Ritrovare la dimensione politica con le piazze di Renzo Piano, ma parliamo anche de Il problema dei tre corpi, ChatGPT, L'attacco dei giganti, Dostoevskij, Elio e le storie tese e John Locke
Se marzo, per me, era stato intenso, aprile minaccia di esserlo ancora di più: non tanto per il lavoro in sé, quanto a livello organizzativo. Ci sono troppe cose da ricordare per una mente sola, e anche le app apposite possono certo dare una mano, ma non possono fare miracoli. Aspetto con ansia che le intelligenze artificiali ci consegnino assistenti virtuali in grado di lavorar bene e facilmente, organizzare le agende e sbrigare compiti ripetitivi, come scoprire dove ho imbucato un certo libro. Ad esempio, da un po’ non riesco a ritrovare Il principe di Machiavelli, che servirebbe a scuola a mio figlio e che sicuramente ho da qualche parte (forse addirittura in due copie). Ma, appunto, non so dove.
Ma veniamo a noi. Siamo reduci, ieri sera, da un incontro dedicato a Memorie dal sottosuolo di Dostoevskij, all’interno del Club del Libro; presto discuteremo anche di animali e dei loro diritti all’interno del Simposio. E se non sapete di cosa si tratta, guardate nella sezione Quello che puoi fare per sostenere il canale. Il mese prossimo, sempre in quegli ambiti, parleremo di Kant e Locke insieme: un bel programma, intenso.
Come spero che costituisca un bel programma intenso anche la newsletter di questa settimana, che comincia qui di seguito tra libri, film e qualche riflessione varia su alcune dinamiche locali e nazionali. Iniziamo.
Quello che ho letto
Cominciamo come sempre con i libri: in lista questa settimana ci sono due saggi e un volume di memorie.
Vite bruciacchiate di Elio e le storie tese: partiamo dalle memorie. Questo libro in realtà l'ho iniziato da pochissimo e quindi ho abbastanza poco da dire, se non che mi ha attirato soprattutto per il tema che affronta. Il gruppo di Elio e le storie tese è stato uno dei gruppi della mia adolescenza, capace di dissacrare un genere che fino a quel momento era appunto sacro come quello del rock e del pop. E, in quegli anni, certe canzoni della band milanese fungevano davvero da colonna sonora di molti della mia generazione. Conoscere i dettagli della loro storia può essere così interessante: certo non aprirà nuovi squarci sulla mia visione del mondo, ma potrebbe soddisfare qualche curiosità e soprattutto spero mi faccia un po' rivivere, anche se a distanza di vent'anni o più, quella mia gioventù demenziale. Vi racconterò com’è man mano che mi addenterò nelle sue pagine, che comunque non sembrano essere tantissime. Se vi interessa, intanto, lo potete acquistare qui (ma solo in formato digitale).
Io & IA di Riccardo Manzotti e Simone Rossi: dopo un libro appena cominciato, eccone uno che invece ho iniziato e finito assai rapidamente. Il volumetto di Riccardo Manzotti e Simone Rossi l'ho infatti divorato, complice il fatto che da un lato è molto agile e dall'altro è anche scritto in maniera accessibile, utile sia per chi qualcosa di quell'argomento lo conosce, sia per chi non lo frequenta molto. Forse il segreto di questa sintesi felice sta nel fatto che i due autori provengono da ambiti diversi: Manzotti infatti è un filosofo della mente, molto interessato quindi anche alle questioni relative all'intelligenza e alle macchine (di suo, consiglio il saggio La mente allargata); Rossi è invece un importante neurologo, autore qualche anno fa di un libro interessante chiamato Il cervello elettrico. Provenendo da campi diversi ma che finiscono un po' per intrecciarsi, i due hanno così costruito un libro in cui ognuno racconta un po' della sua disciplina in relazione a quello che le nuove intelligenze artificiali, e in particolare ChatGPT, sembrano in grado di offrire. E lo fanno con un approccio diverso da quello che abbiamo visto in queste settimane su tanti organi di informazione: invece di ribadire in lungo e in largo che c'è differenza tra noi e ChatGPT – cosa che per certi versi appare anche ovvia –, pongono l'attenzione invece sulle similitudini tra il modo in cui funziona il nostro cervello e il modo in cui funzionano questi nuovi sistemi informatici. Spiegando in maniera semplice ma non semplicistica la formazione degli algoritmi di ChatGPT, riescono così a farci capire anche in cosa essi si ispirino al funzionamento di certi meccanismi del nostro cervello, cosa che certo può da un lato spaventarci ma che non può non incuriosirci. Il campo ovviamente è ancora tutto da esplorare, ma intanto avere degli approcci nuovi e direi addirittura arditi sulla questione secondo me è molto stimolante e spinge a mettere in discussione le proprie concezioni. Leggendo mi sono ricordato di quando, tempo fa, ho fatto il video sul Test della stanza cinese di Searle, test ormai un po' datato che però già negli anni '80 voleva dimostrare come l'essere umano, a differenza delle macchine, sia in grado di comprendere ciò che dice. Il problema di quel test, però, è che non siamo ancora bene capaci di definire cosa voglia dire “comprendere” e rimane, sotto traccia, il sospetto che anche questo concetto della comprensione sia qualcosa di un po' posticcio, un'idea che ci siamo creati per sottolineare che noi siamo speciali e diversi, quando in realtà non è affatto detto che sia così. Insomma, un testo stimolante e allo stesso tempo anche piuttosto semplice, che potete acquistare qui.
