Per quelli che vogliono sapere la mia filosofia, ma anche per chi vuole notizie su John Wick 4, La La Land, Galileo Galilei, Platone, la caduta dell'Impero romano, Jennette McCurdy e Byung-chul Han
Che caldo, ragazzi. Dopo essersi fatta attendere, l’estate è arrivata, ed è arrivata nel pieno della sua potenza, con anche problemi non indifferenti. Avrete letto di incendi, malori e grandinate improvvise e fortissime; e avrete letto anche giornalisti prodigarsi a dire che “c’è sempre stato caldo, a luglio”.
Perfino il caldo è diventata una questione di lotta politica; una questione fasulla, come molte altre. Sul caldo, sul surriscaldamento globale, abbiamo da anni dati oggettivi in enorme quantità; eppure c’è una parte del mondo che vuole fidarsi dei ricordi di Vittorio Feltri piuttosto che dei dati. E quindi c’è una parte della popolazione – si spera piccola, ma comunque rumorosa – che non vuol sentir parlare di clima, interventi ed emergenze.
Ma il discorso potrebbe essere anche più ampio di così. Molto banalmente, nel mio piccolo: basta che faccia un qualsiasi video sull’attualità (perfino su fenomeni storici di trenta o quarant’anni fa) e subito mi arrivano due o tre mail di persone con evidenti problemi con la realtà, che mi accusano di non sapere che le Torri Gemelle sono state abbattute da Bush, che in Russia nel 1991 tutti volevano il comunismo e l’URSS è stata distrutta da un colpo di stato americano mascherato, che ci sono gli alieni, i poteri forti, il complotto pluto-giudaico-massonico, la NATO, la Pfizer e chi più ne ha, più ne metta.
Tutto per cosa? Sostanzialmente per giustificare la propria rabbia. C’è una parte della popolazione – di nuovo: si spera piccola, ma rumorosa – che ce l’ha col mondo, ce l’ha a morte col mondo; e di volta in volta identifica il mondo con il “politicamente corretto”, con la NATO, con l’America, con i vaccini, con la scienza, col surriscaldamento globale e così via. Con la versione dominante. E per ripicca, crede a tutto il contrario. Visto che il mondo mi ha deluso, allora morte al mondo.
È difficile, ovviamente, ragionare e vivere in questi termini, ma è una questione con cui dobbiamo continuamente fare i conti.
Bando però ai problemi, almeno per qualche minuto: concentriamoci ora sui libri, sui film e su tutto il resto. Cominciamo.
Quello che ho letto
Si parte come sempre dai libri. Il saggio di Han ci lascia, terminato; e si aggiungono però due nuovi libri molto diversi tra loro.
Sono contenta che mia mamma è morta di Jennette McCurdy: questo libro ho cominciato a leggerlo nei giorni scorsi senza troppa fiducia: me l'avevano consigliato, ma temevo che fosse una delle solite biografie hollywoodiane in cui si raccontano i retroscena di un mondo che mi interessa solo fino ad un certo punto. Invece il libro mi ha colpito subito, e parecchio, perché è qualcosa di completamente diverso. Jennette McCurdy, se non la conoscete, è un'ex star bambina di Nickelodeon, il canale televisivo americano per adolescenti e pre-adolescenti. Qualche anno fa ha goduto di buona popolarità recitando in due serie per ragazzi: iCarly prima (7 stagioni, dal 2007 al 2012) e Sam & Cat poi (1 stagione, dal 2013 al 2014). Se siete abbastanza giovani (o se, come me, avete figli che oggi sono adolescenti o quasi), sicuramente avrete visto qualche puntata di questi programmi. La McCurdy era la biondina dal carattere forte, quella che faceva le battute caustiche e che mangiava spesso; uno dei personaggi più simpatici in entrambe le serie (Ariana Grande, la co-star del secondo show, era molto meno convincente). Ebbene, leggendo il libro si scopre una storia di cui né io, né credo molti dei bene informati potevano sospettare alcunché: dietro alla McCurdy, che iniziò a recitare giovanissima, c'era una madre che definite tossica è dir poco. Completamente ossessionata dalla carriera della figlia, la spingeva all'anoressia, alla falsità, a rifiutare il proprio corpo e la propria crescita, più tutta una serie di altre angherie mascherate d'amore. La McCurdy – che oggi ha 31 anni ed ha smesso definitivamente di recitare, dedicandosi invece alla scrittura e alla regia – racconta tutto con un tono ironico che rende la storia ancora più assurda e straniante, ma anche incisiva. Tra provini, incarichi, messe alla chiesa dei mormoni, disturbi ossessivo-compulsivi e disordini alimentari sempre più gravi, la vita procede, inanellando successi professionali e fallimenti personali. La cosa che viene da chiedersi spesso è: dov'erano i servizi sociali, quando la McCurdy era bambina? Insomma, un libro molto forte ma anche molto interessante, per vedere una fetta di mondo che spesso rimane nascosta sotto la patina dei canali televisivi. Tornerò a parlarvene di sicuro, anche se lo sto divorando e immagino di finirlo abbastanza velocemente. Intanto, lo potete acquistare qui.
