Sul monologo di Antonio Scurati e più in generale sul pluralismo, ma anche sul Problema dei 3 corpi, Elio e le storie tese, Dostoevskij, Il cacciatore, Il sorpasso, John Locke e il nominalismo
Ci sono alcune cose molto importanti da cui bisogna obbligatoriamente partire questa settimana. Si tratta di una nascita di una morte, quindi potremmo anche dire che hanno a che fare col ciclo della vita.
Partiamo dalla notizia più felice: oggi ricorre il trecentesimo anniversario dalla nascita di Immanuel Kant, uno dei filosofi più importanti e più amati di tutti i tempi. Ultimamente sono così esaurito da essermene quasi dimenticato, e devo anzi ringraziare una mia allieva che stamattina mi ha salvato in corner, stupita che io non mi fossi ricordato del compleanno di uno dei miei miti. Trecento anni rappresentano una cifra tonda molto importante: festeggiateli anche voi, magari riprendendo in mano questa sera un bel libro di Kant. Noi, col nostro canale YouTube, stiamo facendo la nostra parte: a inizio maggio discuteremo infatti di Per la pace perpetua, una delle opere più accessibili e però anche più interessanti del filosofo tedesco.
La notizia triste, invece, quella legata alla morte, riguarda il grande filosofo americano contemporaneo Daniel Dennett. Il pensatore è venuto a mancare qualche giorno fa, il 19 aprile, all'età di 82 anni, dopo una vita passata a interrogarsi sulla filosofia della mente, sul libero arbitrio e sull'intelligenza artificiale. Alcuni suoi libri riguardanti la coscienza hanno fatto scuola. Da parte nostra lo ricorderemo con uno dei consigli di lettura che abbiamo diramato anche sui social e che trovate più avanti in questa stessa newsletter. Magari, in futuro, dedicheremo anche un video specifico al suo pensiero, anche se qualcosa delle sue riflessioni si trova sparso qua e là in alcune lezioni che ho già fatto sul web.
Insomma, un grande del passato e un grande del presente, una nascita e una morte. Verrebbe quasi da trarre delle conclusioni molto filosofiche sul senso della vita e sulla precarietà dell'esistenza, ma magari lo faremo in futuro; oggi siamo più propensi a farci trascinare dai libri e dai film visti questa settimana, quindi cominciamo subito.
Quello che ho letto
E partiamo come sempre proprio dai libri. Come noterete in lista questa settimana c'è un breve saggio che fa la sua comparsa e però subito ci dice anche addio, visto che l'ho letto molto rapidamente, e poi ci sono due altri volumi che vi ho già presentato nelle settimane scorse.
Lettera sulla tolleranza di John Locke: in vista del Club del libro che si terrà all'inizio di maggio, ho cominciato la Lettera sulla tolleranza di John Locke, classico della filosofia inglese che abbiamo deciso di rileggere tutti assieme appunto per la riunione mensile. Si tratta di un'opera molto breve, che tra l'altro ho presentato diffusamente in un video di qualche anno fa (qui), ma riprenderlo in mano e sentire dalla viva voce di Locke quelle cose che mi sono trovato tante volte a ripetere ai miei stessi studenti fa sempre un'ottima impressione. Pur essendo un testo di tre secoli e mezzo fa, risulta ancora estremamente attuale: tralasciando le faide tra eretici e chiese cristiane, sembra quasi di sentire parole che si adatterebbero bene al dibattito attuale sull’aborto o perfino sulla censura (dibattito di cui diremo qualcosa più avanti anche in questa stessa newsletter). Locke infatti sostiene una tesi molto semplice e molto diretta, che diventerà una delle tesi cardine del pensiero liberale: che ogni individuo debba decidere di per sé, individualmente, che direzione dare alla propria vita. Che, cioè, nessuna chiesa, nessuna autorità, nessuno Stato possa imporgli cosa credere e cosa volere, o, meglio, come vivere o cosa pensare. Cose che già Locke a fine Seicento si sforzava di far sembrare scontate, ma che non sono scontate neppure oggi, purtroppo. La Lettera, come vi dicevo, è molto breve, e sono riuscito a finirla tutta in una volta, quindi non si tratta di una lettura impegnativa: se vi interessa, la potete comprare qui.
