Sui difensori di Putin su YouTube e in TV, su Moon Knight e Sartre, su Pennacchi e Goethe, su Freud, Schmitt e l'Italia più recente
Vi dico la verità: è stata una settimana difficile, nel bene e nel male. I figli mi hanno impegnato molto, sia perché uno ha compiuto gli anni e l'altra sta per compierli domani, sia perché sono ricominciate le attività sportiva all'aperto, le verifiche in classe, i voti, i colloqui scuola-famiglia e tutto il resto.
Ma non sono stati solo i figli a riempirmi le giornate: purtroppo questa settimana ho fatto l'errore di frequentare troppo YouTube. Sì, contrariamente a quanto si può pensare è un colossale errore: perché mi inquietano i commenti che trovo sotto ai video di attualità, compresi i miei. Questa settimana ho letto cose che voi umani… ma ve ne parlo meglio nella sezione su quello che ho pensato. Cominciamo.
Quello che ho letto
Ho finito ben due libri che avevo già presentato nelle settimane scorse e, preso dalla foga delle spiegazioni in classe, ne ho ricominciato uno che ho letto la prima volta ormai parecchi anni fa.
I dolori del giovane Werther di Johann Wolfgang von Goethe: il primo libro che ho finito è stato il classico di fine Settecento di Goethe, I dolori del giovane Werther. L'altra settimana vi spiegavo di aver rallentato volutamente la lettura delle pagine finali per non vedermelo morire davanti agli occhi, però alla fine mi sono deciso e sono arrivato a conclusione. Finale oserei dire scontato, ma era piuttosto ovvio vista la fama del libro. Fama comunque meritata: non mi sorprende che abbia lanciato la carriera di Goethe e che abbia creato all'epoca addirittura una moda. Oggi certo risente un po' degli anni, ma rimane comunque una lettura abbastanza godibile. Lo si compra qui.
La guerra dei Bepi di Andrea Pennacchi: l’altro libro che ho finito è La guerra dei Bepi, secondo volume in poche settimane per me di Andrea Pennacchi. L'autore forse lo conoscete meglio con il soprannome di Pojana, che usa soprattutto a Propaganda Live, la trasmissione di La7. Ma è un attore di primo livello, con tante esperienze teatrali che in buona parte ha condensato anche all'interno di questo libro, che raccoglie effettivamente degli spettacoli teatrali realizzati lungo gli anni. La storia centrale è quella dedicata al padre e al nonno dello stesso Pennacchi, che combatterono due guerre simili ma allo stesso tempo diverse: il padre fu infatti partigiano, il nonno combatté nella Prima guerra mondiale. Tramite queste esperienze Pennacchi imbastisce una narrazione interessante anche su carta, nonostante la brevità. Poi, nella seconda parte del libro, si parla ancora di guerra, ampliando una storia che era già presente in Pojana e i suoi fratelli, ma questa volta ambientata più di recente in Somalia. In generale il libro mi è abbastanza piaciuto anche se il primo che avevo letto di Pennacchi mi aveva colpito maggiormente, forse per la novità, forse perché il personaggio stesso del Pojana è un valore aggiunto. Comunque interessante. Questo lo si compra qui.
L’esistenzialismo è un umanismo di Jean-Paul Sartre: in realtà questa settimana ho continuato a leggere anche Il formaggio e i vermi di Ginzburg, di cui parlavo la settimana scorsa, ma alla volta di venerdì mi sono reso conto del rischio di imbastire così una newsletter esattamente uguale, per quanto riguarda i libri, a quella della settimana scorsa e mi sono detto che forse conveniva iniziare qualcosa di nuovo. Visto che proprio questa settimana ho spiega in classe, nella mia quinta, la filosofia di Sartre, ho pensato di riprendere in mano il famoso L'esistenzialismo è un umanismo, forse la presentazione più semplice e breve, ma allo stesso tempo efficace, della filosofia esistenzialista francese. L'ho iniziato e, nel giro di poche decine di minuti, l’ho anche quasi finito. Me lo ricordavo ancora piuttosto bene ma una ripassata, di tanto in tanto, non fa male. Lo trovate, a pochi euro, qui.
Quello che ho visto
Pochi film, tante serie TV questa settimana. Prometto di rimediare la settimana prossima con qualche pellicola più impegnativa, anche perché, come vedrete, qui di seguito ci sono cose abbastanza leggere.
