Sui giovani d'oggi e su cosa ci dicono le indagini su di loro, su film duri come The Menu e The Batman, sul nostro tempo in crisi con Camus e Parsi, su fumetti di svago come Asterix e Paper Girls
La scuola è ricominciata stamattina dopo due settimane di pausa e, devo dirvi la verità, per me (e forse anche per i miei studenti) è stata una mezza mazzata. Non perché durante le vacanze io abbia poltrito, anzi; ma perché riprendere dei ritmi che in realtà non sono i tuoi è sempre un po’ difficile. A questo si aggiunga che stamattina siamo partiti subito col botto: con un’uscita all’Archivio di Stato che mi ha bruciato anche le ore buche, con una corsa in bici sotto la pioggia battente, con una levataccia per organizzare tutto in casa.
Perché sì, la vita in casa in questi giorni è diventata un tantino più difficoltosa visto che c’è una novità in famiglia, che forse già conoscete se mi seguite anche sui social network: da qualche giorno abbiamo preso con noi un paio di gatti, i nostri primi animali domestici come famiglia. Io avevo un cane, da ragazzo, quando stavo ancora coi miei; mia moglie ne ha avuti anche svariati, di cani, prima che ci sposassimo; ma da quando abbiamo iniziato a vivere assieme nell’ormai lontano 2006 abbiamo dato priorità agli animali a due zampe, ovvero ai nostri figli (che sono stati anche molto impegnativi, visto che sono ben quattro).
Ora però, col figlio più piccolo che veleggia verso gli 8 anni, abbiamo pensato di tornare a complicarci la vita. E, in un certo senso, a complicarci pure i video: in questi primi giorni di ambientamento i gatti li abbiamo infatti tenuti quasi solo in studio, dove di solito io registro le mie lezioni e i podcast. Quindi se nelle puntate più recenti a volte vi capita di sentire un miagolio di fondo, sappiate che un motivo c’è.
Ma basta parlare di questioni familiari: siamo qui – voi ed io – per la cultura, sia quella alta che quella pop. Pertanto ora passiamo al menù classico della nostra newsletter: qui di seguito partiamo subito dai libri letti questa settimana.
Quello che ho letto
Devo dire che in realtà in questi giorni ho letto molto e in maniera anche piuttosto variegata, ma oggi preferisco concentrarmi su tre soli volumi (degli altri vi parlerò nelle prossime settimane): due sono dei fumetti di puro svago, il terzo invece è un saggio che non dice forse nulla di sconvolgente ma aiuta a mettere in fila tutta una serie di dati sul nostro tempo.
Asterix e la figlia di Vercingetorige di Jean-Yves Ferri e Didier Conrad: proprio questa settimana è arrivata sul web la notizia del cambiamento nel team creativo di Asterix, un evento che in Francia significa ancora molte cose. Come forse saprete, il celebre personaggio a fumetti fu creato infatti a fine anni '50 da René Goscinny e Albert Uderzo, due maestri d’oltralpe, e ha avuto lungo i decenni un successo clamoroso, tanto che ancora oggi quando esce un nuovo volume cartonato va in genere rapidamente a ruba, con tirature da milioni di copie. Dopo la morte dei due autori originari, però, le avventure del personaggio sono continuate ad uscire grazie a nuovi fumettisti, scelti con un certo rigore dalla casa editrice che detiene i diritti dei rissosi e baffuti galli: e in particolare dal 2013 ad occuparsi della serie sono stati Jean-Yves Ferri per i testi e Didier Conrad per i disegni. Da allora questa coppia ha realizzato cinque volumi; il penultimo, uscito nel 2019, è stato appunto Asterix e la figlia di Vercingetorige, che avevo in libreria già da un po’ di tempo ma che per un motivo o per l’altro non avevo ancora letto. Appena saputo, però, del prossimo addio di Ferri mi ci sono buttato a capofitto, dedicandomici durante queste vacanze. A dir la verità non mi è piaciuto molto: c’è, sì, il tentativo di intercettare il modo di sentire dei nostri tempi, proponendo una protagonista femminile peperina e di carattere, ma mi sembra che il tentativo sia troppo goffo per non mostrare tutti i suoi limiti. D’altronde, tentare di svecchiare un’icona come Asterix è sicuramente un’impresa non semplice; allo stesso tempo, però, mi sembra che forse si potesse procedere in modo diverso, rendendo meno evidenti i propri scopi ed imbastendo una storia più appassionante e meno scontata. Insomma, alla fine dei conti ho trovato il fumetto piuttosto deludente, almeno a mio avviso, anche se ho letto che in Francia alcuni critici l’hanno a suo tempo elogiato. Come anticipato, Ferri lascerà presto il ruolo di sceneggiatore a Fabcaro, ma prima di arrivare al cambio di rotta mi manca ancora un volume scritto sempre dallo sceneggiatore uscente: si tratta di Asterix e il Grifone, pubblicato nell’ottobre 2021, che non ho ancora letto. Intanto la storia della figlia di Vercingetorige (che storicamente non ha nulla di attendibile, ovviamente) la potete acquistare, se siete curiosi, qui.
