Parliamo di merito tra insegnamento e spettacolarizzazione, di guerra tra Niente di nuovo sul fronte occidentale e Sc'vèik, di Nightmare Before Christmas, Troia, Primo Levi, Eco, Pitagora, Meneghello
Non vi nascondo che questa settimana è stata per me estremamente intensa, cioè piena zeppa di impegni. A scuola abbiamo cominciato le attività dell’orientamento in ingresso, che da qui fino a gennaio saranno particolarmente impegnative. Poi ho in ballo tutta una serie di incontri – sia a scuola che fuori – che mi porteranno a girare in lungo e in largo per la provincia. Infine, questa settimana arriveranno anche i consigli di classe e così ho dovuto dare un’accelerata improvvisa alla correzione dei compiti in classe, operazione che mi sta rubando parecchie ore di sonno. Senza contare che per qualche giorno ho avuto anche i “postumi” di Lucca, cioè una certa stanchezza da smaltire dopo la capatina della settimana scorsa al grande festival del fumetto.
Ciononostante, con una punta d’orgoglio vi faccio notare che i nostri appuntamenti continuano ad essere piuttosto regolari: oggi arriva la newsletter, durante la settimana sono continuati ad uscire video e podcast e presto sarà la volta anche dei “regali del mese” per gli abbonati del canale YouTube (se non sapete di cosa si tratta, filate subito alla sezione Quello che puoi fare per sostenere il canale). Insomma, per ora reggo: speriamo di arrivare indenni fino a Natale, quando finalmente si potrà un po’ rifiatare.
L’unica cosa in cui ho cominciato a perdere prepotentemente colpi è stata la risposta alle mail e ai commenti ai video su YouTube. In questo settore ho infatti accumulato parecchio lavoro arretrato, sostanzialmente perché ho dovuto gestire fin troppe comunicazioni extra, in questo periodo. Spero di riuscire, prima o poi, a riprendere il filo di tutto, ma non so quanto ci vorrà. Portate pazienza, ma siete in tanti e il mio tempo è sempre meno.
Gustatevi però, intanto, questa newsletter. Come al solito ci ho lavorato parecchio e mi piacerebbe vi stimolasse almeno qualche riflessione. Cominciamo.
Quello che ho letto
Partiamo come ogni settimana dalle letture: come vedrete in elenco c’è un solo volume nuovo, un libretto agile e veloce; in compenso però noterete che mi son portato avanti anche con romanzi in un certo senso storici, che sto cioè leggendo da un po’.
Libera nos a Malo di Luigi Meneghello: se non vivete in Veneto, forse questo libro – ambientato grossomodo prima e in parte subito dopo la Seconda guerra mondiale – potrebbe sembrarvi più distante da voi di quanto non sia. Se però siete di queste parti, le parole di Meneghello vi suoneranno incredibilmente familiari. Libera nos a Malo, infatti, è un libro di ricordi per certi versi abbastanza semplice: racconta un’infanzia come tante, vissuta appunto a Malo, in provincia di Vicenza, in uno di quei paesotti del nord-est che si somigliano un po’ tutti. A differenza del libro di ricordi di vostro nonno, però, questo lavoro di Meneghello ha il pregio di non raccontare solamente delle storie più o meno consuete, ma di cercare quasi di avanzare un’analisi, spartana ma interessante, della vita del tempo dal punto di vista sociologico e linguistico. Di tanto in tanto, infatti, l’autore mette in un certo senso in pausa i ricordi e si sofferma ad analizzare il perché delle cose: perché si usava il dialetto e in che modo, perché si facevano certi giochi violenti o pericolosi, perché il rapporto con la religione era vissuto in maniera così intensa. Tutto questo, ovviamente, dona al libro una caratura tutta nuova, che gli permette di elevarsi al di sopra delle piccole vicende raccontate e di assurgere in qualche modo all’universalità (o almeno alla rappresentanza di tutto il Veneto). Se vi interessa, lo potete comprare qui.