Tutta colpa di Freud (2014), di Paolo Genovese, con Marco Giallini, Anna Foglietta, Vittoria Puccini: onestamente mi aspettavo un filmaccio che mi avrebbe maltrattato il caro Freud. Invece devo dire che questa pellicola di qualche anno fa di Paolo Genovese è simpatica, strappa qualche risata anche se di tanto in tanto incappa nel luogo comune. Freud, a dirla tutta, non c'entra poi molto, ma il titolo tutto sommato è accattivante. La storia è un po' complicata da raccontare: il protagonista è uno psichiatra in mezza età, divorziato, con tre figlie più o meno adulte, e più o meno problematiche, che gli ronzano attorno. Sia le ragazze che il padre sono in cerca di un amore, ma spesso lo vanno a trovare nei posti o nelle situazioni sbagliate. Ne nascono alcuni divertenti equivoci. Una commedia simpatica e soprattutto ben recitata da Giallini, molto abile nel ruolo, e da tutto il cast.
Moon Knight, episodio 1.01 (2022), di Jeremy Slater, con Oscar Isaac, Ethan Hawke, Gaspard Ulliel: su Disney+ è appena uscita questa nuova serie del Marvel Cinematic Universe e in famiglia non ci siamo lasciati scappare il primo episodio, l'unico al momento disponibile. Moon Knight è un personaggio che non ho mai amato particolarmente nei fumetti: mi è sempre sembrato un po' amorfo, privo di reale interesse e poco integrato nell'universo Marvel. In realtà però questo primo episodio è stato, come spesso accade con le trasposizioni di personaggi minori, piuttosto interessante: mi sembra che l'intento sia quello di creare una sorta di horror con tratti comici, quasi alla maniera di Scooby-Doo (!), ma in modo ovviamente più adulto. Il risultato, almeno in questa prima puntata, mi è abbastanza piaciuto, anche se ovviamente bisognerà rivalutare alla distanza. Mi dispiace solo che Ethan Hawke sembri vecchissimo.
Brooklyn Nine-Nine, ultimi sette episodi della settima stagione (2020), di Dan Goor e Michael Schur, con Andy Samberg, Andre Braugher, Terry Crews: ho finito anche la settima stagione di Brooklyn Nine-Nine, disponibile invece su Netflix. Tempo fa avevo parlato dei primi episodi, che mi erano piuttosto piaciuti anche se la serie non ha più la scioltezza delle prime stagioni; anche gli episodi finali, che non sono poi molti, si rivelano tutto sommato all'altezza delle aspettative, con qualche piccola perla qua e là. Se cercate una serie comica e non avete mai visto Brooklyn Nine-Nine, vale la pena di recuperarla.
Quello che ho pensato
Vi confesso che questo barlume di popolarità che Internet mi sta dando, con decine di messaggi che ormai ricevo ogni giorno delle più disparate persone, comincia un po' ad inquietarmi. Perché di fianco a moltissimi messaggi gradevoli in cui gli spettatori mi raccontano la loro storia o mi chiedono di approfondire certi temi, e di fianco anche ad altri messaggi che propongono delle riflessioni che magari non sempre mi trovano d'accordo ma che rimangono comunque interessanti, c'è una parte piccola – ma comunque non trascurabile – di messaggi che un po’ m’inquieta.
In questi messaggi, a volte posti al di sotto dei video su YouTube, a volte anche diretti a me personalmente tramite mail o altri mezzi di questo tipo, mi sono sentito in questi mesi accusare di qualsiasi cosa: di essere amico dei terroristi ma anche, all'esatto posto, amico degli imperialisti; di essere al soldo del capitale (Soros!) ma anche di essere un comunista; di essere vittima di malattie come la “russofobia”, il pensiero unico, il cedimento al mainstream e altre nefandezze varie. Addirittura qualcuno mi ha scritto: «Ma che vergogna, non fai altro che riportare quello che dicono tutti i manuali di storia!», come se fosse un difetto.
A queste accuse si può reagire in molti modi. Nel tempo, visto che ormai bazzico sui social network da parecchi anni, ho imparato a non rispondere a provocazioni troppo stupide e a non alimentare i troll. Cosa che è anche abbastanza facile da fare quando i messaggi di questo tipo sono pochi, uno ogni tanto.
