Qualche parola su Conte e il governo Draghi, molte parole su Friends e il Covid, qualche video su Unione Europea e i geroglifici, e poi Umbrella Academy, fascismo e Benjamin
La settimana scorsa vi spiegavo di aver contratto il Covid e di non saper bene quanto sarei riuscito a preparare dei nuovi video nei giorni successivi, visto che mi sentivo molto stanco per via della malattia. In realtà le cose sono migliorate: dopo i primi due-tre giorni di vera e propria spossatezza, la febbre è passata e mi sono abbastanza ripreso. Purtroppo il problema, dopo, è stato che non mi sono ancora negativizzato, quindi comincio a patire un po’ la noia. Anzi, più che di noia, direi che sto patendo la mancanza di stimoli esterni: star chiuso in un’unica stanza mentre tutti gli altri sono in giro non è il massimo. Speriamo che lunedì prossimo le cose siano diverse e io sia tornato a vedere un po’ di aria aperta.
Bando alle ciance, però. Mettiamo da parte le magagne e parliamo, piuttosto, dei libri e dei film della settimana.
Quello che ho letto
Partiamo come al solito dai libri. Nell’elenco qui di seguito troverete una sola novità rispetto alla settimana scorsa, ma sto ormai portando a termine varie letture quindi presto avremo spazio per qualche titolo nuovo.
Aristotele detective di Margaret Doody (1978): questo è il libro con cui sono più indietro. Come dicevo nelle settimane scorse, è un giallo ambientato nell’antica Grecia, in cui a fare da detective è addirittura il filosofo Aristotele. Rispetto alle prime volte in cui ne parlavo, la trama ha cominciato a farsi un po’ più intricata: non solo c’è stato l’omicidio principale, ma è già avvenuta anche una seconda morte connessa alla prima; sono emersi inoltre parecchi segreti riguardo alla vittima e qualche enigma si profila all’orizzonte, con Aristotele che comincia, un po’ alla volta, a mettere assieme i pezzi del puzzle. In genere io apprezzo i gialli e non posso certo dire che questo non sia tutto sommato ben fatto, però devo anche confessare che finora non mi ha veramente catturato; forse non riesco tanto ad immedesimarmi nei personaggi, forse l’Atene antica non mi pare così misteriosa come sarebbe necessario. Comunque vedremo come si evolverà la storia. Se vi interessa, lo trovate qui.
Il fascismo eterno di Umberto Eco (1997): questo libriccino in realtà l’ho sicuramente già letto qualche anno fa; solo che, quando nei giorni scorsi mi è ricapitato in mano, non sono riuscito a trovare i miei vecchi appunti. Non so, forse a suo tempo non li avevo presi, forse li ho persi. Quindi, visto che si tratta in realtà della trascrizione di una conferenza e che si legge in poche decine di minuti, mi ci sono rituffato. Si tratta di un discorso che Eco tenne alla Columbia University a metà anni '90, in cui cercava di individuare alcune caratteristiche tipiche del fascismo; non tanto (o non solo) del fascismo storico italiano, ma del fascismo in generale, di ogni fascismo che si presenti nel corso della storia. L’elenco è interessante, in gran parte condivisibile; comunque uno stimolo alla riflessione, considerando che il fascismo – inteso come vaga tendenza che però rimane sempre presente sottotraccia in diverse società, e anche in quella italiana – è sempre pronto a riemergere. Si tratta di un libro semplice, veloce, agile: sarebbe perfetto anche da far leggere in classe o comunque a degli studenti, per chiarirsi un po’ le idee. Lo si può comprare qui.