Costruire il nemico di Umberto Eco: il libro nuovo della settimana è questo breve saggio pubblicato da La Nave di Teseo e per la verità già uscito in diverse edizioni lungo gli anni. A dirla tutta, non è nemmeno un saggio nel senso proprio del termine, perché si tratta in realtà della trascrizione di una conferenza che Eco tenne nel 2008. Al suo interno il filosofo piemontese cerca di delineare i modi in cui – nella storia, dall’antichità fino ai giorni nostri – si è lavorato per “costruire il nemico”, cioè per creare un avversario (spesso politico, talvolta etnico o sociale) contro cui misurarsi, contro cui levare gli scudi, contro cui contrapporsi (anche per riconoscersi). Si sente qui pesantemente l’eco di Carl Schmitt, il celebre e famigerato filosofo tedesco che per primo propose la distinzione tra amico e nemico come elemento cardine della politica, che però mi pare non venga mai esplicitamente citato; ma la parte più interessante è forse quella conclusiva, quando Eco, dopo aver raccontato cose che i suoi lettori fedeli già conoscono perché spesso hanno fornito materiale anche per i suoi romanzi, cerca di trarre le sue conclusioni; e le conclusioni, in questo senso, non sembrano ottimistiche. Vi lascio giusto con una citazione che mi pare in questo senso emblematica: «Pare che del nemico non si possa fare a meno. La figura del nemico non può essere abolita dai processi di civilizzazione. Il bisogno è connaturato anche all’uomo mite e amico della pace. Semplicemente in questi casi si sposta l’immagine del nemico da un oggetto umano a una forza naturale o sociale che in qualche modo ci minaccia e che deve essere vinta, sia essa lo sfruttamento capitalistico, l’inquinamento ambientale, la fame del Terzo mondo. [...] L’etica è dunque impotente di fronte al bisogno ancestrale di avere nemici? Direi che l’istanza etica sopravviene non quando si finge che non ci siano nemici, bensì quando si cerca di capirli, di mettersi nei loro panni». Sono temi su cui, presto o tardi, avremo modo di ritornare, perché la costruzione del nemico è ancora – e forse oggi più di quindici anni fa – al centro del nostro modo di fare politica. Se vi interessa, lo potete acquistare qui.
Il buon soldato Sc’vèik di Jaroslav Hasek: il nostro amico Sc’vèik, che ormai conoscete bene se seguite con assiduità questa newsletter, continua a farne di cotte e di crude attraverso l’Impero Austro-Ungarico durante la Prima guerra mondiale. Vi avevo raccontato, credo, di come lo stupido soldato boemo fosse stato arrestato sotto l’accusa di essere una spia russa; durante il trasferimento del prigioniero, però, il nostro amico è riuscito involontariamente a far ubriacare il proprio carceriere ed è stato in un certo senso tratto in salvo da un altro ufficiale, che ha deciso di spedirlo al fronte, dove doveva fin dal principio andare. Adesso, arrivato là dove si combatte davvero, Giuseppe Sc’vèik ha ritrovato il tenente Lukàš, che l’ha riaccolto con grande disperazione, e sta già cominciando a farsi riconoscere. Fa un po’ specie che un libro così grottesco e divertente racconti la stessa guerra che viene raccontata da capolavori del dramma e della tragedia come Niente di nuovo sul fronte occidentale di Remarque (a proposito: tra qualche riga vi parlerò anche del nuovo adattamento cinematografico che ne hanno tratto); qui il clima è giulivo e divertito, là è incredibilmente duro. Questa differenza di tono, però, non deve in realtà stupire: nei racconti di Hasek domina il sarcasmo per una guerra assurda a cui si può reagire, pare, solo con l’umorismo feroce di chi vuole dissacrare i miti guerreschi; e il sarcasmo e l’umorismo nero costituiscono, d’altra parte, una delle possibili reazioni davanti all’orrore, assieme ovviamente al dramma e alle lacrime. La guerra che i libri raccontano, insomma, è sempre la stessa: le reazioni degli uomini possono però anche essere in un certo modo opposte. Se il romanzo (che è anche bello corposo, e ricco d’inventiva) vi interessa, lo potete comprare qui.
Quello che ho visto
Parliamo anche di film e di serie TV, ovviamente. Partiamo da una pellicola a tema Halloween, visto che quella festa è passata da poco; scivoliamo poi, come già anticipato, verso la guerra; e concludiamo infine con una sitcom.