Devo però ammettere che avere un canale YouTube che si occupa di storia e di filosofia attira come mosche proprio questi troll. E non solo troll: anche e soprattutto persone arrabbiate. Arrivano ad ondate, spesso in gruppo, colpiscono e se ne vanno: non durano molto, ma quando arrivano un po’ ti travolgono. E sono, di solito, persone arrabbiate che cercano nella storia o nella filosofia una valvola di sfogo, o, meglio ancora, qualcosa che possa giustificare la loro rabbia (o la loro paura).
Perché, ad esempio, gli ultimi video sulla guerra in Ucraina, che a me continuano a parere equilibrati, vengono tacciati da una piccola parte di ascoltatori (occasionali e però allo stesso tempo organizzati) come profondamente ingiusti nei confronti di Putin? Davvero questa gente non crede che Putin stia facendo una guerra d’aggressione contro l’Ucraina? Davvero pensano che si stia solo difendendo, mentre rade al suolo intere città? Ci ho pensato a lungo in questi giorni e mi sono fatto qualche idea.
A me sembra che, se escludiamo qualche personaggio che ama la violenza e la distruzione, la maggior parte di queste persone in realtà non cerchi di assolvere Putin dalle sue responsabilità, quanto piuttosto cerchi di colpevolizzare l’Occidente. Una tesi tra l’altro sostenuta spesso anche in televisione da personaggi che sono, non a caso, i paladini di quegli stessi spettatori che mi scrivono.
In tutti quelli che mi scrivono con questi toni, infatti, io sento soprattutto un grande tono di rabbia e di delusione. L'Occidente è marcio, l'Occidente ci ha traditi, l'Occidente ci ha delusi: non mancano frasi di questo tipo, in mezzo a molte altre. Da questo punto di vista la critica può essere anche discussa: l'Occidente non è esente da colpe, e spesso, bisogna anche ammetterlo, ha mancato i propri scopi, oppure non realizzato le promesse che sembrava aver posto sul piatto.
Il paradosso, però, è che davanti alla crisi dell'Occidente ci si appelli, come modello alternativo, a un sistema che forse è addirittura peggiore dell'Occidente, quello autoritario, in cui non c'è maggior giustizia sociale ma ce n'è molta meno, come dimostrano i casi degli oligarchi; in cui non c'è maggior libertà, ma ce n’è molta meno, come dimostrano le leggi contro la libera stampa e le morti di oppositori politici; in cui non c'è maggior pace, ma molta meno, come dimostrano le guerre perenni. Insomma queste critiche mi sembrano il gesto disperato di chi critica la padella per preferirle la brace.
A portarmi su questa strada interpretativa è anche l'atteggiamento con cui queste critiche vengono rivolte. Cioè, come detto, molta rabbia, ma anche un pesantissimo senso di vittimismo, che d'altronde pervade molta della narrazione pubblica di certe idee. Non solo io sono mainstream, venduto ai potenti, disinformato e allocco, ma lo è tutto il mondo, tutta la TV, tutti i giornali, tutti i libri, tutta la “storia ufficiale”.
C'è un grande complotto mondiale per tacere la verità, per nascondere che l'attentato alle Torri gemelle fu commissionato da George Bush, che i russi stanno andando a denazificare l'Ucraina, che il Covid è stato inventato da Big Pharma con l'intento di toglierci tutti i diritti e così via. Sono sempre, in maniera più o meno evidente, teorie del complotto a riemergere dietro a queste critiche; ma, ripeto, condite con un pesante e costante riferimento a forme di vittimismo.
Non solo non ce lo dicono, ma ci impediscono perfino di dirlo, mi scrivono (e, paradossalmente, mentre dicono che non possono dirlo, lo stanno dicendo). C'è la dittatura del politicamente corretto, c'è la dittatura del pensiero unico, e chiunque provi a deragliare da questo pensiero unico viene cancellato e ridotto al silenzio; o almeno questo è quello che sostengono questi personaggi. Anche questa lettura, a mio parere, presenta una visione estremamente parziale delle cose. E però, analizzare questa lettura parziale aiuta anche a capire che un problema reale, al fondo delle cose, sembra esserci.