Infocrazia di Byung-chul Han: di questo saggio di Han vi ho parlato ampiamente la settimana scorsa, e forse non è il caso di calcare ancora ulteriormente la mano. Già sette giorni fa sono stato piuttosto duro col filosofo tedesco, forse troppo; ma gli errori metodologici (o quelli che a me paiono essere degli errori metodologici) negli ultimi tempi mi indispettiscono parecchio. Il paradosso sapete qual è? Che dopo aver finito il libro ne ho preparato la scheda nel mio archivio, come faccio sempre, per tenerne memoria. E così mi sono imbattuto nelle schede preparate negli anni scorsi relative ad altri libri di Han. E mi sono accorto, rileggendole, che i difetti che oggi imputo al filosofo sudcoreano erano ben presenti già allora, nei libri precedenti, e me ne accorgevo, anche se allora li giudicavo meno gravi. Han, se lo si legge in un certo modo, sa essere molto interessante e coinvolgente, e ci vuole un po' per scoprire le falle del suo modo di procedere. È un discorso che si può fare anche con altri filosofi: sono dei veri maestri a patto che non li si prenda troppo sul serio, se si relativizzano e si anestetizzano un po’ le loro tesi; se invece cominci a dare peso ad ogni loro parola, ti rendi conto che un approccio del genere può essere anche pericoloso. È la stessa critica che puoi fare alla Scuola di Francoforte o alla filosofia francese degli ultimi anni: se prendi la critica di Adorno o di Foucault alla società moderna come un'indicazione di massima, come una traccia su cui ragionare, allora il loro modo di procedere è geniale; se però pendi troppo dalle loro labbra, se accetti a spada tratta tutto quello che dicono, finisci per commettere errori madornali. Il fatto che Foucault, solo per fare un esempio, applaudisse alla rivoluzione khomeinista non fu un errore casuale, ma un prodotto del suo pensiero preso troppo sul serio; il fatto che Agamben abbia delirato contro i vaccini paventando un complotto per controllarci tutti non è stato un errore casuale, ma il frutto di quello stesso pensiero, preso troppo sul serio. E ci sarebbe ancora molto altro da dire, ma per il momento mi fermo qui. Se il libro di Han, comunque, v’interessa, lo trovate qui.
