Qualche informazione sulle elezioni, ma parliamo anche di morte, di brutte persone, di egoismo, di argomenti controversi e di gravità (non solo riguardo ai partiti: ci sono She-Hulk, Newton, Rand)
Stamattina, qui in Veneto (ma penso anche in molte altre parti d’Italia), sono ricominciate le scuole. È stato un ritorno bello e un po’ complicato. Bello perché finalmente, dopo due anni e mezzo piuttosto difficili, siamo ritornati a respirare un barlume di normalità, senza mascherine e con misure di sicurezza un po’ più blande (per dire: ho finalmente visto in faccia, scorgendone anche il naso e la bocca, gli alunni che ho avuto negli ultimi due anni); complicato perché in famiglia abbiamo avuto qualche piccolo contrattempo, tra permessi che mancavano, bici che non partivano e altre amenità del genere. Senza contare il fatto che ieri sera i figli più piccoli non ne volevano sapere di dormire e la loro notte (e di rimando la mia) è stata abbastanza agitata.
Così, tra entusiasmo ed imprevisti, ora, a sera, mi ritrovo un po’ stanco. Riprenderò il ritmo, ovviamente, ma è bello anche rimettersi di nuovo in gioco ogni settembre e stupirsi di avere un po’ il fiato corto.
Prima di cominciare con la solita panoramica su libri, film e video, voglio parlarvi però brevemente anche di due eventi. Il primo si è svolto qui a Rovigo lo scorso 8 settembre: organizzato dai ragazzi di Zico (acronimo che sta per “Zona a Ingegnosità Collettiva”), è stato una sorta di mini-convegno su alcune pratiche innovative che coinvolgono le scuole locali. Ho parlato anch’io, ma in generale l’incontro è stato a mio avviso molto stimolante. Se non c’eravate, trovate qualche notizia qui.
Il secondo è un evento più grosso che non mi vede coinvolto, ma che è quasi un classico imperdibile per gli studiosi di filosofia. Nel prossimo weekend si svolgerà infatti, tra Modena, Carpi e Sassuolo, il tradizionale FestivalFilosofia, l’evento più importante a livello nazionale per gli appassionati del pensiero. Il tema di quest’anno è la Giustizia. Qui potete trovare tutte le informazioni del caso, ma vi segnalo alcuni interventi in programma che hanno suscitato in particolare la mia attenzione e che forse potrebbero interessare anche voi:
a Modena, venerdì 16 alle ore 10 Giuseppe Cambiano terrà una conferenza sulla Repubblica di Platone;
sempre il 16 e sempre a Modena, ma alle ore 18, Vittorio Emanuele Parsi parlerà invece di Potere e risorse, un tema estremamente attuale;
in contemporanea a Carpi interverrà nel frattempo Massimo Recalcati, impegnato nella conferenza Il trauma della Legge;
sabato 17 alle ore 10 a Modena, infine, Carlo Galli parlerà di guerra giusta nella conferenza Pace e guerra.
Gli eventi sono però molti, i nomi di rilievo altrettanti e, se avete tempo, vi consiglio di fare un salto in Emilia.
E ora cominciamo, invece, con quello che riguarda noi.
Quello che ho letto
Partiamo come sempre dai libri. Finalmente ho finito il romanzo di Ayn Rand che ci ha fatto compagnia per molte settimane e ho portato abbastanza avanti altri due volumi.
Aristotele detective di Margaret Doody: dopo un inizio un po’ lento e non troppo accattivante, questo romanzo sta finalmente cominciando a prendermi. Scritto ormai parecchi anni fa dalla britannica Margaret Doody, immagina un omicidio nell’antica Atene, omicidio in cui teoricamente dovrebbe indagare nientemeno che Aristotele. In realtà, contrariamente alle attese, il grande filosofo greco ha un ruolo tutto sommato marginale nelle vicende: il vero detective, mi vien da dire, è infatti Stefanos, il cugino dell’imputato, che solo di tanto in tanto si consulta col fondatore del Liceo e ne riceve qualche sparuta indicazione. Al momento sono a tre quarti dell’intero libro e, a meno di cambiamenti radicali nelle ultime pagine, forse sarebbe quindi stato meglio intitolare il libro Aristotele consulente investigativo, visto il ruolo di secondo piano del pensatore. Certo, Aristotele detective è più accattivante, ma meno sincero. Comunque, al di là di queste note sul titolo, come ho detto il libro alla lunga cresce, il giallo viene gestito abbastanza bene e una volta che si entra nel giusto flusso si riesce ad apprezzare anche l’ambientazione, tutto sommato piuttosto accurata, con un’autrice che cerca di riportare in vita non solo gli usi e i costumi degli antichi greci, ma anche il loro modo di pensare e di relazionarsi col mondo. Spero di finirlo la settimana prossima e, in quel momento, vi darò anche un giudizio complessivo sulla qualità del romanzo; per il momento, se siete curiosi, lo si acquista qui.
