Studiare il passato per guardare al futuro, ovvero il senso di date come 25 aprile e 1° maggio, le sfide dell'intelligenza artificiale, ma anche Aldo Giovanni e Giacomo, Primo Levi, Fellini, Cavour
Di solito, il periodo che va dal 25 aprile al 1° maggio – e se vogliamo allargare ci possiamo tirar dentro anche il 2 giugno – è un lungo ed innocuo periodo di festa: per i giovani è semplicemente un momento in cui si fa vacanza da scuola, magari, se si è fortunati, anche con un piccolo ponte per riprendere fiato in vista della fine dell'anno scolastico. Credo che una discreta parte degli adolescenti neppure sappia esattamente cosa si festeggia nell'una o nell'altra data, e in parte il compito della scuola è proprio il far capire di che cosa si tratta.
Quest'anno però sembra che tutto sia diverso. Nell’aria sembra esserci un’incomprensibile voglia di discutere di cose che hanno rappresentato dei punti fermi perfino banali degli ultimi 80 anni: prima c'è stato un fastidioso attacco al 25 aprile, che è la festa della fine della guerra e della liberazione dell'occupazione nazista e dalle violenze fasciste, trasformata quasi in una festa di parte, come se fosse un’occasione faziosa; poi c'è stato un (timido) attacco perfino al 1° maggio; non oso pensare cosa accadrà al prossimo 2 giugno, quando forse immagino che potremmo ammirare per le strade sfilate di monarchici e di nostalgici.
Il bello, invece, è che queste feste sono in realtà feste di tutti: anche quella di oggi, la festa del lavoro, di per sé non ha una connotazione politica. È la festa di tutti i lavoratori, la festa dei diritti dei lavoratori. Come si fa, onestamente, oggi, ad essere contro i diritti dei lavoratori? Significa forse fare il tifo per gli sfruttatori? Significa forse sperare in un ritorno allo schiavismo? Anche la festa del 1° maggio è insomma una festa di tutti, o dovrebbe quantomeno esserlo.
25 aprile, 1° maggio e 2 giugno non sono feste “comuniste”, come una parte del governo sembra scioccamente sostenere: sono feste degli italiani (e in certi casi anche dei cittadini del mondo); quindi certo anche dei comunisti, che ormai in Italia praticamente non esistono più, ma anche dei cattolici, dei repubblicani, dei liberali, dei conservatori, dei moderati… insomma, di tutte le forze che si riconoscono in un sentire comune che è quello della Repubblica democratica. Cercare di minare le basi di questa Repubblica, fino ai suoi simboli e alle sue feste, non è certo un’opera meritoria né intelligente, e non porta da nessuna parte; infatti mi sembra più che altro lo sfogo di una parte politica che si è fino ad oggi sentita esclusa, ma che forse si è anche a lungo autoesclusa dal consesso democratico.
Se questa forza politica – chiamatela post-fascista o post-post-fascista, come volete – vuole oggi diventare forza di governo, come sta tentando di fare, deve in un certo senso accettare anche le regole del gioco, cioè mettere da parte certe pregiudiziali che nel 2023 sembrano totalmente assurde e iniziare a vivere all'interno dello spirito repubblicano, e quindi anche delle sue feste. Sarebbe anche ora.
Tutto questo per dire: buon 1° maggio, che è la festa di tutti. L’avete passato bene, nonostante il mal tempo (qui dalle mie parti ha piovuto)? Vi siete riposati? E allora forse siete pronti per una nuova newsletter. Partiamo subito.