Mindset di Carol S. Dweck: per vari motivi che prima o poi vi racconterò più nel dettaglio, nei giorni scorsi mi sono messo a leggere in ebook Mindset, un libro che avevo comprato vari anni fa in lingua originale ma poi era rimasto lì a prendere virtualmente la polvere sul mio Kindle. Non ricordo nemmeno più perché l'avevo acquistato: probabilmente ne avevo sentito parlare bene da qualche parte. Ricordo però bene per quale motivo lo avevo lasciato lì: sfogliandolo rapidamente, ero rimasto deluso dal fatto che all'apparenza non sembrava un libro scientifico come avevo creduto, quanto piuttosto un libro di auto-aiuto. In genere, i manuali di self-help sono scritti in un modo facilmente riconoscibile: hanno paragrafi molto brevi e frasi piuttosto corte; in molti punti, più che parlare della propria teoria o delle cose che si è scoperto, si citano diversi esempi di vita vissuta, storie di personaggi più o meno famosi che confermano la teoria; infine, i titoli dei capitoli e dei paragrafi sembrano essere estremamente ripetitivi, tanto che si può dire che il libro non sia altro che una costante ripetizione dello stesso concetto. Insomma, per farla breve, a una prima occhiata il libro mi era sembrato una “americanata” e avevo deciso di non dargli una grande priorità. Nei giorni scorsi, però, documentandomi per altre cose a cui sto lavorando ho finito per imbattermi in alcune citazioni del libro e, ricordandomi che era lì da tempo nella mia libreria virtuale, sono andato a riprenderlo in mano (accorgendomi che nel frattempo è stato anche tradotto in italiano, ma ormai sto procedendo con l’inglese). Devo dire che l'impressione di una americanata scritta in maniera fin troppo semplicistica è rimasta, ma allo stesso tempo mi sono accorto che dietro a questa patina da talk show della domenica ci sono anche dei contenuti e soprattutto degli studi. L'autrice del libro, Carol Dweck, è infatti una nota psicologa: da quasi vent’anni insegna a Stanford, e prima era professoressa a Harvard. Nel libro ragiona attorno ai risultati di tutta una serie di indagini sperimentali condotte sul campo, soprattutto su studenti. La sua tesi è che in campo educativo (e non solo in campo educativo) siamo abituati a considerare le persone come qualcosa di fisso e statico: la nostra mentalità ci porta a pensare che ci siano persone di talento e persone negate, persone intelligenti e persone stupide. Il guaio è che, indipendentemente dal fatto che le persone siano effettivamente intelligenti o stupide, quando le etichettiamo in questo modo (e loro introiettano questa etichetta), queste persone smettono di crescere e migliorare, fissandosi e bloccandosi in quell'etichetta. Quando invece l'atteggiamento è diverso, quando si guarda ai progressi della persona più che a quello che già è (o che si pensa sia), si progredisce, e anche molto. Per farla breve, secondo la Dweck, non bisogna mai dire "Sei intelligente" o "Non ce la farai" o altre cose che danno l'impressione di una situazione immutabile nel bene o nel male, ma insistere invece sul mutamento ("Se ti impegni puoi migliorare", "Se smetti di allenarti dimenticherai quello che sai fare"). Ora: i risultati della Dweck sono, a dirla tutta, tutt’altro che sicuri, visto che altri psicologi negli anni li hanno contestati; ma quello che mi interessa è una delle conseguenze di questi ragionamenti, ovvero la gestione degli errori e dei fallimenti. Per chi è abituato a lavorare con una mentalità "fissa", e quindi a vedersi come bravo "per natura", un fallimento è una tragedia, perché contraddice la propria idea di sé, la propria identità: “Se prima ero bravo per natura, adesso forse sono diventato scarso, ho perso il mio tocco magico e non lo ritroverò più”. Per chi invece ha una mentalità "della crescita", i fallimenti sono inevitabili mentre il vero nemico è il successo, che rischia di bloccare il percorso di crescita continuo. Per chi la “mentalità della crescita”, non bisogna avere il terrore di sbagliare, ma di smettere di imparare; e sbagliare può essere – se l’errore viene usato bene – un modo per imparare qualcosa di nuovo. Mi rendo conto che questi pochi flash non aiutano a comprendere fino in fondo il tema, ma ci ritorneremo, anche perché sono ancora abbastanza indietro con la lettura. Intanto, se vi interessa, il libro lo potete comprare qui.
Quello che ho visto
Passiamo ora ai film. Come noterete, in elenco non c’è Barbie (non l’ho visto, per ora), ma ci sono comunque un paio di lungometraggi interessanti.
