Sui veggenti post-hegeliani e il loro metodo, ma anche su Indiana Jones, Milan Kundera, Black Mirror, Cormac McCarthy, il Markdown, Pesci piccoli, Peter Singer e i grandi magazzini
La metà di luglio è passata e, come mi hanno recentemente ricordato i miei figli, anche il primo dei tre mesi di vacanza da scuola è volato. Per la verità per me le vacanze sono appena cominciate, visto l'impegno degli esami, ma sicuramente negli ultimi giorni ho potuto riprendere un po' di fiato dopo un anno veramente intenso.
Gli abbonati al canale, ad esempio, avranno notato che per la prima volta dopo almeno un paio di mesi i video in anteprima hanno ricominciato ad essere non dico numerosi, ma almeno presenti. Per diversi mesi infatti non sono riuscito a portarmi avanti col lavoro e ho navigato davvero “a vista”, spesso realizzando giorno per giorno i vari video che uscivano sul canale. Ora invece sto accumulando per fortuna una piccola riserva, che mi permetterà di fare anche qualche giorno di pausa vera durante l'estate e, magari, di varare qualche piccolo progetto di più ampio respiro.
Certo il caldo di questi giorni non aiuta: forse non lo sapete, ma il Polesine non è solo una terra molto calda (anzi, in Italia ci sono sicuramente zone anche più calde), ma è soprattutto afoso. A Rovigo manca proprio l'aria e il tasso di umidità in certi giorni è incompatibile con la vita umana, figuriamoci con la storia o la filosofia. Proveremo a sopravvivere, ma se notate dei video con scarsa lena e un ritmo più sonnacchioso del solito sappiate che il motivo è quello.
Ultima notizia prima di cominciare con la newsletter vera e propria: dalla settimana scorsa ho cominciato a usare i social anche per segnalare novità in libreria che mi paiono interessanti. Si tratta di libri che non ho ancora letto (e che forse neppure leggerò: non c'è tempo per tutto) ma che, per la fama degli autori o degli editor, o ancora per alcune recensioni lette qua e là, mi sembrano interessanti. Insomma, sono libri da provare, se vi attraggono o vi ispirano. Seguendomi sui social potrete vedere le segnalazioni giorno per giorno, con anche qualche nota sul libro in questione; comunque più avanti nella newsletter trovate un veloce riassunto di tutti i libri segnalati questa settimana.
E adesso, partiamo.
Quello che ho letto
Cominciamo come sempre dai libri, a cui, come un po’ tutti d’estate, mi sto dedicando con particolare fervore in questi giorni. E nella lista noterete subito un paio di novità.
Infocrazia di Byung-chul Han: scriverò qualcosa anche più avanti, nella sezione Quello che ho pensato, riguardo al libro di Han, Infocrazia, da poco uscito in traduzione italiana. E vi anticipo già che non ne parlerò benissimo, soprattutto perché più passano gli anni, più lo stile netto e catastrofico del filosofo sudcoreano tende abbastanza ad irritarmi. In realtà però, razionalmente parlando, devo anche ammettere che i suoi libri sono ricchi di spunti interessanti, e quindi vale probabilmente la pena di leggerli; allo stesso tempo, però, mi sembra che siano anche segnati da un difetto di fondo molto forte, anzi due. Più avanti vi parlerò del primo di questi difetti, l'hegelismo; qui vorrei parlarvi dell'altro. Qualche decennio fa Umberto Eco scrisse un gustoso saggio intitolato Apocalittici e integrati, in cui metteva alla berlina due opposti atteggiamenti che contraddistinguono, forse in ogni epoca ma soprattutto in quella attuale, il mondo intellettuale: da un lato quello di urlare che il mondo è in rovina, che si sono perse tutte le cose buone che c'erano un tempo e che la società marcia a passi spediti verso l'apocalisse; l'altro consiste invece nel mostrare che il nostro è sempre il migliore dei modi possibili e che ogni svolta culturale in realtà è un progresso. Ovviamente entrambi questi atteggiamenti, per il loro estremismo, tendono a non cogliere la sostanza delle cose e a risultare oltremodo sterili. Ecco, Han – ma l'elenco di pensatori di questo tipo potrebbe essere molto lungo – mi sembra appartenere indubitabilmente alla schiera degli apocalittici (e d’altronde è una versione potenziata di Adorno e della Scuola di Francoforte, contro cui il saggio di Eco era rivolto): ogni volta che si legge un suo scritto ci si chiede come l'umanità possa aver rovinato tutto. In Infocrazia, ad esempio, sostiene la tesi secondo cui viviamo in un vero e proprio totalitarismo (questa volta dell’informazione), che sembra perfino peggiore dei totalitarismi del Novecento. Ora, io capisco la vis polemica e l'esaltazione che si prova quando ci si lascia trasportare dalla propria tesi, ma anche solo accennare al fatto che il nostro mondo contemporaneo possa essere peggiore della Germania hitleriana o della