Vite bruciacchiate di Elio e le storie tese: di questo libro di memorie di Elio e le storie tese vi ho già parlato anche nelle settimane scorse. Si tratta di uno di quei classici volumi che vengono realizzati per cavalcare l'onda del successo di un gruppo musicale o di uno sportivo; il bello, qui, è che però c'è anche una buona dose di ironia (anzi, di autoironia), legata alla natura stessa della musica degli Elii. Così sembra quasi di sentire i protagonisti di quella band intenti a scherzare tra loro quando ricordano gli esordi nella Milano degli anni '80, e allo stesso tempo è interessante vedere come un progetto così ampio e così originale sia nato più o meno sui banchi di scuola. In più, a impreziosire il tutto, ci sono anche le frequenti capatine di altri personaggi dell’ambiente milanese destinati a un grande successo, come Claudio Bisio, Aldo Giovanni e Giacomo, il cast dello Zelig e altri ancora. Se vi interessa, potete acquistarlo qui.
Nudge di Richard H. Thaler e Cass R. Sustein: anche di Nudge vi ho già parlato, e si tratta di un libro il cui sottotitolo è già piuttosto esplicativo: La spinta gentile. L'idea di fondo infatti è quella secondo cui molto spesso, per migliorare lo stile di vita e soprattutto il peso economico di certe azioni dei cittadini, non sia utile imporre con la forza o con le leggi dei cambiamenti, ma sia molto più proficuo invece spingere gentilmente le persone a modificare da sole i loro atteggiamenti. Gli esempi che vengono portati dagli autori, spesso tratti dal campo dell'economia, sono numerosi e per la verità anche piuttosto convincenti: si mostra come si possono ottenere ottimi risultati in campo sanitario, nel risparmio, nella gestione dei fondi azionari e così via semplicemente spingendo le persone a fare una determinata scelta, senza però imporla loro con la forza. Ad esempio, si può semplicemente lasciare come opzione “di default” la scelta più proficua a livello sociale, contando sul fatto che molto spesso le persone non hanno voglia di perdere tempo prendendo una decisione complessa e onerosa, e preferiscono quindi appunto affidarsi all'opzione standard, quella già stabilita. Così, scegliere appunto quale opzione “di base” proporre diventa fondamentale per la salute dell'economia e per ottenere anche benefici a largo raggio. Il tema è interessante, e finisce per dire molto anche delle nostre abitudini, visto che risulta evidente che molto di quello che facciamo non è in realtà frutto di una scelta consapevole, ma piuttosto di consuetudini su cui non ci poniamo troppe domande. Il libro potete comprarlo qui.
Quello che ho visto
E passiamo ora ai film, con, in elenco, una serie tv da poco comparsa sul piccolo schermo e due classici della storia del cinema.