Nightmare Before Christmas (1993), di Henry Selick, da un racconto di Tim Burton: la newsletter dedicata ad Halloween è stata quella della settimana scorsa; qui in casa, però, per almeno un paio di giorni il clima è stato quello di una festa che si prolunga: i costumi dei bambini sono rimasti in giro per le stanze, gli addobbi sono rimasti (e forse lo sono ancora adesso mentre scrivo) appesi all’esterno del portone e, soprattutto, le caramelle di “dolcetto o scherzetto” hanno continuato ad esser mangiate. Così, visto che i bambini più piccoli della mia famiglia non l’avevano mai visto e che anche i grandi lo ricordavano poco, ne abbiamo approfittato per (ri)guardarci Nightmare Before Christmas, il celebre film in stop motion che all’inizio degli anni '90 aprì un vero e proprio filone, raccontando le feste in modo alternativo. La storia credo la conosciate più o meno tutti: Jack Skeletron, responsabile delle feste nel paese di Halloween, finisce per caso nel paese del Natale e spera di riuscire a comprendere il segreto di Babbo Natale, arrivando perfino ad impersonarlo per immedesimarsi meglio nei suoi panni. Gli esiti sono tragicomici, anche se alla fine tutto si sistema. Nonostante i suoi trent’anni sulle spalle, la pellicola è ancora godibile e affascinante e i bimbi in effetti ne sono stati presissimi: segno che una buona storia regge bene all’usura del tempo, anche se le tecniche d’animazione possono sembrare sorpassate. Se vi interessa, lo trovate su Disney+.
Niente di nuovo sul fronte occidentale (2022), di Edward Berger, con Felix Klammerer, Albrecht Schuch, Aaron Hilmer: se siete abbonati a Netflix, sicuramente avrete visto nei giorni scorsi la pubblicità di questo nuovo film appena arrivato sulla piattaforma. Una cosa, questa, che in altri tempi mi avrebbe stupito, perché un film sull’assurdità della Prima guerra mondiale, una guerra di logoramento e di immobilismo, sembra quanto di meno spettacolare si possa pensare, e quindi ben distante dagli standard dei servizi di streaming americani. Eppure da qualche tempo la Grande guerra sembra tornata di moda (ricordate, ad esempio, 1917?); senza contare che Netflix, un po’ alla volta, ci sta abituando a produrre e promuovere a spron battuto di tutto e di più: dai film adolescenziali sull’amore a quelli più o meno di supereroi, da sitcom convenzionali a film storici ben curati. In effetti, questo ennesimo (è il terzo) adattamento del romanzo di Erich Maria Remarque fa alla fine dei conti bella figura, quando lo si guarda. La descrizione della vita di trincea è accurata, il clima è giustamente gravoso, si riesce addirittura a dar conto delle tensioni interne all’esercito e alla popolazione tedesca negli ultimi mesi della Prima guerra mondiale, quando la Germania si preparava a capitolare, ad essere umiliata ma anche a prepararsi per una sorta di rivincita, contro il “nemico interno” e quello esterno. Certo, può darsi, come ho letto qua e là, che il film non sia perfetto, ma bisogna anche ammettere che dopo tante pellicole maestose dedicate alla Grande Guerra è difficile riuscire a stupire lo spettatore navigato; ciononostante, mi è piaciuto molto l’uso della musica – raramente così efficace in un film di guerra – e la realizzazione di alcune scene molto ben costruite. Mi è dispiaciuto solo che, almeno stando alla mia memoria, il modo in cui muoiono alcuni dei compagni del protagonista non è lo stesso raccontato nel libro. Comunque sia, Niente di nuovo sul fronte occidentale è sicuramente un film ben fatto, consigliatissimo a chi è appassionato di quel particolare (e tragico) periodo della nostra storia. Come detto, lo recuperate su Netflix.
Superstore episodi 2.19-2.20-2.21 (2017), di Justin Spitzer, con America Ferrera, Ben Feldman, Mark McKinney: sto continuando anche la visione di questa serie televisiva americana di qualche anno fa, perfetta da guardare in velocità mentre si mangia (a pranzo), prima di correre a fare i compiti (per quanto riguarda i miei figli) o a correggerli (per quanto riguarda me). Nonostante la prima stagione fosse relativamente disimpegnata, nella seconda si sono toccati svariati temi sociali, anche se adesso le ultime puntate della stagione stanno lavorando maggiormente sui personaggi, probabilmente per tirare le fila in vista del gran finale. Simpatica, cattiva al punto giusto ma non troppo impegnativa: se non ve ne ho mai parlato, si tratta di una serie ambientata tra gli impiegati di un superstore, un mega-supermercato in cui si vende di tutto (e in cui il personale è decisamente sottopagato). La trovate anche questa su Netflix.
