Qualche pensiero sull'essere genitori (in senso ampio), su Guareschi e Don Camillo, su Bianco Rosso e Verdone e su Sanremo, senza dimenticare i video sull'attualità e Adam Strange
È finito il Festival di Sanremo e sicuramente molti di voi l’avranno guardato. Io mi sono limitato alla serata finale e a qualche esibizione vista, in differita, su RaiPlay, giusto per accontentare mia madre («Ma come, non hai seguito Elisa che faceva Flashdance?») e per imparare un po’ a conoscere i cantanti preferiti dei miei figli.
Come ho scritto altrove, la canzone di Mahmood e Blanco meritava sicuramente il primo posto, ma io ho da tempo un debole per La rappresentante di lista, che aveva tra l’altro una canzone tutt’altro che stupida. Era la più vivace, per certi versi la più intelligente e meritava sicuramente qualcosa di più. E a voi, quale è piaciuta di più? E soprattutto perché? Argomentate.
Intanto che ci pensate, però, date un’occhiata anche al resto della newsletter: questa settimana parliamo di tanti libri, qualche film, una riflessione sull’essere genitori e creatori e altro ancora.
Quello che ho letto
C’è molta narrativa, questa settimana, nell’elenco dei libri, ma spero stimolante.
Il maialino di Natale di J.K. Rowling: ne ho parlato anche nelle settimane scorse e finalmente l’ho finito. Ho letto online recensioni entusiastiche, come se fosse il più bel libro per ragazzi mai scritto (o almeno il migliore dai tempi di Harry Potter): a me pare invece molto nella media, con qualche momento discreto ma anche con cose meno riuscite. Per carità: se avete meno di 15 anni va anche più che bene. Non aspettatevi però un capolavoro.
Don Camillo di Giovannino Guareschi: allora, chiariamo: Don Camillo è un personaggio di cui tutti sappiamo tutto, da quando siamo nati. Non sono mai stato un fan della serie cinematografica, ma da bambino credo di averli visti tutti, i film con Fernandel e Gino Cervi. Senza particolari entusiasmi, come si vede un vecchio film di Totò: si sorride, ma si pensa anche che siano “cose d’altri tempi”. Poi, qualche settimana fa, lavorando ad alcune lezioni sul dopoguerra, mi son venuti in mente gli slogan che Guareschi preparava per la DC nelle elezioni dei tardi anni '40 (“Nella cabina elettorale Dio ti vede, Stalin no”). E mi son detto: chissà come sarebbe mettersi oggi, quasi con lo sguardo dello storico, a leggere i vecchi libri su Don Camillo e Peppone? Così mi sono comprato il primo volume, intitolato originariamente Mondo piccolo. Don Camillo e pubblicato nel 1948 (con però racconti usciti nei due anni precedenti sul Candido). Be’, devo dire che è una lettura molto più piacevole di quel che mi aspettavo. Guareschi era un umorista di livello straordinario: le storie sono brevi ma incredibilmente incisive, colgono perfettamente il clima di quell’epoca e, per quanto si sentano nettamente le idee politiche dell’autore, non si scivola mai nella propaganda vera e propria o nella faziosità più bieca. Insomma, è satira di alto livello. E anzi, probabilmente oggi, al riparo dagli ardori politici di quegli anni, la si può apprezzare anche di più. Insomma, sto ridendo di gusto. Esiste oggi, in Italia, qualcuno in grado di ritrarre con la stessa ironia (ma anche amore) la nostra società? A me pare di no.
Strange Adventures di Tom King, Mitch Gerads, Evan Shaner: sto leggendo questo fumetto (in italiano il primo volume è uscito qualche mese fa, il secondo da pochi giorni) e mi sta catturando più del dovuto. Si tratta di una lunga storia (uscita originariamente in America in dodici episodi) dedicata alla ridefinizione di Adam Strange, supereroe classico degli anni '50, generalmente considerato démodé, fuori tempo massimo. King, lo sceneggiatore, invece in questa storia lo fa diventare di estrema attualità. All’inizio ce lo presenta, infatti, intento a presentare in lungo e largo per l’America la propria autobiografia, in cui presenta tutte le sue grandi imprese spaziali. Per questo viene invitato in TV, celebrato e perfino premiato dal governo con la Medaglia della Libertà. Almeno fino a quando la sua storia non mostra qualche crepa, che diventa via via sempre più pesante. Sono arrivato al quarto episodio (su dodici), ma mi pare che il tema del confronto tra immagine e realtà, tra show business e moralità sia già sul piatto. Ovviamente devo ancora vedere come va a finire, ma il clima così inquietante mi intriga parecchio. E poi la storia è raccontata in modo volutamente frammentario, con uno stile originale che si coniuga ottimamente ai bei disegni.