Russia staliniana mi pare un'idea che, guardata con un po' di distacco, non possa far altro che far ridere, per la sua ridicolaggine. Verrebbe da dirgli: vallo a raccontare agli ebrei nei campi di sterminio, agli oppositori politici, agli omosessuali o ai kulaki, che la nostra società è peggiore della loro, e vediamo cosa ti rispondono. Certo, il nostro mondo ha i suoi bei problemi, ma bisogna inquadrarli con onestà intellettuale e senza farsi trascinare da idee eccessivamente aristocratiche o radical chic. Un’ultima cosa, prima di passare ad altri libri: tra gli argomenti che Han porta a favore della sua tesi, c'è anche quello secondo cui oggi il dibattito politico è infinitamente peggiore di quello di un secolo e mezzo fa. Ora, su questo punto tenderei anche a dare ragione a Han, perché è abbastanza evidente che i comizi politici e i dibattiti televisivi hanno impoverito e stanno impoverendo la nostra democrazia; allo stesso tempo, però, i paragoni vanno fatti con cognizione di causa. Han cita ad esempio il fatto che a metà Ottocento Abramo Lincoln e un suo avversario furono protagonisti di un dibattito pubblico in cui potevano parlare ognuno continuativamente per tre ore, articolando il pensiero in maniera molto elaborata e davanti ad un pubblico che evidentemente riusciva a seguirli. Non conoscevo la storia di questo dibattito, che è anche interessante, ma il paragone mi pare un po' pretestuoso: il fatto che a metà Ottocento un politico potesse ragionare ininterrottamente per tre ore non significa che allora il dibattito pubblico forse necessariamente migliore di quello di oggi. Bisognerebbe infatti chiedersi davanti a quante persone Lincoln e il suo avversario parlassero. Stiamo parlando, infatti, della metà dell’Ottocento, dell'epoca della schiavitù, e non è secondo me assurdo ipotizzare che negli Stati Uniti del tempo le persone in grado di ascoltare dibattiti pubblici del genere fossero meno dell’1% della popolazione. Oggi i nostri dibattiti televisivi così sciagurati vengono guardati da milioni di persone: ed è per questo che il paragone non regge. Se noi prendessimo solo l'1% più istruito la nostra popolazione, probabilmente sarebbe in grado di seguire comizi lunghi come quelli di metà '800, perché quell’1% della popolazione legge libri, frequenta l'università e in generale ha un’istruzione di alto livello. Il problema non è tanto che il dibattito pubblico si sia impoverito, perché quello è piuttosto l'effetto che la causa: il problema è che in una società di massa il livello generale della politica tende ad abbassarsi. Un discorso del genere si può fare anche con la scuola: non è raro imbattersi in nostalgici del passato che ricordano come un secolo fa i livelli di istruzione dei diplomati alla fine del liceo fossero molto più alti di quelli raggiunti dai nostri studenti attuali. Ovviamente questo è vero, ma è anche vero che non è tanto la scuola ed essersi abbassata, quanto piuttosto la platea degli studenti liceali ad essersi allargata. Un secolo fa in Italia c'erano solo due licei, il classico e lo scientifico, e le classi erano pochissime e poco numerose. Per fare un esempio, negli anni '20 del Novecento nella mia provincia c'era una sola classe di liceo scientifico, per un totale di una ventina (scarsa) di studenti; oggi le classi sono sette nel capoluogo più altre quattro o cinque sparse in altre città della provincia, senza contare tutti gli altri licei che sono sorti, come quello linguistico, quello delle scienze umane e via discorrendo. Il numero degli studenti che frequenta il liceo oggi è 20 o 30 volte più grande del numero di quelli che lo frequentavano un secolo fa. Per poter fare quindi un paragone serio sui livelli raggiunti dagli studenti dovremmo prendere in media un ragazzo per ogni classe attuale, il migliore, e formare quindi una super-classe di 20 ragazzi da paragonare con quelli di un secolo fa: la mia impressione è che questa super-classe probabilmente reggerebbe il confronto con i compagni del '900. Il problema, dunque, non è che i nostri studenti sono diventati più scemi, quanto piuttosto che sono diventati tanti, e che adesso frequentano il liceo ragazzi che 30 o 40 anni fa avrebbero fatto l'Istituto tecnico e poi sarebbero andati a lavorare. Tutto per dire che se si scelgono gli esempi con la pratica del cherry picking, cioè prendendo solo quello che ci fa comodo e trascurando tutto il resto, si può cercare anche di dimostrare che non si sia mai vissuti così male come oggi; la realtà, però, tende a essere più complessa di così, presentando momenti di arretramento ed altri di avanzamento che spesso convivono misteriosamente insieme. Comunque, sei il libro di Han vi interessa, lo potete trovare qui.