Quello che ho pensato
Come ho avuto modo di sostenere più o volte qua e là, e anche in qualche vecchia puntata di questa newsletter, trovo che a volte i nostri dibattiti siano abbastanza inconcludenti. Se aprite un giornale, se ascoltate una trasmissione televisiva, perfino se entrate nei social network popolati da giovani vi potete tranquillamente trovare davanti, ogni giorno, a ondate di qualunquismo, indignazione, discorsi che non vanno da nessuna parte e che lasciano il tempo che trovano. Anche perché questo tipo di retorica funziona come un vortice: ti attira e a volte, se non hai i nervi saldi, rischi di precipitarci dentro, finendo per riprodurre anche tu a tua volta proprio quel modo inutile di discutere che non porta da nessuna parte.
Mi rendo conto che, presentato così, il discorso possa sembrare un po’ nebuloso. Provo a renderlo un po’ più concreto con un esempio diretto di cui molto probabilmente avete sentito parlare in questi giorni: quello della studentessa laureata in Medicina all’età record di 23 anni, perseguendo nel frattempo anche una carriera come modella. Una storia di cui hanno parlato tutti i giornali e che è rimbalzata prepotentemente anche sui social network, tanto è vero che pure i miei studenti la conoscono in lungo e in largo e me ne hanno parlato in classe.
Il caso, d’altra parte, è stato creato proprio dai giornali (immagino dietro pressione della famiglia: chi lavora o ha lavorato nei quotidiani sa bene che pezzi di questo tipo nascono novantanove volte su cento grazie a qualcuno – di solito l’interessato o un suo caro – che fa pressioni perché il giornale parli di lui). Prima hanno cominciato esaltando questa ragazza, mostrandola come un’eccellenza assoluta. Poi, poco dopo, l’hanno denigrata, perché tanta bravura ha sollevato sospetti di favoritismi, pare anche suffragati da alcune proteste dei suoi compagni di corso.
Come ho scritto anche altrove: il problema, in realtà, non è tanto la ragazza; il problema siamo noi. Ad esempio, non ho scritto e non voglio scriverne il nome, come invece stanno facendo tutti (ho visto che ad un certo punto il suo nome e cognome è diventato addirittura un hashtag su Twitter). Lasciamola perdere: se è stata davvero brava, faranno bene i suoi cari a congratularsi con lei ma non ha troppo senso farla comparire sulla prima pagina del Corriere della Sera, cosa che serve solo a spettacolarizzare una vita e un impegno; se invece ha in qualche modo barato, fanno bene i suoi compagni a chiedere chiarimenti, ma anche in quest’ultimo caso non sarò certo io – che non ne so nulla – a giudicare della questione.
Il problema siamo noi perché in realtà non ci importa davvero di quella storia in sé; ci importa di come quella storia consolida o smentisce la nostra visione del mondo. Se ce la consolida, applaudiamo; se ce la smentisce, reagiamo con rabbia. Ho visto gente scrivere fior di post in difesa della laureata, senza averla mai vista neppure una volta in faccia, solo perché vuole difendere il merito (indipendentemente poi dal fatto che le persone siano davvero meritevoli o meno); e ho visto altra gente accusarla di nefandezze, anche in questo caso senza averla mai neppure vista in faccia, solo perché crede che chi ce la fa debba per forza essere un privilegiato che ha barato. Tutti i nostri post e i nostri commenti parlano molto più di noi che non della laureata in Medicina.
Ma lasciamo stare, per un momento, noi. Guardiamo a come questa storia è stata raccontata. In primo luogo, è inevitabile notare che si è forse esagerato nelle celebrazioni: di storie simili a quella di questa ragazza, a guardar bene, in Italia ce ne sono tante. Solo per fare un esempio banalissimo, anche mia moglie è medico, e si è laureata anche lei benissimo a 24 anni da poco compiuti (non ha barato: aveva fatto la primina e poi ha dato tutti gli esami in tempo). A suo tempo non abbiamo chiamato il Corriere perché parlasse di noi, non ci siamo vantati: è successo e basta. È stata brava, certo. Ma non ha mai preteso di essere un modello, né di essere la donna dei record. Non ha mai vissuto l’università come una gara, come una corsa a vedere chi finiva prima; certo, ha cercato di finire il prima possibile e ha sudato parecchio per farlo, ma solo perché Medicina è dura e prima la si finisce meglio è; non mirava a vantarsene.