Il cacciatore (1978), di Michael Cimino, con Robert De Niro, Christopher Walken, Meryl Streep: nei giorni scorsi, mentre spiegavo ai miei studenti di quinta la guerra del Vietnam, mi sono trovato a citare una serie di film, sperando così di stimolare i loro ricordi. Le pellicole cinematografiche, infatti, hanno il raro pregio di riuscire a fissare nella mente degli studenti alcuni ricordi in maniera molto forte e aiutarli quindi nello studio, soprattutto quando tali film sono realizzati in modo storicamente accurato. Solo per fare un esempio, Forrest Gump è straordinario per quel che riguarda la storia americana: vi si raccontano la guerra del Vietnam, il pacifismo, il razzismo, la diplomazia del ping-pong, lo scandalo Watergate e tanto altro ancora. Però appunto qualche giorno fa, mentre parlavo di Vietnam, mi sono trovato a citare anche altri film, i soliti classici sul tema: e quindi Apocalypse Now, Nato il 4 luglio, Full Metal Jacket. E poi, soprattutto, Il cacciatore. Mi è un po' dispiaciuto scoprire che quasi tutti questi film suonavano completamente ignoti ai diciottenni di oggi, perfino quando cercavo di menzionare alcune scene celeberrime di quelle pellicole. «Ma dai, Il cacciatore! – mi sono trovato a dire – Quello della roulette russa!» E così ho scoperto che gli studenti sanno molto bene cos'è la roulette russa, ma non conoscono il film più famoso in cui questa pratica viene presentata. Insomma, per un motivo o per l'altro qualche giorno fa sono tornato a casa con Il cacciatore piantato in testa e ho provato a vedere se fosse disponibile sulle piattaforme di streaming, trovandolo in effetti su Sky. Me lo sono così rivisto, anche se è una pellicola durissima e che non è che abbia spesso voglia di rivedere; però l'ho trovata ancora estremamente bella, commovente, angosciante. Per me è in assoluto il miglior film di sempre sul Vietnam e forse uno dei migliori, in generale, sulla guerra. La storia è quella di un gruppo di amici di una piccola città statunitense che partono appunto per quel conflitto in Asia: due in particolare, dopo essere stati catturati dai vietcong, vengono costretti a praticare appunto la roulette russa: i vietcong caricano la loro rivoltella con un'unica pallottola, lasciando vuoti tutti gli altri spazi destinati ai proiettili; dopo aver fatto ruotare il tamburo, forniscono la rivoltella al malcapitato, che deve puntarsi la pistola alla tempia e sparare, sperando che il colpo vada a vuoto e non ci sia la pallottola pronta a fracassargli il cranio. Non vi rivelo poi come il film prosegue e va a finire, ma sappiate che ci sono scene straordinarie, attori inarrivabili (tra cui gli straordinari Robert De Niro, Christopher Walken e Meryl Streep) e una colonna sonora tra le più belle di sempre. Ovviamente il film è vietato ai minori di diciott'anni, me ne vale assolutamente la pena. Lo trovate, come detto, su Sky.
Il problema dei tre corpi episodio 1.04: continuo, per la verità un po' lentamente, a gustarmi anche questo adattamento televisivo del bel romanzo di fantascienza Il problema dei tre corpi, di cui vi ho già parlato varie volte. Di nuovo, man mano che lo vedo, mi rendo conto che sullo schermo si alternano scene molto belle ispirate a quelle del libro e altre sequenze completamente inventate, che tendono a rendere più hollywoodiano il tutto. In ogni caso il mix non mi disturba troppo: continuo a pensare che il romanzo sia nettamente superiore alla serie, ma allo stesso tempo mi rendo conto che un romanzo del genere avrebbe di per sé ben poco appeal per il pubblico di Netflix e che quindi qualche compromesso sia inevitabile. L'unico guaio è che i nuovi personaggi introdotti nella serie, e in particolare la giovane fisica inglese che funge da co-protagonista, mi risultano ben poco simpatici: forse erano meglio i freddi scienziati cinesi del romanzo originale, se questo è il massimo che l'Occidente ha da offrire. Se volete qualche notizia sulla trama, ecco fin dove siamo arrivati: dopo che una serie di prestigiosi scienziati si è suicidata, si scopre che alla base di quelle morti c'era uno strano videogioco, una simulazione iper-realistica in cui questi scienziati dovevano cercare di risolvere il celebre problema dei tre corpi, ovvero come si possa sopravvivere in un pianeta attorno a cui gravitano avevano tre soli. Il problema è che quegli esseri viventi che in quel mondo non riescono a svilupparsi hanno deciso di cercare un altro mondo per sopravvivere, e hanno scelto in particolare la terra. La serie, se vi interessa, la trovate su Netflix.