Il passeggero di Cormac McCarthy: l’avevo preannunciato la settimana scorsa e mi sono trovato a raccontarlo anche in un video, quello dedicato al Markdown in uscita in questi giorni, forse perché è stato un evento un po' particolare: ho infatti finito di leggere l'attesissimo libro di Cormac McCarthy, Il passeggero, e sono uscito da questa esperienza un po' frastornato. Come molti, infatti, mi sono buttato su questo romanzo preso da un certo entusiasmo, memore di quanto bello e incisivo fosse stato il lavoro precedente dello scrittore americano, La strada, uscito però parecchi anni fa. Visto poi che nel frattempo McCarthy, anche piuttosto anziano, è venuto pure a mancare, il romanzo in questione ha assunto facilmente l'aura di una sorta di testamento spirituale, cosa che ovviamente ha creato aspettative ancora più forti. Purtroppo però, almeno nel mio caso, queste aspettative non sono state mantenute fino in fondo. Certo, si tratta di un romanzo difficile e complesso che non si può giudicare troppo a cuor leggero, ma allo stesso tempo mi sembra che McCarthy non sia riuscito davvero a colpire fino in fondo nel segno e che anche alcune recensioni favorevoli si appellino più al passato glorioso dello scrittore che all'effettiva riuscita di questo romanzo. Mi sembra infatti che tutti gli elementi validi, che pur ci sono, all'interno della storia siano stati lasciati cadere e non sviluppati dallo scrittore, che ha preferito invece concentrarsi su questioni abbastanza risibili. Per fare solo un esempio, le riflessioni più interessanti e utili sono arrivate sempre dei personaggi secondari, che però allo stesso tempo sono stati anche ampiamente trascurati in favore di una storia, quella dei due fratelli Western, che rimane abbastanza assurda e mi sembra anche molto distante da quella che è l'esperienza umana. Il paradosso sta proprio qui: che i personaggi più interessanti erano gli ubriaconi o i trans che comparivano qua e là nelle pagine e che, pur nelle loro particolarità, riuscivano a rappresentare a pieno la vita, mentre i due protagonisti portavano una storia che almeno a me non diceva nulla o quasi, persi in un amore mai ben chiarito né, onestamente, condivisibile. Poi è chiaro: siamo comunque di fronte al lavoro di uno che sa lavorare con le parole e quindi non si può certo dire che non valga la pena di leggere questo libro, ma in generale rimane un po' di amaro in bocca per una vicenda che sarebbe potuta diventare un capolavoro e che invece almeno a me sembra un progetto incompiuto. Se volete leggerlo, lo potete acquistare qui.
Il mondo scritto di Martin Puchner: stimolato da suggerimento nella chat degli iscritti al canale, nei giorni scorsi mi sono procurato e ho cominciato a leggere questo libro, Il mondo scritto, che non conoscevo affatto. Da come me l'hanno presentato, dovrebbe essere essenzialmente un libro che parla di libri, una sorta di viaggio nella storia della letteratura condotto però con fare più narrativo che di studio. L'inizio in effetti per ora non ha tradito le attese: lo spunto di partenza arriva addirittura da una missione spaziale degli anni '60, conclusasi con la lettura, durante il collegamento con Houston, di un passo della Genesi; poi si passa a parlare dei poemi più antichi e in particolare dei poemi omerici, calandoli però nella vita e nella storia di Alessandro Magno. Immagino che le molte pagine successive saranno poi dedicate ai passi che la letteratura ha compiuto da quei tempi remoti fino ai giorni nostri, con un'ottica però soprattutto incentrata su come quella narrativa ha inciso sulla vita delle persone. Interessante, anche se la grand mole del libro mi lascia pensare che ci metterò un bel po' a leggerlo tutto. Se vi interessa, è disponibile qui.
Quello che ho visto
Passiamo ora ai film e alle serie TV.