La La Land (2016), di Damien Chazelle, con Emma Stone, Ryan Gosling, John Legend: lo so, molti di voi questa settimana hanno visto Barbie, il film più atteso dell'anno. L'hanno visto anche le mie "donne di casa" (nel senso di donne di famiglia, non di casalinghe), ovvero mia moglie e mia figlia, che sono andate separatamente con le loro amiche al cinema al secondo giorno di programmazione. Io e i miei figli maschi non è che ci siamo rifiutati di vederlo (non ho nulla a priori contro Greta Gehrwig, e anzi questa pellicola, da quello che ne ho letto, mi incuriosisce abbastanza), ma onestamente la frotta di prenotazioni che comparivano sul sito del cinema ci ha fatti tranquillamente desistere. Ho detto alla moglie: «Vai avanti tu, veditelo in mezzo alla calca e poi dimmi se ne vale la pena. Io casomai vado a vedermelo tra qualche giorno, quando l'hype è passato». In compenso, il “clima Barbie" ci ha influenzato e il giorno dopo coi figli ci siamo guardati La La Land, più che altro per mostrare loro un'altra performance di Ryan Gosling in panni diversi da quelli di Ken. Che dire? Il film – come probabilmente già sapete – è un gran musical, che cerca di riportare in vita la magia della vecchia Hollywood, anche con una buona dose di citazionismo. La storia di per sé non è nulla di straordinario o di particolarmente originale, ma la commistione tra musica, scenografie, colori e anche giustapposizioni funziona decisamente bene, facendo dimenticare anche i luoghi comuni del genere. Emma Stone e Ryan Gosling, tra l'altro, sono entrambi incantevoli e valgono da soli qualsiasi prezzo si paghi per vedere il film. Inizia forse un po' lento (i miei figli, dopo dieci minuti, si lamentavano per la noia), ma poi cresce. Da vedere e rivedere. Lo trovate su Amazon Prime Video.
John Wick 4 (2023), di Chad Stahelski, con Keanu Reeves, Donnie Yen, Bill Skarsgård: a proposito di film del momento, nelle piattaforme di streaming sembra andare per la maggiore il quarto (e per ora ultimo) capitolo della saga di John Wick, uscito qualche mese fa al cinema e ora giunto su Amazon Prime Video. Così, proposto in maniera martellante, ieri sera l’abbiamo guardato anche noi. Devo confessare, per la verità che della saga interpretata da Keanu Reeves fino ad ora avevo visto solo il primo film, trascurando il 2 e il 3; ma le recensioni online per questo quarto capitolo sembravano così positive che ho deciso di rischiare e vedere direttamente la nuova avventura, incurante delle cose che sicuramente non sapevo. Devo dire che l’iniziativa è andata a buon fine; d’altronde, per nove decimi del film Keanu Reeves non fa altro che sparare a gente che cerca di ammazzarlo e quindi non c’è bisogno di sapere tante cose della trama. Sulla qualità della pellicola, poi, c’è poco da dire: è un action movie molto teso e ottimamente coreografato, con anche qualche scena molto convincente (il finale, soprattutto); si vedono molti scorci di Parigi, e visto che ci siamo stati l’estate scorsa in famiglia ci siamo divertiti molto a vederli al centro di diversi combattimenti; e la trama è molto flebile, ma quello in fondo importa poco. Un film di genere, che va guardato senza pensieri. Lo trovate, come detto, su Prime Video.
Inside Job episodi 1.03-1.04 (2021), di Shion Takeuchi: Inside Job è una serie di cui vi ho già parlato qualche tempo fa. Netflix me l'aveva proposta nella sua solita girandola algoritmica e io, incuriosito dallo spezzone introduttivo, avevo finito per guardarne un paio di episodi, rimanendone tra l'altro colpito favorevolmente. Poi però me l'ero dimenticata, segno che probabilmente la serie non era così speciale come mi era sembrata a primo acchito. Però devo anche dire che all'improvviso qualche giorno fa, mentre tiravo fuori i panni dall'asciugatrice, Inside Job mi è tornata in mente e di colpo mi è venuta voglia di vederne un altro paio di episodi. L'asciugatrice, in realtà, non credo c'entrasse molto, ma tant'è: mi sono visto anche l'episodio 3 e il 4 della prima stagione. Confermo, comunque, quanto probabilmente già scritto in precedenza: il cartone animato è abbastanza intelligente e abbastanza divertente, oltre che abbastanza originale. Ma è proprio quella parola "abbastanza" a tradirlo: segno che ha, cioè, tante discrete qualità diffuse, ma non eccelle davvero in niente. L'animazione è carina ma non originalissima; la comicità è corrosiva ma non troppo; il tema del complottismo sarebbe anche originale ma viene messo a volte un po' sullo sfondo dalle trame incentrate sui personaggi. Insomma, come detto: bene ma non benissimo. E mi sembra che nel mondo sempre più competitivo delle serie TV (e perfino anche dei cartoni animati) questo “abbastanza” non basti più; che sia cioè meglio fare schifo in molti aspetti ma avere un quid magico in anche solo una caratteristica, che essere discreto in tutto ma senza picchi. Se volete provarla, la trovate come detto su Netflix.