Building a Second Brain di Tiago Forte (2022): finalmente ho finito anche il libro di Tiago Forte di cui vi ho parlato nelle ultime settimane. Per chi si è perso le puntate precedenti, è un saggio in cui l’esperto americano spiega i vantaggi e le modalità per archiviare digitalmente tutta una serie di note, utili per il lavoro e la vita privata. Il tema mi interessa molto, perché in effetti uno dei segreti che sta dietro al fatto che da più di un anno riesco a realizzare così tanti video e podcast è proprio la buona organizzazione con cui sistemo i miei appunti e preparo le mie lezioni; ma il libro di Forte, a parte i primi capitoli che sono effettivamente interessanti, finisce per annacquare un po’ tutto il discorso in un libro inutilmente lungo, ridondante e, almeno a mio avviso, troppo rigido nell’impostazione. Penso che – negli appunti come nello studio – ognuno debba affinare un proprio metodo di lavoro, a seconda anche delle esigenze che ha, del tipo di memoria e di comprensione di cui è dotato, e anche della praticità momentanea; pertanto, al di là di qualche indicazione di massima, credo non si debba essere troppo rigidi nel fornire un metodo di lavoro in quest’ambito. Insomma, secondo me più l’idea di fondo del libro è anche buona, ma svolta in modo non del tutto convincente. Comunque, se siete alle prime armi in questo settore, forse potrebbe interessarvi lo stesso; ma fate attenzione, perché per il momento lo si trova solo in lingua inglese. Lo si acquista qui.
Quello che ho visto
Nell’elenco dei film della settimana ci sono ancora molte serie TV, perché da quando sono tappato in una sola stanza ho bisogno di qualcosa (preferibilmente leggero nei toni) che mi aiuti a far scorrere il tempo.
Ovosodo (1997), di Paolo Virzì, con Edoardo Gabbriellini, Marco Cocci, Claudia Pandolfi: l’ho scovato su Netflix e l’ho fatto partire quasi per sbaglio, qualche sera fa; ricordavo di averlo visto più o meno quando uscì, a fine anni '90, ma non ricordavo quasi nulla della trama. Così è stato curioso immergersi nuovamente nel clima dei miei anni da liceale. Ovosodo, per chi non l’ha visto, è infatti una sorta di film di formazione, incentrato su un ragazzo livornese, Piero, soprattutto negli anni del liceo, vissuto proprio negli anni '90. Insomma, è un film che parla più o meno dei miei anni e della mia generazione, e sicuramente uno dei suoi pregi è proprio il fatto di “trasudare” il clima degli anni '90. Ci sono anche varie cose interessanti: un cast di attori quasi esordienti ma molto in gamba; qualche momento divertente; la capacità di cogliere alcune caratteristiche sia dell’età giovanile, sia di quella generazione. D’altronde, a suo tempo il film vinse il Leone d’argento a Venezia, se ricordo bene. Però c’è anche qualcosa di incompiuto: come anche in altri film di Virzì, mi pare che il film di tanto in tanto traballi tra la commedia e il grottesco, senza decidere in maniera chiara da che parte stare, e quindi non si sa mai se lo si debba prendere sul serio oppure no. Inoltre c’è forse qualche luogo comune di troppo, non tanto nella storia del protagonista – che è onesta e originale – quanto in quella dei personaggi secondari, che mi sembrano non trattati con la stessa profondità. Comunque una pellicola divertente. Tra l’altro, mi ha abbastanza stupito il fatto che, in un film pensato anche per un pubblico di adolescenti, si vedessero due o tre scene di sesso o di nudo abbastanza esplicite: in quel finale di anni '90 si era forse un po’ meno bacchettoni di adesso, al cinema. Lo trovate, come detto, su Netflix.