Black Mirror episodio 6.02 (2023), di Charlie Brooker, con Samuel Blenkin, Myha’la Herrold, John Hannah: su Black Mirror mi è capitato di leggere in questi giorni cose abbastanza contrastanti: da un lato c’era chi esaltava la nuova stagione di una delle serie più interessanti e intelligenti degli ultimi decenni, mentre dall’altro qualcuno affermava che ormai lo show aveva dato tutto quello che poteva dare. Come ricorderete ho visto subito il primo episodio di questa sesta stagione, rimanendone favorevolmente colpito, ma non avevo ancora avuto tempo di guardarmi le puntate successive. Ho cominciato a rimediare questa settimana col secondo episodio, intitolato Loch Henry e ambientato in un disperso paesino scozzese. In effetti non posso affatto dire che questa seconda puntata sia all'altezza della prima: non tanto perché sia fatta male o non si lasci guardare, quanto piuttosto perché sembra la puntata di una serie qualsiasi. Ciò che ha sempre contraddistinto Black Mirror e che ne ha fatto la fortuna è stata infatti la capacità di mostrarci come la tecnologia stia rendendo assurdo e complicato il nostro mondo, con episodi spesso a metà strada tra l'horror ed il grottesco. Anche Joan è terribile, il primo episodio di questa stagione, aveva confermato questa tendenza, mentre questo secondo episodio sembra piuttosto tradirla: a parte la presenza di alcune videocassette, la trama sembra essere completamente slegata dalla tecnologia, non aver proprio nulla a che fare con essa. La storia non è altro che una classica storia horror ambientata nella campagna inglese. Vedendo l’episodio mi sembrava non per nulla di essere davanti ad una storia di Dylan Dog, tra l'altro neppure troppo originale, e quindi tutto ciò che ha reso magico Black Mirror sembrava improvvisamente scomparso. Non so se questa tendenza si confermerà anche negli episodi successivi o questo è stato solo un caso sfortunato, ma certo la firma di Brooker nella sceneggiatura di questa storia lasciava presagire qualcosa di molto diverso. Se vi interessa, la serie la trovate su Netflix.
Indiana Jones e il quadrante del destino (2023), di James Mangold, con Harrison Ford, Phoebe Weller-Bridge, Mads Mikkelsen: mia moglie ha una vera e propria passione per Indiana Jones. Probabilmente a causa del fatto che è stato uno dei suoi film del cuore quand'era bambina, da anni prova a fare amare la saga interpretata da Harrison Ford anche ai nostri figli, per la verità senza troppa fortuna. Forse ormai abituati a pellicole perfino più adrenaliniche, i nostri quattro pupi non si sono mai fatti catturare più di tanto dai primi tre film di Spielberg. Per quanto riguarda me, poi, da bambino ho guardato e riguardato i vari film – e soprattutto L'ultima crociata, che mi è sempre parso il migliore, quello in cui azione e umorismo erano dosati meglio – ma devo anche ammettere che in anni recenti l'interesse per la serie di pellicole è abbastanza scemato, tanto che credo di non aver neppure visto il quarto capitolo, uscito ormai 15 o 20 anni fa. È stato quindi soprattutto per accontentare mia moglie, e per fare un ultimo disperato tentativo coi figli, che qualche giorno fa siamo andati tutti e sei al cinema a vedere la quinta e ultima avventura di Indiana Jones, l'unico, come dice anche Zerocalcare, che ancora ha il coraggio di combattere contro i nazisti senza sdoganarli e sentirne le ragioni (e fortuna davvero che c'è lui, verrebbe da dire). Il film ha fatto parlare di sé soprattutto per due cose, in queste settimane: da una lato i costi faraonici (è il capitolo più costoso di tutta la saga, e viene francamente da chiedersi se i produttori non si siano da questo punto di vista fatti prendere un po' troppo la mano), dall'altro i fantastici effetti speciali che hanno permesso di ringiovanire Ford in tutta la lunga sequenza iniziale. Al di là di questo, comunque, il film è godibile: ci sono tre o quattro ottime scene di inseguimento, c'è qualche battuta azzeccata e soprattutto il cast è di primissimo livello (oltre a Ford, compaiono la Phoebe Waller-Bridge di Fleabag, Mads Mikkelsen e Antonio Banderas). Il difetto principale, forse, sta proprio nell'eccesso: il film mi è parso troppo lungo, i capovolgimenti di fronte troppo eccessivi, Indiana troppo atletico per la sua età, la CIA un po' troppo cretina, i cattivi un po’ troppo spietati... Insomma, ci sono troppi “troppo” in giro, a mio avviso. D'altronde, quando hai una storia importante alle spalle con cui devi in qualche modo rivaleggiare, tendi forse a strafare. Comunque la pellicola rimane a mio avviso discreta. La trovate ancora al cinema.