Quello che ho pensato
È sostanzialmente da quando ho cominciato ad insegnare che mi viene chiesto di esprimermi e di dire la mia sui grandi temi della filosofia. Per gli studenti è un’abitudine e ogni anno, quando una classe nuova inizia a conoscermi, arriva il momento in cui mi fanno in effetti la fatidica domanda: «Ma secondo lei, prof, qual è il filosofo migliore?»
Io davanti a questa domanda (e a quelle simili che mi pongono) cerco sempre delle vie di fuga, preferisco non esprimermi e al massimo mi soffermo sui filosofi che proprio non sopporto, convinto che mostrare ciò che non mi piace sia meno grave rispetto a ciò che mi piace.
Come ho spiegato più volte, dietro a questa scelta c'è più di un motivo: da un lato, penso che l'insegnante debba riuscire a trasmettere interesse verso tutti i filosofi e tutte le scuole di pensiero, e che riesca ad essere più efficace in questo quando, in un certo senso, sembra parteggiare per ognuno dei filosofi che affronta. Se, ad esempio, riesco a sembrare kantiano, riesco anche ad essere più convincente nello spiegare il pensiero del filosofo tedesco e riesco quindi a spingere i ragazzi a dargli una possibilità; se, il mese dopo, sembro invece hegeliano, i ragazzi possono magari farsi trascinare nel sistema del pensatore idealista e dargli maggior credito. Insomma, penso che per far sì che gli studenti apprezzino davvero un filosofo sarebbe bene che ce l'avessero davvero davanti agli occhi, e quindi tento di mettermi nei panni di quel pensatore e mostrarne nella maniera il più fedele possibile il sistema di pensiero.
D'altra parte, so bene che le domande sui filosofi da parte degli allievi sono solo la premessa a domande molto più ampie: mi chiedono quale sia il mio filosofo preferito perché in realtà vogliono sapere qual è il mio partito politico di riferimento, se credo o no in Dio, cosa penso di animalismo, transessualità, cambiamento climatico e in generale di ogni tema “divisivo” di cui si discute sui giornali. Tutti argomenti, questi, importanti, ma sui quali non vorrei in genere pronunciarmi troppo in classe. In generale penso che un insegnante abbia diritto a tutte le sue idee, ovviamente, e idee che possono essere anche nette e radicali, ma che quando le denuncia in classe – cosa più che legittima a patto che siano chiare e motivate, e senza pregiudizi nei confronti delle idee altrui – rischi di essere percepito anche dagli studenti come un insegnante di parte, perfino più di parte di quanto non sia davvero. Tutti noi abbiamo avuto insegnanti di sinistra o di destra di cui sapevamo benissimo le idee politiche; e mi chiedo: a parte qualche rara e sacra eccezione, il fatto di sapere come la pensavano in politica ci ha resi migliori come studenti, oppure ci ha portati a guardare a quell'insegnante come un amico o un nemico a seconda della nostra parte politica?
Solo per fare un esempio, se io in classe ad esempio dicessi di considerarmi “di sinistra” sono sicuro che immediatamente mi alienerei le simpatie e l'ascolto degli studenti che invece votano a destra, e allo stesso tempo se invece spiegassi di votare “a destra” mi alienerei la simpatia e soprattutto l'ascolto degli studenti che votano a sinistra. Poi magari quell'ascolto riuscirei a riguadagnarmelo almeno in parte con un buon atteggiamento e con onestà intellettuale, ma certo dovrei faticare molto, ed è anche possibile che non riesca con tutti a raggiungere il mio scopo.
Per me è invece una priorità parlare a tutti e farmi ascoltare da tutti; anche a costo di dover celare un po’ di più me stesso e le mie idee. Sono un insegnante e devo portare, per quanto ci riesco, qualcosa di utile nella vita di tutti i ragazzi che mi passano davanti: qualche abilità logica, qualche conoscenza storica, un po’ di voglia di approfondire. Imponendo – o anche solo proponendo – la mia visione delle cose potrei certo aiutare alcuni a sviluppare le loro competenze, ma sono anche convinto che ne frenerei altri. D’altra parte, l’obiettivo della scuola non è portare i ragazzi a pensarla come me, ma portarli a pensare, magari anche meglio di me.
