Su passione e ragione nel discorso pubblico, ma parlando anche di Bertrand Russell, American Fiction, Alessandro Barbero, Chi segna vince, Adam Smith, i Monty Python e Divorzio all'italiana
Sono da poco ritornato dalla prima delle due lunghe gite – pardon, viaggi d’istruzione – che mi hanno coinvolto quest’anno. Tra mercoledì e venerdì scorsi sono infatti stato a Torino assieme a due classi quarte: abbiamo visitato il Museo Egizio, Palazzo Reale, il Museo del Risorgimento, il Museo del Cinema e la Reggia di Venaria Reale. In tre giorni è stato un programma piuttosto intenso (anche perché pioveva pure), ma ce l’abbiamo fatta e siamo tornati a casa tutti contenti.
Erano tutti luoghi in cui io personalmente ero già stato più volte, sia con le classi (credo sia la mia terza gita a Torino, se non ho perso il conto), sia con la famiglia (almeno un paio di volte, perché il capoluogo piemontese ci piace parecchio). Anni fa era la gita ideale per una classe terza, visto che non è particolarmente distante da casa nostra e permette una visita discreta in appunto due o tre giorni; negli ultimi tempi invece abbiamo cominciato a destinarla sempre più alle quarte perché il costo di questi viaggi d’istruzione è – sia in Italia che all’estero – molto aumentato, e non tutti possono permettersi di spendere centinaia e centinaia di euro ogni anno.
È un tema di cui dovremmo in realtà parlare di più; perché il viaggio d’istruzione – ovviamente se ben fatto e ben condotto – è una parte importante del percorso formativo: migliora i rapporti umani e di studio all’interno della classe; fa comprendere e capire che la scuola non è solo voti e verifiche, ma anche una cultura che si può toccare con mano, vedere, sentire; aiuta a creare anche un clima più disteso tra insegnanti e alunni. Dev’essere, come dicevo, un’attività ben fatta, proficua e interessante, ma quando questo si realizza la “gita” lascia davvero un segno negli studenti, e perdere quell’occasione è perdere qualcosa di importante.
Mi piacerebbe, quindi, che dall’alto si facesse qualcosa anche per venire incontro alle difficoltà delle scuole e delle famiglie: questi viaggi, tra l’altro, muovono l’economia in modo consistente, perché aiutano gli alberghi a rimanere aperti, i musei ad avere sempre introiti e i ristoranti ad avere i locali pieni anche infrasettimanalmente; per non parlare poi di agenzie di viaggio, pullman, treni e aeroporti. C’è bisogno di convenzioni, di sconti, di sostegni di diverso tipo per tenere in piedi tutto questo in un momento in cui i costi sono quasi raddoppiati rispetto a pochi anni fa; e lo Stato può e deve fare qualcosa di più per permettere a tutti i ragazzi di partecipare ad esperienze di questo tipo.
A fine marzo sarò, con le mie due quinte, a Berlino (con tappe a Norimberga e Monaco di Baviera), e organizzare quest’uscita è stata un’impresa ostica, perché abbiamo dovuto davvero lavorare sui centesimi per risparmiare il più possibile. I ragazzi sono già andati a vedere le recensioni dell’albergo che ci dovrebbe ospitare, e ovviamente sono disastrose (per quel prezzo, credo fosse difficile trovare qualcosa di meglio); ovviamente ce lo faremo andare bene, ma non so se l’anno prossimo si potrà riproporre questa scelta. Eppure Berlino è una meta ottima: consente di vedere i luoghi del nazismo e del dopoguerra (il Muro, ad esempio), oltre che di farsi un’idea dell’Europa vera, concreta. Cinque anni fa, la stessa identica gita costava circa 100 euro di meno, e non è poco.
