovietica verso l’industrializzazione forzata (per il podcast “Dentro alla storia”)
La nascita di Venere di Botticelli
Quello che devi fare per seguirmi sui social
Ah, prima di dimenticarci vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
Il canale YouTube | Instagram | Facebook | Twitter/X | TikTok | Threads
Quello che puoi fare per sostenere il progetto
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono gli abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i consigli della settimana.
Le origini del totalitarismo di Hannah Arendt: di Hannah Arendt abbiamo già parlato tante volte, e in passato vi ho consigliato anche La banalità del male su queste stesse colonne. Ora è giunto il momento di passare all’altro suo grande capolavoro, dal taglio un po’ storico e un po’ filosofico: si tratta de Le origini del totalitarismo, uno studio su nazismo e stalinismo che è stato pionieristico e importantissimo. Lo si può comprare qui.
sui social questa settimana ho segnalato come al solito diversi libri appena usciti che mi paiono interessanti, una sorta di “lista della spesa” che dovrebbe rivelarsi utile anche in primis per me. Ecco i volumi, se ve li siete persi (se vi interessano, cliccate sopra alle immagini per altre informazioni):
C’è poi un ulteriore modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ce n’è uno chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate, passando anche per il Club del Libro e il Simposio. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Ultima cosa da ricordare: in tutte le librerie è presente il mio nuovo libro, Anche Socrate qualche dubbio ce l’aveva. Il sottotitolo rende piuttosto chiaro di cosa si occupa: Come lo scetticismo filosofico può salvarti la vita nell’epoca della performance. In pratica riprendiamo il pensiero di alcuni grandi filosofia (Socrate, Occam, Montaigne, Hume, Popper e altri ancora) e cerchiamo di trarne degli insegnamenti per vivere meglio oggi, in un mondo in grande cambiamento; e cerchiamo di farlo tramite uno stile non difficile ma stimolante. Il libro è disponibile sia in formato cartaceo che ebook. Ecco qualche link per l’acquisto:
Quello che c’è in arrivo
E concludiamo come sempre anche con qualche anticipazione su quello che dovrei riuscire a far uscire nei prossimi giorni:
domani, se tutto va bene, vorrei proporvi un video intitolato Storia delle tensioni in Medio Oriente, per fare il punto sulla zona più calda del mondo;
mercoledì arriverà poi la riunione per abbonati del Simposio mensile, su questo tema: “L’arte può essere oggettiva o è sempre soggettiva?”;
giovedì vorrei poi proporvi un video sui presocratici, tutti presentati in un’ora;
venerdì e sabato torneranno quindi i podcast, incentrati rispettivamente su Vico e su Stalin;
domenica sarà probabilmente la volta di una nuova puntata del Candido di Voltaire, letto e commentato integralmente;
lunedì prossimo, infine, forse riuscirò a preparare un video su Zygmunt Bauman e il suo pensiero.
E questo è tutto. Domani mattina partirò coi miei ragazzi per Marzabotto, per la mia ormai tradizionale uscita nei luoghi della strage nazifascista: ve ne racconterò. Adesso però, anche per prepararmi, è ora che vada a letto. Buonanotte!