Quello che ho visto
Passiamo ai film. Tra quelli che ho visto questa settimana, uno è storico d’ambientazione, un altro è storico invece perché è a suo modo un classico.
Monaco - Sull’orlo della guerra (2021), di Christian Schwochow, con George MacKay, Jannis Niewöhner, Jeremy Irons: questo film è stato lanciato su Netflix in prima assoluta qualche giorno fa, anche con un certo battage pubblicitario. Me lo sono guardato con interesse perché, come forse si può intuire già dal titolo, lo sfondo è profondamente storico: la storia è ambientata nell’autunno del 1938, quando si tenne, a Monaco di Baviera, la celeberrima conferenza internazionale per la questione dei Sudeti. Ricordate? Hitler voleva prendersi quella regione – abitata anche da popolazione tedesca – invadendo la Cecoslovacchia; Inghilterra e Francia, con la mediazione dell’Italia, intervennero apparentemente per scongiurare l’aggressione, ma di fatto concedendo la zona alla Germania senza colpo ferire. Spesso quell’episodio viene portato a simbolo degli errori commessi dalle diplomazie europee nel sottovalutare la pericolosità di Hitler. All’interno di questo sfondo, il film propone la storia – tratta dal romanzo storico Monaco di Richard Harris, uno specialista nel genere – di due giovani diplomatici, uno inglese e l’altro tedesco, entrambi presenti alla conferenza di Monaco e vecchi compagni di scuola a Oxford. I due cercheranno, addirittura, di far saltare gli accordi e cancellare la politica dell’appeasement di Chamberlain. Non vi dico come la pellicola va a finire, ma posso dirvi che il film ha il suo punto di forza negli attori (molto bravo in particolare MacKay, che avrete visto in un altro, bellissimo, film storico, 1917), mentre ho trovato un po’ forzata la difesa di Chamberlain che sembra emergere nel finale. Neville Chamberlain, il primo ministro britannico durante quei mesi convulsi, sbagliò quasi tutto nelle sue scelte di politica estera, e direi che questa è un’opinione assai diffusa tra gli storici (d’altronde, fu l’uomo che permise involontariamente a Hitler di ottenere gli straordinari successi che ottenne fino al 1942); difenderlo, come si prova a fare nel film, e presentarlo come uno statista estremamente furbo mi pare insomma abbastanza opinabile. C’è da dire che però la storia del diplomatico tedesco che collabora con la resistenza anti-nazista non è del tutto irrealistica: il personaggio infatti è vagamente ispirato a un diplomatico tedesco realmente esistito, Adam von Trott zu Solz, che finì tra l’altro ucciso dai nazisti.
Una notte al museo (2006), di Shawn Levy, con Ben Stiller, Carla Gugino, Dick Van Dyke: questo lo conoscete già di sicuro: è un film discreto, per famiglie, divertente ma senza esagerare. Bisognava che prima o poi lo facessi vedere anche ai due figli più piccoli (che effettivamente si sono molto divertiti). Dalla sua, devo dire, ha un buon cast: oltre a Dick Van Dyke e Mickey Rooney in una delle loro ultime prove di spessore, segnalo Rami Malek (il Freddie Mercury di Bohemian Rhapsody) nella parte del faraone e Pierfrancesco Favino in quella di Cristoforo Colombo.
Bianco rosso e Verdone (1981), di Carlo Verdone, con Carlo Verdone, Irina Sanpiter, Elena Fabrizi: erano probabilmente trent’anni che non rivedevo questo film degli esordi di Verdone. Alla prova degli anni, mi pare che la pellicola stia ancora in piedi. Certo, alcuni momenti paiono oggi un po’ stucchevoli, o lenti, ma alcuni altri meritano di essere ancora ricordati. Tra i tre personaggi interpretati dal comico romano, sicuramente quello che è entrato nell’immaginario è stato Furio, il pedante e logorroico automobilista che si sta spostando da Torino a Roma per votare assieme a tutta la famiglia; e in effetti è talmente irritante che non si può non ricordarlo. Quello più riuscito, però, mi pare sia Pasquale Ametrano, l’emigrante che scende in Italia dalla Germania, uno che riesce a non dire una parola per tutto il film, pur mostrando, soprattutto da un certo punto in poi, una certa umanità.
Quello che ho pensato
Oggi non vi tedierò con pensieri legati all’attualità, alle crisi geopolitiche (c’è già qualche video al riguardo, lo trovate qui più avanti) o alla scuola (anche in questo caso, trovate video più oltre). Piuttosto mi vorrei soffermare su uno spunto che mi ha colpito oggi.