In un mondo che diventa sempre più interconnesso, in cui ci si trasferisce sempre più spesso all’estero, il paradosso è che è la scuola a rischiare di rimanere fuori dal giro, per cause che non dipendono, per una volta, da lei. Bisognerebbe far qualcosa, se davvero crediamo nella qualità dell’istruzione. Anche perché ci sono ragazzi che viaggi del genere li possono fare solo al liceo, non con la famiglia. Insomma, ce li possiamo mettere un po’ di soldi?
Ma adesso mettiamo da parte queste note – su cui magari ritorneremo in futuro – e passiamo al tema di questa newsletter, cioè i libri, i film e qualche riflessione tratta da essi. Cominciamo.
Quello che ho letto
Partiamo come sempre dai libri: questa settimana in lista ci sono un romanzo (storico) e un paio di saggi.
Saggi scettici di Bertrand Russell: mentre – come vi raccontavo – ero in gita a Torino con i miei studenti, ho cominciato a leggere un nuovo libro che mi attendeva da qualche tempo: i Saggi scettici di Bertrand Russell. Un libro che avevo già spizzicato in passato, leggendone qualche brano qua e là, ma che non avevo ancora mai affrontato per intero. Si tratta di uno di quei testi di Russell più divulgativi, destinati al grande pubblico, senza quei formalismi in cui comunque lo stesso Russell si applicò con grande successo. Proprio per via di questo stile colloquiale, i Saggi sono abbastanza facili da affrontare, ma quello che più mi piace è che almeno per me sono anche estremamente condivisibili: scritti in un'epoca in cui l'Europa iniziava ad essere sconquassata da passioni che avrebbero avuto esiti catastrofici (c’era appena stata la Prima guerra mondiale, contro cui Russell si era opposto, e presto sarebbe arrivata anche la Seconda guerra mondiale, a cui poi sarebbe seguita perfino la Guerra fredda), rappresentano un barlume di speranza. Una speranza legata, tra l’altro, a quella razionalità che dovrebbe essere in grado di frenare queste passioni distruttive e indicarci la via verso la pace. È un peccato vedere, però, in prospettiva, come quei Saggi rimasero profondamente inascoltati e in fondo lo sono ancora oggi, nonostante la caratura del personaggio e la forza delle sue idee. Comunque del libro parleremo ancora più avanti, all’interno della sezione Quello che ho pensato, quindi per ora taglio corto: forse non ogni capitolo del libro è allo stesso modo interessante, ma si tratta comunque di un volume consigliabile, che prima o poi vale la pena leggere. Se vi interessa, lo potete acquistare qui.
All’arme! All’arme! I priori fanno carne! di Alessandro Barbero: di questo libro di Alessandro Barbero vi ho parlato anche la settimana scorsa e devo dire che l'ho ormai quasi finito. Se non l'ho portato a termine in questi giorni è stato da un lato per via della gita scolastica a Torino, che ha assorbito molte delle mie energie sia durante il viaggio che dopo il rientro, e dall’altro perché mi sono fatto nel frattempo prendere dal libro di Russell di cui vi ho appena parlato. In ogni caso, ho finito di leggere le parti relative alle rivolte più famose, che in fondo già in buona misura conoscevo: si tratta di quelle dedicate alla jacquerie francese del 1358, alla rivolta del Kent del 1381 e al tumulto dei ciompi a Firenze nel 1378. Mi rimane solo l'ultima parte del volume, incentrata su una rivolta dello stesso periodo di cui però so poco o nulla: quella dei Tuchini piemontesi, che evidentemente Barbero ha avuto modo di studiare anche per via della sua provenienza geografica e del fatto di aver insegnato a lungo proprio in Piemonte. Il libro, come dicevo, è interessante, anche se non so se lo consiglierei a un pubblico generalista: potrebbe infatti risultare noioso per chi non ha già esperienza nel campo della storia medievale, ma allo stesso tempo non è neppure un libro così specialistico da sconvolgere la mente a chi già sa qualcosa dell'argomento (e a me, in particolare, dispiace che manchi quasi completamente il contesto storico di questo Trecento difficile). Mi pare che quindi l'utenza migliore sia, in questo caso, quella dei professori di liceo o delle scuole medie, che così possono approfondire senza esagerare qualche conoscenza pregressa. Infine bisogna anche dire che Barbero sembra provare un certo piacere nel raccontare queste lotte medievali, facendo il tifo per i rivoltosi: la cosa da un certo punto di vista alleggerisce il racconto, ma dall'altro sembra quasi sconfinare nel commento più che nella storia tout court. Insomma, interessante ma strano. Se vi interessa, potete comprarlo qui.
