Per una filosofia degli anni luce, ma anche per imparare ChatGPT, la Costituzione, il nuovo libro di Cormac McCarthy, Licorice Pizza, Only Murders in the Building, Copernico e la Destra storica
A volte, quando inizio a scrivere questa newsletter non so ancora di cosa parlerò. O, meglio: non so ancora con cosa riempirò la rubrica Quello che ho pensato che, come potete facilmente immaginare, costituisce la parte più “creativa” e impegnativa della composizione di questa mail. Durante la settimana infatti mi capita spesso di appuntare cose che mi sembra meritino una riflessione, ma poi me le dimentico, le accantono nei meandri delle mie note informatiche, e le riprendo in mano solo il lunedì o la domenica, quando inizio la stesura vera e propria del testo.
Altre volte, invece, capita l’opposto: durante la settimana – per motivi che non so nemmeno io ben comprendere, forse per qualche sbalzo ormonale – sono inondato di idee e mi metto pure a scriverle o ad appuntarmele in maniera più estesa, così che quando poi si tratta di scrivere la newsletter vera e propria io abbia letteralmente l’imbarazzo della scelta, con righe e righe già pronte su diversi argomenti, e non sappia bene cosa riservare a una settimana e cosa rimandare a quella successiva.
Questi ultimi casi sono un po’ più rari, ma si verificano anch’essi: e quella attuale è proprio una di quelle settimane. Come noterete, più avanti vi parlerò di suggestioni che mi sono state suscitate da Il problema dei tre corpi, bel romanzo che ho portato a termine proprio in questi giorni; ma in realtà avrei avuto voglia di parlarvi anche delle riflessioni di Mugnai (su cui vi farò comunque un cenno), della paura (oserei dire del terrore) che alcuni di noi hanno nei confronti dell’innovazione, perfino della collega pugnalata proprio questa mattina in Lombardia da uno studente e del problema del ruolo sociale dei docenti.
Non c’è però spazio per tutto, e quindi sono costretto a dire: ogni cosa a suo tempo. Molti di questi argomenti slitteranno, cioè, alle prossime settimane. In compenso, mi risollevo pensando che ho già più o meno pronto un po’ del materiale per le prossime puntate della newsletter, il che non è certo un male.
Prima di cominciare, vi voglio però anche sciorinare un paio di numeri: in questi giorni il canale YouTube ha superato quota 7,5 milioni di views, mentre i video sono ormai più di 1.100. Continuiamo a crescere a ritmi sostenuti, insomma. E ci sono ancora tantissime altre cose da fare, idee, progetti (quello che manca, ovviamente, è il tempo per realizzare tutto). Rimanete sintonizzati, come si diceva un tempo.
Intanto, noi cominciamo come sempre a parlare di libri, film e riflessioni.
Quello che ho letto
Settimana di grandi cambiamenti, questa, sul versante letture: ci lasciano due volumi e se ne aggiunge uno nuovo.
Il passeggero di Cormac McCarthy: dopo aver finito – come vi ho appena anticipato – ben due libri in una sola settimana, ho finalmente avuto spazio per cominciare Il passeggero di McCarthy, sicuramente uno dei libri più attesi degli ultimi anni. Non che l’inizio sia stato semplice: tutta il primo capitolo è letteralmente incomprensibile. Solo quando finisce la parte “in corsivo” una storia un po’ più chiara e coerente comincia a delinearsi. È ovvio che andando avanti le cose si chiariranno (o almeno lo spero), però diciamo che non è stato un approccio semplice, e solo uno come l’autore de La strada credo possa permettersi di far partire un libro così. Comunque è presto per giudicare: l’ho davvero cominciato solo da due giorni. Ne riparleremo, e credo ampiamente. Comunque, se vi interessa, Il passeggero potete acquistarlo qui.