Quello che ho letto
Devo dire fin da subito, come avevo già anticipato la settimana scorsa, che nei giorni passati non sono sempre stato fedele ai miei soliti ritmi. Normalmente, infatti, leggo molto, anche svariate pagine al giorno, e quindi quando mi trovo a scrivere questo resoconto sono costretto a fare una sorta di sintesi, tagliare molte informazioni per non rendere la newsletter ancora più lunga di quanto già non sia. Questa settimana, però, ho letto in realtà abbastanza poco: ho accompagnato infatti un'altra classe in viaggio d'istruzione, questa volta a Milano, e la sera avevo davvero troppo sonno (o troppe mail arretrate a cui rispondere) per riuscire a leggere qualche pagina. Ci ho anche provato, e perfino in treno mi sono messo lì, ma il sonno e la stanchezza sono stati più forti. Anzi, non solo sonno e stanchezza: nel viaggio di ritorno ho dovuto anche accettare la sfida di alcuni studenti a videogiochi che mi avevano assicurato essere culturali, e che invece lo sono stati solo fino ad un certo punto (lo dico ovviamente perché ho perso, e cerco delle giustificazioni). Insomma, ho letto poco, ma tre libri sono riuscito a portarli almeno un poco avanti.
Il sistema periodico di Primo Levi: Primo Levi è uno scrittore che di certo non ha bisogno di presentazioni: le sue opere e soprattutto la sua vita sono oggetto di studio a scuola e vengono spesso anche portate all'esame di maturità. Pochi però conoscono quello che Levi ha vissuto dopo la Seconda guerra mondiale, dopo la liberazione dal campo di Auschwitz. Certo, c'è La tregua, il bel libro in cui il chimico torinese racconta i suoi tentativi di rientro in Italia partendo dall’Europa orientale; ma in un certo senso quel libro è ancora smaccatamente legato all'esperienza del conflitto e quindi ci dice poco del Levi quotidiano e “normale”. Il sistema periodico, in questo senso, è più efficace. Come già raccontavo nelle settimane scorse, si tratta infatti di una raccolta di racconti tutti ispirati ad un diverso elemento chimico, ma racconti comunque tratti dalla vita e dalle esperienze dello scrittore. L'ordine di questi racconti non è quello che gli elementi occupano nella tavola periodica quanto piuttosto “di vita”, legato ai ricordi e alle vicissitudini umane dello stesso autore. Le prime storie infatti raccontano della famiglia di Levi o dei suoi anni all'università; poi ce n'è una manciata legata alla guerra, alla lotta partigiana e al campo di concentramento; poi ne arrivano tutta la serie di altri invece ambientati nell'immediato dopoguerra, quando l'autore era ritornato a casa, si era anche sposato e aveva cominciato a lavorare come chimico, mentre nel frattempo cercava anche di scrivere e poi pubblicare le sue memorie della deportazione. Nonostante tutti i racconti siano scritti bene e offrano spunti intelligenti e interessanti, proprio quest'ultimo aspetto mi sta colpendo particolarmente. Anzi, mi verrebbe da dire che i racconti ambientati nel dopoguerra siano forse i meno interessanti dal punto di vista letterario, almeno finora, ma allo stesso tempo quelli più intriganti sul piano umano. Abbiamo letto mille volte dei campi di concentramento, dei partigiani e della loro esperienza di guerra, ma raramente abbiamo conosciuto come doveva essere per quei “reduci” o sopravvissuti ritornare alla normalità, alla quotidianità, a un lavoro malpagato, a dei rapporti con altre persone che magari non avevano avuto le stesse esperienze. Levi ci racconta qui tutto questo, anche con un fare disincantato e a volte comico, con un tono che non può non affascinare. Devo ancora finire il volume ma ormai sono quasi agli sgoccioli: se volete acquistarlo lo potete comprare qui.