Le confessioni d’un italiano di Ippolito Nievo: un po’ a tempo perso, questa settimana ho proseguito anche con la lettura de Le confessioni d’un italiano, il capolavoro ottocentesco di Ippolito Nievo che ormai mi porto dietro (a fasi alterne) da diversi mesi. E probabilmente ce ne vorranno ancora altri, di mesi, per terminarlo, visto che non sono nemmeno ai due terzi del (corposo) volume. Se volete un aggiornamento sulla trama, bisogna dire che Venezia ormai è caduta, conquistata da Napoleone e girata, a Campoformio, agli austriaci; il nostro Carlino, dopo qualche giorno d’amore con la Pisana, si è dato ora alla fuga sotto mentite spoglie ed è appena arrivato a Padova, con l’intenzione di lasciar presto il Veneto e spostarsi forse a Milano. Siamo nel pieno delle giornate in cui si stanno formando le prime Repubbliche sorelle, filo-giacobine, e lo spirito di Napoleone già imperversa cupo contro la causa italiana. Vedremo cosa accadrà nei prossimi capitoli. Il mio giudizio, dopo circa 600 pagine lette, ad ogni modo è già piuttosto chiaro: il libro è bello, entusiasmante e non risente troppo dei centocinquant’anni d’età; certo è lungo, un vero romanzo d’altri tempi, ma non ci si può non far trascinare dall’idealità di questo Carlino, tanto buffo quanto pienamente romantico, veneziano e mazziniano. Per capire cosa animava i patrioti risorgimentali, non c’è niente di meglio. Lo potete acquistare qui.
Quello che ho visto
Passiamo ora ai film: in lista ci sono due pellicole non altisonanti ma che vale la pena forse recuperare, e una serie storica.
Chi segna vince (2023), di Taika Waititi, con Michael Fassbender, Oscar Knightley, Kaimana: quando, qualche mese fa, ho visto al cinema la pubblicità dell’ultimo film di Taika Waititi, ho provato subito una gran voglia di vederlo. Waititi è uno degli autori più originali degli ultimi anni, regista di capolavori come Jojo Rabbit e piccole perle come Selvaggi in fuga; e il trailer sembrava davvero divertente. Al cinema poi me lo sono ovviamente perso, ma appena l’ho visto nel catalogo di Disney+ ho deciso di recuperarlo. La trama è molto semplice: il protagonista è un allenatore di calcio europeo appena licenziato dalla federazione statunitense e inviato ad allenare nelle Samoa americane, dove c’è la nazionale di calcio peggiore del mondo. Nel palmares, questa squadra vanta anche una clamorosa sconfitta per 31-0 contro l’Australia e non è mai riuscita a segnare nemmeno un gol nelle qualificazioni mondiali: compito del nuovo allenatore sarebbe quindi riuscire a realizzare almeno una rete. Il coach – interpretato da Michael Fassbender – all’inizio non prende la cosa troppo sul serio, anche perché ha un caratteraccio e seri problemi di contenimento della rabbia; un po’ alla volta comincia però ad affezionarsi ai giocatori e a motivarli. Non vi rivelo come va a finire la partita decisiva con Tonga, ma posso dirvi che quella gara diventa anche un momento topico per la vita dello stesso mister. Il film – tratto tra l’altro da una storia vera – è stato stroncato dalla critica, ma devo dire che è meglio di quanto i siti specialistici non dicano: certo, è molto prevedibile e tutto sommato piuttosto retorico, ma c’è qualche bel momento e il tocco di Waititi si vede chiaramente. Il problema è che qualche difettuccio qua e là, tra cui anche forse la scelta di Fassbender come interprete principale e una sceneggiatura non dosata benissimo, inficiano in parte il risultato; ma rimane una pellicola comunque più che sufficiente e godibile, non peggiore di tante altre. La trovate, come detto, su Disney+.