Pesci piccoli episodio 1.02 (2023), di Francesco Ebbasta e Alessandro Grespan, con Fabio Balsamo, Gianluca Fru e Aurora Leone: vi ho parlato nella newsletter scorsa di Pesci piccoli, la nuova serie realizzata dai Jackal per Amazon Prime Video, una serie che, scrivevo, sembra essere tornata su binari più normali e tradizionali rispetto al vecchio film realizzato dal gruppo napoletano, Addio fottuti musi verdi. La trama è abbastanza semplice: dopo aver quasi rovinato una campagna per un brand di cellulari, una rampante pubblicitaria lombarda viene spedita a lavorare in Campania, nel piccolo ufficio di una delle succursali dell'agenzia, dove i ritmi di lavoro ma anche la creatività sono molto più modesti. Lì però la ragazza incontra anche una certa umanità e par di poter dire che un po' alla volta entra a far parte della magia del gruppo. Il primo episodio, come forse ricorderete, mi aveva convinto solo fino ad un certo punto, ma devo dire che in questa seconda parte mi sembra che il tutto riesca a funzionare meglio, soprattutto per la capacità di rimanere all'interno delle trame tradizionali delle sitcom aggiungendo però allo stesso tempo anche qualche elemento vagamente dissacrante e in “stile Jackal”. Insomma, è ancora presto per dare un responso definitivo ma man mano che si vede questa serie tende a convincere di più. Come detto, la trovate su Amazon Prime Video.
Quello che ho pensato
Meglio dirlo subito chiaramente: io ho un problema con un certo tipo di filosofia, soprattutto quella che trae la propria ispirazione e impostazione da Hegel e soci.
Non mi sto riferendo tanto all'idealismo di per sé, scuola filosofica in cui non mi ritrovo ma che non è né peggio né meglio di molte altre, quanto piuttosto proprio allo stile di pensiero di certi filosofi, al loro metodo: fate conto che questa critica, secondo me, la si può portare infatti anche a Marx, che di sicuro era tutto fuorché idealista, e ai suoi eredi.
Quello che non sopporto, per andare subito al sodo, sono quei filosofi che ritengono di aver trovato la legge profonda del mondo, e che sono anche allo stesso tempo assolutamente certi della bontà delle loro riflessioni. Prendiamo appunto Hegel: studiando il suo sistema, certamente molto articolato e anche molto intelligente, sembra di poter dire che almeno da un certo punto in poi in vita sua Hegel non fu mai sfiorato da dubbi, dubbi che però sarebbero stati necessari davanti a un sistema così impegnativo.
Hegel era certissimo che tutta la storia dell'umanità obbedisse alla sua legge dialettica, che ogni scienza, che ogni Stato, che ogni società non foss’altro che una mera applicazione della legge di cui lui si riteneva lo scopritore. Si trattava, al massimo, di definirne i dettagli, ma l’impianto era chiaro. Ricordate la celebre semplificazione scolastica, tesi-antitesi-sintesi? Quello era il dogma e tutto doveva rientrare in quello schema mentale, anche quello che sembrava proprio non volerci rientrare.
Marx, da questo punto di vista, non era molto dissimile dal filosofo che pure criticò a lungo. Pur lavorando sul piano del materialismo, anche lui interpretava ogni fenomeno storico e sociale come una mera applicazione del principio della lotta di classe. Tutta la storia è storia di lotta di classe, diceva; ed è assai difficile ancora oggi spiegare a un marxista che in realtà sì, la lotta di classe è uno dei motori della storia ma non è certo l’unico, e che ci sono molti altri fattori (la sessualità, il desiderio di potere, le credenze culturali e religiose) da tener presenti, fattori che non sono necessariamente effetto dell’economia ma che spesso vengono ben prima dell’economia.
Gli esempi, comunque, in questo senso sarebbero numerosi: Comte, Platone e altri ancora. Perlopiù quelli che Popper considerava i padri delle società chiuse, proprio perché tendevano a non mettere in discussione le loro intuizioni (che magari, considerate come intuizioni, potevano anche aver senso), assolutizzandole.
Si penserà che in un mondo scientifico e tecnologico come il nostro, considerazioni di questo tipo non abbiano più troppo spazio, visto che tutto appare dominato dallo studio dei dati e dall'analisi quantitativa; un’analisi che è spesso difficile, se non impossibile, ridurre ad un’unica legge. Nel nostro mondo contemporaneo dovrebbe sembrare assurda l'idea che esista un’unica spiegazione per fenomeni complessi. Che, prendendo ispirazione dalla fisica, sia ormai scontato che i fenomeni sono sempre frutto di una serie di leggi complicate, che in buona misura ci sono ancora ignote e che comunque non si possono semplificare.
Chiunque abbia studiato un po' di scienza sa bene che, in una situazione come ad esempio il banale moto di un proiettile, nella realtà dei fatti siano da considerare tutta una serie di fattori: la forza impressa, la resistenza dell'aria, gli oggetti attraverso cui eventualmente il proiettile passerà e tanto altro ancora. Certo, una semplice legge di quel moto viene studiata anche a scuola, ma sappiamo bene che quella è una parziale semplificazione ad uso didattico e che la realtà dei fatti è molto più complessa delle teorizzazioni scolastiche.