Tornato a casa da scuola ho aperto il cellulare per rispondere alle notifiche e, nella schermata delle notizie, ho notato un articolo, o meglio il titolo di un articolo. Poi mi son fatto distrarre da altre cose e quell’articolo non sono neppure riuscito a leggerlo. In questo momento non riesco neppure a ritrovarlo, quindi potrei pure essermelo sognato (o aver letto fischi per fiaschi). Poco importa, però: perché era bastato il titolo a farmi partire la riflessione.
Quel titolo diceva qualcosa del genere: «Non sono madre ma ho provato cos’è la maternità, perché sono madre di ciò che ho creato». Ripeto: non so neppure chi fosse ad aver fatto quella dichiarazione (anzi, se avete letto l’articolo, segnalatemelo). Ma non importa; quello che importa è: cos’è la maternità o la paternità?
Io, come forse sapete, ho quattro figli. E ogni volta che qualcuno lo viene a sapere pensa che io sia un fanatico della famiglia (o del sesso procreativo), sia fedele a una qualche chiesa che crede nella proliferazione della specie umana o chissà cos’altro. D’altronde, ognuno cerca di spiegarsi le cose come più gli aggrada e pochi hanno voglia di sapere come stanno realmente le cose. In realtà io ho quattro figli semplicemente perché io e mia moglie abbiamo fatto il primo, e ci è sembrato che fosse andata abbastanza bene; abbiamo fatto la seconda e ancora ci è sembrato che fosse andata liscia. A quel punto ci siamo detti: «Perché non il terzo?» E, subito dopo: «Perché non il quarto?» Ci siamo pure chiesti, ad un certo punto: «Perché non il quinto?», ma ormai io avevo la risposta: «Perché non riusciamo quasi più a star dietro agli altri quattro, quindi basta».
Insomma, la famiglia larga è stata una cosa molto spontanea, legata al fatto che per fortuna il diventare genitori ci era piaciuto e non c’erano stati problemi eccessivi nel tragitto. Nessuna fede, nessuna missione divina: solo, concretamente, una cosa che ti viene bene e che provi a rifare, finché ne hai la forza e il modo.
Non sono, d’altra parte, uno di quelli che pensa che nella vita si debba per forza far figli. Dipende. A me è piaciuto, è stata e continua ad essere un’esperienza fondamentale, e di sicuro la consiglierei a chiunque; ma la consiglierei come consiglierei un lavoro o un viaggio: come un suggerimento che magari può interessare a qualcuno, non certo come un’imposizione. Non tutti vogliono figli, ed è comprensibile; e poi non tutti sarebbero dei buoni genitori, ed è quindi meglio che non facciano figli.
Credo dunque che far figli non sia affatto un obbligo morale o naturale. Però, mi vien da dire, diventare genitori forse lo è. O, quantomeno: diventare genitori è qualcosa che dà senso alla nostra vita e la rende degna di essere vissuta. Seguitemi nel ragionamento.
Ritorniamo al titolo di giornale da cui siamo partiti: a quella donna che diceva di essersi sentita madre per aver creato un’opera (non so nemmeno se fosse un libro, una sinfonia o cos’altro). Maternità e paternità non sono solo concetti biologici; sono anche concetti, mi verrebbe da dire, esistenziali. Si può essere padre o madre anche senza far figli.
Pensate a un insegnante (sì, lo so, faccio sempre questo esempio, ma capirete che ce l’ho a portata di mano): un insegnante può essere padre o madre, idealmente, dei suoi allievi. Certo, con loro dovrà usare uno stile educativo diverso da quello che usa o che potrebbe usare coi suoi figli biologici, ma poco cambia: quando ti prendi cura di qualcuno più giovane, più inesperto o più debole di te, e lo assisti e lo fai crescere, in un certo senso diventi suo genitore. Quindi un insegnante è maestro e in un certo senso genitore, e quello indipendentemente dal fatto che può essere un bravo o un cattivo maestro (quello avviene anche coi genitori biologici, figuriamoci con quelli ideali). I preti si fanno chiamare padri da millenni, le suore madri, ed è più o meno la stessa cosa: una paternità/maternità ideale, spirituale.
Ma si può essere genitori anche in modo più astratto. Costruire un’amicizia, ad esempio, è un’operazione lunga, faticosa, in cui ci si sacrifica spesso e volentieri per l’altro, in cui lo si custodisce. Certo, l’altro ha di solito un rapporto paritetico con te, quindi tu non diventi suo padre o sua madre, ma puoi diventare padre o madre di quel rapporto, di quell’amicizia: l’hai creata, l’hai fatta venire alla luce, l’hai alimentata, l’hai custodita anche nei momenti più brutti.