American Fiction (2023), di Cord Jefferson, con Jeffrey Wright, Tracee Ellis Ross, Erika Alexander: di questo film, in tutta onestà, nelle settimane scorse non avevo molto sentito parlare, nonostante sia candidato agli Oscar in ben cinque categorie, tra cui miglior film e miglior attore protagonista. Colpa mia, probabilmente, visto che non riesco più a seguire con grande attenzione le informazioni dal mondo del cinema, ma forse anche colpa del fatto che la pellicola è stata sotto diversi punti di vista una vera sorpresa, un outsider balzato improvvisamente agli onori della cronaca. Io mi ci sono imbattuto per caso usando JustWatch, app che ti consente di consultare rapidamente il catalogo dei principali servizi di streaming, filtrando i film per genere, valutazione e altri parametri. E, appunto, American Fiction risultava un film ben recensito e forse anche abbastanza intrigante da meritare una visione. Così gli ho dato una possibilità e devo dire che non me ne sono pentito. La storia parte da una questione molto attuale: il protagonista è infatti un professore afroamericano di letteratura, che si trova in difficoltà a gestire da un lato la propria carriera di scrittore e dall'altro il modo in cui la popolazione americana si rapporta ormai con la cultura nera. Il protagonista, infatti, si rende pienamente conto di come l'editoria, il cinema e il sistema dei mass media americano cerchino di dar spazio sì alle minoranze, come proprio anche quella degli afroamericani, a patto però che queste minoranze si conformino allo stereotipo che ci si aspetta che incarnino. Così le storie del professore, basate su su neri della classe media che vivono vicende abbastanza banali, non fanno colpo e vendono pochissimo, mentre tutti sono disponibili a pubblicare e a pagare lautamente storie di violenza, gang e stupri, come se gli afroamericani potessero fare solo quello. E lui ad un certo punto, arrabbiato, a mo’ di sfida scrive proprio qualcosa del genere: una storia banale, scontata, che sfrutta tutti i luoghi comuni sulla sua gente; solo che, inaspettatamente, gli editori gliela comprano, quella storia, pagandogliela come non gli avevano mai pagato nulla prima. La pellicola è carina, perfino divertente e in certi tratti graffiante, calando forse solo un po' nel finale, visto che la chiusura mi sembra fiacca; in ogni caso è molto ben interpretata da Jeffrey Wright, che magari avete già visto in Angels in America o The Batman, e merita l’attenzione che sta ricevendo. La trovate su Amazon Prime Video.
Monty Python’s Flying Circus episodio 2.01 (1970), con John Cleese, Graham Chapman, Eric Idle: vi raccontavo la settimana scorsa che ho ripreso a guardare le vecchie puntate del Monty Python’s Flying Circus, disponibili su Netflix. E questa settimana in effetti sono andata avanti, col primo episodio della seconda stagione, quello che la settimana scorsa, un po' frastornato, avevo inopinatamente saltato. Le gag come al solito sono piene di scene surreali e non-sense, con però anche uno spunto intrigante dal carattere quasi sociale. Mi riferisco ad esempio, in questo episodio specifico, alla gag della cucina a gas da consegnare alla casa della vecchietta, in cui una serie di scartoffie rende la consegna sostanzialmente impossibile, a meno che la donna non rischi volontariamente di morire soffocata dallo stesso gas; oppure la gag riguardo alla pericolosa banda di malavitosi, in cui alla fine si viene a sapere che la loro arma più pericolosa e quella di cui tutti avevano una incredibile paura era sostanzialmente il sarcasmo. Insomma, in base anche solo a queste poche frasi capite bene che la comicità dei Monty Python era qualcosa di ben strano sia per gli standard di allora, ma anche per gli standard attuali. Se siete in grado di sopportare una trasmissione TV di 50 anni fa senza doppiaggio ma coi sottotitoli, vale assolutamente la pena di recuperarla. La trovate, come detto, su Netflix.