C’è infine anche un altro motivo, dietro alla mia reticenza davanti a certe domande: il fatto che faccio obiettivamente fatica a dare una preferenza netta. Ci sono dei filosofi che ovviamente mi interessano e mi intrigano ma, come forse è giusto che sia, non ce n'è neppure uno con cui concordo al 100%. Dire, ad esempio, che ne stimo uno non vuol dire che non possa apprezzare alcuni aspetti anche del pensiero del suo più acerrimo nemico; e affermare che trovo qualcosa di buono in un certo approccio non significa negare che quello stesso approccio abbia anche dei limiti.
Allo stesso tempo, però, chi ti ascolta spesso sembra non apprezzare queste sottigliezze e cerca soprattutto di inquadrarti. Lo si vede anche sul web, dove anzi tutto questo è portato all’ennesima potenza: presenti un filosofo ateo e ti lasci scappare un apprezzamento per una certa sua idea, e subito ti arriva la mail del religioso che ti addita come un miscredente; in un altro video illustri il pensiero di un santo in maniera si spera convincente e immediatamente ti scrive un altro tizio accusandoti di esserti venduto alla curia romana. Quando ho fatto il video sulla questione israelo-palestinese mi sono arrivate decine di messaggi che mi accusavano di essere sionista e filo-palestinese, allo stesso tempo.
Se io ad esempio iniziassi a dire che apprezzo alcuni aspetti della filosofia di Nietzsche, sono certo che immediatamente verrei inquadrato come un personaggio di destra: mi accade spesso perfino con i colleghi, figuriamoci con gli estranei.
Allo stesso modo, se dicessi di trovare corrette alcune critiche che Marx fa alla società moderna, immediatamente una parte nei miei studenti, dei colleghi e perfino della gente su internet mi etichetterebbe come pensatore di sinistra, “comunista” e altre amenità del genere. Purtroppo una buona parte della gente – ma anche dei ragazzini che si devono ancora formare – vive di etichette, e io non voglio alimentare questo riduzionismo. Mi piacerebbe che la gente provasse a etichettarmi e non ci riuscisse, vedendo che non soddisfo le loro aspettative: per me sarebbe un vero motivo di orgoglio.
Quindi, da un lato, il non esprimermi troppo mi consente di non essere facilmente etichettato e inquadrato, cosa che sotto sotto mi piace molto, anche perché costringe chi mi ascolta a fare un certo sforzo di comprensione, a non semplificare troppo l'immagine che ha di me; allo stesso tempo, però, questo atteggiamento mi lascia poi anche le mani estremamente libere: in quanto insegnante non facilmente inquadrabile, posso parlare bene o male di tutto e di tutti, senza casacche da difendere o appartenenze da giustificare.
Questo, come detto, è un aspetto che mi piace e che però pochi riescono veramente a capire. In questi anni tanti mi hanno chiesto di schierarmi in maniera più aperta, di prendere posizione in modo più chiaro e perfino in qualche caso di associarmi a qualche gruppo politico, ma per ora ho sempre rifiutato.
Mi si rimprovera che non prendere posizione significa anche lasciare campo libero agli altri, a quelli che portano avanti idee stupide, non assumendosi la responsabilità di ciò che si pensa; mi si è citato qualche volta perfino Gramsci e il suo Odio gli indifferenti.
Ora, bisogna neanche considerare che Gramsci non ha sempre ragione e che l'indifferenza non è l'esatto contrario della partigianeria. Si può anche dare un proprio contributo spero importante nella discussione senza entrare per forza in un partito politico e senza mettersi sulle spalle una casacca: anzi, vi dirò che personalmente sono convinto che, proprio per tutto quello che ho detto, rimanere fuori dei giochi troppo espliciti ti consenta di influire più positivamente sulla società.
Prendiamo l'esempio di prima, quello dei miei studenti di sinistra o di destra: col mio non essere troppo facilmente inquadrabile, in questi anni sono riuscito a parlare davvero a tutti (o almeno lo spero), non con lo scopo di influenzarli ma di farli crescere e ragionare. Sono convinto che lo scopo della scuola non sia di avere gente che la pensa in unico modo, quanto piuttosto di avere gente che la pensa come vuole, ma che “la pensa” in maniera più matura, più solida, più approfondita.