Titanic di Vittorio Emanuele Parsi: negli ultimi mesi, Vittorio Emanuele Parsi è diventato un volto noto del panorama televisivo nostrano e forse anche del web. A farlo balzare agli onori della cronaca, qualche mese fa, è stato inizialmente il modo in cui ha liquidato le tesi di Alessandro Orsini, ritenute eccessivamente morbide nei confronti di Putin e della sua invasione dell’Ucraina. Parsi, che insegna relazioni internazionali alla Cattolica di Milano e in varie altre università europee, è però uno studioso che vale la pena di analizzare anche al di là dell’attualità più ristretta o dei dibattiti nei salotti televisivi. Il suo punto di vista, bisogna dirlo subito, è quello liberale, ma di un liberalismo mi verrebbe da dire critico, che sa mettersi seriamente in discussione. Titanic ha infatti come sottotitolo Il naufragio dell’ordine liberale, anche se nella nuova versione riveduta e ampliata da poco uscita questo sottotitolo si è fatto più esteso: Naufragio o cambio di rotta per l’ordine liberale. Al suo interno Parsi si interroga su cosa non abbia funzionato negli ultimi trent’anni e sul perché l’ordine liberale – ovvero il sistema occidentale, per farla breve, fondato su diritti e democrazia, con tutti i suoi limiti – abbia fallito nel suo obiettivo di dare a tutto il mondo e a se stesso regole via via sempre più giuste. Il suo punto di vista è quindi sì, come anticipavo, quello liberale, ma di un liberalismo sociale critico nei confronti del neoliberismo rampante, di un liberalismo che vuole riequilibrare le disuguaglianze alla maniera di John Rawls (sul quale uscirà a brevissimo una serie di video) e Amartya Sen. E proprio questo riequilibrio sociale è ciò che principalmente è venuto a mancare negli ultimi decenni, con ricchi che sono diventati sempre più ricchi e poveri che sono diventati sempre più poveri, e in mezzo una classe media che si è via via sempre più sgretolata. Nel libro, per carità, non c’è nulla di eccessivamente sorprendente: queste sono tutte questioni che gli analisti conoscono purtroppo da molto tempo; ma Parsi ha il merito di descriverle in modo convincente, mettendo tutte in fila le varie situazioni e tracciando così un quadro più completo sul panorama mondiale. Lo potete comprare qui.