Intanto, è scontato ma vale la pena di ricordare che non esiste nessuna dittatura in Italia: le leggi sul Green Pass che tanto hanno fatto scaldare gli animi stanno già passando, e se questa fosse stata davvero una dittatura sarebbe stata la prima dittatura della storia con una data di scadenza. Ma anche parlare di pensiero unico mi sembra una forzatura: ogni volta che entro dentro a YouTube l'algoritmo mi propone video di personaggi che si lamentano del pensiero unico in svariate trasmissioni TV del pomeriggio o della prima serata. Decine e decine di video di gente che dice bisogna lottare contro il pensiero unico; e al massimo uno o due video assimilabili a quello che viene chiamato il “pensiero unico”. Cioè: è più la gente che si lamenta di una cosa di quella che la fa, almeno a prima vista.
Se si guardano poi i palinsesti televisivi, ci si rende conto che il pensiero alternativo è obiettivamente ben rappresentato dalla TV italiana. Anzi, che la TV italiana sopra questo pensiero alternativo ci campa parecchio. L’abbiamo visto coi No-Green Pass: hanno avuto spazio ovunque e per mesi, nonostante non rappresentassero la maggioranza degli italiani. Certo, venivano attaccati dai giornali e da molti opinionisti, ma non si può dire che non abbiano avuto modo di esporre le loro ragioni.
Sulla guerra in Ucraina (ma anche su mille altri temi di attualità) si tende a riproporre lo stesso schema, soprattutto perché fa ascolti in TV. In questi giorni ho letto, ad esempio, delle lamentele del professor Orsini, che si è elevato a paladino della libertà d’opinione, visto che – a suo dire – tutti hanno tentato di zittirlo. E in parte ha ragione: la politica poteva fare a meno di mettersi a paventare operazioni di censura.
Bisogna però anche ammettere che Orsini è tutt’altro che zittito. Anzi, sostenere le sue posizioni gli ha portato, per sua stessa ammissione, contratti da migliaia e migliaia di euro, sia in televisione che sui giornali. Pare essere il personaggio più richiesto, anzi, proprio dalla TV mainstream, paradossalmente.
Ma lo stesso si può dire di tanti altri personaggi che negli anni hanno espresso tesi paradossali, forti, contrarie al alla maggioranza, a volte anche letteralmente assurde, e che comunque continuano a campare di ospitate televisive ed interventi sui giornali: penso a personaggi come Diego Fusaro, Ugo Mattei, Carlo Freccero e altri ancora. Alcuni si sono costruiti una carriera proficua da macchiette televisive che non avrebbero mai avuto da studiosi. Parlare di dittatura del pensiero unico e di mancanza di possibilità di questi personaggi di esprimere le loro ragioni mi pare esagerato: ci sono moltissimi docenti universitari di ottimo livello, anche molto più esperti di questi, che non hanno gli stessi spazi, forse perché dicono cose troppo scontate o perché meno “televisivi”.
Quindi di spazio ce n'è, ce n'è per tutti. Se poi ci si lamenta del fatto che le tesi di Orsini o di Mattei o di Fusaro vengano attaccate, quello è un altro paio di maniche: non è censura ma è critica, che ovviamente è parte anche della libertà. A mio parere, ad esempio, le tesi di Orsini non sono da censurare, perché non ci vedo nulla di così scandaloso o pericoloso; piuttosto sono da criticare, perché sono tesi abbastanza stupide.
Per metà delle cose che ha detto, Orsini ha preso finora delle cantonate pazzesche: dopo una settimana dall'inizio del conflitto era impegnato a ribadire che Putin aveva già vinto e che bisognava arrendersi alla forza del suo esercito, eppure ora Putin è in grave difficoltà; ad un certo punto ha sostenuto la tesi bizzarra secondo cui le sanzioni dovevano essere comminate sulla base del numero dei bambini morti, cosa che ha fatto inorridire tutti i principali esperti di relazioni internazionali; poi è arrivato a sostenere che la minaccia atomica era impellente e Putin avrebbe raso al suolo l’Europa, e invece Putin continua tranquillamente a venderci il suo gas. Insomma, io non credo affatto che Orsini sia un personaggio prezzolato da Mosca, come qualche polemista sostiene; penso che sia piuttosto un personaggio che non ne capisce granché di questi temi, ma che con queste sparate è riuscito a trovare uno spazio.