D’altra parte ne conosciamo parecchi di medici bravi e veloci, che hanno in certi casi anche dovuto lavorare mentre frequentavano l’università, o che hanno dovuto trasferirsi lontano da casa, pagandosi l’affitto e gli studi. Sono bravi, a volte bravissimi, ma nessuno li mette sulle prime pagine: a volte perché non sono belli o col fisico da modella come la ragazza di questi giorni; a volte perché sono immigrati (che fanno parecchia più fatica di noi a imporsi in questo e in altri mestieri); a volte perché, semplicemente, non ci tengono a diventare dei personaggi.
La vera questione, quindi, è proprio questa: il mettere quella ragazza in prima pagina è informazione? O, meglio: è un’informazione utile? Ci dice qualcosa del nostro sistema scolastico o universitario, ci insegna qualcosa di nuovo su come riuscire a far meglio? Ci può ispirare, in qualche maniera? A giudicare dalle reazioni convulse di questi giorni tra chi l’ha sostenuta e chi l’ha criticata, a me pare di no. È una notizia creata ad arte solo per alimentare i nostri sentimenti più retrivi: per portarci ad ammirare quella ragazza o a provarne invidia. Per farci dire: «Oh, mamma, che brava! E che bella!», oppure: «Sì, figurati, chissà cos’avrà fatto per arrivare lì». Perché queste sono, nel 95% dei casi, le reazioni che una storia del genere provoca. Nient’altro. Di fatto, niente di diverso da quello che si può pensare leggendo un rotocalco di gossip di serie B.
Il che non vuol dire che il talento o il merito non vadano in certi casi mostrati e giustamente riconosciuti. Anzi: avremmo tanto bisogno di un giornalismo che ci presentasse il merito, quel tipo di merito che sa essere davvero di ispirazione. Un giornalismo che non giochi sempre coi nostri sentimenti più bassi, ma sappia alimentare quelli più alti. Peccato però che quel merito che sa ispirare, se ci fate caso, raramente finisce sui giornali: forse perché è meno spettacolare, forse perché non ama mettersi in mostra, forse semplicemente perché non cerca le prime pagine.
E lo ripeto: di merito, ma quello vero, avremmo disperatamente bisogno. Nella mia esperienza, ogni volta che ho incontrato una grande persona, una persona di successo nel suo campo, ho sempre avuto qualcosa da imparare. Non sono uscito da quell’incontro con invidia o con ammirazione sterile, ma con la voglia di migliorare. Le persone veramente meritevoli (o almeno quelle che apprezzo io) in primo luogo sono modeste, rifuggono dagli elogi sperticati; in secondo luogo pensano sempre a cosa ti possono lasciare. Forse è una mia deriva professionale, ma mi è sempre parso che i grandi scrittori, i grandi filosofi, i grandi architetti, i grandi scienziati fossero anche, in primo luogo, dei grandi maestri, persone cioè in grado di insegnare qualcosa a chi li stava ad ascoltare.
È per questo che, mi sembra, a volte fraintendiamo il merito, o il ruolo sociale del merito. Che ci siano persone meritevoli è, ovviamente, una buona cosa. Che si debba sperare che queste persone meritevoli mettano le loro capacità anche a servizio degli altri, è una bella speranza. Che queste qualità possano fare da traino per formare altri alla grandezza, dovrebbe essere l’ambizione di un’intera società.
Ma come si forma gli altri alla grandezza o comunque all’impegno? È questa la domanda. Io non credo che esaltare i meritevoli come dei superuomini o delle superdonne, capaci di arrivare laddove noi comuni mortali non possiamo, sia poi così proficuo. Alimenta, come dicevamo prima, un’ammirazione sterile o un’invidia e un sospetto altrettanto inutili.
Forse avremmo bisogno di grandi persone che ci raccontino non solo i loro successi, ma anche i loro fallimenti. Premi Nobel – e a volte lo fanno davvero – che ci dicano anche quante volte hanno fallito, e come. Che ci mostrino la loro normalità in mezzo alla genialità, i loro sacrifici ma anche le loro scelte di vita, le loro sofferenze e non solo le loro gioie. Abbiamo bisogno, potremmo anche dir così, di personaggi a tutto tondo, che ci mostrino che serve dedizione ed impegno ma a volte serve anche una certa dose di fortuna, e che magari hanno avuto maestri o colleghi che non sono riusciti a “sfondare” come loro ma che non erano meno meritevoli di loro. Insomma, in un mondo che sembra esaltare l’infallibilità, il successo dei vincenti senza macchia e senza paura, abbiamo invece forse bisogno di grandi maestri che siano anche umili.