Singolarità di David Orban: come in parte vi racconterò anche più avanti nella sezione Quello che ho pensato, questa settimana ho avuto l'occasione di incontrare e conoscere David Orban, conferenziere, consulente ed esperto di tecnologia che si muove tra l'Italia, l'Inghilterra e vari paesi extra-europei. Al suo attivo ha diverse iniziative anche imprenditoriali, ma pure un volume pubblicato pochi anni fa da Hoepli in italiano col titolo di Singolarità. Dopo averlo conosciuto e averlo sentito parlare ai ragazzi del mio liceo, ho prontamente acquistato il libro e mi sono messo a leggerlo proprio negli ultimi due giorni, trovandovi buona parte dei discorsi che, in maniera più veloce e interattiva, il relatore ha toccato anche con i diciannovenni a cui insegno. Il tema centrale del libro è il futuro, o, meglio, “con quale velocità arriverà il futuro”. Perché il futuro arriverà di sicuro, mentre la vera domanda è se saremo pronti ad accoglierlo oppure no. È, tra l’altro, un tema che in queste ultime settimane è diventato ancora più attuale di quanto già non fosse: le intelligenze artificiali stanno stupendo il mondo, i grandi imprenditori stanno cercando di cavalcare quell'onda oppure di frenarla a seconda delle loro diverse impostazioni, e perfino io ho cercato di trattare l'argomento sia con alcuni video divertiti su chatGPT, sia con la lettura di Etica dell'intelligenza artificiale di Luciano Floridi, di cui abbiamo parlato più volte nelle scorse settimane. Rispetto a Floridi – che è filosofo e che viene spesso consultato nella stesura di regolamenti e norme e quindi ha un approccio tendenzialmente più cauto –, Orban è un entusiasta della tecnologia e delle innovazioni, un entusiasta che sa bene anche quali siano i rischi di queste novità ma che vuole sfidarci a non chiuderci a riccio davanti ad esse. Per ora sono ancora tutto sommato agli inizi del volume, quindi ve ne riparlerò di sicuro più avanti, ma intanto se il tema vi interessa vi consiglio di comprare il saggio qui.
Autunno del Medioevo di Johan Huizinga: di Autunno del Medioevo in questa newsletter non ho parlato quasi mai, perché pensavo bastassero già i video. Come forse sapete, infatti, da ormai parecchi mesi sto effettuando una lettura integrale di diverse opere all'interno della rubrica Book Club storico-filosofico ospitata sul canale YouTube. Abbiamo letto alcuni classici della storia della filosofia come l’Apologia di Socrate, la Lettera a Meneceo di Epicuro, il Così parlò Zarathustra di Nietzsche e altri ancora. Più o meno la scorsa estate ho pensato però che ci fosse bisogno anche di un'opera di storia, cosa un po' complicata perché i libri di storia più datati, quelli cioè fuori copyright, sono anche di solito quelli più sorpassati. Mentre i classici della filosofia sono infatti sempre attuali, i classici di storia sono spesso dei pezzi da museo visto che la ricerca storica non si ferma mai e anzi divora i propri padri. Ad ogni modo qualche libro meritevole (e con qualche decennio sulle spalle) c'è, e forse uno dei più interessanti è proprio Autunno del Medioevo dello storico olandese Johan Huizinga, che ho letto e commentato per diversi mesi. Proprio questa settimana l’ho anzi finito e quindi, anche se non era proprio la prima volta che lo leggevo, ho pensato che sia necessario dedicargli qualche riga. Si tratta di un saggio incentrato sugli ultimi due secoli del Medioevo, il '300 e il '400, cioè sull'epoca in cui la mentalità medievale volgeva al suo termine. Huizinga analizza tutto questo soffermandosi in particolare sulla realtà francese, fiamminga e borgognona, passando dagli usi e costumi all'arte, dalla poesia alla filosofia. Si tratta quindi di un'opera storica che non racconta eventi, se non di sfuggita e quasi per sbaglio, ma che si sofferma piuttosto sull'evoluzione di una società al tramonto. Proprio per questo è un libro estremamente interessante, perché ci aiuta a capire quali furono le chiavi di volta del Medioevo ma anche, allo stesso tempo, in quali modi si evolvono le nostre società, visto che certi discorsi relativi al XIV o al XV secolo potrebbero essere adattati anche ad epoche successive e fornirci interessanti analisi anche per il nostro tempo contemporaneo. Il libro, un po' difficile nella sua prosa, è poi estremamente intelligente e merita una lettura. Potete recuperarlo con l'apposita playlist sul canale oppure acquistandolo qui.