Il problema dei tre corpi di Liu Cixin: devo dire che il termine che più facilmente mi viene in mente quando cerco di trovare una parola per descrivere l’effetto che mi ha fatto la lettura de Il problema dei tre corpi è un termine inglese: mind-blowing. Direte: non si può dirlo in italiano, bisogna proprio sempre far ricorso a termini stranieri? Certo, si può dirlo anche in italiano, ma non rende allo stesso modo: sconvolgente, capace di rovesciarti la mente, stupefacente, pazzesco. Mind-blowing, meglio. Perché dico questo? Perché il romanzo di Liu Cixin è davvero un libro che penso nessuno si sarebbe mai potuto aspettare: parla di orbite di stelle, nanotecnologie, mondo quantico, sistemi a sette dimensioni; compaiono Newton, Galileo, un computer con gli esseri umani al posto dei bit, civiltà siderali, micromondi e macromondi, le Guardie Rosse di Mao e giovani ambientalisti americani figli di petrolieri. Non solo non avevo mai letto niente del genere, ma neppure avrei pensato fosse possibile mettere insieme tutte queste cose. Il che, ovviamente, ha delle conseguenze, che risultano ben evidenti se – come ho fatto io dopo la lettura dell’ultima pagina – andate a cercare il parere di altri lettori in rete: da un lato, la prima conseguenza è che si tratta di un libro di hard science fiction, cioè di un romanzo di fantascienza in cui le conoscenze scientifiche richieste al lettore sono abbastanza elevate; dall’altro, che si tratta di un romanzo in cui i personaggi contano poco o nulla e tutta l’enfasi è invece sui miracoli (possiamo proprio chiamarli così) e le sfide della scienza. In ultima analisi, cosa vuol dire tutto questo? Sostanzialmente, che è un romanzo che si ama o si odia: e infatti anche su Goodreads, il principale sito di appassionati di libri, le recensioni sono in genere piuttosto estreme, cioè gridano al capolavoro o alla schifezza. Chi ama la scienza non può non adorarlo; chi in un romanzo cerca l’introspezione dei personaggi invece ne rimarrà deluso (di personaggi ce ne sono, ma sono sostanzialmente freddi e quasi insensibili dall’inizio alla fine). Io personalmente l’ho adorato: se ci si orienta un po’ nel mondo della scienza e dei suoi significati, si tratta di un capolavoro, anche perché c’è dentro molta filosofia, o quantomeno molta riflessione su quello che la scienza ci pone davanti. Questo lo rende una strana via di mezzo tra un saggio e un romanzo, è vero; ma non lo rende meno interessante. Uno dei più bei libri che ho letto negli ultimi anni, ma di certo non lo consiglierei a chi non conosce granché di astronomia, fisica delle particelle o meccanica quantistica. Se invece siete nel novero di quelli che queste cose più o meno le masticano (o conoscete qualcuno del genere e dovete fare un regalo), il libro lo potete acquistare qui.
Come non insegnare la filosofia di Massimo Mugnai: ho finito anche il libro di Massimo Mugnai che ho iniziato appena qualche giorno fa, un po’ perché è un libretto agile di tutto sommato poche pagine, un po’ perché tratta un argomento che mi sta molto a cuore (e, si sa: quando si trova l’argomento giusto le pagine scorrono veloci). Il tema, come vi ho ho già anticipato la settimana scorsa, è molto legato alla mia attività: l’autore, un professore universitario di logica, si chiede se il modo in cui viene normalmente insegnata la filosofia alle superiori sia ancora valido, e risponde nettamente di no. La sua tesi può essere riassunta, secondo me, in due questioni principali: a) l'approccio tradizionale di insegnamento della filosofia attraverso una narrazione storica, che include il maggior numero possibile di filosofi, è secondo lui fallimentare e non rende giustizia alla filosofia e al suo metodo; b) i manuali italiani fanno un uso eccessivo di riferimenti al cinema, alla letteratura e all'attualità, spesso forzandoli. Io, pur comprendendo il punto di vista di Mugnai e accettandone alcuni rilievi, sono però in parte in disaccordo con le sue conclusioni, e magari più avanti, magari