Il sorpasso (1962) di Dino Risi, con Vittorio Gassman, Jean-Louis Trintignant, Catherine Spaak: il secondo classico della settimana, anch’esso da poco ricomparso sulle piattaforme di streaming, è Il sorpasso di Dino Risi, un film che ha ormai più di sessant'anni sul groppone ma che è ancora estremamente interessante. La storia forse la conoscete già: il protagonista è un giovane ragazzo universitario che, nel giorno di Ferragosto, viene convinto da un perdigiorno dotato di automobile a fare un giro con lui, lasciando rapidamente una Roma deserta e dirigendosi verso la Versilia, in cerca di divertimento e avventura. Il film, che sulla base di questa breve trama può sembrare leggero e scanzonato, però rivela un retrogusto amaro che ora non vi posso troppo svelare per non fare spoiler, ma che vi consiglio comunque di scoprire di persona. A suo tempo la pellicola fece epoca, perché fotografava la voglia di divertimento e leggerezza dell'Italia del boom economico, ma allo stesso tempo sembrava quasi mostrarne i limiti: un paese che era cresciuto troppo in fretta, che era passato dalla povertà al benessere senza rendersene pienamente conto e che rischiava così di perdere in un certo senso la propria anima. Il film secondo me è molto bello, magistralmente interpretato da Vittorio Gassman e Jean-Louis Trintignant, bravissimi a ritrarre il primo l'italiano vanesio e sicuro di sé e il secondo il giovane timido e impacciato. Lo trovate su Amazon Prime Video e, se non l'avete mai visto, dovete assolutamente recuperarlo.
Quello che ho pensato
Ci sono due cose sulle quali penso valga la pena di soffermarsi oggi, nella nostra riflessione settimanale: due cose molto diverse tra loro ma anche, in un certo senso, collegate.
La prima, la meno importante, è che dopo diversi mesi sto finendo la lettura integrale e commentata del Saggio sulla libertà di John Stuart Mill, all'interno della rubrica degli audiolibri sul canale YouTube. Si tratta di un libro tutto sommato poco noto nell'ambito della tradizione italiana, che da noi è stato tradotto poco e studiato ancora meno, senza il dovuto rilievo. E questo è un peccato, perché il volume è considerato un classico del pensiero in paesi come l’Inghilterra o gli Stati Uniti, ma dalle nostre parti lo si conosce a malapena. Solo per fare un esempio: i dati di ascolto della lettura su YouTube sono molto più bassi di quelli di tante altre opere, segno che effettivamente pochi hanno sentito parlare del Saggio sulla libertà.
La seconda cosa di cui parlavo all’inizio è invece una questione di carattere più nazionale, che probabilmente in questi giorni non vi sarà sfuggita per via delle molte polemiche che sono state alimentate dai giornali: la questione della censura sul monologo che Antonio Scurati ha scritto relativamente al 25 aprile.
Le due faccende sembrano slegate ma realtà si intersecano tra loro: entrambe hanno infatti a che vedere con la questione del pluralismo politico. Una questione che purtroppo in Italia è sempre stata sottovalutata, per via di precise problematiche storiche e perfino imprenditoriali, ma che negli ultimi tempi forse addirittura è peggiorata.
Non voglio qui infatti disquisire sulla bontà dell'opinione di Scurati, sul contenuto del suo intervento sul 25 aprile, perché quello conta in realtà in maniera molto relativa. Non è tanto importante, infatti, che Scurati abbia ragione o torto, quanto piuttosto che abbia la possibilità di dire quello che pensa; o, detta in altri termini, che nello spazio del dibattito pubblico ci sia la possibilità di sentire tante opinioni differenti, sia che vadano a favore di chi in un modo o nell’altro detiene il potere, sia, forse ancora di più, che gli vadano contro.