E qui ritorniamo al punto di partenza. Orsini e quegli altri hanno successo perché c’è molta gente arrabbiata, perché c'è gente che guarda la televisione non per capire, non per mettere in discussione le proprie idee, ma per cercare di legittimare la propria rabbia e per cercare qualcuno che la spari grossa contro quelli che sono percepiti come nemici. Quando sei arrabbiato con l'Occidente (o con Draghi, o col PD, o con le banche, o con i gay, o con il divorzio) inizi in fondo a simpatizzare con tutti quelli che sono nemici dell'Occidente (o di Draghi, o del PD, o delle banche, o dei gay, o del divorzio) e quindi ad esempio anche con Putin. «Il nemico del mio nemico è il mio amico», puro e semplice.
E quando ti accorgi di simpatizzare con un personaggio che le sta sbagliando un po' tutte, perché ha riportato la guerra in Europa e rischia addirittura di perderla, cerchi qualcuno che lo assolva, che ne cancelli le colpe o che comunque sposti l'attenzione su altri temi. In questo senso Orsini e gli altri sono funzionali a convincerci che se ce l'abbiamo con il nostro mondo abbiamo ragione noi; che se siamo arrabbiati abbiamo ragione noi.
Tutto questo malessere però, mi sembra, ha anche altre radici. Non nasce con l’Ucraina o con il Covid; viene da prima, da qualcosa di più profondo. Ad esempio, deriva in parte dall’atteggiamento con cui ci poniamo di fronte alla realtà. Come ho scritto proprio ieri sui social, in Italia tutti fanno politica, ma quasi nessuno studia la politica. In Italia tutti sono tifosi, ma quasi nessuno è disposto davvero a sottoporre a critica la propria squadra o a cercare di capire come funziona il gioco.
La politica permea ogni discorso, anche accademico. Manca, a volte, l'onestà intellettuale (direi weberiana) per affrontare un problema da scienziati, in maniera neutrale ma allo stesso tempo approfondita; per cercare di cogliere le implicazioni, le conseguenze dei problemi al di là di quelle che sono le nostre idee politiche o le nostre speranze. Questo non si fa quasi mai, almeno sui grandi mezzi di comunicazione; piuttosto si parte dalle proprie speranze e dalle proprie paure (o dalle proprie rabbie) e poi si cerca, sulla base di queste ultime, di analizzare la situazione. È chiaro che se questo è il modus operandi, l’analisi che si ottiene è pesantemente di parte, faziosa, partigiana; e finisce per alimentare le divisioni piuttosto che arrivare a punti almeno essenziali di condivisione.
L'atteggiamento che dovremmo assumere invece è quello esattamente opposto. Certo, ognuno di noi ha le proprie idee, le proprie speranze, le proprie paure e le proprie rabbie, ma quando si studia, quando si cerca di capire il mondo, bisogna anche cercare di metterle da parte, metterle tra parentesi, e cercare di capire anche le prospettive altrui e le debolezze delle prospettive proprie.
Ci pensavo proprio in questi giorni preparando i video su Carl Schmitt, filosofo che odio visceralmente dal punto di vista personale (perché fu un nazista, e lo fu davvero), ma che allo stesso tempo trovo anche geniale. Ed è lo stesso atteggiamento che assumo quando studio Hegel o altri personaggi di questo tipo: da un lato non li sopporto, perché mi rendo conto che quello che dicono è davvero pericoloso e contrario ai miei valori, ma dall'altra parte mi rendo anche conto che sono veramente dei geni (a me piace chiamarli a volte “geni del male”), dotati di un’intelligenza da cui si può comunque imparare qualcosa.
Prendiamo appunto Schmitt: quando si leggono le sue opere si sente, forte, l'impronta di estrema destra, conservatrice o addirittura nazista, ma si leggono anche delle intuizioni clamorose, idee veramente capaci di scombinarti le categorie con cui di solito analizzi le cose. E l’atteggiamento che dovremmo avere davanti a qualsiasi intellettuale, soprattutto quelli di livello, è proprio questo: ascoltare, pensare, eventualmente rifiutare alcune derive, ma allo stesso tempo cercare di vedere se quelle cose hanno una parte di fondamento, possono insegnarci qualcosa, possono aiutarci a comprendere meglio il problema. Cioè dobbiamo imparare a metterci in discussione, uscendo dalla nostra comfort zone, dal nostro piccolo circolo di persone che la pensano sempre come noi e che ci rassicurano nei nostri piccoli odi e nelle nostre piccole paure, e confrontarci con un pensiero anche più profondo.