Paper Girls vol.1 di Brian K. Vaughan e Cliff Chiang: lo confesso, mi sono fatto convincere a comprare e leggere questo fumetto relativamente vecchio (risale al 2015, almeno nella sua prima edizione) di Brian K. Vaughan soprattutto per via dell’hype legato alla serie TV che di recente ne è stata tratta, distribuita da Amazon Prime Video. Anche in questo caso, però, devo dire che mi è rimasto un po’ l’amaro in bocca: i disegni sono fantastici e il clima “anni '80” è ricreato in un’ottima maniera, ma è la storia a non convincermi. Anzi, meglio: è soprattutto la sceneggiatura a lasciarmi interdetto. La trama – senza troppi spoiler – è la seguente: un gruppo di ragazze guadagna qualche soldo, nell’America degli anni '80, distribuendo di prima mattina i giornali lungo le strade di una cittadina di provincia e lanciandoli nei giardini degli abbonati del posto, in modo che al risveglio tutti li trovino sul loro zerbino. Solo che, invece dei soliti balordi che di solito le ragazze incrociano lungo le strade, ora le protagoniste si imbattono in stranissimi personaggi che nel giro di poco tempo si rivelano essere persone provenienti dal futuro. La storia è quindi un’avventura fantascientifica con qualche paradosso temporale e un bel po’ di effetto nostalgia, ma a non convincere, come dicevo, non è tanto la trama quanto la sceneggiatura: per dire, alla fine del primo volume non ho ancora imparato il nome delle quattro protagoniste e faccio perfino fatica a distinguerle; allo stesso tempo, mi pare che il ritmo della storia proceda in modo incerto, accelerando quando non ce ne sarebbe bisogno e rallentando quando invece si sentirebbe la necessità di una sferzata. Insomma, magari sarò io ma a me è sembrata davvero una storia sceneggiata con la mano sinistra, come si suol dire, senza prestare troppa attenzione a tutta la confusione che si sarebbe creata. Sì, la parola giusta è proprio questa: invece di alimentare il mistero e, così facendo, suscitare curiosità, mi pare che Vaughan in questo caso abbia alimentato soprattutto il caos. Non so se leggerò anche i volumi successivi, anche se ho letto vari apprezzamenti per il prosieguo della storia; il primo comunque, se vi interessa, lo trovate qui.
Quello che ho visto
Passiamo ora ai film. Contrariamente a quello che ho scritto in tutte le settimane scorse, adesso – complici le vacanze e più tempo da passare con la famiglia al gran completo – ho ripreso a dedicarmi maggiormente ai film, mettendo completamente da parte le serie tv. Come vedrete, non si tratta però di pellicole di grande impegno: con i figli bisogna fare qualche compromesso. Però, in tutta onestà, i primi due film interessavano molto anche a me.
The Batman (2022), di Matt Reeves, con Robert Pattinson, Zoë Kravitz, Paul Dano: finalmente ho visto l’ultima versione di Batman, quella con Robert Pattinson sotto la maschera. La storia è tutto sommato più originale del solito: i toni sono estremamente duri e dark, Batman parla pochissimo e sempre controvoglia, Bruce Wayne non è affatto il bel latin lover che ci si poteva aspettare e per la prima volta Zoë Kravitz mi pare azzeccata per un ruolo (Catwoman le riesce bene). Inoltre il nemico è sì un classico avversario dei fumetti, ma qui intento a organizzare una sorta di grande attentato terroristico contro il potere costituito, tanto che in certi momenti pare di assistere quasi all’assalto a Capitol Hill del gennaio 2021 (o all’assalto di Brasilia di poche ore fa). Insomma, qualche innovazione intelligente c’è stata, e devo dire che in generale Matt Reeves mi pare aver gestito al meglio il materiale che aveva a disposizione. Quello che invece mi lascia più perplesso è il fatto che il film sia esageratamente lungo (3 ore, quando forse ne bastavano 2 o poco più) e che forse anche queste innovazioni non bastano più davanti a un personaggio che ha vissuto già mille vite e ha toccato tutta la gamma supereroistica, dall’allegro compagno di quartiere al tormentato cavaliere oscuro. Insomma, film interessante ma non sconvolgente, perché mi sembra quasi che più di così non si possa proprio fare con Batman. O sbaglio? Al momento la pellicola potete trovarla su Sky.