Quello che ho visto
Per i film vale lo stesso discorso che ho già fatto per i libri: ne ho visti pochi, meno di quelli che avrei voluto. Questa settimana anzi volevo assolutamente riuscire ad andare a vedere Il sol dell'avvenire, il nuovo film di Nanni Moretti di cui si è molto parlato, ma, tra viaggi d’istruzione, partite sportive dei figli (sabato due vittorie in trasferta, se vi interessa) e altro ancora, non ce l'ho proprio fatta. Spero di rimediare nei prossimi giorni. Intanto ecco quello che, nei ritagli di tempo e rigorosamente a casa, sono riuscito a vedere.
Only Murders in the Building episodi 2.03 (2022), di Steve Martin e John Hoffman, con Steve Martin, Martin Short, Selena Gomez: un solo episodio, questa settimana, per Only Murders in the Building, la serie TV che vi ho già raccontato quando ho visto la prima stagione. Si tratta di un giallo dalle venature comiche, scritto e interpretato da Steve Martin, celebre volto del cinema hollywoodiano. Accanto lui ci sono Martin Short, un altro attore piuttosto famoso, e soprattutto Selena Gomez, la star giovane, a cui in questa stagione si affiancano poi anche Cara Delevingne e una serie di importanti guest star. Lo spunto iniziale, sia nella prima che nella seconda stagione, è dato da un misterioso omicidio che avviene all'interno del palazzo newyorkese in cui i tre protagonisti vivono; un omicidio apparentemente inspiegabile ma su cui i tre cominciano ad indagare, tenendo in parallelo anche un podcast in cui raccontano i progressi delle loro indagini. I protagonisti sono peraltro piuttosto imbranati e inadatti al mestiere, ma proprio la loro buona volontà unita alla goffaggine crea un effetto divertito e divertente, che si va ad innestare su una trama gialla piuttosto ben elaborata. Nel terzo episodio della seconda stagione c'è ancora molto da sapere e da scoprire per quanto riguarda il plot principale, ma devo anche dire che gli sceneggiatori fanno tra le righe un discreto lavoro di analisi psicologica, presentandoci persone ricche ma allo stesso tempo sole e tristi con tono che sembra quasi commosso. La serie la trovate su Disney+.
Chiedimi se sono felice (2000), di Aldo, Giovanni e Giacomo e Massimo Venier, con Aldo Baglio, Giovanni Storti, Giacomo Poretti: non sono mai stato un vero fan di Aldo, Giovanni e Giacomo. Quando ero ragazzo molti miei amici li adoravano, anche perché erano protagonisti di trasmissioni di grande successo come Mai dire gol. Anch’io li apprezzavo, ma spesso a loro preferivo comici più irriverenti e forse anche più politicizzati, come ad esempio quelli che comparivano in trasmissioni come Avanzi (o i suoi successori), o come ad esempio Paolo Rossi, cabarettista che da ragazzo adoravo. Il trio milanese mi sembrava sempre discreto ma mai dirompente, portatore di una comicità simpatica ma anche troppo educata, che non pungeva mai del tutto. Con gli anni – invecchiando ci si imborghesisce – mi sono dovuto in parte ricredere: poter rivedere su YouTube o su altre piattaforme alcuni vecchi numeri dei tre comici aiuta a rendersi conto di quanto quelle esibizioni siano ancora oggi di livello ottimo, e aiuta ad apprezzare meglio e a mente lucida quanto lavoro stesse dietro alle loro gag. Questa settimana, quasi per caso, ho finito per guardare con la famiglia Chiedimi se sono felice, uno dei loro film di maggior successo, uscito ormai più di vent'anni fa. Il fatto che sia datato si vede da vari piccoli particolari: in primo luogo, il fatto che gli attori, anche quelli secondari poi diventati famosi come Paola Cortellesi o Giuseppe Battiston, sono tutti giovani; poi dai pagamenti in lire, cosa che fa oggi una certa impressione. La storia non è particolarmente originale: racconta di tre uomini in cui una storia di donne finisce per spezzare (momentaneamente) l'amicizia. Ma in mezzo ad una storia che si dipana in modo abbastanza coerente, i tre sono riusciti ad infilare alcune battute e gag divertenti, senza stravolgere l'impianto generale della trama. Certo, non si tratta di un capolavoro né di uno dei più bei film comici che siano mai stati fatti in Italia, ma è allo stesso tempo migliore di tanti altri e offre una comicità forse a tratti un po' prevedibile ma garbata e simpatica. Lo si trova su Netflix.