in una newsletter apposita, cercherò di articolare meglio il mio discorso. Da un lato, sono d’accordo che si potrebbe insegnare filosofia anche in maniera diversa e forse più proficua, ma ritengo che l’approccio storico abbia anche alcuni pregi e possa essere mantenuto, se mescolato ad altri approcci; dall’altro, la critica di Mugnai parte secondo me da una comprensione solo parziale di quello che avviene davvero alle superiori. Lui dice: sarebbe meglio fornire ai ragazzi qualche strumento argomentativo, insegnar loro a ragionare, piuttosto che riempir loro la testa con nomi, concetti imparati a memoria e date. Su questo sono d’accordo anch’io, al 100%; il fatto è che questo non dipende affatto dall’approccio storico o da quello per temi. Se alle superiori si insegna la filosofia come una tiritera da imparare a memoria è per colpa dei docenti, non di come è strutturato il programma; e anche un approccio per temi, con la scuola italiana per come è pensata e organizzata, rischia di produrre altrettante formulette stantie. Io, ad esempio, seguo l’approccio storico (e non potrei fare altrimenti, visti i programmi ministeriali); non per questo, però, non stimolo continuamente i miei ragazzi con ragionamenti, non faccio notare loro come articolano e sostengono il loro pensiero i grandi filosofi e non mostro loro i punti deboli di quei ragionamenti e le eventuali critiche che si possono sollevare. I miei ragazzi sanno bene che le mie interrogazioni (e anche i compiti scritti) sono piene di “Perché?” e altre domande strane, che li costringono a ragionare su quello che hanno studiato in maniera “laterale” e a volte anche originale. Non perché io sia chissà quale luminare dell’insegnamento, ma semplicemente perché anche l’approccio storico consente di esplorare le vie del ragionamento. Sul fatto poi che i manuali siano pieni di riferimenti al cinema, ai fumetti e all’attualità, Mugnai non sa che in realtà quelle pagine non le usa quasi nessuno, e che comunque sono piazzate lì non tanto per sostituirsi alla filosofia, ma per far capire ai ragazzi che quello che studiano non è qualcosa di avulso dalla realtà (e vi assicuro che quando si fa ontologia, o metafisica, o gnoseologia, a molti ragazzi il dubbio viene), ma è qualcosa che si lega anche al loro vissuto, perfino a Hollywood. È un modo come un altro, insomma, per avvicinare la materia al mondo dei ragazzi e non farla sembrare qualcosa di morto, perché purtroppo (o per fortuna) i ragazzi bisogna coinvolgerli anche così, soprattutto quando sono un po’ demotivati. Tra l’altro, proprio in questi giorni ho letto qualche riga di Dennett (uno che non può essere certo accusato di essere un hegeliano o un crociano) che sembra proprio rispondere involontariamente a Mugnai; ve le riporto, per stimolare un’ulteriore riflessione: «Gli scienziati mi domandano spesso perché i filosofi dedichino tanti sforzi a insegnare e a imparare la storia del loro settore. I chimici, di solito, se la cavano con una conoscenza elementare della storia della chimica, che si forma nel corso degli anni, e molti biologi molecolari, a quanto pare, non mostrano alcun interesse per tutto ciò che è accaduto nella biologia prima del 1950. La mia risposta è che la storia della filosofia è in gran parte la storia di persone molto intelligenti che hanno commesso errori molto allettanti, quindi se non si conosce questa storia, si è destinati a commettere gli stessi dannati errori più e più volte. È per questo che insegniamo la storia della filosofia ai nostri studenti e gli scienziati che con leggerezza ignorano la filosofia lo fanno a proprio rischio e pericolo». La storia della filosofia è la storia dell’errore umano, e in questo può essere assai formativa anche per il pensiero. Del libro di Mugnai, che comunque rimane interessante, dirò qualcosa di più anche nelle prossime settimane, quindi rimanete abbonati; intanto, se vi interessa, potete comprarlo qui.
Quello che ho visto
Passiamo ora ai film (e alle serie TV).