The Menu (2022), di Mark Mylod, con Anya Taylor-Joy, Ralph Fiennes, Nicholas Hoult: di questo film ho parlato – ovviamente in modo molto veloce – in un TikTok che trovate segnalato più avanti, ma in generale posso dire che è stato la sorpresa della settimana. Non avevo letto molto al riguardo e mi sono fidato semplicemente del fatto che ci fossero ottimi attori nel cast (perfino per Nicholas Hoult, che nella pellicola interpreta un personaggio particolarmente odioso, ho un debole da tempo). Anzi, per qualche motivo mi ero anche convinto che si trattasse di una commedia, quindi mi sono messo sul divano convinto che ci sarebbe stato abbastanza da ridere. In realtà no, c’è poco da ridere, a meno che non siate fan del black humor: non vi rivelerò nessun dettaglio della storia, ma sappiate che si tratta di un thriller con toni quasi horror. Nonostante la sorpresa, però, il film mi è piaciuto e un po’ mi ha inquietato: abbastanza visibile, sotto al primo livello della trama c’è una critica durissima contro la nostra società contemporanea, quella che spesso chiamiamo la società della performance, una società in cui si perde il gusto delle cose – siano essi i cibi, i rapporti personali o il lavoro stesso –, troppo presi come siamo dal denaro, dai ritmi frenetici, dalle nostre stesse aspettative. Il tema, da insegnante, mi è particolarmente caro: dobbiamo riuscire ad insegnare ai nostri ragazzi che bisogna puntare a migliorarsi, ovviamente, ma senza perdere mai l’amore e il gusto per quello che si fa; che è meglio un 7½ preso appassionandosi a quello che si studia che un 8 preso odiando la materia, solo perché bisogna arrivare a quegli standard. Il fatto che un film del genere stimoli queste riflessioni parlando di dita mozzate non è in fondo male. Lo trovate su Disney+.
Raya e l’ultimo drago (2021), di Don Hall, Carlos López Estrada, Paul Briggs, John Ripa: nonostante questo film della Disney sia piuttosto recente (è uscito poco più di un anno fa), l’ho già visto due volte. Questa seconda visione è arrivata sostanzialmente a Capodanno, perché i festeggiamenti nella mia famiglia impongono anche qualche film a cartone animato. Non è stato una brutta scelta: il film non è un capolavoro e anche nel catalogo disneyano ce ne sono di migliori, ma è comunque godibile, ha qualche bel momento e si lascia guardare. La storia, ambientata in un mondo fatato che sembra richiamare però il sud-est asiatico, si concentra su Raya, ragazza che si mette alla ricerca di una gemma, o meglio dei frammenti di questa gemma, anche con l’aiuto di un drago, Sisu, in grado di trasformarsi in essere umano. Lo trovate anch’esso su Disney+.
Quello che ho pensato
Tra le varie cose che mi hanno dato da pensare questa settimana ce n’è una che forse merita un’attenzione un po’ più ampia, e riguarda i giovani. Sulla stampa – ad esempio qui e qui – sono infatti usciti nei giorni scorsi degli interessanti articoli che hanno ripreso i risultati di un’indagine condotta in vari paesi occidentali, Europa ed Italia compresi.
Per farla breve, i risultati di quell’indagine sembrano indicare che i giovani d’oggi siano meno propensi di quelli del passato a praticare comportamenti di solito ritenuti “a rischio”, come fumare, consumare alcolici, assumere cannabis, commettere reati, anticipare l’età dei primi rapporti sessuali. Brutalmente, i giovani di oggi sembrano essere meno “scapestrati” di quelli di un tempo; qualcuno al governo direbbe, forse, che sono meno “deviati”.
Ovviamente si sta parlando di statistiche generali, che ammettono diversi gradi e diverse eccezioni a seconda dei paesi e delle situazioni sociali; in generale, però, il dato ricorre in maniera più o meno costante in una gran massa di paesi, segno che effettivamente a livello globale i comportamenti dei giovani negli ultimi venti o trent’anni sono cambiati, sono diventati più “salutari” o comunque più “controllati” e che questi giovani sembrano mediamente più posati.
Quando si leggono queste notizie, la reazione classica è quella di cercare conferme o smentite nella propria esperienza personale. Anch’io ho cominciato subito a pensare a come si comportano i miei studenti o i miei figli e a cercare di confrontare i loro atteggiamenti con quelli che avevo io o che avevano i miei coetanei trent’anni fa. Un gioco che è pure simpatico, ma statisticamente poco rilevante: per quanto io sia stato giovane e abbia conosciuto e frequentato centinaia di giovani ai miei tempi, e per quanto continui a frequentare centinaia di giovani oggigiorno, questi numeri non rappresentano certo un campione statistico rilevante. Non cadete anche voi, dunque, nel tranello di dire che sotto casa vostra ci sono sempre dei ragazzini mezzi ubriachi, perché quello che succede sotto casa vostra non fa troppo testo (o lo fa solo per voi).