Nudge di Richard H. Thaler e Cass R. Sustein: il terzo e ultimo libro che ho cominciato questa settimana è Nudge. La spinta gentile, di due autori americani (uno dei quali vincitore del Nobel per l’economia qualche anno fa). Un libro che ha ormai già una decina d'anni sulle spalle (o forse anche di più) e che però ha avuto in questo tempo un discreto successo. La tesi del volume è molto semplice: gli stati stanno affrontando sempre nuove sfide in campo economico per quanto riguarda le scelte dei loro cittadini, e davanti a esse potrebbero oscillare tra il desiderio di garantire una libertà assoluta, lasciando che siano appunto i membri della società a decidere in maniera completamente autonoma, e il dirigismo statale, optando invece per soluzioni imposte dall'alto. Thaler e Sustein, invece, propongono una via di mezzo interessante tra questi due estremi, via che loro stessi chiamano “paternalismo libertario”. In pratica fanno notare che già il modo di proporre le scelte non è neutrale, ma induce più facilmente a optare per un'opzione piuttosto che per l'altra. Quindi secondo loro lo Stato dovrebbe presentare le varie scelte dando maggiore enfasi verso quelle socialmente più valide, in modo da spingere (ma non obbligare) verso una certa opzione. Il primo esempio che fanno i due autori è probabilmente anche quello più celebre. Nelle mense scolastiche si possono disporre i vari cibi a disposizione dei ragazzi in mille modi diversi: si può scegliere di disporli a caso, di mettere davanti quelli che più spesso vengono scelti oppure di rendere più accessibili quelli salutari. Poniamo che una scuola opti per quest’ultima possibilità. L'acquirente, cioè lo studente, potrà quindi fare liberamente le proprie scelte, perché se ad esempio vorrà ingozzarsi di patatine fritte potrà comunque continuare a farlo; ma, allo stesso tempo, un po' per pigrizia e un po' per scarsa attenzione, molti studenti finiranno per optare per i cibi più salutari, quelli più a portata di mano o su cui cade l’occhio, mangiando così meglio, cosa che poi avrà delle ricadute benefiche su tutta la società in termini di spesa sanitaria. Se quindi lo Stato decide di intervenire sul modo in cui quei cibi vengono proposti, allora pratica questa sorta di spinta gentile, invitando senza obbligare nessuno. È una proposta interessante, che poi i due autori si premurano di declinare in diversi ambiti e portando diversi dati anche a supporto delle loro tesi. Sono ancora abbastanza all'inizio del libro ma ve ne parlerò ancora. Se vi interessa, lo potete comprare qui.
Quello che ho visto
Dopo l'abbuffata di film della settimana scorsa, in questi ultimi sette giorni mi sono dedicato soprattutto alle serie TV, cercando anche di recuperare alcuni episodi che avevo lasciato indietro.