La fonte meravigliosa di Ayn Rand: di questo libro, nelle ultime settimane, vi ho parlato più e più volte. E non sarebbe potuto essere altrimenti, visto che si dipana lungo 700 intense pagine. Ora finalmente l’ho finito, quindi è giunto il momento di trarre qualche conclusione, riprendendo quanto ho già accennato qua e là durante la lettura. In primo luogo, devo dire che a me il libro in sé e per sé è tutto sommato piaciuto: dal punto di vista letterario la Rand sapeva scrivere, sapeva creare la giusta tensione emotiva e sapeva anche sorprendere il lettore al momento giusto. La vera questione, al di là dell’ottima resa formale, riguarda però i contenuti. Come forse saprete, la scrittrice (nata in Russia e poi fuggita in America all’avvento del comunismo) fondò una propria corrente filosofica, che battezzò “oggettivismo”, che ha avuto e continua ad avere un discreto successo negli Stati Uniti: una filosofia fortemente influenzata da Nietzsche, con pesanti tratti di anarco-individualismo. La fonte meravigliosa è, in questo senso, una perfetta concretizzazione di quelle sue idee, che si ritrovano incarnate nella figura del protagonista, Howard Roark. Questo rende il romanzo molto interessante, ma allo stesso tempo anche controverso. L’individualismo estremo propugnato dalla Rand – a cui presto dedicheremo anche un video – ritiene che ogni uomo debba esaltare il proprio egoismo in modo razionale, perseguendo solo i propri interessi, pur senza danneggiare gli altri. Roark è infatti un architetto che vive esclusivamente per sé e per la propria arte, non odiando né amando il prossimo, ma semplicemente ignorandolo; e contro di lui si scagliano invece diversi esaltatori dell’altruismo, considerato dall’autrice come il peggior male del secolo. Come ho letto in alcune recensioni online, insomma, la Rand è una di quelle scrittrici che si adorano a 17 anni e si odiano a 30: estrema, senza compromessi, esalta l’individuo e la creatività, ritenendo ogni forma di amore per gli altri la rovina dell’umanità. Purtroppo, la sua mi pare una filosofia di vita non solo estrema, ma anche irreale: nessun uomo, infatti, può vivere senza in qualche misura confrontarsi con l’altro, senza aver bisogno dell’altro. Il Roark della Rand è un uomo che non ha bisogno di lodi, di amicizie, di amori, totalmente indifferente a tutto quello che gli capita attorno; un uomo che non ha assolutamente bisogno degli altri: e proprio per questo motivo è il personaggio più irreale di tutta la storia. L’autrice è molto brava a tratteggiare le figure controverse di Dominique, di Wynand, di Keating, e le rende umane proprio perché in loro convivono il desiderio di affermazione egoistico ma anche il desiderio di venir riconosciuti da parte di chi sta loro attorno; Roark, invece, non è umano, è quasi un extraterrestre sceso sulla terra. Come può essere credibile un personaggio che non ha bisogno di essere amato? Quale essere umano non sente, da qualche parte dentro di sé, il desiderio di contare almeno un po’ per qualcun altro, sia esso un partner, un figlio o perfino un animale? Un uomo che non ha bisogno degli altri è un Dio o una bestia, affermava Aristotele: ma in ogni caso non un uomo. E Roark non sfugge a questa legge. Certo, è piuttosto evidente che la Rand voleva fare del suo protagonista il modello del superuomo di Nietzsche, ma in realtà non ci riuscì: un oltreuomo doveva essere un uomo che riusciva ad andare oltre senza però rinnegare completamente se stesso. Doveva essere un uomo nuovo, certo, ma pur sempre umano. Il paradosso del romanzo sta tutto qui: è appassionante e alcuni personaggi sono memorabili, ma il personaggio meno credibile e meno onesto di tutti è proprio il protagonista. Per questo il giudizio non può che essere ambiguo, com’è ambigua tutta la filosofia della scrittrice: grandi idee, ma forse slegate dalla realtà e dalla verità. Di sicuro, comunque, è un libro che ti spinge a ragionare e a fare i conti con te stesso. Se vi interessa, lo potete comprare qui.