Quello che ho pensato
Come avete letto qualche riga più sopra, questa settimana ho cominciato ad affrontare i Saggi scettici di Bertrand Russell, pubblicati per la prima volta nel 1928. E subito, nelle prime pagine, balzano agli occhi delle dichiarazioni da cui vorrei partire con la riflessione della settimana:
Lo scetticismo che io auspico si riduce soltanto a questo: 1) che quando gli esperti concordano nell'affermare una cosa, l'opinione opposta non può più essere ritenuta certa; 2) che quando essi non sono d'accordo, nessuna opinione può essere considerata certa dai non esperti; 3) che quando concordemente gli esperti affermano che non esiste alcun motivo sufficiente per un'opinione positiva, l'uomo comune farebbe bene a sospendere il suo giudizio. […]
Le opinioni sostenute con passione sono sempre quelle per le quali non esiste alcuna buona giustificazione: la passione, infatti, non è che la misura della mancanza di convinzione razionale da parte dell'opinante. Le opinioni politiche e religiose vengono sostenute sempre in maniera appassionata. […] l’uomo è dappertutto considerato meschino se manca di robuste opinioni in tali materie; e lo scettico riscuote maggiori antipatie dell’appassionato fautore dell’opinione avversaria. […]
Gli uomini politici non si sentono affatto allettati da giudizi che non si prestano a declamazioni di partito, e i comuni mortali preferiscono le opinioni che attribuiscono le disgrazie alle macchinazioni dei loro nemici. Di conseguenza si combatte pro e contro misure irrilevanti, senza prestare minimamente ascolto a quei pochi che sostengono un’opinione razionale, giacché essi non concedono nulla alle passioni.
Vorrei ora soffermarmici un attimo, perché secondo me queste poche frasi possono offrirci qualcosa di interessante su cui riflettere. Nella prima parte della citazione, Russell ci dà tre semplici regole a cui, a suo dire, un buono scettico dovrebbe in qualche misura attenersi. Forse quelle regole potrebbero venire oggi formulate in maniera ancora più precisa, anche perché, in quest'età di post-Covid, abbiamo molta più esperienza di quanta ne avesse Russell un secolo fa su questo genere di cose, ma in ogni caso mi sembra che siano regole in buona misura condivisibili.
L'intento del filosofo inglese è mostrare come norme così banali di sospensione del giudizio e di controllo delle credenze vengano in realtà disattese quasi sempre da praticamente ogni uomo sulla faccia della terra; ognuno di noi, infatti, decide spesso di sostenere tesi sulle quali non c'è alcun valido argomento razionale, alcuna prova.
Questo ci porta direttamente al secondo punto sostenuto da Russell: quello cioè secondo cui ogni tesi sostenuta con passione sia in realtà priva di ragioni valide. Ammetto che questa formulazione sia un po' estrema e a mio avviso non corretta: a volte anche le opinioni che vantano dalla loro ottime ragioni possono essere sostenute con fervore e con passione da una persona, che può addirittura perdere le staffe o accalorarsi quando il pubblico si dimostra così stupido o ignorante da non accettare le evidenze; però c'è del vero anche in quello che sostiene Russell. Tante volte noi stessi tendiamo da accalorarci, e lo facciamo molto più facilmente se non abbiamo argomenti da poter usare che siano convincenti, o se non riusciamo ad esprimerli.