L’attacco dei giganti episodi 1.09-1.10 (2013), di Tetsurō Araki: mi sono reso conto che sono passati diversi mesi da quando vi ho parlato per l'ultima volta de L'attacco dei giganti, fortunata serie anime molto amata (ormai da alcuni anni) da vari miei studenti. E però questa settimana, cercando di recuperarla, ho visto forse i due episodi più decisivi di tutta questa prima stagione. Senza farvi spoiler, posso dirvi che arriva un grande colpo di scena, che vagamente ci si aspettava ma non in questi termini e credo anche non con questa velocità. La serie, per chi non la conosce, è un cartone animato post-apocalittico, ambientato in un mondo in cui degli imprevedibili giganti simili a zombie invadono le città degli umani divorandone i membri, almeno fino a quando gli stessi umani non riescono ad abbatterli. Solo che da poco, davanti a questo panorama così tragico, sembra essere sorta una speranza: un gigante infatti si comporta in maniera diversa rispetto agli altri, attaccandoli e uccidendoli, rivolgendo quindi contro i propri simili e non contro gli esseri umani la propria rabbia e la propria violenza. In questo clima a metà strada tra l'avventura e l'horror – il tutto declinato ovviamente anche nel solito stile giapponese – si assiste però anche a una ridda velocissima di cambiamenti di fronte, di novità, di scene anche un po' raccapriccianti, cosa che è un po’ lo stile di tutta la serie. In ogni caso il cartone appassiona e probabilmente ha anche un contenuto filosofico, che ancora non emerge del tutto ma che sembra sempre lì all'orizzonte, pronto per essere svelato. Vedremo come la cosa proseguirà nelle prossime puntate; comunque, se avete lo stomaco forte o se vi piace l'animazione giapponese, sicuramente questa è una serie che non potete perdere. La trovate su Netflix.
Il problema dei tre corpi episodio 1.02 (2024), di David Benioff, D.B. Weiss e Alexander Woo, con Saamer Usmani, Marlo Kelly, Jess Hong: vi ho già parlato un paio di settimane fa de Il problema dei tre corpi, adattamento in stile Netflix di uno dei romanzi che più ho amato negli ultimi mesi e di cui ho anche parlato in video. Come vi dicevo discutendo del primo episodio, il mio grande timore era che questo adattamento tradisse lo spirito del romanzo di partenza, fosse cioè un’americanata che non teneva conto della grandissima originalità del libro di fantascienza creato dal scrittore cinese Cixin Liu. Il primo episodio, vi raccontavo, mi ha lasciato quindi un po' incerto sull'esito finale dell'opera e lo stesso si può dire anche di questa seconda puntata: chi conosce il libro ci ritrova tutte le cose più importanti, ma allo stesso tempo può rimanere un po' infastidito dal fatto che vengono aggiunti personaggi nuovi, mentre alcune sequenze che nel libro sono molto lunghe vengono qui ridotte a brevi scene, e quindi ristrette. Questo fa sì che l'adattamento diventi di fatto un'opera a sé; e sono sicuro che se non avessi letto il libro forse mi piacerebbe anche, la troverei curiosa e intrigante, ma temo che il paragone col volume la faccia uscire sconfitta. Vedremo comunque nelle prossime puntate come la cosa proseguirà: un amico che ha sia letto il libro che vista tutta la serie mi ha detto che a un certo punto la trama dello show televisivo deraglia completamente rispetto al romanzo e che la cosa, mi sembra di capire, l’abbia abbastanza deluso. Vedremo se anche a me farà questo stesso effetto. Intanto, se vi interessa, la trovate anch’essa su Netflix.
Monty Python's Flying Circus episodio 2.02 (1970), con John Cleese, Graham Chapman, Eric Idle: a proposito di recuperi di serie lasciate un po' a metà, questa settimana ho visto anche un nuovo episodio, o quantomeno nuovo per me, del Monty Python’s Flying Circus, straordinario programma di cui vi ho già parlato varie volte. Trasmessa per la prima volta in Inghilterra nel 1970 e quindi vecchia di almeno cinquant'anni, questa puntata è sicuramente una delle più dirompenti tra quelle che ho visto, cosa di certo non semplice considerando la qualità media dei lavori dei Monty Python. Però in effetti qui siamo dalle parti del capolavoro comico: le varie gag sono infatti tenute assieme, in questa puntata, soprattutto dalla frequente comparsa di tre inquisitori spagnoli, interpretati da Michael Palin (il capo della banda, che incespica negli elenchi), Terry Jones (quello imbranato) e Terry Gilliam. «Nessuno si aspetta l'Inquisizione spagnola» non è solo una fase ricorrente della puntata, ma è tra l’altro entrata nell'immaginario collettivo: ricorderete infatti che è una battuta più volte citata anche, solo per fare un esempio, all'interno di Sliding Doors, fortunato film di qualche anno fa. Ma poi, in questa puntata, ci sono anche la divertente gang del mimo dentro all'aula del tribunale, di Cime tempestose rifatto con le bandiere di segnalazione e tante altre gustose e intelligenti scenette che strappano, una dopo l'altra, discrete risate. So che il fatto che queste puntate siano disponibili solo in lingua originale (con i sottotitoli in italiano) è qualcosa che ostacola la visione da parte di un pubblico molto ampio, ma davvero se non avete mai visto questo show, vale assolutamente la pena di recuperarlo. Lo trovate, intero, su Netflix.