Qualcosa di simile si può dire anche nell’ambito della storia, ad esempio: lo storico ben sa che una guerra ha mille motivi, e che se sui libri di testo se ne trovano elencati solo due o tre è solo per permettere agli studenti di memorizzarli facilmente, di incontrare una parvenza di coerenza ed ordine davanti a una realtà che in verità è sempre molto più complessa delle nostre teorizzazioni.
In ogni caso, sia nella scienza che nella storia, prima viene l’osservazione del mondo (certo carica di teoria, ma pur sempre osservazione) e poi il modello che cerca di inquadrare e spiegare i dati in modo più o meno convincente.
Certa filosofia, che evidentemente non è abituata a fare i conti davvero col mondo, rifugge però da tutte queste complicazioni, amando fornire sempre analisi drastiche, piene di certezze, prive di complicazioni. Cioè partire dal modello (pensato a tavolino) e poi fare in modo che i dati ci rientrino dentro, volenti o nolenti, invertendo quello che sarebbe il procedimento più corretto. Non si usano i dati per pensare ad un modello, ma i modelli (pre-stabiliti) per interpretare i fatti come meglio ci aggrada.
Filosofi hegeliani in questo senso ce ne sono ancora molti, soprattutto di formazione marxista: abituati a pensare che l’agire umano sia riconducibile a leggi facilmente inquadrabili, continua a pensare che tutti i rapporti siano rapporti di sottomissione economica, trascurando tutti i dati che sembrano dirci che quello è solo un lato della questione, una faccia di una medaglia molto frastagliata.
Per darvi solo un esempio di tutto questo, vi trascrivo integralmente la prima pagina di uno degli ultimi libri di Byung-chul Han, Infocrazia, appena edito da Einaudi e di cui vi ho parlato anche sopra. Han è un filosofo peraltro intelligente e interessante, ma figlio di questa impostazione assolutistica che lo porta a vedere ogni intuizione come una sorta di legge coranica, come un dogma verso il quale non è neppure necessario portare uno straccio di prova e che non necessita di essere problematizzato. Proprio in apertura del suo lavoro, Han scrive così:
Chiamiamo regime dell’informazione quella forma di dominio nella quale l’informazione e la sua diffusione determinano in maniera decisiva, attraverso algoritmi e Intelligenza Artificiale, i processi sociali, economici e politici. Diversamente dal regime disciplinare, a essere sfruttati non sono corpi ed energie ma informazioni e dati. Decisivo per la conquista del potere non è il possesso dei mezzi di produzione, bensì l’accesso a informazioni che vengono utilizzate ai fini della sorveglianza psicopolitica, del controllo e della previsione dei comportamenti. Il regime dell’informazione si accompagna al capitalismo dell’informazione, che evolve in capitalismo della sorveglianza e declassa gli esseri umani a bestie da dati e consumo. […] Il soggetto sottomesso nel regime dell’informazione non è docile né ubbidiente. Piuttosto si crede libero, autentico e creativo: produce e performa sé stesso.
Ora, in questa pagina ci sono anche dei contenuti interessanti: è vero che questa è l’epoca delle informazioni e dei dati, e che informazioni e dati sono ormai strumenti di potere. Quello che mi fa alzare gli occhi al cielo, però, è l’assolutismo con cui Han descrive quello che è un fatto che in realtà è già stato reso noto da molti, però estremizzandolo.
Per Han viviamo in un mondo di “sorveglianza psicopolitica”, di controllo capillare e di previsione dei comportamenti. Roba che 1984, in confronto, ci presentava un sano regime liberale.
Il vero punto debole di tutto il discorso sta, però, soprattutto nell’ultima frase, quella in cui Han afferma che il soggetto «si crede libero». Lì si vede tutto l’errore dell’impostazione di Han e della sua scuola (meccanismi del genere si ritrovano anche in Hegel, in Marx, in Freud, in Platone): il fatto che quest’impostazione non può essere criticata con le armi della scienza.
Poniamo infatti che io non sia d’accordo col filosofo sudcoreano, che io non ritenga che il nostro mondo sia dominato solo dai dati e che il possesso dei dati non abbia l’importanza così drammatica e decisiva che lui vuole dargli. Come farò ad obiettare alla sua tesi? Probabilmente potrei dire che è vero che l’uso dell’informazione e dei dati tende a manipolarci, ma affermerei anche che allo stesso tempo nel mondo odierno c’è più libertà di quanta ce ne fosse in passato, e che le informazioni (religiose, magari, o politiche, più che legate ai gusti degli individui) erano rilevantissime anche in passato e venivano utilizzate anche allora a fini di dominio e controllo; e in ultima istanza potrei dire che gli uomini oggi si sentono più liberi e che spesso possono plasmare la loro vita a loro piacimento molto più di quanto non potessero fare due o tre secoli fa.