Non è un caso che non si trovi nessuno che urla o strepita per dimostrare un teorema di geometria, visto che basta avere una lavagna e un gesso per poterne dimostrare rapidamente la forza; e, allo stesso modo, nessuno si mette a sbraitare quando deve effettuare una dimostrazione logica, visto che appunto la chiarezza ed oggettività di quella dimostrazione permettono toni più pacati. Alziamo la voce solo quando le nostre opinioni sono discutibili, e quindi soprattutto per sfruttare la retorica oppure per far vedere i nostri muscoli; in ogni caso non per convincere in maniera completamente onesta il nostro interlocutore, perché sotto sotto sappiamo di non avere prove conclusive.
Nell'ultimo passaggio che ho riportato Russell infine prova a fare anche qualche esempio, e devo dire che poi nelle pagine successive – che adesso non vale la pena di star qui a riscrivere passo passo – porta diversi altri esempi di come in politica le buone ragioni vengano sempre messe da parte in favore di toni passionali. Perfino i partiti che sembrano avere ragione su un certo argomento, sostiene il filosofo, spesso preferiscono inventare vere e proprie frottole che comunque portino al risultato sperato, visto che queste frottole possono essere sostenute con passione e tendono ad essere seguite, proprio in virtù di quelle passioni e non della ragione, dal grande pubblico degli elettori.
Un esempio più moderno servirà a comprendere sia il discorso di Russell, sia, credo, le sue implicazioni attuali. Analizziamo infatti per un attimo quello che sta accadendo nella Striscia di Gaza. I fatti credo siano piuttosto chiari e ci sono vari elementi su cui concorda la stragrande maggioranza degli esperti: primo, Hamas ha effettuato un attacco esecrabile, ingiustificabile e violento contro la popolazione civile israeliana, uccidendo molti civili e rapendone altri; secondo, Israele, che ha agito in maniera molto discutibile negli ultimi anni nei confronti della popolazione palestinese, ha deciso in questo caso di reagire con una operazione militare sproporzionata e controproducente, che ha generato migliaia di vittime innocenti; terzo, a quest’operazione di Israele bisogna quanto prima mettere la parola fine; quarto, bisogna cercare di farlo evitando un allargamento del conflitto nell’area mediorientale.
Su tutti questi punti credo che due soggetti razionali potrebbero trovarsi grossomodo d'accordo; e la naturale conseguenza di tutto questo sarebbe che la diplomazia internazionale dovrebbe iniziare una pressante opera di mediazione per arrivare in fretta a un cessate il fuoco e a un ritiro delle truppe israeliane dalla Striscia di Gaza, fino anche alla nascita di due stati, soluzione ormai auspicata da tutti gli osservatori più autorevoli per poter garantire la pace nella zona.
Questo discorso, però, non scalda molto gli animi, non ci fa fare clic su internet: è il discorso che potrebbero fare due alieni giunti improvvisamente sulla terra, privi di interessi contingenti e senza un vissuto attorno alle vicende della Palestina. La gente, invece, qui sulla terra non ragiona così: vuole sognare, appassionarsi alle vicende, arrabbiarsi e piangere, altrimenti si dimentica in fretta dei problemi. E così ognuno, per portare acqua al proprio mulino, inizia a usare termini che solleticano le passioni e l’immaginario, ma che non servono a comprendere meglio la questione; lo scopo diventa non capire, ma scaldare i cuori. Si tira in ballo da una parte l'Olocausto, che in realtà con questa faccenda c'entra poco o nulla, mentre dall'altra si usa la parola “genocidio”, anch'essa priva di fondamento da un punto di vista storico. Ma il meccanismo è sempre lo stesso: mettere da parte la ragione, troppo fredda e lenta, dando spazio solo alla rabbia che fa saltare il banco.
È lo stesso meccanismo che entra in gioco quando ci scagliamo contro le magagne del nostro paese con discorsi corrosivi e passionali che però hanno ben poco di razionale. Pensate, solo per fare un altro esempio, a quello che accadeva quotidianamente qualche anno fa, quando la polemica contro i politici imperversava su tutti i media. I politici rappresentavano “la casta” e la gente non vedeva l’ora di sputare loro in faccia, di ridurne lo stipendio, di ridurne anche il numero.