Only Murders in the Building episodio 2.08 (2022), di Steve Martin e John Hoffman, con Steve Martin, Martin Short, Selena Gomez: ho poco da aggiungere a quanto già detto nelle settimane scorse: la serie Only Murders in the Building è ben fatta e appassionante, pur senza essere un capolavoro. Dalla sua ha la capacità di mescolare tensione e gag, thriller e commedia, in un mix che funziona tutto sommato abbastanza bene (almeno per gli standard televisivi attuali); di contro, secondo me tende ad aggiungere fin troppi personaggi e sottotrame e questo può rendere un po’ caotico lo sviluppo delle varie vicende. D’altronde, la seconda stagione è sempre un po’ problematica in uno show televisivo: i protagonisti della prima si sono già rivelati e fatti conoscere e ora bisogna aggiungere qualche ingrediente nuovo alla formula, senza perdere la freschezza iniziale. Tutto sommato, in questo caso, l’impresa sta comunque riuscendo. In ogni caso sono quasi alla fine anche di questa seconda stagione, quindi credo che tra qualche giorno potremo tirare le somme. Intanto, la trovate su Disney+.
Licorice Pizza (2021), di Paul Thomas Anderson, con Alana Haim, Cooper Hoffman, Sean Penn: ho rimandato a lungo la visione di questo film, anche se era disponibile sulle piattaforme di streaming – in particolare su Amazon Prime Video – già da un po’ di tempo. E l’ho fatto per uno strano pregiudizio: avevo visto che su IMDB, il sito più completo sul cinema, Licorice Pizza non aveva un voto eccelso (mi pare 7,2, una valutazione che in genere viene assegnata ai film discreti ma non del tutto riusciti) e di per sé una storia ambientata negli anni '70 che sospetto non sia straordinaria non mi attrae più di tanto. In questi giorni, però, dopo averne rimandato varie volte la visione, mi sono lasciato prendere dalla pellicola, sperando che i recensori su quel sito si fossero almeno in parte sbagliati. Ed in effetti così è stato: Licorice Pizza non è un capolavoro e non è uno di quei film di cui parleremo, forse, tra vent’anni, ma allo stesso tempo non si può negare che racconti molto bene una storia interessante e carina. Visto che ci piacciono i voti (o almeno piacciono a me, dato che li uso per lavoro), direi che non è un film da 9 o da 10, ma non è neppure un film da 7: un bell’8 ci sta tutto. La storia è particolare: i protagonisti sono Alana (ruolo cucito addosso alla cantante Alana Haim, al debutto al cinema), una venticinquenne californiana ebrea dal carattere un po’ scontroso, e Gary, quindicenne che ha recitato in vari film e che si dimostra molto ambizioso (interpretato dal bravo figlio di Philip Seymour Hoffman, Cooper Hoffman, anche lui all’esordio). La storia d’amore tra i due, all’inizio decisamente improbabile sia per la differenza d’età che di caratteri, un po’ alla volta cresce, pur tra varie avversità e in un panorama – quello della California del sud del 1973 – non certo roseo; e il tutto è raccontato con ironia e delicatezza, con una manciata di scene e personaggi sicuramente molto riusciti. Insomma, merita inaspettatamente una visione.
Persepolis (2007), di Marjane Satrapi e Vincent Paronnaud: di questo film vi ho parlato, credo, anche qualche mese fa, attorno ad ottobre. Torno a citarlo nuovamente nella newsletter perché l’ho rivisto (credo per la settima od ottava volta) dato che l’ho mostrato in classe a scuola. L’anno scolastico è ormai agli sgoccioli, il programma l’ho finito dappertutto e sto terminando gli ultimi “giri” di interrogazioni; ma nelle classi meno numerose sto finendo pure quelle. E allora, quando avanza un po’ di tempo, sfrutto due o tre ore in più per far vedere un film che si leghi in qualche modo al programma, o – se siamo in una terza o una quarta – lo anticipi. Persepolis, da questo punto di vista, è un film sostanzialmente perfetto: racconta un pezzo di storia e di attualità importantissimo, ovvero la condizione della donna nell’Iran di oggi, e lo fa tramite una storia che alterna risate e lacrime, parlando un linguaggio comprensibile ai più giovani e, perfino, coi cartoni animati. Mi pare, infatti, che come al solito sia piaciuto anche ai ragazzi a cui l’ho mostrato quest’anno. Se non l’avete mai visto lo dovete assolutamente recuperare; il guaio è che al momento non è disponibile nelle piattaforme di streaming e si fa fatica a trovare anche il DVD. Comunque, con un po’ di fortuna, dovreste riuscire a trovare qualcosa qui.