Fleishman a pezzi episodio 1.03 (2022), di Taffy Brodesser-Akner, con Jesse Eisenberg, Lizzy Caplan, Claire Danes: sto infine continuando, anche se piuttosto lentamente, la visione di Fleishman a pezzi, serie TV disponibile su Disney+ ottimamente accolta dalla critica nelle settimane scorse. Le puntate non sono particolarmente lunghe, si aggirano attorno ai 40 minuti l’una, ma non riesco ad andare troppo veloce e quindi non sono stato finora capace – neppure nei momenti di maggior libertà – di vedere più di una puntata a settimana. Non so bene perché, visto che in realtà la serie mi sta piacendo; forse perché ha un tono molto letterario, introspettivo, con una voce fuoricampo che rimarca molte cose, e per questo mi viene da guardarla con tempi blandi, lasciandola sedimentare per un po’ dopo una puntata. Comunque, al di là di questo, la trama è piuttosto semplice: al centro della storia c'è un giovane medico con due figli a carico che ha appena visto finire il proprio matrimonio. Alla base di questa rottura sembra esserci il lavoro ossessivo della moglie e forse anche una certa instabilità psicologica dovuta ai cattivi rapporti tra i due coniugi. Ogni puntata però è diversa dalle altre: nel primo episodio sembrava di essere davanti a una sorta di commedia con spunti erotici, alla Philip Roth; nel secondo il tono è virato quasi sul giallo e sul misterioso; nel terzo siamo davanti più che altro ad un dramma familiare. Non so, di questo passo, cosa mi riserveranno le prossime puntate; però la sceneggiatura è ottima e gli attori sono bravi. Consigliata.
Quello che ho pensato
Da un insegnante di storia, può sembrare strano che il tema di oggi nella newsletter sia il futuro. Siamo infatti abituati a pensare che gli storici siano sempre e solo protesi al passato, interessati a quello che è avvenuto decine e decine di anni fa, se non addirittura di secoli e di millenni fa; e che quindi lo sguardo non possa mai essere veramente rivolto in avanti, visto che gli storici sembrano forse i meno adatti a parlare di quello che ci attende.
Questo è un discorso che vale ugualmente per la scuola in generale. Studiamo lingue morte come il latino o il greco; ci soffermiamo a lungo sull'impero romano o sulle guerre del Seicento; anche nello studio delle materie scientifiche molto spesso analizziamo le scoperte di almeno un secolo o due secoli fa, perdendoci tutte le nuove frontiere: basti pensare alla fisica, che al liceo è sempre e solo fisica newtoniana, con solo nel finale pochissimi accenni di relatività o fisica quantistica. Insomma, anche la scuola nel suo complesso sembra sempre un passo indietro rispetto al presente, figuriamoci al futuro.
Eppure, il vero tema non solo di questa newsletter ma in generale della cultura è proprio il futuro. Studiamo il passato per avere, almeno teoricamente, i mezzi per affrontare le sfide che dovremo incontrare tra qualche anno. Formiamo giovani che entreranno pienamente nel mondo solo tra dieci o vent'anni, lavorando e formano famiglie e comunità, in una realtà che sarà inevitabilmente diversa da quella di oggi, e forniamo (o cerchiamo di fornire) loro degli strumenti culturali che dovrebbero servire per renderli adatti a questo nuovo mondo a venire.