Questo atteggiamento non aveva granché di razionale: perché un osservatore alla Russell avrebbe certo criticato il comportamento di alcuni politici e avrebbe magari immaginato dei meccanismi razionali per poter mettere maggiormente sotto controllo il lavoro di deputati e senatori, ma si sarebbe anche chiesto se la semplice riduzione del numero di parlamentari avrebbe intaccato il problema. Avrebbe ragionato appunto come un osservatore esterno, come un alieno che non ha vecchi rancori o vecchie insoddisfazioni da sfogare e cerca di trovare la miglior soluzione possibile date le circostanze. Qualche anno fa, però, nessun partito aveva il coraggio di sostenere una posizione così calcolata e pacata, e tutti in un modo o nell'altro cercavano di salire sul carro dell'antipolitica.
L'effetto quale è stato? Che abbiamo varato una riforma costituzionale che ha effettivamente ridotto il numero di parlamentari, ma non ha minimamente ridotto il computo delle spese del nostro Parlamento e ha avuto l'unico reale effetto di far funzionare peggio tutto l'apparato legislativo (se ne parla, dati alla mano, ad esempio qui). Se i problemi erano la scarsa efficienza e la scarsa onestà dei parlamentari, non li abbiamo neppure lontanamente scalfiti, e in compenso abbiamo creato nuovi problemi che prima non c'erano. Ci siamo insomma tirati completamente la zappa sui piedi, e l'abbiamo fatto da soli, senza che nessuno ci costringesse, sempre perché ci siamo fatti guidare unicamente dalle passioni, dalla rabbia, senza fermarci un attimo a ragionare.
Capisco bene quindi quando Russell se la prende con le passioni in politica; perché per passione si fanno magari le rivoluzioni e si ottengono grandi cambiamenti, ma per la verità le soluzioni migliori arrivano quando ci si mette seduti a un tavolo e ci si mette a discutere pacatamente dei problemi, mettendo da parte il fervore rivoluzionario. Le rivoluzioni danno la scossa, fanno cadere il sistema, ma quando c'è bisogno di ricostruirne uno nuovo più giusto del precedente serve un po' di sale in zucca, serve mettere da parte l'agone e iniziare a far quadrare i conti.
Se si guarda la storia di tutte le rivoluzioni, questo fatto risulta evidente in ogni circostanza: la Rivoluzione francese è stata, per molto tempo, un vero e proprio caos, portatore di profondissime ingiustizie, ed è riuscita a lasciare un segno più duraturo e più valido quando qualche mente pensante è riuscita a far sentire la propria voce al di sopra dello schiamazzo o delle passioni; la rivoluzione bolscevica, che partiva da una giusta voglia di equità, è stata poi vittima della sua stessa passione, degenerando rapidamente in terrore o in totalitarismo.
Perfino le rivoluzioni di cui sto leggendo nel libro di Barbero (di cui parlavo sopra) sono cominciate sempre per passione, e però quella passione è stata anche il loro limite, perché non hanno saputo trasformare la rabbia in progetto. I ciompi a Firenze rappresentano forse l'unica eccezione a tutto questo, perché loro un programma chiaro e realizzabile ce l'avevano, ma furono sconfitti dalla forza delle passioni altrui. Per il resto, sia in Francia che in Inghilterra, le speranze di rinnovamento quasi si spensero da sole, perché la passione è un fuoco che brucia in fretta ma che finisce anche per consumare se stesso.
Ovviamente non voglio arrivare a sostenere la tesi estrema di Russell, secondo cui la passione in politica fa solo danno, ma bisogna pure ammettere, come lui stesso vide durante la Prima guerra mondiale, che i peggiori danni della storia della politica derivano proprio dalle passioni. E allora bisogna forse mettere questa passione sotto il controllo della ragione, bisogna cioè tenerla come un cane al guinzaglio, dandole un po' di corda per la sua capacità di rovesciare tutto e di immaginare un mondo alternativo, riportandola però sempre e subito all'ordine della razionalità, della concretezza, del pragmatismo. I sogni fanno bene, ma bisogna poi vedere se sono davvero realizzabili, in che modo e a quale costo; e, al limite, trovare fin da subito un compromesso tra i sogni e la realtà.