Al di là di questa premessa metodologica, quello che emerge dall’indagine mi pare piuttosto significativo. E vale la pena, soprattutto, di chiedersi due cose, a mio avviso: a) cosa può aver portato a raggiungere risultati di questo tipo un po’ in tutto l’Occidente?; b) questo dato ci può dare qualche indicazione sul futuro o su come dovremmo agire nei confronti dei giovani?
Partiamo dal primo punto. I comportamenti dei giovani, ovviamente, non cadono dal cielo: sono frutto di educazione, società, esempio, possibilità. Evidentemente, se gli adolescenti di oggi sembrano meno scapestrati di tutti quelli che li hanno preceduti, uno di questi elementi, o forse anche più d’uno, deve aver influito. I giovani di oggi sono più educati, o meglio educati, di quelli di un tempo? O è la società ad aver cambiato atteggiamento nei loro confronti? Sono migliori gli esempi che i giovani hanno davanti, oppure semplicemente non hanno più la possibilità di compiere certi gesti o attività inopportune?
A me sembra che la risposta corretta, probabilmente, coinvolga tutti questi diversi fattori. In generale, i giovani di oggi sono numericamente di meno e molto più seguiti dalle loro famiglie; praticano più sport, vengono coinvolti molto di più in attività organizzate (dalla scuola, dagli scout, dalle associazioni, dalle parrocchie), vengono probabilmente anche più seguiti dai genitori. E questo è forse un primo motivo che li spinge a praticare meno comportamenti “pericolosi” (qualsiasi essi siano).
È poi anche la società ad essere cambiata, probabilmente. Un po’ in meglio, un po’ in peggio: da un lato, infatti, si prende maggiormente a cuore la salute dei più giovani, si varano progetti e politiche atte a ridurre problemi (pensate alle leggi contro il fumo nei locali pubblici o a quelle che controllano maggiormente chi si mette alla guida dopo aver bevuto); dall’altro, però, bisogna anche dire che i ragazzi di oggi tendono probabilmente a passare più tempo al chiuso che all’aperto, davanti a un computer o a uno smartphone più che in giro per le strade di notte, e questo crea magari problemi di socializzazione che sono meno dannosi per la salute fisica (o per quello a cui quell’indagine prestava attenzione), ma non meno per la psiche.
Tutto questo poi si lega agli esempi e alle possibilità. Nei film non si vede quasi più nessuno fumare, come lo si vede sempre meno anche in giro; i genitori stessi, spesso, hanno smesso di fumare (o almeno di fumare davanti ai figli). E le leggi sono diventate più restrittive, come anticipavo anche prima, ad esempio controllando in maniera più efficace chi si mette alla guida con un tasso alcolico sopra al consentito. Quanti ragazzi della mia generazione o di quelle precedenti sono morti sulle strade in incidenti dovuti all’ubriachezza, o per droga, e quanto i dati di queste morti sono per fortuna oggi più contenuti?
Quindi sì, credo che molte cose siano cambiate, perlopiù positive, e qualche merito vada ascritto alla società e alla scuola, che hanno indubbiamente avuto un ruolo in tutto questo. Rimane il dubbio, però, che anche il maggior isolamento dei giovani d’oggi abbia contribuito a risultati così netti, e questo non è certo un elemento positivo.
Passiamo ora al secondo argomento: cosa possiamo imparare per il futuro da questi dati? A me vengono in mente due cose. Primo, che dobbiamo aver più fiducia in questi giovani, che probabilmente, sotto diversi punti di vista, sono migliori di come eravamo noi. Secondo, che questi giovani però, per il fatto di non aver sbagliato mai (o di aver sbagliato meno della media) sono un po’ più esposti di noi ai rischi della vita.
Sul primo aspetto mi sono già dilungato altre volte: sono convinto da tempo che l’equilibrio della nostra società si sia da tempo invertito in modo innaturale, e che oggi a noi interessi molto di più tutelare chi ha una certa età che aiutare e sostenere chi sta crescendo. I giovani, soprattutto in Italia, si trovano a dover affrontare presto o tardi un muro, sia dal punto di vista lavorativo (spesso per loro c’è poco lavoro, o dequalificato, o sottopagato, o precario), sia dal punto di vista sociale e politico (la grande maggioranza delle iniziative del Parlamento e del Governo sono volte a tutelare altre categorie); questo li spinge spesso ad andarsene altrove, e altre politiche simili spingono le famiglie a fare molti meno figli di un tempo. Questa rotta andrebbe il prima possibile invertita, perché ci priviamo spesso delle menti migliori che abbiamo a disposizione e delle forze più fresche.