Friends, tutta la quarta stagione e buona parte della quinta (1997/1998), di Marta Kauffman e David Crane, con Jennifer Aniston, David Schwimmer, Matthew Perry: come vi ho già spiegato, sono chiuso da 8 giorni in una stanza. Per carità, una stanza abbastanza grande, ma è sempre la stessa. E ho vissuto, in questi giorni, tre fasi diverse: all’inizio stavo male, ero proprio spossato e con febbre, e non riuscivo a fare quasi nulla se non dormire; poi sono stato meglio e con più energie, e mi sono messo a registrare video-spiegazioni a non finire; infine, nel weekend, è subentrata la noia e la voglia di non far più nulla. A tirarmi un po’ fuori da questa apatia sono state essenzialmente due cose, che tra l’altro sono due cose della mia adolescenza (ma che negli ultimi anni avevo abbastanza trascurato): i videogiochi e Friends. Sono bastate un paio di partite alla PlayStation del mio figlio grande e qualche ora davanti alla serie TV degli anni '90 per ridarmi un po’ di voglia di fare. Devo dire che Friends, in particolare, è per me un toccasana. Conosco bene i limiti di quella serie (come di ogni prodotto seriale): ogni tanto incappa in luoghi comuni e finisce per creare un mondo irreale in cui tutti i problemi prima o poi magicamente si risolvono e in cui non c’è mai davvero spazio per la depressione. Ma una sitcom si guarda come un divertissement, come una pausa dalla vita vera, come un modo per sognare a occhi aperti. E in questo Friends è inarrivabile, anche perché è stata effettivamente scritta per anni da alcuni dei migliori sceneggiatori americani, con battute spesso memorabili (più in inglese che in italiano, lingua in cui non sempre venivano rese a dovere) e personaggi ottimamente assortiti. E la serie riesce ad avere questo potere che definirei quasi taumaturgico indipendentemente da quante volte la si guardi. Credo di aver visto tutta la serie, dalla prima all’ultima stagione, almeno quattro o cinque volte in vita mia, ma con alcune puntate forse sono anche arrivato a una decina di visioni. Eppure rivederla non fa mai male; anche perché è una di quelle serie che puoi far partire anche mentre fai altro, tanto la conosci talmente bene che, anche se ti distrai per qualche minuto, riesci sempre a riprendere il filo del discorso. In particolare in questi giorni ho visto la quarta stagione – forse la migliore, a mio avviso – e una parte della quinta. Ci sono le puntate in cui Ross e Rachel si rimettono assieme e poi si lasciano quasi subito (la storia della lettera su cui lui si era addormentato, ricordate?), in cui Chandler si innamora della fidanzata di Joey, in cui Phoebe fa da madre surrogata per il fratello, in cui i ragazzi vincono al gioco l’appartamento delle ragazze («Che lavoro fa Chandler?»), in cui Joey e Chandler si sintonizzano per sbaglio sul canale tv del porno, in cui Ross conosce Emily e poi la sposa (con la clamorosa gaffe sull’altare), in cui c’è il panino di Ross mangiato dai colleghi, in cui Monica e Chandler vanno a letto e Joey deve mantenere il segreto e via discorrendo. Insomma, il periodo migliore della sitcom, quello con le migliori invenzioni di sceneggiatura ma anche con i personaggi ormai esplorati al punto giusto e in grado di creare comicità quasi spontaneamente. Se vi è venuta voglia di vederla, la trovate (intera, ovviamente) su Netflix.
The Umbrella Academy, episodi 3.09-3.10 (2022): tra le altre cose, ho finito anche la terza stagione di The Umbrella Academy. Lo so, ne avevo parlato bene e rimane, per me, una delle serie più originali e ricche di fantasia dell’intera produzione attuale; però il finale di questa terza stagione non mi ha convinto molto. Mi sembra che gli sceneggiatori, questa volta, abbiano tirato un po’ troppo la corda; e proprio quando avevano cominciato a farci affezionare davvero ai personaggi – pur nelle loro mille stranezze –, non li abbiano poi del tutto sfruttati a dovere. Insomma, dopo le premesse dei primi otto episodi, mi aspettavo un finale più significativo o quantomeno scoppiettante, invece mi è sembrato fiacco. E non ho ancora capito se ci sarà una quarta stagione. Anche questa serie, comunque, la trovate su Netflix.
Quello che ho pensato
Mi scuserete, ma due cose veloci su quello che sta accadendo a livello politico in questi giorni le devo dire (anche perché più di qualcuno mi ha chiesto di parlarne, sui social network). Per chi è stato distratto o era (beato lui) in vacanza, a metà della scorsa settimana si è consumata una mezza crisi di governo: davanti a un voto di fiducia, il Movimento 5 Stelle, che fa parte della maggioranza che sostiene il governo Draghi, ha deciso di fatto di astenersi dal voto; Mario Draghi ha reagito recandosi al Quirinale per rassegnare le dimissioni, dimissioni che però il Presidente della Repubblica ha momentaneamente respinto, invitando il Presidente del Consiglio a recarsi mercoledì in Parlamento per una verifica.