Ad insegnarci il valore di tutto questo è stato appunto, nell'Ottocento, John Stuart Mill, che proprio nel Saggio sulla libertà dimostrava, secondo me in maniera estremamente convincente, l'importanza della diversità di vedute in ogni campo e soprattutto in politica. La storia dell'umanità, infatti, è storia di opinioni che cambiano, di idee che sembravano inoppugnabili e dogmatiche ma che all'improvviso si sono rivelate false o errate o parziali. Per millenni abbiamo pensato che la Terra fosse al centro dell'universo, prima che una serie di pensatori provasse a sostenere il contrario; abbiamo provato a metterli al rogo, ma alla fine, per via della loro ostinazione, sono riusciti a convincerci della bontà delle loro ipotesi. Ma allo stesso modo anche quelle loro ipotesi sono poi state corrette nel corso di secoli, e migliorate: oggi sappiamo che anche Galileo commise qualche errore, che Copernico aveva una visione molto parziale delle cose e che perfino Newton abbisognasse di qualche correzione.
Se questo vale per la scienza, vale ancora più decisamente per le opinioni politiche o morali: oggi riteniamo orribili delle convinzioni che erano invece ampiamente diffuse tra i greci o tra i cristiani, di cui in un modo o nell'altro ci riteniamo figli; e ci siamo resi conto che ogni progresso che possiamo vantare, in fondo, è stato figlio di pensatori che nel migliore dei casi erano ritenuti originali, ma in molti altri casi erano addirittura considerati eretici.
Stuart Mill però non si limita solo a questo. Se avete letto il libro o lo avete sentito spiegare dal sottoscritto, sapete che anche le opinioni che poi si rivelano sbagliate sono per lui fondamentali. È facile citare infatti i casi di Copernico, Einstein e di altri pensatori che si sono rivelati portatori di idee corrette; ma in realtà perfino chi sostiene idee sbagliate dà un contributo importantissimo al progresso della società.
Penso, ad esempio, che siamo tutti d'accordo – o quantomeno che dovremmo esserlo – nel sostenere che il fascismo sia stato una dottrina politica orribile, basata sulla violenza e sulla sopraffazione; ma allo stesso tempo possiamo accettare che quella dottrina politica si sia rivela utile per la democrazia: senza quell'avversario ideale non avremmo forse elaborato i modi per comprendere, pensare e difendere un sistema politico differente. L'esistenza del fascismo ci costringe infatti a lottare contro di esso, a capirne la natura e a mostrarmi i difetti, a elaborare strategie logiche, razionali e retoriche per fare trionfare l’opinione che troviamo migliore. Senza il fascismo le nostre democrazie sarebbero più fiacche, più incerte, meno solidamente fondate: la nostra Costituzione è forte forse proprio perché antifascista, verrebbe da dire. Avere qualcuno che difende opinioni assurde o esecrabili – a patto che questo qualcuno non costituisca la maggioranza dei votanti – ci può aiutare, paradossalmente, a migliorare e a far emergere valutazioni migliori.
Queste idee di Stuart Mill hanno avuto, come dicevo, una larga influenza sul modo di pensare del mondo anglosassone: la difesa del diritto di parola, il pluralismo a volte anche estremo sono caratteristiche piuttosto importanti quantomeno del mondo filosofico anglosassone. Poi è anche vero che a livello popolare non sempre queste idee vengono messe in pratica e, soprattutto negli Stati Uniti, che hanno dovuto fare i conti con un acceso puritanesimo che fa sentire il suo peso ancora oggi; ma il bello della filosofia inglese e americana è che ospita le opinioni più disparate e diverse e che lì il dibattito acceso costituisce un elemento fondante.