L’equazione della felicità di Mo Gawdat: ho letto un po’, questa settimana, anche questo saggio molto alla mano sulla felicità. Come vi ho già raccontato nelle newsletter precedenti, nello sceglierlo ero rimasto incuriosito dal fatto che sembrava voler trattare la questione con un approccio non dico scientifico, ma quantomeno ingegneristico (non a caso Gawdat è stato a capo di vari progetti innovativi di Google, in passato). In realtà però più passano i capitoli, più il libro tende a deludermi: tenete conto che, ad esempio, nelle ultime pagine che ho letto Gawdat sembra addirittura tirare fuori dal cilindro il concetto di essenza e di anima immortale (pur non chiamandoli così), in un’ottica a metà via tra la spiritualità ed Aristotele. Il che non sarebbe neppure una brutta cosa in assoluto, ma che certo non ti aspetti in un libro che promette di parlarti di felicità in termini matematici. Vedremo dove andrà alla fine a parare, ma per il momento sono ancora indietro con la lettura e non ho neppure questa gran spinta a proseguire. Se vi interessa, lo trovate qui.
Quello che ho visto
Questa settimana, tra i preparativi per la scuola e il lancio degli abbonamenti su YouTube, ho avuto poco tempo per i film. Come vedrete, mi sono concentrato soprattutto su serie TV disimpegnate, ma qualcosa di interessante da dire credo ci sia lo stesso.
Superstore 2.03-2.04-2.05 (2016), di Justin Spitzer, con America Ferrera, Ben Feldman, Mark McKinney: Superstore è una serie comedy di qualche anno fa, all’apparenza senza troppe pretese. Se guardate le prime puntate, vi può facilmente sembrare una sitcom da vedere distrattamente, mentre si cucina o facendo zapping. Se però portate pazienza e resistete fino alla seconda stagione, può darsi che – come è successo a me – la serie riesca a farvi cambiare idea, convincendovi di essere davanti a qualcosa di più interessante del previsto. Tra le puntate che ho visto nei giorni scorsi vi segnalo soprattutto la 2.04, intitolata Armi, pillole e corvi, in particolare per due motivi: primo, perché Jonah, uno dei protagonisti, si trova in quell’episodio piazzato al reparto di vendita di armi (sì, nel superstore vendono anche i fucili: è l’America, bellezza!) e si trova a fare i conti coi suoi rimorsi di coscienza; secondo, perché il direttore del supermercato, Glenn, fervente cristiano, durante l’episodio si trova coinvolto suo malgrado in una vendita di pillole del giorno dopo. Insomma, temi caldissimi gestiti in maniera intelligente e soprattutto divertente. La trovate su Netflix.