Cosa significa tutto questo, visto che molti me l’hanno chiesto? Per capire quello che è accaduto bisogna fare qualche premessa:
il governo Draghi è nato poco più di un anno fa, con l’intento di essere un governo quasi di unità nazionale: davanti alla pandemia e ai soldi del PNRR, le forze politiche, sospinte dal presidente Mattarella, hanno valutato che fosse il caso di mettere da parte i dissidi e unirsi – sotto la guida di un tecnico che potesse convincere i mercati e l’Unione Europea – in un governo di larghe intese. Non a caso nell’esecutivo entrarono tutti, anche partiti che fino a quel momento erano stati acerrimi nemici (PD e Lega, Movimento 5 Stelle e Forza Italia), con l’unica eccezione di Fratelli d’Italia;
se il problema-pandemia è, in questo anno e passa, parzialmente rientrato, nel senso che oggi pare relativamente gestibile, in compenso la questione PNRR non è ancora completata e in più sono sorti due nuovi grossi problemi all’orizzonte, sempre di carattere internazionale: l’inflazione e la guerra in Ucraina. Si tratta di problemi che rischiano di essere gravosi tanto quanto la pandemia, e a livello economico forse anche di più (oltre che per gli equilibri europei e mondiali);
nel frattempo, i due partiti che erano usciti meglio dalle elezioni del 2018 sono entrati in crisi. Da un lato, la Lega, che fino al 2019 pareva nei sondaggi una corazzata inaffondabile, ha continuato nel suo lento declino, vedendo le rilevazioni demoscopiche che settimana dopo settimana segnalavano un esodo dei suoi voti verso Fratelli d’Italia, che traeva vantaggio dall’essere l’unico partito d’opposizione. Dall’altro è andata ancora peggio al Movimento 5 Stelle: i sondaggi lo danno ancora, al momento, sopra al 10%, ma il rischio è di andare alle elezioni prendendo anche molto meno di quella cifra. Già stare al governo per cinque anni – come ha fatto il partito di Conte – tende a logorare chiunque, ma in più il movimento si è tirato parecchio la zappa sui piedi con scelte spesso platealmente incoerenti, litigi interni, opportunismo politico. Le ultime elezioni amministrative sono state un pesante, pesantissimo campanello d’allarme. Insomma, sia la Lega che il Movimento 5 Stelle alle prossime politiche (previste normalmente per la primavera 2023) rischiano di fare flop; ma la Lega potrebbe comunque cavarsela, anche perché avrà in ogni caso l’ombrello della coalizione di centrodestra, che molto probabilmente vincerà le elezioni e così facendo nasconderà un po’ di problemi interni, mentre il M5S rischia un crollo memorabile;
proprio la paura di questo crollo sta agitando i sonni dei parlamentari pentastellati, che si sono convinti che l’unico modo per recuperare qualche punto percentuale ed evitare la catastrofe sia ritrovare l’anima battagliera delle origini. È quello che sostiene da tempo una parte del Movimento, partito che oramai per la verità ha più anime spesso in tremendo contrasto l’una con l’altra; e per ritrovare questo spirito battagliero bisogna obbligatoriamente differenziarsi da Draghi, visto come l’establishment personificato.
Tutto questo ha portato alla crisi attuale. Da almeno un mese il Movimento 5 Stelle cercava un motivo per rompere (almeno in parte) col governo: prima c’è stata la questione delle armi da inviare all’Ucraina, sulle quali il M5S pareva voler mettere il veto, cosa che però poi non è avvenuta; poi c’è stata l’intervista di Domenico De Masi (sociologo amico di Beppe Grillo) al Fatto Quotidiano in cui si sosteneva che Draghi avesse chiesto a Grillo di rimuovere Conte, questione che alla fin fine non s’è capito se fosse vera o inventata; infine sono arrivati i 9 punti di Conte, questioni di principio che l’ex premier ha posto a Draghi quasi come un diktat. Insomma, è abbastanza evidente che da un po’ si stava cercando un escamotage per uscire dal governo, senza però farlo in maniera troppo drammatica.