Dalle nostre parti, purtroppo, questo amore per la libera opinione è sempre stato percepito in modo molto più attenuato. Non che siano mancate le polemiche e le faide intellettuali; ma molto spesso, nella nostra storia repubblicana, le diverse opinioni hanno cercato di trovarsi di volta in volta una sorta di protezione politica. L'intellettuale, difatti, è spesso stato visto come un intellettuale organico a un certo partito, forte anche in questo senso delle teorizzazioni di Gramsci: e così abbiamo avuto per decenni intellettuali di area comunista, piuttosto fedeli alle indicazioni del partito; intellettuali di area democristiana, liberali, post-fascisti (pochissimi, per la verità) e così via. Fino ad arrivare all’assurdo principio secondo cui il diritto di parola era garantito non tanto per il desiderio di far emergere idee diverse e nuove, quanto per dare rappresentanza ai singoli partiti. Come se gli intellettuali partecipassero costantemente non tanto a un dibattito di idee, ma a una tribuna politica ed elettorale.
Questa tendenza tipica della Prima Repubblica mi sembra sia forte – pur con qualche differenza – anche oggi: i giornalisti finiscono ancora per candidarsi, prima o poi, con un partito (due casi recenti, facili facili, che mi vengono in mente: Gennaro Sangiuliano, attuale Ministro della cultura e già direttore del TG2, e Michele Santoro, che ha creato un movimento in lizza per le prossime europee), gli intellettuali vengono difesi o attaccati dalla politica prima per la loro appartenenza (vera o presunta) che per quello che sostengono e così via. Insomma, il pluralismo c’è, a patto che vada bene ai partiti; il che vuol dire, però, che c’è solo fino a un certo punto.
La questione Scurati, poi, ha anche altri elementi in gioco su cui vale la pena di soffermarsi. Se non avete seguito quello che è accaduto, sappiate che il noto scrittore – autore tra le altre cose di una serie di romanzi molto documentati su Mussolini – doveva leggere un monologo incentrato sul 25 aprile all'interno di una trasmissione Rai, e in questo monologo attaccava direttamente l'attuale governo in carica, soprattutto per via delle sue reticenze riguardo al fascismo. Opinione legittima, per certi versi perfino fondata, visto che in effetti alcuni esponenti di Fratelli d'Italia hanno posizioni molto ambigue riguardo al ventennio mussoliniano; ma una parte della polemica è sorta riguardo al fatto che tale monologo sarebbe stato letto all'interno di un programma della Rai.
E qui si apre in effetti un vespaio: riguardo al pluralismo, la Rai presenta tutte le contraddizioni della storia dei nostri intellettuali. Essa è infatti pagata dagli italiani tramite il canone, il che vuol dire che dovrebbe fornire un servizio pubblico. In questo senso lei si richiederebbe, e credo giustamente, una certa imparzialità: dovrebbe realizzare dei programmi culturali di condiviso valore, approfondimenti storici, artistici, oltre a proporre film, serie tv e opere teatrali che difficilmente troverebbero spazio in una emittente commerciale. In tutto questo un certo spazio dovrebbe essere garantito anche per l'informazione e per l'approfondimento, cosa che però è sempre stata spinosa: se infatti l'emittente pubblica ha un po' tradito al suo ruolo culturale riempiendosi spesso di programmi del tutto simili a quelli che vengono ospitati dalle tv commerciali, bisogna anche dire che dal punto di vista giornalistico ha spesso dovuto fare i conti con l'attenzione fin troppo invadente della politica.
Oggi, sui quotidiani, quando si parla di un direttore di telegiornale Rai o di un suo vice si sa già a quale partito appartiene o a quale forza politica quantomeno è “messo in quota”, perché i vertici dell'informazione sono di nomina sostanzialmente politica. E, in ogni caso, anche quando un programma sembra agire liberamente, scagliandosi persino contro il potere costituito, subito la politica cerca di allungare le mani su di esso, con ingerenze pubbliche e fastidiose.
E bisogna dire che questo atteggiamento, pur con alcune differenze, si è presentato con tutte le forze politiche che si sono alternate al governo: forse la destra, nei tempi di Berlusconi, ha lasciato la sua impronta in modo più pesante sulla tv pubblica e forse adesso Meloni sta cercando di replicare lo stesso stile, ma in generale non si può dire che a sinistra non ci si sia premuniti di piazzare i propri uomini nei posti giusti, quando se ne ha avuta l'occasione.