Questo lo dico ovviamente ai complottisti più o meno accesi ma lo dico anche a me stesso: tenersi la mente aperta è l'unica via per capire. Perché il paradosso è questo: viviamo in un’epoca in cui i complottisti fanno sempre più fatica a relazionarsi con i dati fattuali, in cui scelgono di chiudersi in una presunta verità che li rassicura perché alimenta la rabbia che già sentono di avere, ma pure chi si scaglia contro i complottisti può finire per chiudersi, perché questo atteggiamento finisce sempre per polarizzare le situazioni, per renderle più complicate.
Il guaio è che per aprirsi davvero ad opinioni che ci sconvolgano la mente bisogna anche scegliere bene chi ascoltare. Ho citato Schmitt non a caso, che era un nazista ma era anche un genio. Io sono ben disposto ad ascoltare delle opinioni controcorrente e anche radicalmente avverse alla mia, a patto che a formularle sia qualcuno in grado di renderle non dico credibili, ma quantomeno fondate.
Il problema non è che Fusaro, Orsini o Freccero vadano controcorrente; è che sono pensatori mediocri. E lo stesso si può dire anche di vari altri intellettuali di estrema sinistra o di estrema destra che in queste settimane hanno sostenuto in TV le ragioni di Putin: che nei loro discorsi non c'è nessun fatto o nessuna riflessione degna di nota. Solo una certa dose di odio verso l'Occidente, che ci può anche stare ma che non giustifica minimamente quello che sta accadendo in Ucraina. Ben vengano i pensatori controcorrente, perfino i difensori di Putin se serve, a patto che siano pensatori di livello. Di sciocchi che si oppongono al mainstream sono pieni i commenti dei video di YouTube, non c'è bisogno di portarli anche in televisione.
E questo ci porta all'ultimo tema che vorrei velocemente affrontare. Perché questa rabbia, questa delusione che spesso mi pare essere alla base di tanti discorsi non porta a quasi nulla di costruttivo? Perché alcuni di questi intellettuali si incaponiscono in discorsi al limite dell'assurdo? Questo è il tema veramente interessante su cui vorrei lasciarvi: e il problema, secondo me, è che un altro mondo non sembra possibile.
Mi spiego meglio: a prima vista, può sembrare strano che buona parte degli intellettuali che si espongono a favore di Putin provenga dall'estrema sinistra. Ci si aspetterebbe infatti che quegli intellettuali mal digeriscano le guerre imperialiste e in generale le guerre stesse, e quindi sembrerebbe lecito attendersi un rifiuto totale di quello che Putin sta facendo. Invece molti di questi intellettuali, soprattutto quelli di una certa età che hanno vissuto gli anni '60 e '70, oggi sono molto morbidi con Putin e invece durissimi con Biden, Draghi o l'Europa. Strano? Non tanto, per la verità.
Mi pare che la loro sia proprio la rabbia di cui parlavamo all'inizio, magari un pochino meglio argomentata: sono intellettuali arrabbiati perché in questi anni hanno visto trionfare un modello di società e di Stato che ritengono sbagliato. Sia chiaro, non voglio dire che abbiano torto a prescindere: il modello americano ha i suoi pregi e i suoi pesantissimi difetti e le valutazioni in questo caso possono essere le più variegate. Ma il fatto è che il modello americano almeno nel mondo occidentale non sembra avere più alternative.
Fino a trent'anni fa esisteva invece un modello contrapposto, quello comunista, che poi si declinava in molti modi: c'era il comunismo sovietico, ma c'era anche il comunismo cinese; c'era il comunismo alla Berlinguer e c'era il comunismo extraparlamentare. Tutte quelle dottrine volevano riformare la realtà, criticavano lo stato delle cose e proponevano un modello completamente diverso. Una buona parte degli intellettuali di allora confidava davvero in uno di quei mondi ideali, pensava davvero che un mondo diverso fosse possibile, come si diceva allora.