Quelli che citano Gramsci lo fanno perché sono convinti che solo la loro idea sia quella corretta (come ne era convinto Gramsci, che era certo molto intelligente ma non un mostro d’umiltà) e che quindi ognuno dovrebbe in fondo fare propaganda a una certa parte politica, l'unica giusta; purtroppo però il mondo è complicato, e non esistono parti politiche giuste in assoluto, che non sbagliano mai e che non hanno bisogno del confronto con le altre parti.
Un mondo che funziona non è quello in cui trionfa l'idea che noi riteniamo più santa o migliore, ma in cui tutte le idee si fanno migliori grazie al confronto reciproco. Il che non vuol dire, poi, che non esistano differenze tra le idee, e che alcune politiche non siano orribili e censurabili; ma il pluralismo, soprattutto a scuola, mi pare un valore da difendere sopra a tanti altri. Dal mio punto di vista io, nel mio piccolo, provo a contribuire a questo secondo tipo di mondo, e lo posso far meglio così che non prendendo una tessera di partito.
Tutta questa lunga premessa, però, mi serve ad arrivare a un altro discorso. Perché è vero che finora non ho mai detto niente delle mie idee, almeno non in classe e almeno non nei video (se non, davvero, per qualche accenno); ma è anche vero che in questi mesi nelle newsletter qualche idea l’ho pure portata e penso che qualcosa si sia iniziato a intravedere.
Allo stesso modo credo che in questi tempi ci sia bisogno, anche su certi temi specifici, di intervenire con qualche proposta concreta. Non mi riferisco ai temi al centro dell'attenzione dell'opinione pubblica, alle politiche del governo o dell'opposizione, quanto ad altre problematiche più personali che mi stanno molto a cuore: ad esempio credo che bisognerebbe dire qualcosa riguardo al modo in cui si può conoscere e in cui ci si può fare un'idea del mondo; bisognerebbe dire qualcosa, anche, sul modo in cui si possono gestire l'ansia e lo stress che sempre più colpiscono i nostri giovani a scuola; bisognerebbe dire qualcosa sul modo in cui si fa filosofia, sulle questioni di metodo e sulle modalità di ragionamento; bisognerebbe dire qualcosa, ancora, sui problemi del complottismo e delle scelte delle autorità pubbliche; bisognerebbe dire qualcosa, infine, sulla nostra convivenza, su come possiamo gestire i rapporti con gli altri che stanno cambiando rapidamente.
Insomma ci sono molto temi che sono politici non nel senso più basso del termine, ma in quello più alto, in quello che riguarda la nostra vita associata; temi in cui mancano voci razionali, perfino tra gli studiosi. Questi ultimi tre anni ci hanno dimostrato che abbiamo una classe intellettuale che, in vari casi, non è più adeguata a parlare dell’oggi, ancorata a schemi interpretativi sorpassati, a vecchie nostalgie e a difficoltà a fare i conti coi propri errori.
Penso davvero che ci sia bisogno di qualche altra voce rispetto a quelle che si sentono sempre in giro. Sarà una voce incerta e magari non così illuminante, ma il mio piccolo contributo – quantomeno per i giovani – proverò a darlo.
Tutto questo discorso, per farla breve, serve sostanzialmente ad annunciare che sto lavorando ad una serie di video, anzi ad una vera e propria miniserie, in cui cercherò di presentare un mio sistema di pensiero abbastanza articolato. Potremmo definirla una mia filosofia, anche se questo termine così altisonante un po' mi imbarazza. Si tratta, per essere più concreti, di una strategia per affrontare, forti della ragione e spero anche di una serie di argomenti solidi, i problemi che mi sembrano più importanti e più ignorati dei nostri giorni: l'ansia della performance, il rapporto con la realtà, il ruolo della scienza e del ragionamento, il rapporto con gli altri e con la diversità.
Saranno, come è facile intuire già da queste prime cose, soprattutto delle riflessioni dalla forte ricaduta etica e pratica, ma spero che possano dare qualche suggestione in più e possano magari anche suggerire ad alcuni ragazzi delle riflessioni per affrontare meglio la vita e il mondo che hanno davanti.