Insomma, in Rai, soprattutto negli ultimi decenni, il pluralismo ha sempre dovuto fare i conti con gli interessi della politica; il che è un po’ – come dicevamo – il tratto tipico del nostro modo di intendere il lavoro intellettuale, anche se sulla tv pubblica tutto risulta più forte e accentuato.
Che dire, quindi? È stata censura quella della Rai nei confronti di Scurati? Aveva ragione lo scrittore a sostenere quello che voleva sostenere? E, in un mondo ideale, cosa sarebbe dovuto accadere?
Penso che ognuno, davanti a queste domande e accettate quelle premesse, possa provare a dare le sue risposte. L'importante è cercare di essere obiettivi e onesti, e sostenere un punto di vista che valga sia per Scurati, sia per qualsiasi altro intellettuale, di destra, di sinistra o di centro. Io, a quelle tre domande, risponderei forse così:
Sì, quella della Rai mi sembra una censura: quando un contratto viene cancellato per via di quello che l'autore sta per dire, mi sembra che il termine giusto sia proprio “censura”. Ad esempio, quando uno scrittore firma un contratto con un editore, vengono pattuite alcune cose, come ad esempio il tema generale dell'opera; per il resto si lascia mano libera all'autore, col patto implicito che poi eventualmente l'editor potrà suggerire qualche piccola miglioria, senza alterare però il senso del lavoro e il messaggio scelto dall’autore. E questo è tanto più vero quando l'autore è noto e si sa già più o meno come la penso su vari temi. Se, insomma, Scurati è stato messo sotto contratto per scrivere un monologo sul 25 aprile, era piuttosto che ci si assumeva la responsabilità di pubblicarglielo; e la cancellazione del suo contratto è evidentemente solo un modo per evitare di fargli dire quello che voleva dire in tv;
Come ho accennato anche all'inizio, se l'analisi di Scurati sia giusto o sbagliata conta solo fino ad un certo punto. Ogni autore è responsabile delle sue analisi ed ha tutto il diritto di farle; eventualmente il pubblico e gli altri autori e studiosi hanno il diritto, da parte loro, di contestare quelle letture, di proporne di alternative; ma è assurdo pensare che non si possa fare una valutazione storica e politica dell'operato di un governo. Quindi, in linea principio, mi sembra che sulla libertà di Scurati di dire quello che pensa non ci possa essere davvero niente da dire. Casomai si può obiettare che una trasmissione Rai non sia il luogo più indicato per attaccare di petto il governo su una questione così delicata come l'antifascismo: su questo posso essere anche in parte d'accordo, perché la questione sollevata da Scurati è ovviamente una questione politica, e la politica ha le sue regole. Dicevamo prima che un servizio pubblico serio dovrebbe essere obiettivo, e questo vuol dire che non dovrebbe essere terreno di scontro politico senza contraddittorio. Bisogna però anche ammettere che tutto questo si basa su un profondo vizio di forma: il governo decide chi guida l’informazione Rai e decide quindi neppure troppo indirettamente chi dà le informazioni nei vari telegiornali del servizio pubblico. La Rai, cioè, non offre un servizio super partes, ma di fatto fa da megafono solo di alcune parti politiche; Meloni si lamenta che Scurati faccia “propaganda contro il governo” venendo pagato dagli italiani, ma verrebbe il sospetto che molti facciano propaganda PER il governo sempre pagati da noi. E c’è anche da dire che Scurati fa forse politica, ma la fa a modo suo, la fa da libero cittadino, la fa da intellettuale: non è un candidato, non vuole andare in Parlamento; è uno scrittore, tra l’altro importante, visto che ha vinto premi prestigiosi come lo Strega. Insomma, se i giornalisti Rai possono essere così vicini a membri del governo da essere scelti poi come ministri, non vedo perché un intellettuale non debba avere il diritto, su quegli stessi schermi, di presentare una opinione dissonante;