Quello che ho pensato
Questa settimana dobbiamo tornare a parlare di una questione a cui ho già fatto cenno qualche tempo fa: quella della prospettiva. La prima volta che ne ho parlato, lo spunto derivava dalle tesi dell’altruismo efficace, che mirano – riprendendo in qualche modo l’etica di Hans Jonas – a spingere ad un impegno delle persone nella prospettiva della lunga durata; oggi, invece, a portarmi su questi temi è soprattutto la lettura da poco ultimata del bel romanzo Il problema dei tre corpi, di cui ho parlato anche qualche capoverso più sopra.
Vorrei infatti partire da una citazione che non si trova tanto nel romanzo vero e proprio, quanto nella post-fazione scritta dall’autore:
Persino ai giorni nostri, in cui gran parte delle persone si smarrisce a sentir parlare dei quindici miliardi di anni luce che compongono il raggio dell’universo, o di “stringhe” più piccole dei quark di svariati ordini di grandezza, il concetto di anno luce e di nanometro riescono ancora a generare nella mia testa immagini vivide e grandiose, a suscitare in me religiosi e ineffabili sentimenti di timore e sgomento. Rispetto a gran parte della popolazione che non può percepire queste sensazioni, non so se ritenermi fortunato o sfortunato. Ma certo è che proprio grazie a queste emozioni sono diventato prima un ammiratore e poi uno scrittore di fantascienza.
Qui Cixin sta parlando di come è arrivato a scrivere Il problema dei tre corpi, lamentandosi poco dopo del fatto che gli esseri umani tendono a guardare con una certa ingenuità all’universo, ma non comprendendo (o non mostrando di comprendere) che il problema è in effetti un problema di scala.
Gli uomini, d’altra parte, davvero non hanno idea di cosa sia un anno luce o un nanometro: non solo non sanno quanto misurano, ma non riescono neppure a concepire quelle misure. Anzi, a dirla tutta so per esperienza che un buon 90-95% degli esseri umani non ha neppure contezza del fatto che l’anno luce sia un’unità di misura dello spazio. Ma non limitiamoci allo spazio siderale, perché il problema secondo me è molto più ampio.
L’idea che mi son fatto lungo gli anni, in generale, è infatti che gli esseri umani abbiano sempre sbagliato le proporzioni. Anche i filosofi; anzi, soprattutto i filosofi. Guardiamo, ad esempio, ai grandi sistemi di pensiero, sia quelli antichi che quelli contemporanei: il problema per i pensatori del passato è sempre stato l’uomo e come l’uomo si relaziona col mondo. Ma di quale mondo si parla? Alcuni, quando usano la parola “mondo”, si riferiscono alla realtà empirica, e quindi alle cose che ci circondano, alla materia, agli oggetti della quotidianità; altri la usano, invece, per riferirsi agli altri (le altre “coscienze”, come ci piace chiamarli); altri ancora usano il termine “mondo” per parlare della mia percezione della realtà, della mia rappresentazione. In ogni caso il “mondo” è quasi sempre ciò che ho davanti agli occhi o dentro di me, cioè il mondo a mia dimensione.
I romantici, si obietterà, intendono però il mondo come qualcosa di infinito. Certo, è vero: ma è sempre un infinito dell’anima, dello spirito, mai un infinito vero e proprio, mai un infinito fisico, matematico, nel senso materiale del termine. Non è un caso che l’Assoluto, l’Infinito, sia per i romantici un’entità spirituale che si manifesta però sempre in modi finiti davanti a noi: in noi stessi, negli altri, al massimo nello Stato (che è comunque sempre qualcosa “a nostra dimensione”).
Tutti i filosofi, insomma, hanno giudicato e valutato il mondo a partire dall’uomo, usando l’uomo come confronto, come unità di misura, come proporzione. In questa prospettiva, un anno luce neppure esiste, così come non esiste un nanometro: non sono dimensioni commensurabili all’uomo.
Le uniche eccezioni che mi vengono in mente, ripercorrendo la storia della filosofia, a questo atteggiamento assai diffuso mi paiono essere due: il pensiero religioso e Giordano Bruno.