Quello che ho pensato
Se seguite i miei social network, forse già sapere che un paio di giorni fa, sabato, ho partecipato alla lunga cerimonia di inaugurazione di piazza Masslo, una piazza di Rovigo appena rigenerata. Una piazza di cui, per la verità, vi ho già parlato altre volte: è stata infatti al centro di un progetto curato dal gruppo G124, creato dal senatore a vita Renzo Piano con lo scopo di restituire alla collettività alcune periferie di varie città italiane. In particolare un paio di anni fa, dopo altri progetti in giro per la penisola, anche Rovigo è stata individuata come destinataria di una di queste iniziative, e io fin da subito sono stato coinvolto, anche se marginalmente, nella faccenda.
L'intervento è durato due anni, da quando i progettisti – che hanno goduto di una borsa di studio di Renzo Piano – hanno elaborato il progetto a quando poi è stato effettivamente messo in atto, con la conclusione dei lavori di pochi giorni fa. Così, sabato appunto, si è proceduto con l'inaugurazione, a cui ho presenziato assieme a vari miei studenti, studenti che nel corso dei mesi sono stati coinvolti a vario titolo nel progetto. E ora quella piazza è disponibile per eventi e incontri.
Ma non è però della piazza in sé e per sé che oggi voglio più di tanto parlarvi. Vorrei piuttosto soffermarmi su un breve discorso che ho fatto proprio durante l'inaugurazione, in un momento in cui mi hanno chiesto un saluto a nome della mia scuola. E la riflessione è questa: costruire una piazza, o comunque rimetterla a nuovo, nel modo in cui è stato fatto in questo caso è fare politica nel più alto senso del termine.
Per capire cosa intendo dire bisogna richiamare velocemente alla mente alcuni discorsi che abbiamo fatto, anche sul canale YouTube, quando abbiamo presentato il pensiero di Hannah Arendt. La ricorderete, probabilmente: si tratta della grande filosofa ebrea tedesca che, allieva di Heidegger, scappò dalla Germania all'avvento del nazismo, rifugiandosi infine negli Stati Uniti e diventando, soprattutto nel dopoguerra, una delle massime studiose del totalitarismo e della nuova dimensione politica della società di massa.
I suoi libri più famosi sono Le origini del totalitarismo e soprattutto La banalità del male, che tra l'altro abbiamo anche letto qualche tempo fa all'interno del Club del libro, l'incontro mensile che facciamo per gli abbonati del canale YouTube. Ma c'è anche un terzo libro molto importante nella sua produzione, forse anche più importante dal punto di vista puramente filosofico, Vita activa. In esso si parla proprio della dimensione politica dell'esistenza umana, dimensione che secondo Hannah Arendt, negli ultimi decenni, è stata frustrata, con una progressiva riduzione dell'agire politico e una crescita invece dell'operare, che è un atto essenzialmente tecnico. Per non entrare troppo nel dettaglio, si potrebbe riassumerla così: la società della tecnica ha reso sempre più difficile una dimensione politica dell'esistenza, e questo ha portato a un calo della discussione sul senso ultimo delle cose.
Vi anticipo già che io su questo punto in particolare non sono troppo d'accordo con Hannah Arendt e in generale con tutta la scuola che ha preso avvio da Heidegger: penso che lo spauracchio della tecnica come male assoluto, che contraddistingue tutto questo filone di pensiero, sia piuttosto esagerato e non colga come in realtà la tecnica e la vita umana siano profondamente legate, interconnesse da sempre, e che l’età contemporanea in realtà abbia solo reso più evidenti fattori che erano già presenti da tempo nelle nostre società. Ma al di là di questo, penso che il rischio di una decadenza della politica sia reale e concreto, soprattutto in questo particolare periodo storico che stiamo vivendo. E che però, contemporaneamente, ci sia anche modo per pensare a una sua rinascita.