Più interessante e originale è però il discorso che forse si può fare riguardo al secondo punto tra quelli che elencavo prima. Già nei commenti agli articoli che citavo sopra qualcuno diceva: tutto bello, ma non è che crescendo giovani così a modo stiamo togliendo loro qualcosa? Detta in altri termini: non è che rischiamo di creare una generazione che, non passando attraverso la difficoltà e l’errore, non è davvero cresciuta e maturata? La domanda può sembrare superficiale, e forse in parte lo è, ma nasconde dietro a sé un curioso spunto filosofico. È infatti una domanda che, in un certo senso, potrebbe esserci stata posta da Hegel.
Ricordate la dialettica hegeliana? Quella legge della storia e del pensiero che si dispiega tramite una triade che parte dal momento positivo ma ingenuo (la cosiddetta tesi), passa attraverso il momento negativo di caduta (la cosiddetta antitesi), per poi culminare nel superamento dei contrasti (la sintesi). Hegel stesso sosteneva che questa legge si potesse applicare anche alla vita umana: la tesi è l’infanzia, il momento cioè in cui si è in pace col mondo ma perché non lo si conosce davvero; l’antitesi è l’adolescenza, la fase in cui si entra in conflitto col mondo; la sintesi è l’età adulta, quando si ritrova un nuovo equilibrio col mondo, un equilibrio che però si basa anche sulle difficoltà dell’adolescenza, ora superate.
Ecco, se prendiamo per vera la legge hegeliana, noi rischiamo di creare una generazione che, una volta giunta all’età adulta, non sarà pienamente passata attraverso le difficoltà dell’antitesi e quindi sarà, forse, meno realizzata, completa, matura nel senso più proprio del termine.
Io tendo a non credere in maniera eccessiva alle leggi idealistiche, però è pur vero che questa generazione così “a modo” (o che pare almeno esserlo dal punto di vista statistico) sta arrivando all’età adulta senza aver fatto del tutto i conti con alcune difficoltà con cui le generazioni precedenti hanno dovuto tutte misurarsi. Non dico che serva per forza una guerra o la droga per temprare gli animi, ma mi pare di percepire – ancora una volta: nel mio piccolo, e quindi senza rilevanza statistica – in generale una diffusa fragilità, un somatizzare in maniera fin troppo netta i problemi anche piccoli che arrivano sulla propria strada, una difficoltà a relativizzare.
D’altronde, quando hai visto dei compagni di strada perdersi completamente, o morire, ti rendi anche conto che un 4 in una verifica di latino è ben poca cosa; ma quando non hai mai dovuto fare i conti con grossi dolori o grosse paure, tutto sembra più insormontabile.
Sono questioni su cui, ovviamente, il nostro potere – come educatori, genitori, cittadini – è minimo, ma forse a queste cose dovremmo prestare più attenzione. Per il bene dei nostri “bravi” ragazzi.
Quello che ho registrato e pubblicato
Dopo tante parole scritte, facciamo ora il punto sulle parole pronunciate, o in video o in podcast: ecco tutto quello che ho pubblicato su YouTube e sui social nel corso di questa settimana:
Il pensiero di Albert Camus e il mito di Sisifo: a grande richiesta degli abbonati al canale, è finalmente arrivato un video su Camus e il suo pensiero
Crisi del III secolo e anarchia militare: prosegue il nostro percorso di storia romana, parlando delle difficoltà dell’impero
L’Autunno del Medioevo - Audiolibro spiegato parte 16: nuovo capitolo della nostra lettura integrale, incentrato questa volta sulla devozione religiosa esagerata
Dio va oltre la scienza (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
Il volontarismo teologico di Ockham (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
Le varie indipendenze nel Sud America (per il podcast “Dentro alla storia”)
La società e la politica degli Stati Uniti nella prima metà dell’Ottocento (per il podcast “Dentro alla storia”)
Matrix e Cartesio: continuano anche i video brevi per TikTok e non solo, a partire da questo in cui parlo di un classico: il legame tra Matrix e Cartesio
Da Fight Club ad Aristippo di Cirene: per rimanere in tema “film usciti nel 1999”, vi parlo anche di Fight Club
The Menu tra Aristotele e cattolicesimo: terzo e ultimo short della settimana dedicato al film di cui abbiamo parlato sopra
@scrip79Cosa c’entrano l’eucarestia cattolica e Aristotele con il nuovo film horror The Menu? Per la verità il punto di contatto è solo una parola, ma stranissima #themenu #ralphfiennes #anyataylorjoy #filosofia #storia #transustanziazione #martinlutero #riforma #protestantesimo #luteranesimo #calvinismo #giovannicalvinoTiktok failed to load.