She-Hulk: Attorney at Law 1.01 (2022), di Jessica Gao, con Tatiana Maslany, Mark Ruffalo, Tim Roth: dell’ultima serie, in ordine cronologico, della Marvel ho finora visto solo l’episodio pilota, e devo dire che mi ha lasciato un’impressione non troppo positiva. Per chi non ha idea di cosa si tratti, sappiate che il celebre Hulk (il gigante verde membro degli Avengers) nei fumetti ha da tempo anche una cugina, Jennifer Walters, in grado di trasformarsi a sua volta in una supereroina verde, poco fantasiosamente chiamata She-Hulk. Nel Marvel Cineamtic Universe questo personaggio non era finora mai entrato in gioco, ma hanno finalmente deciso di farlo tramite questa serie (disponibile su Disney+) in cui il ruolo della protagonista è affidato alla canadese Tatiana Maslany; e hanno deciso di farlo cercando di replicare il tono proprio dei fumetti. Nonostante la sua stazza e la sua forza fisica, She-Hulk sulla carta stampata è stata infatti spesso protagonista di avventure più o meno comiche, in cui addirittura si rivolgeva direttamente al lettore, si lamentava dei suoi autori e cercava (con scarso successo) di far convivere le sue carriere da avvocata ed eroina. Nei fumetti questo strano mix ha più o meno funzionato per qualche anno, anche se i vari mensili dedicati a She-Hulk non hanno mai venduto molto. In TV, però, mi pare che le cose non vadano affatto meglio. Guarderò anche i prossimi episodi, ma quello che mi sembra mancare, in questo pilota, è un’idea chiara di cosa si voglia ottenere. C’è un po’ di comicità, ma è evidente il tentativo di non spingere l’acceleratore fino in fondo su questo versante; c’è un linguaggio un po’ sboccato, quasi “alla Deadpool”, ma utilizzato con parsimonia, quasi ci si vergognasse ad usarlo, tanto da renderlo quasi fuori luogo (a tante parolacce ci si abitua in fretta, a una parolaccia ogni tanto invece ci si abitua con più difficoltà); c’è l’idea di non insistere troppo sui dettagli tecnici legati ai superpoteri e alla scienza, ma qui si sfiora il paradosso di avere una donna che si trasforma in Hulk e di non riuscire quasi a capire perché. L’esito, alla fine del primo episodio, è soprattutto un grande “Mah!?”: ce n’era davvero tutto questo bisogno?
La persona peggiore del mondo (2021), di Joachim Trier, con Renate Reinsve, Anders Danielsen, Herbert Nordrum: questo film norvegese, uscito l’anno scorso e ottimamente accolto dalla critica, lo trovate in questi giorni su Sky, anche on demand, e forse merita una visione. Io non ho ancora capito del tutto se mi è piaciuto, ma sicuramente è un film interessante. La trama si concentra su Julie, una ragazza di Oslo (ottimamente interpretata da Renate Reinsve) piuttosto scostante: già in apertura, mentre frequenta l’università, cambia più volte progetti di vita, ma questa sua andatura altalenante la tormenta per tutto il film, anche nelle relazioni con gli uomini. Ne fanno le spese soprattutto due personaggi: il fumettista Aksel, più vecchio di lei di qualche anno, e il barista Eivind. Ma l’aspetto più riuscito del film, mi sembra, non è tanto la psicologia della protagonista, quanto alcune scene evocative: rimangono nella mente e negli occhi, ad esempio, il momento da sogno in cui Julie corre in una Oslo in cui tutte le persone sono paralizzate; la lunga allucinazione provocata dai funghi; il finale. Insomma, a me la storia in sé non ha convinto del tutto, ma mi sono piaciute molto la regia e, come già detto, l’interpretazione della protagonista. E, tutto sommato, non è poco.
Quello che ho pensato
Come dicevo all’inizio, questa settimana qui in Veneto sono cominciate le scuole e anche per me c'è stato, di nuovo, il classico primo giorno del nuovo anno scolastico. Per una volta, però, non voglio parlarvi delle solite questioni riguardanti la scuola, ma vorrei concentrarmi piuttosto su un altro tema, più spiccatamente filosofico.
L'idea mi è venuta durante il Dipartimento (la riunione di tutti i professori che insegnano storia e filosofia nella mia scuola) della settimana scorsa. Parlando di temi solo in parte collegati alla didattica, un mio collega ha tirato in ballo il classico discorso su quali siano stati i più importanti progressi dell'umanità nell'ultimo secolo, o meglio su cosa abbia spinto l’umanità stessa verso quei progressi.
Questo tema di certo non è nuovo, visto che già molti filosofi del passato si sono interrogati sul vero motore del progresso. Qualcuno pensava che il motore della storia fosse la provvidenza, una forza superiore e divina; qualcun altro che fosse la libido, una pulsione cioè più o meno sessuale e prettamente umana; qualcun altro parlava di volontà di potenza, tema su cui tra l’altro ci siamo soffermati proprio un paio di settimane fa.
Io ho una mia teoria, che non è del tutto originale perché è già stata sostenuta, anche se in termini non esattamente coincidenti con i miei, da altri filosofi e studiosi: quella che alla base di ogni progresso umano, ma forse anche di ogni semplice azione istintiva dell'umanità, ci sia una atavica, recondita e ineludibile paura della morte.