Lo dico spesso, con fare forse un po' provocatorio, anche ai miei studenti: cosa volete che me ne importi che vi ricordiate chi ha vinto la Guerra dei cent'anni? Cosa volete che me ne freghi che vi ricordiate per filo e per segno il pensiero di Platone o di Kant? Certo, sono cose utili e belle, ma sono soprattutto dei mezzi, non il fine. Lo scopo della scuola non è insegnare delle nozioni; è fornire degli strumenti di comprensione della realtà, passando, certo, anche attraverso delle nozioni.
Il problema è che questa verità (che in fondo è anche piuttosto banale) spesso ce la dimentichiamo. Confondiamo come dicevo i mezzi con i fini e pensiamo che lo studio basti a se stesso, che il passato sia un bene in sé e che ci si possa accontentare di avere lo sguardo rivolto all'indietro.
Questo non vale tra l'altro solo per la scuola, vale anche per l'Italia in generale. Siamo sempre intenti a guardarci l'ombelico, ad ammirare il nostro passato, a discutere come abbiamo fatto in queste settimane di 25 aprile e di 1° maggio, senza pensare a cosa ci riserverà il futuro e a che ruolo avremo noi in questo futuro. Il crollo drastico delle nascite di questi ultimi anni ne è un sintomo piuttosto evidente: il futuro ci preoccupa, ci angoscia o quantomeno non ci sentiamo in grado di affrontarlo, e spesso a ragione, visto che le politiche messe realmente in campo dai vari governi e dalle varie forze politiche fanno di tutto tranne che spingerci avanti.
Questa settimana per me il discorso è diventato particolarmente evidente anche per via di una serie di circostanze fortuite. In primo luogo ho passato tre giorni della settimana a Milano assieme a una mia classe quarta in viaggio distruzione. Milano è la città più moderna d'Italia, quella che da sempre è maggiormente protesa al futuro, tra grattacieli in perenne costruzione, imprese commerciali che a volte trionfano e a volte falliscono e in generale un ritmo di vita che dall'esterno può sembrare addirittura forsennato. Milano sembra aver sempre paura che il futuro sia troppo lento per lei. Già parecchi anni fa Lucio Dalla cantava che Milano è «vicina all'Europa», che è «sempre pronta al Natale», che è come uccello a cui sparano ma che poi subito riprende il volo, «sguardo maligno di Dio, zucchero e catrame». Ma poi chiosava anche dicendo: «Milano, che fatica». E se vi ricordate bene quella canzone, non potete non sentire la stessa fatica di Dalla (e la nostra) in quelle parole.
Il nostro rapporto col futuro è un po' simile al nostro rapporto con Milano: ci piace passarci, ammirare i grattacieli ma poi tornare a vivercene in provincia, belli tranquilli. Fanno eccezione solo alcune sparute persone – quelli che a Milano ci vanno a stare – che però, a guardarle da fuori, a dirla tutta non sembrano nemmeno italiane, sembrano un’altra cosa, alieni capitati per sbaglio in Italia.
In secondo luogo, del discorso abbiamo però parlato anche a scuola, appena tornati da questo viaggio d’istruzione. Venerdì pomeriggio il treno ad alta velocità ci ha riportati nella piccola ma simpatica stazione di Rovigo, e sabato mattina a scuola è andata in scena una piccola autogestione che ogni anno gli studenti mettono in piedi, curando una serie di lezioni e di attività da loro scelte. È, a mio modo di vedere, un'attività molto stimolante perché i ragazzi, che di solito sono piuttosto timidi e poco propensi a diventare protagonisti, sono almeno in parte costretti a mettersi in gioco e a raccontare qualcosa delle loro passioni e dei loro interessi.