Come replicherebbe, probabilmente, Han a questa critica? Ribadendo quanto scritto poche righe sopra: che gli uomini oggi credono di essere liberi ma non lo sono davvero. Al che io direi che io stesso mi sento libero; e lui contro-replicherebbe affermando che sono evidentemente sotto l’inganno del mercato o di qualsiasi altra forza domini il mondo.
La sua tesi, per farla breve, è resa a suo modo inattaccabile grazie al fatto che sottintende un inganno generale che solo lui è riuscito a smascherare; e chiunque non veda quell’inganno è evidentemente troppo allocco per accorgersene. Il problema sta proprio qui: se le leggi che governano il mondo sono occulte e nascoste, non esistono né possono esistere prove a favore o contro.
Non servono prove o dati, basta la parola del veggente (proprio di hegeliana memoria), quello che sa vedere laddove gli altri non vedono. Lo sa lui se io sono libero o no; e lo sa meglio di me. E non ci si può far nulla.
Il problema è che, a questo punto, non c’è modo di sapere se Han dica il vero oppure no, non c’è modo di sapere se la sua intuizione sia fondata o meno. Le intuizioni sono importanti, ovviamente, e spesso ci aprono squarci di comprensione che vale la pena di indagare; ma ad ogni intuizione dovrebbe seguire – almeno in un approccio scientifico – la ricerca di prove e di dati a suffragio. Viviamo davvero in un mondo dominato dal possesso dei dati? E allora sarà possibile trovare delle statistiche (appunto: dati!), fare anche solo delle indagini psicologiche su ampi gruppi di persone, insomma condurre degli studi intersoggettivi e replicabili per verificare l’assunto iniziale.
Lui cita ad esempio l’elezione di Donald Trump come un caso da manuale. D’accordo: ma allora perché quattro anni più tardi, quando teoricamente l’infocrazia doveva essere ancora più forte di prima e non lasciare spazio a nessuna libertà di pensiero autonomo, ha vinto Biden? Come mai proprio negli Stati Uniti il re dei social media ha perso? Tra l’altro davanti a un personaggio che non sembra avere proprio l’appeal del manipolatore di dati?
Insomma, bisogna cercare delle prove e anche confrontarsi con le critiche, con le opinioni avverse; bisogna cioè cercare di convincere chi non la pensa già così. Altrimenti, detta in modo brutale, la tua intuizione è solo aria fritta, e ricade nello stesso errore che cerca di criticare. Han si lamenta, ad esempio, del fatto che oggi la gente cerca solo conferme a quello che già pensa: ma lui, mi chiedo, non fornisce agli apocalittici qualcosa del genere? Cioè un testo davanti al quale i delusi del mondo e della politica possano semplicemente dire: «Bravo, io la pensavo già come te ma tu lo dici meglio»?
Attenzione: magari tutte queste intuizioni sono pure giuste, magari sono anche qualcosa di fondamentale, non lo nego a priori; ma finché rimaniamo solo nell’ambito delle intuizioni ognuno può dire tutto e il contrario di tutto. È il metodo che è sbagliato: è costitutivamente impermeabile alle critiche circostanziate, che non possono scalfirlo. E quindi è tutto fuorché scientifico (nel senso più ampio del termine).
Non è un caso che queste filosofie così impostate costringano il lettore ad una scelta: o sei con me, o sei contro di me. O sei hegeliano, o, come faceva Schopenhauer, lo consideri solo un “sicario della verità”; o sei marxista, o pensi che Marx sia responsabile dei peggiori disastri dell’umanità; o sei d’accordo con Han, o lo consideri un cretino.
Non c’è via di mezzo; perché una filosofia che si basa solo su intuizioni non suffragate da fatti convince solo chi, in fondo, già pensa quelle cose, e non fa cambiare idea agli altri. D’altronde, perché una persona che si sente libera dovrebbe cambiare idea davanti alle apodittiche affermazioni di Han? Quali elementi seri e concreti sono stati portati dal filosofo affinché il lettore si mettesse in discussione? Sostanzialmente nessuno. Han sta solo dicendo: fidati di me, ti darò una spiegazione globale del perché ti senti a disagio e vedrai che è bella e coerente. Fidati, non ci sarà bisogno di prove. Non ci sarà neppure bisogno di confrontarsi con le opinioni avverse. Ne uscirai ristorato.