La cosa può sembrare controintuitiva, considerando che l'epoca di maggior progresso di tutta la storia dell'umanità, cioè gli ultimi 150 anni, è stata anche l'epoca in cui l'idea della morte è stata maggiormente nascosta e allontanata. Mai come nel Novecento la morte è scomparsa dalle nostre vite: non che, ovviamente, non si muoia più, ma nel senso che la morte è stata “emarginata”, “marginalizzata”. Ormai la morte è rinchiusa negli ospedali, lontano dalla vista; è ritardata fino alla più tarda età; è tagliata via perfino dai più grandi riti pubblici (tranne nel caso in cui muoia un regina o un VIP: l’unico caso in cui la morte torna ad interessarci).
Per molti giovani non è raro che l'esperienza di morte si riduca a una canzone ascoltata su Spotify o a un film visto in televisione: moltissimi di loro non hanno mai neppure visto un cadavere di persona, e le uniche morti di cui hanno avuto esperienza sono quelle dei bisnonni, persone comunque di una certa età.
Certo, ci sono purtroppo anche le eccezioni, ma sono tutto sommato abbastanza rare e vengono dimenticate in grande fretta, mentre fino a pochi decenni il rapporto con la morte era completamente diverso.
Un uomo del Medioevo, ma anche del Settecento, faceva i conti quasi quotidianamente con la morte: un po' perché i suoi fratelli spesso morivano durante l'infanzia, un po' perché non era affatto raro rimanere orfani abbastanza presto, un po' ancora perché effettivamente le malattie si diffondevano molto rapidamente e mietevano numerosissime vittime. Senza contare poi le guerre, anche quelle all’ordine del giorno. La morte era una vera e propria compagna di vita.
Per questo, come dicevo, può sembrare strano che io sostenga che proprio oggi, in un’epoca di quasi completa dimenticanza della morte, i progressi siano così veloci e forti proprio a causa della paura della morte. Secondo me, invece, i due fenomeni vanno di pari passo: più riusciamo a nascondere la morte, più progrediamo, perché il progresso è sia causa che conseguenza del non pensare alla morte.
Ogni essere umano su questa terra nasce senza aver coscienza della morte. Se avete mai avuto l'occasione di passare del tempo con bambini piccoli, sapete che il pensiero della morte neppure li sfiora. Oltre a non essere sfiorati dal pensiero della morte, però, i bambini non sono neppure sfiorati dall'idea di doversi mettere a lavorare, a creare, a progredire, a superarsi. I bambini piccoli non vivono proiettati nel futuro, ma in una sorta di eterno presente, felici o arrabbiati per quel che hanno o per quel che hanno perso in quell'istante, senza una prospettiva più ampia.
Prima di imparare cos'è il futuro, i bambini devono cominciare a crescere e a fare l'esperienza dell'invecchiamento, anche se ovviamente in termini molto ridotti. Solo quando si rendono conto di cambiare, cioè di subire dei mutamenti nel tempo, iniziano anche a rendersi conto del fatto che il tempo scorre; e nel giro di poco tempo cominciano anche a concettualizzare – anche se in maniera nascosta, inconsapevole – che il tempo non può essere infinito.
Da lì nasce una angoscia esistenziale che non si riesce a spiegare e a volte neppure a comprendere, ma che si fa via via sempre più forte soprattutto nella fase dell'adolescenza. Che cos'è l'adolescenza se non l'età in cui ci si apre al tempo, alla vita, e però si cerca anche una via per dominare quel tempo e quella vita? È la fase in cui si diventa poeti e artisti, in cui ci si innamora in maniera feroce e passionale, in cui si sentono tutta una serie di emozioni che non si sa bene come sfogare o come appagare, in cui ci si sente dei Werther e in cui l’animo sembra scoppiare. Spesso in quell'età si comincia a cercare di fare qualcosa di grande, a cercare di lasciare il segno, o almeno a cercare di trovare qualcosa che dia sicurezza, pace ed equilibrio.
Da lì in poi, una volta che l'adolescenza finisce, le pulsioni vitali trovano sfogo nello studio, nel lavoro, nel sesso, nello sport, in tutti quegli altri settori in cui proviamo a esaltare il nostro io, in cui proviamo a fare cose via via sempre più grandi o sempre più certe o sempre più sicure.