Proprio per questo la crisi, finora, è stata così anomala. Giuseppe Conte, infatti, sta giocando sul filo del rasoio: non ha ritirato i suoi ministri, né ha votato una sfiducia al governo. E continua a mandare segnali apparentemente contraddittori: un giorno sembra pronto a uscire, mezz’ora dopo sembra invece voler spingere il governo a continuare. In realtà si comporta così perché deve fronteggiare due problemi:
il suo partito non è affatto unito, visto che c’è una parte dei parlamentari (maggioritaria, pare) che vorrebbe decisamente uscire dal governo e passare all’opposizione, ma c’è anche un’altra parte (minoritaria, ma non piccolissima) che vorrebbe invece rimanere. E c’è il rischio concreto che da questa crisi si esca con un’ulteriore scissione;
Conte pare voler uscire dal governo ma non pare non voler assolutamente andare a votare. L’obiettivo di tutta l’operazione, come abbiamo detto, è recuperare voti: se si andasse a votare subito sarebbe un mezzo fallimento, perché certo si accontenterebbe l’ala più dura del partito ma non si farebbe in tempo a recuperare gli indecisi. L’ideale, per l’ex premier, sarebbe passare all’opposizione ma far andar avanti il governo (per questo ha insistito così tanto sull’appoggio esterno). Con Draghi ancora a Palazzo Chigi per sei o sette mesi e col Movimento libero di bersagliare il governo, Conte spera che il suo partito possa riconquistare la fiducia degli arrabbiati, dei no-euro, dei filo-putiniani alla Di Battista e di chissà chi altro, e magari presentarsi alle elezioni del 2023 un po’ più forte. Il guaio, per lui, è che Draghi ha detto fin da subito che il giochetto non gli piace, che non ci sta a fare da bersaglio per i partiti, e credo che su questo terrà duro.
Come andrà a finire? Al momento non lo sa nessuno, con certezza. Credo però che Conte se la sia giocata in fondo male: alla fine, o sarà costretto a fare marcia indietro, con un danno d’immagine e di credibilità non da poco; o, se terrà duro, si andrà rapidamente alle elezioni, e penso che a quel punto prenderà molto meno del 10% o addirittura del 12-13% che sperava. Diciamocelo: c’è il rischio, concreto, che i 5 Stelle non superino il 6-7%, e per un partito che cinque anni fa aveva preso quasi il 33% dei voti sarebbe un’ecatombe. Per carità, c’è anche la possibilità che si arrivi a un governo Draghi-bis o a un altro governo tecnico, ma al momento mi paiono le eventualità meno probabili.
Lasciatemi fare solo un commento personale, su questa vicenda ma in generale su tutta la legislatura che si avvia ormai alla sua conclusione. Governare l’Italia non è facile: è un paese contraddittorio, complicato, e secondo me lo stesso popolo italiano non ti aiuta per nulla a far funzionare questo paese. Avremmo bisogno – e lo diciamo da anni, e lo confermano tutti gli studi seri – di alcune grandi riforme strutturali; ma per fare queste grandi riforme serve stabilità.
Attenzione, non sto dicendo che serva per forza Draghi (o un governo di un certo tipo o di un altro tipo); e non sto parlando per forza di governi che durino quattro o cinque anni. Sto dicendo che serve stabilità. Stabilità vuol dire che i vari governi – di destra, di sinistra, di centro – possono e devono, ovviamente, portare ognuno un proprio programma diversificato, ma allo stesso tempo bisogna che su alcuni temi forti ci sia una identità di vedute. Che, ad esempio, sullo scacchiere internazionale la posizione dell’Italia sia chiara, e affidabile; che l’UE non abbia remore a farci prestiti, sicura che qualsiasi governo terrà fede agli impegni; che gli obiettivi economici di sistema siano perseguiti con costanza. I governi, insomma, possono anche durare un anno e mezzo (come avviene quasi sempre); ma l’importante sarebbe che ci fossero dei punti fermi.