Forse è una deformazione solo mia, ma ai libri che mi regalano tutte queste certezze (anche se catastrofiche) preferisco i libri che mi regalano dubbi più concreti, e magari affrontabili. Perché se siamo davvero davanti ad una infocrazia, se il mondo è dominato da forze più grandi di noi, noi cosa possiamo farci? Se invece queste forze vengono riportate per terra, e se ne mostra – dati (!) alla mano – la portata, magari qualche intervento si può anche ipotizzare. Perché c’è anche questo da dire: alla fine l’hegelismo – anche quando è pessimista – si riduce ad una mera accettazione dello stato di cose, mai ad una sua modifica.
Non è un caso che i libri di Han – come quelli di vari esponenti della Scuola di Francoforte, che sono i suoi veri maestri – non propongano soluzioni, ma semplicemente si straccino le vesti per il mondo in rovina. Se davvero esistono forze così onnipotenti da guidare il mondo e non farsi neppure vedere, allora noi non possiamo farci nulla, no?
La modifica della realtà, invece, deve prevedere almeno un barlume di speranza, uno spazio d’azione. Deve prevedere la possibilità di una critica circostanziata, non fine a se stessa; di una critica motivata, che sappia stabilire dove intervenire, e come. Ma questo è possibile solo se si scende a patti con la realtà, se si abbandona il modello a cui ci si è tanto affezionati (perché fa sembrare veggenti, o guru) e ci si sporca le mani col mondo.
Quello che ho registrato e pubblicato
Quando arriva l’estate, e soprattutto quando arrivano le ferie, gli appuntamenti canonici cominciano a saltare. Noi però qui non abbiamo mancato un colpo, e, se volete recuperare quello che vi siete eventualmente persi, qui di seguito trovate tutti i video e i podcast usciti questa settimana:
Peter Singer: animalismo e utilitarismo: ecco un filosofo vivente che ha fatto molto discutere negli ultimi anni
Storia dei consumi 5: i grandi magazzini: il nostro percorso sui consumi passa a parlare dell’impatto dei grandi magazzini nell’Europa di fine Ottocento
Prendere note col Markdown: mi avete chiesto un tutorial su come faccio a prendere i miei appunti, e qui ho cercato di mostrarvi tutto
Corso di logica 7 - Le tavole di verità: facciamo un po’ di esercizi per capire cosa sono le contraddizioni e le tautologie
"Sulla libertà" di Stuart Mill - parte 5: continuiamo a leggere Stuart Mill per difendere le opinioni controcorrente dalla pressione sociale e dal conformismo
La nuova dinamica di Galileo (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
La Chiesa cattolica contro la borghesia (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che devi fare per seguirmi sui social
Ah, prima di dimenticarci vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
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Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono i nuovi abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
L’insostenibile leggerezza dell’essere di Milan Kundera: avrete sicuramente letto della scomparsa di Milan Kundera, grande scrittore ceco che però ormai da parecchi decenni viveva a Parigi e scriveva in francese. La sua scomparsa non era certo inattesa vista l'età del narratore, ma in molti hanno colto l'occasione per ricordare le emozioni che i suoi libri hanno suscitato in questi anni. Se non avete mai letto niente di suo, dunque, è decisamente giunto il momento di rimediare e io vi propongo in particolare L’insostenibile leggerezza dell'essere, forse il suo romanzo più riuscito e allo stesso tempo più filosofico. Lo si può comprare qui.
sui social ho fatto partire anche una nuova serie di consigli, dedicata ai libri appena usciti che mi paiono più interessanti, una sorta di “lista della spesa” che dovrebbe rivelarsi utile anche in primis per me. Ecco i volumi che ho segnalato nei giorni scorsi, se ve li siete persi:
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né fare corsi, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Quello che c’è in arrivo
L’ultima sezione della nostra newsletter è come al solito dedicata alle anticipazioni su quello che arriverà sul canale nei prossimi giorni. Ecco i video già messi in cantiere e quelli in lavorazione:
già domani toccherà a un nuovo video di filosofia dedicato agli scettici antichi eredi di Pirrone, e in particolare a Carneade e Sesto Empirico;
poi sarà la volta di una nuova puntata del ciclo Filosofia per ragazzi, incentrata sulla reminiscenza platonica e sul mito della biga alata;
per quanto riguarda storia romana, inoltre, ho già ultimato il video in cui parlo della caduta dell’Impero Romano d’Occidente (e di Alarico, Attila, Odoacre eccetera);
infine dovrei riuscire a fare (spero) anche un video su Filone, antico filosofo ebreo;
sul versante podcast, invece, andremo avanti con Galileo Galilei, presentando il suo metodo e le conseguenze filosofiche della sua impostazione, mentre in storia introdurremo la crisi economica di fine Ottocento.
E questo è tutto. Se siete in vacanza riposatevi, se siete al lavoro non strafate; e noi ci rivediamo qui tra sette giorni esatti.