Più che una vera e propria filosofia – e questo ci tengo già a dirlo – sarà però una sorta di anti-filosofia, un po' alla maniera di Pascal che suggeriva che il miglior modo per fare filosofia è farsi beffe della filosofia stessa. D’altronde, vi ho detto finora che non sopporto le etichette, e quindi cercherò di proporvi una filosofia del dubbio più che della certezza, dell’errore più che della verità.
Vedremo se riuscirò a creare qualcosa di valido e interessante. Come si dice in questi casi: stay tuned.
Quello che ho registrato e pubblicato
E ora, passiamo a parlare dei video e dei podcast che sono usciti questa settimana.
Invasioni barbariche e caduta dell'Impero Romano d'Occidente: dopo tanti video di storia romana, siamo giunti alla fine di quella d’Occidente
Lo scetticismo: da Carneade a Sesto Empirico: una scuola ellenistica che avevamo lasciato un po’ indietro, ma che vale la pena di recuperare
La teoria della reminiscenza di Platone [Filosofia per ragazzi 16]: continuiamo a spiegare Platone anche ai più giovani
Il ruolo di Filone di Alessandria: un video dedicato a un pensatore che fa da collegamento tra il mondo filosofico greco e quello religioso
Il metodo scientifico di Galileo (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
Conseguenze del metodo galileiano (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
Crisi e protezionismo negli anni '70 dell'Ottocento (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che devi fare per seguirmi sui social
Ah, prima di dimenticarci vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
Il canale YouTube | Instagram | Facebook | Twitter | TikTok
Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono gli abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
La fine del mondo antico di Santo Mazzarino: questa settimana, per stare in linea con i podcast usciti, avrei voluto consigliarvi il celebre Storia della decadenza e caduta dell’impero romano di Edward Gibbon, un classico assoluto che però è estremamente corposo e, inevitabilmente, costoso (l’edizione più recente è addirittura in 6 volumi). Allora ho ripiegato su questo saggio di qualche anno fa di Santo Mazzarino, comunque importante e di valore, oltre che decisamente più sintetico. Costa 18 euro e lo potete acquistare qui.
sui social ho fatto partire anche una nuova serie di consigli, dedicata ai libri appena usciti che mi paiono più interessanti, una sorta di “lista della spesa” che dovrebbe rivelarsi utile anche in primis per me. Ecco i volumi che ho segnalato nei giorni scorsi, se ve li siete persi:
Immaginare l’inimmaginabile di Jaime D’Alessandro: ne ho parlato qui;
Scrittrici del Medioevo a cura di Elisabetta Bartoli, Donatella Manzoli e Natascia Tonelli: ne ho parlato qui;
TikTok. Capire le dinamiche della comunicazione ipersocial a cura di Gabriele Marino e Bruno Surace: ne ho parlato qui;
Dalla fisica alla filosofia naturale di Federico Laudisa: ne ho parlato qui;
Michel Foucault di Pier Aldo Rovatti: ne ho parlato qui;
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né fare corsi, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Quello che c’è in arrivo
Chiudiamo come sempre con un veloce elenco dei video in preparazione e che dovrebbero quindi uscire la settimana prossima:
in primo luogo, arriverà la nuova puntata della lettura integrale del Saggio sulla libertà di John Stuart Mill;
poi proseguiremo con la nostra miniserie sulla storia dei consumi, parlando dei luoghi del divertimento che cominciarono a comparire tra fine Ottocento e inizio Novecento;
quindi concluderemo il ciclo su Alessandro Manzoni dal punto di vista storico-filosofico;
infine, aspettatevi anche un video su Stanley Kubrick e la sua filosofia;
per quanto riguarda i podcast, parleremo ancora di Galileo Galilei in filosofia e della Seconda rivoluzione industriale in storia.
E questo è tutto. Sperando che il caldo ci dia un po’ di tregua, ci rivediamo qui tra sette giorni esatti.
Ho finito da poco il libro di Jenette e personalmente l’ho adorato. Come ha detto anche lei, è diverso dagli altri e in qualche modo ti invoglia a leggerlo. Se le piacerà, un libro simile, nonché il mio libro preferito, che potrebbe interessarle è “Fame” di Roxanne Gay.