Quello che ho registrato e pubblicato
Passiamo ora all’elenco di tutti i video e i podcast che sono usciti durante la settimana.
Adam Smith: morale ed economia: presentiamo il pensiero del padre del liberismo, che partì però da una riflessione etica
Divorzio all’italiana: storia e società: un film per capire i problemi del diritto di famiglia nell’Italia di non troppo tempo fa
"Sulla libertà" di Stuart Mill - parte 12: un nuovo capitolo della lettura integrale del celebre saggio di John Stuart Mill
Le passioni e il conatus per Spinoza (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
Inizia l'età giolittiana (per il podcast “Dentro alla storia”)
Le riforme di Giolitti e i socialisti (per il podcast “Dentro alla storia”)
Il test della stanza cinese
@scrip79Riguardo all'intelligenza artificiale, nei primi anni '80 fu elaborato un famoso esperimento mentale chiamato "Test della stanza cinese": con esso il filosofo americano John Searle cercò di mostrare una differenza fondamentale tra l'intelligenza umana e quella delle macchine #filosofia #intelligenzaartificiale #ia #johnsearle #searle #stanzacinese #testdituringTiktok failed to load.
Enable 3rd party cookies or use another browser
Quello che devi fare per seguirmi sui social
Ah, prima di dimenticarci vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
Il canale YouTube | Instagram | Facebook | Twitter/X | TikTok | Threads
Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono gli abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
La nascita del Purgatorio di Jacques Le Goff: questo volume del celebre medievista francese Le Goff è considerato un classico nel suo settore, capace di sollevare vivaci polemiche ed entusiasmi, alla sua uscita nel 1981. La tesi di Le Goff è che il Purgatorio come luogo preciso in cui andavano le anime non condannate all’Inferno e non subito ammesse al Paradiso venne introdotto verso la fine del XII secolo e da lì si impose rapidamente in tutto il mondo cristiano. La ricostruzione è complessa, ma affascinante, e il libro vale assolutamente i 14 euro del prezzo di copertina: può essere acquistato qui.
sui social questa settimana ho segnalato come al solito diversi libri appena usciti che mi paiono interessanti, una sorta di “lista della spesa” che dovrebbe rivelarsi utile anche in primis per me. Ecco i volumi, se ve li siete persi (se vi interessano, cliccate sopra alle immagini per altre informazioni):
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Quello che c’è in arrivo
Chiudiamo, come d’obbligo, con qualche anticipazione su quello che dovrebbe arrivare sul canale nelle prossime giornate:
domani dovrei riuscire a fare un video del Travel Club dedicato a Venaria Reale, che, come avete letto all’inizio, ho rivisto nei giorni scorsi;
mercoledì e giovedì arriveranno i nuovi podcast, dedicati rispettivamente a Spinoza (forse con la fine dell’Etica) e alla Guerra di Libia;
venerdì vorrei realizzare un video di storia antica (su Hittiti e Assiri) che ho rimandato alcune volte ma che finalmente è quasi pronto;
sabato mi piacerebbe pubblicare un video del Dizionario di filosofia sulla distinzione tra conoscenza a priori e a posteriori;
domenica sarà la volta, credo, di un nuovo short da un minuto;
e infine lunedì prossimo arriverà il nuovo appuntamento del Club del Libro per abbonati, dedicato a La banalità del male di Hannah Arendt.
E questo è di nuovo tutto. Ci rivediamo qua, come sempre, tra sette giorni esatti.
Passai gli ultimi anni di liceo e i primi di università a leggermi tutti i libri di Russell, ma i Saggi scettici non so come mai mi erano sfuggiti. Grazie mille perché sembrano molto interessanti (ma non avevo dubbi) e attuali