Nel primo caso intendo la teologia ad esempio cristiana, che ha sempre guardato più a Dio che all’uomo, più all’Infinito che al finito. Anche qui, però, bisognerebbe fare una postilla: è vero per quei filosofi che l’uomo non può rimanere chiuso in sé stesso ma deve relazionarsi con l’Altro con la “a” maiuscola, cioè Dio; ma è anche vero, allo stesso tempo, che l’Altro è in realtà un uomo in dimensioni maggiori, visto che ragiona come l’uomo, lo si rappresenta come un uomo (e addirittura si incarna in un uomo), ama e vuole come un uomo. Dio, in quasi tutte le religioni (e perfino nel platonismo, che secondo Nietzsche stava alla base di tutto questo), non sfugge ai rapporti umani, alla scala, alla proporzione dell’uomo. Dio è un uomo elevato a potenza: ma per capirlo, si deve partire sempre dall’uomo.
Nel secondo caso, invece, con Giordano Bruno abbiamo forse la prima (e unica?) filosofia del sovrumano, dell’infinito. Una filosofia che ha seminato qualcosa qua e là (ricordate Micromega di Voltaire?), ma senza lasciare troppi frutti nella storia della filosofia.
Alla fin fine, per tutta la filosofia occidentale, e quindi di rimando per tutta la cultura occidentale nel suo complesso, mi pare che in realtà valga il celebre principio di Protagora: «L’uomo è misura di tutte le cose, di quelle che sono in quanto sono e di quelle che non sono in quanto non sono». L’uomo è sempre stato l’unità di misura di tutto.
Ora, le conoscenze fisiche e scientifiche, in realtà, ci dovrebbero far capire quanto sia miope, da un certo punto di vista, questa visione. Lo dice, tra le righe, anche Cixin nel finale de Il problema dei tre corpi, quando – senza farvi troppi spoiler – paragona la razza umana alle locuste, a degli insetti tenaci.
Noi siamo così: infestanti e tenaci, fortemente attaccati alla vita; ma siamo pur sempre degli insetti. Nell’economia dell’universo noi non contiamo assolutamente nulla. Il raggio dell’universo è stimato attorno ai 15 miliardi di anni luce? Ebbene, in chilometri sono circa 1,4 * 10^23 (se non ho fatto male i conti). Cioè 1 con 23 zeri. Provate a scriverlo su un pezzo di carta, per rendervi conto di quale cifra sia. 140.000.000.000.000.000.000.000 chilometri. E questo è solo il raggio, eventualmente; il diametro sarebbe il doppio.
Ora prendete un essere umano. Prendete me: i sono alto 1,77 metri. Che sono 0,00177 chilometri. Io sono un po’ meno di due millesimi di chilometro; l’universo ha un diametro di 280mila miliardi di miliardi di chilometri (o forse qualcosa di più, ho perso il conto). Noi siamo un granello di polvere impercettibile, in tutto questo; e però, certo, un granello di polvere vivo.
I filosofi che studiano l’essere dovrebbero forse partire da qui: dagli spazi siderali, dalla realtà pressoché infinita che sta al di fuori di noi. Dalla natura dell’universo, dal suo silenzio di morte, dall’eventuale presenza di altre forme di vita o di pensiero. E invece pare che ci siamo solo noi, che tutto graviti attorno a noi, che l’unica dimensione importante della vita sia la nostra piccola quotidianità.
Idem per l’etica: anche questa parte della filosofia si interroga sempre e solo sulla nostra felicità, sul nostro bene, sulla virtù di ognuno di noi. Quando va bene allarga il discorso alla nostra società, al massimo ai nostri figli e agli immediati discendenti. Quanto siamo egocentrici a pensare che tutto sia fatto per noi o per i nostri derivati: un’assurdità che era già stata compresa e stigmatizzata da Galileo con la storia dell’acino d’uva, se ve la ricordate.
Cosa sono le nostre piccole magagne, i nostri piccoli dolori, in confronto all’enorme universo, a stelle che nascono, bruciano e muoiono, a buchi neri che assorbono tutto, ai misteri dell’origine e della fine? Non sono proprio nulla, sono deliri di formiche che si credono al centro dell’universo e invece sono forse solo un’eccezione, una piccola particolarità marginale.