La nostra società della performance, come è stata chiamata, a me sembra infatti che di per sé non riesca ad ispirare granché. Certo, qualcuno si esalta, pensando di poter fare tanti soldi in poco tempo, di poter lavorare duramente in vista di un grande successo che poi gli spetterà di diritto, di poter diventare il nuovo Steve Jobs. Ma sono pochi. Molti, invece, non si lasciano ispirare positivamente da queste storie, ma le subiscono, vivendo con ansia e paura ogni prova, ogni confronto. Abbiamo invece bisogno di esempi che ci dicano che sì, nella vita si può riuscire, ma in molti modi differenti; che a volte il successo arriva dal fallimento; che a volte si lavora tantissimo e non si ottiene niente, e altre volte si ottiene tanto pur rimanendo nell’ombra. Abbiamo bisogno, insomma, di un racconto più vero della realtà. I giornali – i principali, quelli che fanno tendenza – potranno mai darcelo?
Quello che ho registrato e pubblicato
Chiusa la pagina riflessiva, passiamo ora al momento del riassunto di quanto è uscito sul canale YouTube e sui due podcast nell’ultima settimana.
La guerra di Troia: ittiti e achei: chiudiamo la nostra ricostruzione storica sulla guerra di Troia, cercando di capire chi c’era dietro a quegli scontri
Averroè: pensiero e filosofia: esploriamo sinteticamente le riflessioni di quello che forse è stato il più grande filosofo musulmano medievale
Pitagora: tutto è matematico: prosegue la nostra serie di video di filosofia dedicati ai ragazzi più giovani, con l’introduzione al pitagorismo
I dogmi del cristianesimo per Tommaso (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
La conoscenza per Tommaso (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
La prima campagna d’Italia di Napoleone Bonaparte (per il podcast “Dentro alla storia”)
Il colpo di Stato di Napoleone (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono i nuovi abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri e videocorsi che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
La tregua di Primo Levi: credo che Primo Levi non abbia bisogno di presentazioni: non è stato solo un grande scrittore, ma è stato anche uno dei più prestigiosi testimoni del Novecento. Di solito tutti leggono, in un modo o nell’altro, a scuola o per conto proprio, Se questo è un uomo, il suo capolavoro, quindi segnalarlo qui sarebbe probabilmente inutile. Mi sono però accorto ultimamente che ormai pochi conoscono La tregua, libro che idealmente funge da seguito proprio a quel grande memoriale. Il romanzo, d’altra parte, racconta il lungo viaggio per rientrare in Italia compiuto dallo stesso Levi dopo la liberazione del campo di Auschwitz. Ed è uno di quei libri che prima o poi nella vita bisogna leggere. Lo si può comprare qui.
Crea il tuo canale YouTube da zero: a volte, quelli che mi seguono su YouTube sono a loro volta dei docenti; altre volte sono dei “creatori di contenuti”, come si dice oggi; altre volte ancora aspirano a fare o l’una o l’altra cosa. Ebbene, se il vostro obiettivo è aprire un vostro piccolo canale su YouTube e far sentire la vostra voce, ci sono dei corsi che vi insegnano a muovere i primi passi nell’ambiente. Uno dei più apprezzati è questo corso Domestika tenuto da Kaos, uno youtuber piuttosto affermato, e che costa 24,90 euro per 16 lezioni. Lo trovate qui.
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né fare corsi, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Cosa c’è in arrivo
E chiudiamo, come sempre, con una panoramica di cosa ho in serbo per voi nei prossimi giorni (ammesso che gli impegni scolastici non mi spingano a cambiare la scaletta in corso d’opera):
già domani uscirà il secondo video dedicato a Giacomo Leopardi, un po’ in ritardo rispetto a quanto inizialmente preventivato (ma spero che sia valsa la pena di aspettare un paio di giorni in più);
poi arriverà una nuova puntata della lettura integrale e commentata de L’Autunno del Medioevo;
infine dovrei riuscire a realizzare anche la seconda puntata dell’approfondimento su Napoleone III;
prossimamente vorrei poi riprendere il filone dei video di storia romana;
e magari, se ne trovo il tempo, anche realizzare un video che racconti la storia dell’Iran dalla rivoluzione khomeinista ad oggi;
infine non mancheranno i podcast, con nuove puntate su Tommaso e su Napoleone.
E questo è tutto. Se la newsletter vi è piaciuta, fatela girare tra qualche amico o conoscente, e non dimenticate che ci ritroviamo sempre qui tra una settimana. Ciao!