Parallelamente, però, accanto alle lezioni tenute direttamente dai ragazzi ci sono anche alcuni piccoli interventi affidati di anno in anno a dei relatori esterni. Quest'anno l'unico ospite è stato appunto David Orban, di cui vi ho parlato qualche paragrafo più sopra nella sezione Quello che ho letto (qui il suo sito personale).
Orban ha affrontato un po' gli stessi temi, ovvero il futuro e lo sguardo che rivolgiamo verso di esso. Provocando un po' i ragazzi e sfruttando anche da un certo punto in poi le loro domande, ha infatti raccontato tutte le principali prospettive che ci aspettano e che di sicuro si realizzeranno nel giro di qualche anno: automobili a guida automatica, microchip impiantati frequentemente all'interno del corpo umano, intelligenze artificiali che regoleranno una parte della nostra vita e delle nostre attività quotidiane, lavori che scompariranno ed altri, nuovi, che appariranno, un rapporto con la tecnologia che diventerà ancora più pervasivo di quanto non sia oggi.
Queste prospettive possono da un certo punto di vista anche esaltare, e infatti Orban le ha descritte come progressi incredibili dell'umanità, simili a quelli che abbiamo avuto in passato con l’avvento del treno o dell’automobile, ma molto più accelerati e molto più compressi nel tempo. D’altro canto, l'esperto italo-ungherese non ha nascosto anche alcune preoccupazioni per come queste novità arriveranno, per la velocità con cui ci colpiranno e per il fatto che dovremo necessariamente ripensare anche le nostre stesse società per accogliere e abbracciare questo futuro.
Effettivamente tante cose cambieranno, se ci pensiamo un attimo. Ad esempio la scuola: come ha fatto notare anche Orban, con la sempre maggiore diffusione di strumenti come chatGPT e simili diventerà ancora più facile fare ricerche, tesine e relazioni, e forse la scuola dovrebbe anche capirlo e cercare di cambiare obiettivi, passando da una scuola della memorizzazione a una scuola della rielaborazione critica. Molte delle cose su cui abbiamo insistito per decenni (ricordare date, fare certi calcoli ecc.) in futuro – ma per la verità in parte già oggi – saranno fatte dalle macchine; e serviranno piuttosto persone abili a interpretare i messaggi, a rielaborarli, a ripensarli. Questo percorso in realtà avremmo dovuto cominciarlo già parecchi anni fa, ma facciamo ancora fatica a farlo decollare.
Poi cambierà anche la sanità. Molto probabilmente risolvendo o alleviando alcuni dei gravi problemi che stiamo affrontando nella cura degli anziani, tra case di riposo che non riescono più ad accoglierli a prezzi sostenibili e badanti sempre più onerose: non è certo fantascientifico immaginare che in futuro avremo assistenti umanoidi simili al robot di Big Hero 6, capaci di fare da infermieri personali dei nostri cari, permettendo loro di vivere in casa (con noi o senza di noi) e di avere comunque sempre qualcuno al loro fianco capace di assisterli a prezzi contenuti. Questo, è facile intuirlo, porterà inevitabilmente però anche a ridefinire le nostre famiglie, le nostre case, i nostri tempi e i nostri spazi.
Cambierà il lavoro, cambierà la politica, cambierà lo svago. Cambierà tutto, è inevitabile: sono abbastanza convinto che questi ultimi vent'anni di enormi modificazioni siano solo la premessa di qualcosa di ancora più grosso che sta arrivando, che ci sconvolgerà nei prossimi 30 o 40 anni. La scuola dovrebbe fornire gli strumenti per affrontare questo cambiamento, la nostra società dovrebbe iniziare a pensare a queste novità e a prepararsi, strutturandosi in modo da poter assorbire l'innovazione. La mia impressione è che tutto questo non si stia affatto facendo: ci si rinchiude in un passato nostalgico per non dover affrontare il problema, sicuri che prima o poi arriverà qualcuno dall'alto a salvarci, che un angelo ci toglierà le castagne dal fuoco e che tutto si risolverà da solo. È, a ben guardare, lo stesso atteggiamento che stiamo mettendo in campo davanti all'emergenza climatica e che in generale mostriamo davanti ad ogni grosso problema degli ultimi anni: nascondere la testa sotto la sabbia ed aspettare.