Purtroppo in questa legislatura abbiamo visto troppe volte forze politiche mettere pesantemente a rischio questa stabilità – che rappresenta l’interesse nazionale, perché vuol dire anche meno debito pubblico e quindi un’Italia più sana per i nostri figli – in favore di un 2% in più nei sondaggi. Detta in altri termini: ci sono partiti che per una manciata di voti in più oggi non si fanno remore a creare molti problemi domani. Partiti o uomini politici che sanno bene cosa sarebbe giusto fare e cosa invece può essere conveniente fare, e scelgono sempre la convenienza personale al bene collettivo. Colpa anche nostra, evidentemente: perché basta che qualcuno ci prometta qualche soldo in più, e siamo pronti a dimenticarci subito ciò che sarebbe giusto fare.
Ecco, io di questa politica perennemente elettorale sono stufo, e non certo da oggi.
Quello che ho registrato e pubblicato
Se siete stati al mare o in montagna, in questi giorni, forse vi siete persi qualcuno dei video o dei podcast usciti. Ecco il riassunto di tutto quello che è stato pubblicato nella settimana:
Scrittura e religione degli egizi: dopo aver parlato di regni dell’antico Egitto, soffermiamoci anche sulla cultura di quella importante civiltà
L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica - Audiolibro spiegato parte 1: la rubrica Book Club si è arricchita, questa settimana, di una nuova importante lettura: qui il primo episodio…
L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica - Audiolibro spiegato parte 2: …e qui già il secondo, con cui arriviamo ai ⅔ dell’opera
Storia della politica estera italiana 3 (1914-1919): la Prima guerra mondiale: continua anche il nostro excursus lungo le dinamiche della politica estera italiana
Unione Europea: istituzioni e organi: l’Unione Europea rappresenta, per certi versi, ancora un mistero per noi italiani; ecco come funzionano le sue principali istituzioni
La disputa sugli universali (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
L’Impero Ottomano e i suoi nemici (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che facciamo vi piace e volete darci una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che abbiamo implementato per voi. C’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal e, infine, ci sono libri e videocorsi che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco i nostri consigli della settimana.
La nazionalizzazione delle masse di George L. Mosse: se si vuole capire cos’è stato il nazismo ma più in generale cosa sono stati i totalitarismi di massa del Novecento, bisogna partire da qui. È un saggio datato (risale addirittura al 1974) ma che è ancora considerato un classico nell’ambito degli studi storici: analizza come, fin dall’inizio dell’Ottocento, in Germania si sia sviluppata una sorta di ritualità politica volta a integrare le masse nella politica, tramite i movimenti nazionali e nazionalistici. Lo si compra qui.
Introduzione al community management: tra i frequentatori del canale YouTube ci sono persone molto diverse. Alcuni sono studenti, altri semplici curiosi; ma spesso sono persone interessate a progetti particolari, a mettersi in gioco, a gestire anche delle iniziative, magari proprio sul web. Per questo il corso che vi suggerisco questa settimana è un corso che insegna come usare i social network per gestire i contenuti che si pubblicano e valutarne l’impatto sulla community. Si compone di 22 lezioni, ma viene venduto a un prezzo molto concorrenziale, al di sotto degli 11 euro (praticamente 50 centesimi a lezione). Lo trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né fare corsi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Cosa c’è in arrivo
E per concludere ecco, come al solito, anche una veloce panoramica sui video in arrivo nei prossimi giorni:
arriverà il secondo video dedicato a D’Annunzio, incentrato sulla Prima guerra mondiale;
arriverà un video dedicato a Ipazia, la celebre filosofa dell’antichità;
è in programma anche un video su Don Camillo, sia il libro che il film;
per quanto riguarda i podcast filosofici, finiremo di parlare della disputa sugli universali e cominceremo a parlare di logica medievale;
per i podcast storici, invece, ci sarà spazio per l’India e per la Cina durante l’età moderna.
E questo è tutto. Ci vediamo, come sempre, tra una settimana esatta.