Devo però subito sgomberare il campo da un possibile equivoco: quando parlo di politica (e credo che in questo sarebbe d’accordo anche la Arendt), non intendo il dibattito tra candidati alle elezioni o la lotta tra i vari partiti che si contrappongono l'uno all'altro, quanto piuttosto la politica nel suo senso più nobile e alto, la politica che coinvolge ognuno di noi nella vita quotidiana. Si fa politica quando all'interno di una classe delle superiori si discute su come affrontare un certo professore o su quando fissare un compito in classe; si fa politica quando all'interno di un Collegio Docenti si decide se approvare o meno una proposta; si fa politica, banalmente, anche quando si decide come disegnare una piazza, soprattutto se lo si fa cercando di tenere presenti gli usi collettivi che quella piazza potrebbe avere. Per farla breve: si fa politica quando si decide insieme cosa fare.
Il gruppo di Renzo Piano, in effetti, lavora esattamente così: al di là del risultato finale, quello che a loro interessa è il modo in cui si arriva a quel risultato finale. Infatti fin dall'inizio hanno cercato di coinvolgere diverse scuole del territorio, oltre alle parrocchie, ai gruppi sociali, fino agli abitanti dei palazzi che costeggiano la piazza. La domanda che facevano era sempre la stessa: cosa volete che questa piazza diventi? Quali idee avete al riguardo? Già porre queste domande è far politica, perché significa stimolare un dibattito, significa voler ascoltare e casomai mediare tra le diverse soluzioni che emergono.
Già questo mi pare, nella sua estrema semplicità, quasi rivoluzionario: quante volte ancora oggi le decisioni vengono prese dall'alto, in tutto e per tutto? Pensate anche solo ai candidati e alle varie elezioni: certo questi candidati chiedono il voto e quindi si rivolgono alle persone, ma hanno già un programma piuttosto definito e vorrebbero quindi sostanzialmente l'ok a qualcosa che più o meno hanno già in mente. Si dirà: è inevitabile che sia così perché un lavoro di mediazione così ampio come quello messo in piedi dal gruppo G124 è estremamente faticoso, lungo e impossibile da fare su tanti temi. Probabilmente questa obiezione è vera, ma è anche vero che la nostra democrazia negli ultimi decenni si è sempre più ridotta a un dare l'ok, a un mettere un like, ad approvare o disapprovare cioè cose decise da altri.
E questo banalmente avviene anche a scuola. Si parla da decenni del coinvolgimento delle famiglie e della società civile negli istituti, ma questo si è risolto spesso solo in qualche incontro nell'aula magna con associazioni di volontariato che vengono a tenere una lezione ai ragazzi (o, peggio, in proteste sui voti). Il protagonismo dei ragazzi stessi invece è forse ai minimi storici, tanto che quando chiedi loro cosa vorrebbero fare della scuola non sanno neppure più cosa rispondere, perché non ci hanno mai pensato, perché si sono sempre aspettati che ci fosse qualcun altro a decidere per loro e che le proposte calassero dall'alto.
Ma poi c'è un’ulteriore cosa che collega la riflessione di Hannah Arendt a quello che abbiamo visto accadere in quella piazza di Rovigo: dopo che il gruppo di lavoro ha raccolto le opinioni – anche immagino con una certa fatica –, ha cercato di coinvolgere i soggetti anche nella realizzazione effettiva dell'opera. Ad esempio a noi ha chiesto di creare un gruppetto di ragazzi che potessero recarsi sul luogo a dare una mano con i lavori. È chiaro che i nostri studenti non potevano elaborare grandi progetti, visto che non ne avevano minimamente le competenze, ma erano sicuramente in grado di spostare cose, di fare la loro piccola parte. Così appunto un anno fa siamo stati lì una giornata intera a lavorare, e anch’io con loro, perché anch'io volevo metterci la faccia e condividere l'esperienza.
Quindi far politica non è solo parlare. Lo diceva bene anche la Arndt: lei stessa, quando doveva portare un esempio di uomo politico nell'antica Grecia, citava Achille, l'uomo “del discorso e delle gesta”, l'uomo che non solo parla, che non solo è capace di smuovere gli altri con le parole, ma che anche compie degli atti che danno seguito a quelle parole. La politica non è solo discussione: è sicuramente anche quello, ma è anche messa in atto dei risultati di quella discussione, è anche coerenza, è anche azione. Non è un caso che questa dimensione politica venga chiamata dalla Arendt la dimensione dell'agire, non certo del parlare; e che questa dimensione dell'agire rientri all'interno della vita attiva, non di quella contemplativa. Una cosa è cioè pensare, che è ovviamente anche utile è necessario, ma un'altra cosa è fare politica, dove il pensiero deve convogliarsi in parole rivolte agli altri e in atti che costruiscano qualcosa con gli altri.