Ma perché ci spingiamo sempre un po’ più in là? Perché una volta che abbiamo trovato una persona con cui stiamo bene sogniamo di andarci a convivere? E perché una volta andate a convivere sogniamo di farci dei figli? E perché una volta fatti dei figli sogniamo di far carriera? E perché spingiamo sempre un po’ più in là l’asticella, ogni anno, ogni mese, ogni settimana? A che pro, tutto questo, visto che presto o tardi siamo tutti destinati a morire e di queste nostre “asticelle” poste sempre un po' più in là non resterà più nulla?
Se uno guarda a tutti gli sforzi che l'umanità ha compiuto lungo i millenni, concentrandosi sulla prospettiva del lungo periodo, forse può rimanere deluso. Ci diciamo spesso che l'umanità ha fatto grandi cose: si è evoluta da animali che non sapevano parlare e un po’ alla volta ha letteralmente conquistato questo pianeta, costruendo città enormi, vie di comunicazione lunghissime e navi spaziali che riescono perfino ad andare nello spazio. Grandi cose che però, se pensiamo a questo sperduto pianeta in confronto all’insieme di tutto il cosmo, sono solo un granello di sabbia.
Ci vantiamo di aver conquistato un pianeta che, nell'economia globale dell'universo, in realtà non conta nulla. È come se Giulio Cesare fosse andato in giro a vantarsi di aver conquistato un metro quadrato nella sua camera da letto. Eppure noi ci sentiamo grandi per quello che abbiamo fatto. Anzi, a dirla tutta ci sentiamo grandi anche per molto meno: ci sentiamo grandi quando otteniamo un piccolo aumento di stipendio o quando riceviamo un modesto compimento.
Siamo onesti: ci accontentiamo davvero di pochissimo. E però quel pochissimo ci basta, è anzi tutto quello che cerchiamo. Ed è così semplicemente perché quel “pochissimo” si permette di non pensare a quanto siamo piccoli, a quanto siamo indifesi, a quanto la morte sia alla fine dei conti inevitabile.
Mi rendo conto che questo discorso può sembrare, sotto un certo punto di vista, molto pascaliano, ma in realtà è molto più pessimista di quello del nostro amico Blaise Pascal. Perché al problema della morte oggi non c'è soluzione: non siamo più nel Seicento, quando l’esistenza di Dio non veniva neppure messa in dubbio e quindi Pascal poteva trovare agilmente una scappatoia nella scommessa su Dio. Siamo, oggi, nell’epoca dell’incertezza metafisica, in cui non possiamo – filosoficamente parlando – fidarci di nessun messaggio trascendentale.
Siamo soli, indifesi: e lo sappiamo. Non contiamo nulla, e sotto sotto lo sappiamo. Siamo polvere. Ma come si comporta qualsiasi essere umano quando scopre un’idea che lo terrorizza, che lo atterrisce? Si convince che quell’idea non esista.
La vita pare non avere nessun senso? Non possiamo ammetterlo, ne va della nostra salute mentale: e quindi ci inventiamo dei significati, li cerchiamo in Dio, nella natura, nell’umanità stessa, da qualsiasi parte pur di non dover ammettere quello che pare inevitabile. Ci arrampichiamo sugli specchi, creando sistemi filosofici sempre più astrusi e complessi pur di non dover accettare la più semplice verità: che non ne abbiamo idea.
A ben guardare, tutta la storia della filosofia non è altro che un tentativo di esorcizzare la paura della morte: un concettualizzare quello che difficilmente potrebbe essere concettualizzato, un cercare significati in quello che ci sembra troppo oscuro per essere chiaro, un tentare di spiegare ciò che in realtà non siamo veramente in grado di spiegare. Da un certo punto di vista, i grandi sistemi di pensiero, da quello di Platone a quello di Aristotele, da quello di Kant quello di Hegel, non sono altro che i tentativi disperati (di persone molto più intelligenti della media) di negare l'unica cosa certa che davvero sappiamo, cioè che tutti i nostri sforzi su questa terra saranno sostanzialmente inutili. Ma visto che accettare una verità del genere è troppo drammatico, è troppo angosciante, ci illudiamo che esista l’essere, un qualcosa che possiamo conoscere e dominare; che esista da qualche parte un sistema di governo che ci possa portare alla giustizia; che esista addirittura una legge della storia (quando quella che noi chiamiamo storia è in realtà solo un frammento impercettibile dell’immensa storia dell’universo) e così via.