Lo stesso, d’altra parte, si può dire delle opere dell’ingegno. L’umanità da millenni crea opere letterarie, storie, ponti, strade, città, dipinti, teorie filosofiche, riti e quant’altro. Crea nel senso che dà alla luce, foggia, fa emergere dal caos. Quante volte sentiamo un “creatore” dire: «Scrivere questo libro è stato un parto», «In quest’opera ho messo tutto me stesso», «Ho dato alla luce il mio capolavoro»? Tutte frasi che parlano di nascita, in fondo; di fatica, di sacrificio, di custodia, di cose alimentate e fatte crescere.
Tutta l’avventura dell’uomo sulla faccia della Terra è un’avventura di paternità e maternità. Coltiviamo i campi perché ci diano dei frutti (perché “partoriscano” dei frutti), costruiamo case per lasciare il nostro segno nelle città (perché “crescano”), scriviamo storie per la bellezza di creare. Il superuomo è un creatore, diceva Nietzsche, e la volontà di potenza si esprime in primo luogo nella creazione; ma forse non è tanto creazione, quanto genitorialità in senso molto ampio; e forse non è solo un atteggiamento proprio del superuomo, ma di ogni uomo.
Certo, le creazioni non sono tutte dello stesso valore. Chi crea un figlio dà la vita, una vita che poi prende la sua strada e va per conto suo; chi crea una teoria politica può indicare la via per la giustizia; chi crea un’associazione di volontariato può migliorare la vita altrui; chi realizza un film o una canzone può emozionare milioni di persone. E queste sono tutte cose nobilissime, in un senso o nell’altro. Ma c’è anche chi crea spettacoli orribili e di morte, chi crea solo per se stesso, chi crea cose per fare del male agli altri. Anche un serial killer è un creatore, di uno spettacolo perverso e macabro. La sua creazione è mostruosa. Anche Hitler voleva essere padre, in fondo.
Siamo dunque tutti genitori, in un senso o nell’altro, o quantomeno cerchiamo di esserlo. D’altronde, diceva Jung, la libido non è solo pulsione sessuale, è pulsione alla vita e alla creazione. Perché la vita è creazione, perché la sessualità è creazione in tutti i sensi ed in tutte le direzioni. Io direi meglio: la vita è creazione e costruzione. Esattamente come con i figli: perché anche loro li crei e li costruisci, fino a quando non sono pronti ad andare avanti per conto loro. La vita è paternità e maternità, insomma.
Quindi forse la domanda che ci dobbiamo fare non è se vogliamo o non vogliamo essere genitori, perché in fondo quello tendiamo ad esserlo sempre, volenti o nolenti, in un modo o nell’altro, anche senza fare sesso. Quello che dobbiamo chiederci è: di cosa vogliamo essere padri o madri? Che cosa vogliamo creare, in questo mondo?
Quello che ho registrato e pubblicato
Facciamo anche il solito riassunto dei video e dei podcast usciti questa settimana, prima di passare ai saluti.
La crisi tra Ucraina e Russia: dopo aver presentato, la settimana scorsa, la storia dei rapporti tra Ucraina e Russia, arriviamo ora ai fatti recenti e alle tensioni di questi giorni
La rielezione di Sergio Mattarella a Presidente della Repubblica: altro video di attualità, dedicato a fare il punto su quello che avvenuto nei giorni convulsi che hanno portato alla riconferma di Sergio Mattarella
Spinoza: i gradi della conoscenza: video conclusivo su Baruch Spinoza, che fa il punto su cosa e come possiamo conoscere e, di conseguenza, su come possiamo vivere
Esame di maturità 2022: cosa ne penso: si discute molto anche dell’esame di stato di quest’anno, che potrebbe tornare ad essere (più o meno) quello classico
La dinastia Giulio-Claudia: Claudio e Nerone: presentiamo altri due imperatori romani, gli ultimi della dinastia di Augusto, tra riforme ed errori
L’epicureismo e la canonica (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
La vittoria di Cromwell e il Commonwealth (per il podcast “Dentro alla storia”)
Cosa c’è in arrivo
Chiudiamo come al solito con una panoramica dei nuovi appuntamenti, sperando di riuscire a tener fede a quello che scrivo. Nei prossimi giorni dovrebbero arrivare:
una nuova puntata della serie Come muoiono i filosofi, con un video dedicato ai pensatori del Seicento e del primo Settecento;
il video-opinione sul PCTO (ex Alternanza Scuola-Lavoro), in cui vorrei fare un po’ di chiarezza sulla questione;
vorrei anche, in storia, cominciare a presentare un approfondimento sulla Guerra Fredda;
per quanto riguarda i podcast, sono in programma altre puntate su Epicuro (per filosofia) e su Richelieu e Mazzarino (in storia).
Questo è tutto. Ci rivediamo qui lunedì prossimo, giorno di San Valentino! A presto!