Per questo quella piazza, nella sua piccola dimensione, è un atto politico, perché è il frutto di una scelta condivisa da tanti soggetti e il frutto di un lavoro condiviso da tanti soggetti. Ma forse dovremmo anche imparare, da quel piccolo esempio, che la politica la si fa tutti i giorni, in discorsi e atti, anche a scuola ma anche, e forse soprattutto, fuori da scuola.
Ad esempio a scuola – campo che conosco molto bene –, noi insegnanti parliamo tanto, cerchiamo di far conoscere tante cose e di far riflettere i ragazzi, convinti che la conoscenza porti connessioni, aumenti le sinapsi cerebrali e renda i nostri studenti più intelligenti. Ma forse dovremmo anche un po' di più agire con loro – e ripeto “con loro”, non “su di loro” –, soprattutto quando questi ragazzi iniziano a essere grandi e dovrebbero assumere un certo ruolo nella società. Agire con loro vorrebbe dire ovviamente progettare cose assieme a loro, discuterle, realizzarle: cose che non siano solo teoriche o astratte, come un testo o una relazione, ma che siano anche cose civiche, che ci portino fuori dall’aula, siano esse lavori pubblici o piccole iniziative di espansione della conoscenza. E questo lo dico anche per me, che non trovo sempre facile realizzare cose di questo tipo.
E poi dovremmo farlo anche fuori da scuola, nelle nostre strade, nelle nostre comunità, nelle nostre società sportive. Riappropriarsi delle piazze è il simbolo di un meccanismo più ampio: riappropriarsi del mondo. E lo si fa solo se ognuno ci mette del suo, iniziando a incontrarsi con gli altri e facendo cose con gli altri.
Quello che ho registrato e pubblicato
E ora passiamo ai contenuti che sono stati pubblicati questa settimana su YouTube o sui vari canali dei podcast:
Vita e storia di Dostoevskij: iniziamo un percorso alla scoperta di Fëdor Dostoevskij, uno degli scrittori più filosofici di tutti i tempi
La modernizzazione dei Giappone Meiji: come fece il Giappone a modernizzarsi così rapidamente, a fine Ottocento?
I primi filosofi giusnaturalisti (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
Introduzione a Thomas Hobbes (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
L'entrata in guerra dell'Italia e lo stallo (per il podcast “Dentro alla storia”)
La dialettica servo-padrone in Hegel
Quello che devi fare per seguirmi sui social
Ah, prima di dimenticarci vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
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Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono gli abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
Lettera sulla tolleranza di John Locke: nella riunione del Club del Libro (per abbonati, informazioni qui), abbiamo proprio ieri stabilito il libro – anzi, i libri – da leggere per il prossimo mese. Uno di questi è la Lettera sulla tolleranza di Locke, uno dei più grandi classici della filosofia politica di tutti i tempi e testo fondamentale proprio per il concetto di tolleranza. È breve, e anche se non siete iscritti al Club del Libro vale sicuramente la pena di leggerlo. Lo potete comprare (a prezzo molto contenuto) qui.
sui social questa settimana ho segnalato come al solito diversi libri appena usciti che mi paiono interessanti, una sorta di “lista della spesa” che dovrebbe rivelarsi utile anche in primis per me. Ecco i volumi, se ve li siete persi (se vi interessano, cliccate sopra alle immagini per altre informazioni):
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate, passando anche per il Club del Libro e il Simposio. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Quello che c’è in arrivo
Chiudiamo infine con le solite anticipazioni su quello che uscirà la settimana prossima (salvo imprevisti):
domani sarà la volta di un podcast storico incentrato sulla vita dentro alle trincee della Prima guerra mondiale;
mercoledì arriverà il nuovo video della serie dedicata alla logica;
giovedì vorrei proporvi poi un nuovo capitolo della serie Travel Club, sul Deutsches Museum di Monaco di Baviera, che ho visitato da poco;
venerdì e sabato torneranno poi di nuovo i podcast, rispettivamente con Hobbes e il suo materialismo e con il fronte interno (sempre durante la Grande Guerra);
domenica sarà la volta della nuova puntata dedicata al Saggio sulla libertà di Stuart Mill;
e infine lunedì prossimo vorrei riprendere il discorso di storia antica, con i fenici.
E questo è tutto anche per questa volta. Godetevi questo bel clima primaverile (anche se domani, almeno qui da me, danno pioggia), leggete qualche buon libro e gustatevi anche un po’ di natura, in questi giorni. Noi, invece, ci rivediamo qui tra sette giorni esatti, come al solito: non mancate!