Vogliamo che il mondo abbia un senso, desideriamo a tutti i costi che il mondo abbia un senso, e se non riusciamo a individuare questo senso allora ce lo inventiamo, mentendo a noi stessi. E andiamo in giro a dire di aver compreso la chiave ultima dell’esistenza, quando per la verità siamo solo una tipologia un po’ più intelligente di illusi.
In realtà secoli e secoli di filosofia dimostrano solo una cosa: che finora ci abbiano capito poco o nulla, e che forse continueremo a non capirci granché anche nel futuro.
Per questo la morte ci fa così paura: perché è un salto nell’ignoto, in un buio che non potremo mai rischiarare. Ed è per questo che il progresso è l’effetto di questa paura: perché tutte le conoscenze che abbiamo accumulato, tutte le invenzioni che abbiamo creato, tutte le opere che abbiamo costruito non erano nient’altro che tentativi di fare un po’ di luce – direttamente o indirettamente – su quella voragine. Solo che invece di illuminare l’abisso, abbiamo puntato la torcia verso i nostri occhi, creandoci delle immagini fantastiche che ci hanno annebbiato ancora di più la vista.
Quello che ho registrato e pubblicato
Come sempre, ecco anche il riassunto dei video e dei podcast che sono stati pubblicati negli scorsi sette giorni:
I programmi elettorali dei partiti per il 25 settembre 2022: a grande richiesta, un riassunto dei principali punti programmatici dei partiti in vista delle elezioni
Le leggi elettorali italiane (1994-2017): la cosiddetta Seconda Repubblica è stata contrassegnata anche da un importante mutamento nelle leggi elettorali
Newton: filosofia e gravitazione: iniziamo a presentare il pensiero (non solo scientifico, ma anche filosofico) di Isaac Newton
L’Autunno del Medioevo - Audiolibro spiegato parte 5: siamo andati un po’ più avanti con la nostra lettura integrale del capolavoro di Johan Huizinga
Il pensiero di Averroè (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
La filosofia ebraica medievale (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
Gli effetti della Guerra d’indipendenza americana (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono i nuovi abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri e videocorsi che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
Fascismo di Emilio Gentile: Gentile è considerato (giustamente) il più importante storico del fascismo italiano; e questo saggio, pubblicato per la prima volta nel 2002 (anche se raccoglie testi scritti perlopiù tra gli anni '70 e '90), è probabilmente il suo lavoro più importante. Se volete capire il fascismo in maniera più approfondita dal punto di vista storico e volete anche una chiave di lettura autorevole su uno dei fenomeni più importanti della storia d’Italia, questo è il libro che fa per voi. Tra l’altro, costa solo 13 euro (ma tramite il nostro link lo trovate in sconto a 10,40), sicuramente soldi ben spesi. Potete comprarlo qui.
Fumetto autobiografico: illustra le tue esperienze: saper disegnare è indubbiamente un’arte. Ma per raccontare una storia a fumetti, non basta solo quello: bisogna avere tutta una serie di competenze, che vanno dallo storytelling alla capacità di inchiostrare in maniera efficace. Questo corso tenuto dal fumettista Alec Longstreth vi permette, tramite 14 lezioni al costo complessivo di 19,90 euro, di iniziare ad addentrarvi in questo fantastico mondo, partendo dalle vostre esperienze personali fino a giungere alla pagina finita. Lo si compra qui.
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né fare corsi, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Cosa c’è in arrivo
Per concludere, è il momento delle anticipazioni. Ecco cosa è previsto (se tutto va bene) per la settimana prossima:
prima di tutto chiuderemo il ciclo di video in preparazione alle elezioni con una spiegazione di come funziona il cosiddetto Rosatellum;
concluderemo poi anche il ciclo dedicato a Gabriele D’Annunzio, parlando dei suoi ultimi anni di vita al Vittoriale;
porteremo inoltre avanti la lettura de L’Autunno del Medioevo;
arriverà poi anche un video di “pubblica utilità” intitolato Come invogliare bambini e ragazzi alla lettura;
infine, per il capitolo podcast, parleremo in storia di Costituzione americana e daremo il via alla Rivoluzione francese, mentre in ambito filosofico inizieremo a presentare il “ritorno” dell’aristotelismo in Occidente.
E questo è tutto, per oggi. Ci rivediamo, sempre qui, tra una settimana. Fate i bravi.