E di nuovo mi viene, a questo punto, da ritornare a Spinoza e forse in parte pure a Nietzsche. Ricordate l’amor fati, l’accettazione serena dell’unità del tutto? Alla fine questo è l’unico esito possibile quando si pensa nella scala degli anni luce: la consapevolezza che noi siamo un tassello di un meccanismo infinitamente più ampio, che i nostri dolori e le nostre gioie sono poca cosa. Ad esempio, perché prendersela con le persone crudeli, stupide, offensive? Sono tante, è vero; e spesso sono fastidiose. Ma sono solo persone che credono di essere al centro del mondo, che ritengono che i loro pensieri e le loro rabbie e paure debbano essere ascoltate dagli altri. Sono persone che non hanno ancora imparato ad amare il destino, che ne sono spaventate, pur non conoscendo cosa sia.
L’horror vacui, la paura del vuoto e dell’ignoto, è ciò che ci caratterizza, che ci spinge a riempirci la vita; e invece è solo dall’accettazione di questo vuoto (siderale) che può nascere un senso nuovo.
Quello che ho registrato e pubblicato
Dopo tante parole, passiamo ora ai video e ai podcast usciti questa settimana:
Come usare ChatGPT per studiare: l’intelligenza artificiale, in queste settimane, sta spaventando molti, eppure può essere utilizzata anche per farci studiare di più
Storia dei consumi 3: l’imperialismo: in che modo l’imperialismo europeo si legò all’aumento dei consumi?
Corso di logica 4 - Esercizi su logica sui connettivi: dopo aver imparato cosa sono i connettivi, proviamo a impratichirci nel loro uso
La Costituzione italiana: articoli 9, 10, 11 e 12: chiudiamo la presentazione dei principi fondamentali della Costituzione italiana
"Sulla libertà" di Stuart Mill - parte 2: continuiamo la lettura integrale del capolavoro di John Stuart Mill, con una parte molto importante
Il modello eliocentrico di Copernico (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
La destra e la sinistra storica nell'Italia unita (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che devi fare per seguirmi sui social
Ah, prima di dimenticarci vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
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Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono i nuovi abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri e videocorsi che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
Vite parallele di Plutarco: Vite parallele è un viaggio straordinario nell'antichità. Immaginate di passare una serata (anzi, molte serate) con un amico in grado di raccontare storie affascinanti di grandi uomini greci e romani, estrapolando lezioni di vita dai loro trionfi e fallimenti: ebbene, questo è l’effetto del capolavoro di Plutarco. L’opera è una miniera d'oro per gli appassionati di storia: è come fare un tuffo nel passato e capire l'umanità attraverso le figure storiche che l'hanno plasmata. Vale quindi assolutamente la pena di affrontare una lettura del genere. I vari volumi si possono acquistare qui.
Scrittura di sceneggiature per cinema e televisione: la settimana scorsa vi ho proposto un corso dedicato alla sceneggiatura fumettistica; oggi rilancio e completo con la sceneggiatura per cinema e televisione. Il corso di Julio Rojas si compone di ben 28 lezioni ad appena 9,99 euro di costo, ed è uno dei più apprezzati di tutta la piattaforma: ha già avuto più di 31mila allievi e vanta il 99% di apprezzamenti. Da provare senza remore. Lo trovate qui.
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né fare corsi, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Quello che c’è in arrivo
Chiudiamo la newsletter con anche una panoramica su quello che ci dovrebbe attendere nei prossimi giorni:
forse l’avevo già promesso, ma stavolta dovrei riuscire a fare un video da un’ora su tutta la storia dell’Italia repubblicana (o quantomeno sulla Prima Repubblica);
dovrebbe arrivare poi il secondo capitolo su Ayn Rand, dedicato alla sua filosofia politica;
infine, aspettatevi anche un nuovo capitolo della serie Filosofia per ragazzi;
per quanto riguarda i podcast, in filosofia inizieremo poi a parlare di Giordano Bruno e in storia del brigantaggio e dei problemi economici dell’Italia unita.
E questo è tutto anche per questa settimana. Appuntamento a giugno. E buona festa della Repubblica (e relativo ponte, se lo fate)!