La caduta del muro di Berlino e tutto ciò che ne è conseguito hanno fatto morire tutte quelle speranze; il fallimento del comunismo o il mutamento del comunismo stesso in forme di capitalismo avanzato (come accaduto in Cina) hanno frustrato tutte le ansie di rinnovamento, che a volte erano anche legittime. Così, da trent'anni a questa parte sembra non esserci alternativa al modello liberal-democratico americano di stampo capitalistico.
La difesa di Putin mi pare essere figlia esattamente di questo: del desiderio di poter dire che un altro mondo è ancora possibile. Che l'America non può dominare il pianeta. Che il modello americano non può imporsi dappertutto. E poco importa che, come dicevamo prima, il modello di Putin non sia affatto migliore di quello americano sotto quasi nessun punto di vista; quello che importa è avere l'alternativa.
Ecco, io penso che il modello di Putin sia da evitare, se si ha a cuore la pace, la libertà e la giustizia sociale; penso anche, ovviamente, che pace, libertà e giustizia sociale non siano sempre garantite neppure dal modello occidentale e quindi che sicuramente ci sia bisogno di altri modelli, di altri modi di pensare la realtà e lo Stato.
Modelli che però obiettivamente ora come ora mancano, anche a livello teorico: se ci si butta nelle braccia di Putin è perché la realtà non ha saputo offrirci nulla di meglio, almeno finora. È questo il problema capitale che ci aspetta nel futuro: che i delusi dalla globalizzazione e dell'Occidente sembrano non avere altra speranza che un dittatore circondato da oligarchi o, in Cina, un capo a vita di uno Stato a partito unico.
Quello che ho registrato e pubblicato
Ecco anche i video e i podcast della settimana, se ve ne siete persi qualcuno.
L’Italia degli anni Duemila: cosa accadde nel primo decennio del nuovo millennio?
Guerra Fredda (1960-62): Muro di Berlino e crisi di Cuba: quando la distensione si mise in pausa e ritornò improvvisamente la paura
Carl Schmitt: la politica tra amico e nemico: il primo di due video dedicati al giurista tedesco di cui abbiamo parlato anche nella sezione Quello che ho pensato
Schmitt: il Nomos della terra: il secondo video, sempre su Schmitt
Come muoiono i filosofi (contemporanei): concludiamo la serie di video dedicati alle morti dei filosofi con quelli della seconda metà del Novecento
Ipazia di Alessandria (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
Le guerre di inizio Settecento (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che puoi fare per sostenere il canale
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Così parlò Zarathustra di Friedrich Nietzsche: se frequentate da poco il canale, forse non avete seguito la lettura integrale del capolavoro di Nietzsche che abbiamo messo in piedi qualche mese fa. La potete recuperare qui; se però volete anche, giustamente, il libro, lo potete comprare qui (o cliccando sull’immagine qui sotto).
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Cosa c’è in arrivo
E la settimana prossima, cosa troverete su YouTube e nel podcast? Ecco la solita lista:
innanzitutto, se trovo il tempo mi piacerebbe fare una diretta: non riesco più a rispondere in fretta a tutti i messaggi che ricevo e quello potrebbe essere un modo anche per farlo (però non so ancora quando);
vorrei fare di nuovo un video di storia romana, perché sono rimasto indietro;
vorrei andare avanti anche col percorso sulla Guerra Fredda;
per filosofia, non so ancora se continuerò subito con Husserl o con un altro tema;
per quanto riguarda i podcast, in filosofia cominceremo a parlare di cristianesimo mentre in storia ci avvieremo verso la Guerra dei 7 anni.
E questo è quanto. Alla prossima!
Ermanno, che bella lettura questa tua nuova newsletter. Vorrei scrivere tante cose, ma sono al lavoro e oggi non ho molto tempo. Hai trasmesso oltre le parole tanto di te. Continua così, noi ti vogliamo bene. Un saluto da Zurigo.
Complimenti per la Sua analisi nella parte "quello che sto pensando". Con il trascorrere degli anni mi porto a pensare al lato pessimistico di Arthur Schopenhauer e di quanto ha scritto: "..Eliminando qualsiasi pregiudizio, il risultato che questo mondo umano è il regno del caso e dell'errore che vi spadroneggiano spietatamente nelle grandi come nelle piccole cose, ma oltre ai quali stoltezza e cattiveria roteano anch'esse la frusta." a RileggerLa..