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Quello che devi fare per seguirmi sui social
Come già ho cominciato a fare la settimana scorsa, visto che ci siamo vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
Il canale YouTube | Instagram | Facebook | Twitter | TikTok
Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono i nuovi abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri e videocorsi che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
Il giardino dei Finzi-Contini di Giorgio Bassani: se la si vuole capire in maniera completa e a fondo (per quanto umanamente è possibile), la storia è bene studiarla sui saggi storici. Sul mercato ce ne sono per fortuna parecchi di ottimo livello, per ogni fase dello sviluppo umano. Questi saggi, però, a volte rischiano di farci sfuggire la dimensione umana delle questioni: perché dietro alla politica, all’economia e alla società ci sono anche le storie dei singoli, che sono altrettanto importanti e che ci aiutano a cogliere forse meglio lo spirito di un’epoca, il modo di pensare di una certa età. Così appoggiarsi a qualche romanzo storico, in particolare autobiografico, può essere altrettanto importante, a patto che si sappia poi distinguere tra storia e memoria. Oggi vi propongono proprio un romanzo che può essere inquadrato nel filone di quelle storie che appassionano ma che allo stesso tempo ci dicono qualcosa di molto preciso sul nostro passato; e questo libro è Il giardino dei Finzi-Contini, il capolavoro di Giorgio Bassani dedicato alla vita a Ferrara dal punto di vista di un ragazzo ebreo durante gli anni del fascismo. Il libro è bello ed è anche, giustamente, considerato uno dei più importanti della nostra letteratura del Novecento. Lo si può comprare qui.
Disegno architettonico con acquerello e inchiostro: l’architettura e gli edifici hanno un fascino tutto particolare. E diventano ancora più affascinanti quando si riesce a riprodurli su carta in modo artistico, con un tocco di vitalità e di fantasia. Se anche voi siete appassionati di tutto questo, il corso che vi suggerisco oggi fa probabilmente al caso vostro: l’insegnante, lo storyboard artist Alex Hillkurtz, vi mostra infatti passo passo come realizzare un grande disegno architettonico utilizzando gli acquerelli e l’inchiostro, per un effetto davvero sorprendente. Il corso costa poco meno di 16 euro e si compone di ben 20 lezioni. Lo trovate qui.
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né fare corsi, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Quello che c’è in arrivo
Chiudiamo come sempre con una veloce panoramica sui video in lavorazione e su cosa potrebbe arrivare nei prossimi giorni:
già domani dovrebbe uscire il primo video di una serie su John Rawls, richiestomi dagli abbonati tramite il nostro consueto sondaggio mensile;
poi arriverà una nuova puntata della serie dedicata a Napoleone III, incentrata questa volta sulle sue scelte coloniali;
aspettatevi poi anche una nuova puntata della lettura dell’Autunno del Medioevo;
forse preparerò anche un video su Benedetto XVI: qualcuno mi ha chiesto di dedicargli una lezione e credo che alla fine ne possa valere la pena, tra storia, filosofia e attualità (cercando di non cadere nell’agiografia, che invece sta contrassegnando molti discorsi di questi giorni);
sul versante podcast andremo avanti con Ockham (anche se non credo riusciremo a finirlo, ci vorranno almeno un paio di puntate) e parleremo ancora di Stati Uniti.
E questo è tutto anche per questa settimana. Per lunedì prossimo spero di aver ripreso il mio solito ritmo e soprattutto di proporvi qualche altro bel video e contenuto. Sappiate che sto preparando anche un TikTok sul ballo di Mercoledì Addams dal punto di vista storico! A lunedì 16!