Non molto proficuo né efficace, credo, come metodo. Perché, anche se non lo guardiamo, il futuro arriva lo stesso.
Quello che ho registrato e pubblicato
Passiamo ora ai video realizzati questa settimana, oltre che ovviamente ai podcast.
Perché si festeggia il 25 aprile?: abbiamo già parlato ampiamente del 25 aprile ma ci ho fatto anche un video al riguardo, pensato soprattutto per i più giovani
La filosofia di Federico Fellini [Video Club storico-filosofico]: dopo Pasolini e Hitchcok, ecco l’analisi della filosofia di Fellini
Il campo di concentramento di Mauthausen: sono stato a Praga e a Milano, certo, ma dal primo viaggio sono anche tornato facendo tappa a Mauthausen
L'autunno del Medioevo - Audiolibro spiegato parte 26: ultima puntate per chiudere il meraviglioso libro di Huizinga
Naturalismo rinascimentale e magia (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
Il fallimento del 1848 italiano (per il podcast “Dentro alla storia”)
L'esito del '48 e l'emergere di Cavour (per il podcast “Dentro alla storia”)
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Ah, prima di dimenticarci vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
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Storia economica e sociale del Medioevo di Henri Pirenne: per celebrare la fine della lettura di L'autunno del Medioevo ho deciso di proporvi, come libro della settimana, un altro classico della storiografia dedicata a quell’epoca, cioè Storia economica e sociale del Medioevo di Henri Pirenne. L'autore è uno dei grandi maestri della storiografia europea: nato in Belgio, pubblicò soprattutto nei primi decenni del '900, occupandosi di vari aspetti della storia dell'Europa medievale. Il suo capolavoro è forse Maometto e Carlomagno, pubblicato per la prima volta nel 1937, ma anche libro che vi propongo oggi è molto importante perché aiuta ad inquadrare un periodo storico frastagliato ed è stato di grande influenza su tutta la storiografia successiva. Lo si può acquistare qui.
Introduzione al voice over pubblicitario: tra gli iscritti di questa newsletter ci sono anche molti appassionati di podcast e in generale di tutto ciò che passa attraverso la voce. Alcuni di loro vogliono anche loro stessi diventare autori o speaker e ogni tanto mi chiedono qualche consiglio. Io in realtà non sono certo un’autorità, però posso facilmente consigliarvi a tal proposito dei corsi che possono risultare interessanti. Uno di questo è appunto il corso Domestika che vi propongo oggi, una serie di 14 lezioni pensate principalmente per chi deve usare la voce per scopi pubblicitari ma che può fare benissimo anche al caso vostro. Il costo è di appena 9,99 € e lo si può acquistare qui.
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né fare corsi, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Quello che c’è in arrivo
Chiudiamo come al solito con una panoramica sui video e sui podcast in lavorazione:
già domani sera, in diretta, dovrebbe arrivare il secondo video su Praga e sui suoi misteri;
spero di riuscire, questa settimana, a registrare poi il video Tutto Spinoza in un’ora, che attende ormai da un po’ di tempo;
arriverà quindi anche il secondo video sulla storia dei consumi, incentrato sui mutamenti di mentalità tra Settecento e Ottocento;
dulcis in fundo, spero anche di riuscire a registrare il terzo video del Corso di logica, che più di qualcuno di voi mi ha richiesto;
per quanto riguarda i podcast, infine, toccherà a Telesio in filosofia e a Cavour in storia.
E questo è tutto. Maggio, spero, sarà un mese un po’ più tranquillo e potrò dedicarmi con più calma ai video e magari a qualche nuova iniziativa. Intanto, noi ci vediamo come sempre tra sette giorni.