Ma il vero punto della questione, in questo marasma di contraddizioni, è quello che dovrebbe avvenire in un mondo ideale, forse utopistico. Come ho detto la Rai dovrebbe offrire un servizio pubblico, che, per come la vedo io, dovrebbe essere un servizio culturale, anche giornalistico, ma di approfondimento, il più possibile obiettivo. Bisognerebbe cioè che sia uno spettatore di destra che uno di sinistra trovassero i programmi della Rai validi o comunque interessanti. Ad esempio, invece di fare da megafono ai vari governi che si alternano a Palazzo Chigi, i telegiornali dovrebbero essere critici nei confronti sia del governo che dell'opposizione, mostrarne le contraddizioni, attaccarli spesso e senza remore, perché solo così il giornalismo diventa davvero un servizio pubblico. Allo stesso tempo, dovrebbero trovare spazio sugli schermi della Rai le voci più disparate: ci dovrebbero essere intellettuali di destra, di sinistra, cattolici, atei, musulmani, conservatori, progressisti, più o meno di tutti i colori e di tutti i tipi, ma non per forza col bilancino della par condicio, ma proprio per l'idea di una televisione plurale e pluralista, che riesce a dar conto di tante diverse visioni delle cose. Questa ovviamente è un’utopia, visto che, come abbiamo sottolineato, la politica non sembra essere in grado di fare a meno di esercitare un controllo più o meno diretto sulla Rai. E però capite bene che, se questo problema non viene risolto, si carica di infinite contraddizioni, di censure e di contro-censure; e che ogni cosa diventa una questione politica, tradendo fin nelle sue basi quell’idea di servizio pubblico che si dovrebbe ai cittadini.
Quello che ho registrato e pubblicato
Facciamo ora il punto sui video e sui podcast che sono usciti questa settimana:
La filosofia di Dostoevskij: secondo video dedicato al grande scrittore russo e incentrato sul suo pensiero
Nominalismo (e realismo): per il nostro Dizionario filosofico, scopriamo il significato di una parola molto usata
I popoli del mare e il ruolo dei fenici: nel nostro percorso di storia antica, è arrivato il momento di parlare dei fenici
Il relativismo etico di Hobbes (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
Lo stato di natura per Hobbes (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
La svolta del 1917 (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che devi fare per seguirmi sui social
Ah, prima di dimenticarci vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
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Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono gli abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
Il concetto di tempo di Martin Heidegger: leggere Martin Heidegger non è mai facile. Il suo capolavoro, Essere e tempo, è uno dei libri più complessi del Novecento, su cui migliaia di studenti si sono letteralmente spaccati la testa. Per avvicinarsi al pensiero di questo autore, dunque, può essere più utile partire da qualcosa di più breve e magari anche un po' più accessibile. Il concetto di tempo risponde a questa doppia esigenza: si tratta di un volumetto che riporta sostanzialmente una conferenza che Heidegger tenne pochi anni prima di scrivere Essere e tempo, e ne enuclea alcuni importanti concetti. Non è certo facilissimo, ma almeno può rappresentare un discreto inizio, e per questo vale la pena di affrontarlo. Lo si può acquistare qui.
sui social questa settimana ho segnalato come al solito diversi libri appena usciti che mi paiono interessanti, una sorta di “lista della spesa” che dovrebbe rivelarsi utile anche in primis per me. Ecco i volumi, se ve li siete persi (se vi interessano, cliccate sopra alle immagini per altre informazioni):
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate, passando anche per il Club del Libro e il Simposio. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Quello che c’è in arrivo
Chiudiamo come sempre anche con una veloce panoramica su quello che dovrebbe uscire nei prossimi giorni. Vi dico già da subito che in realtà il programma potrebbe subire diversi cambiamenti, visto che durante il ponte del 25 aprile non sarò a casa ma mi sposterò con la famiglia a Roma. Spero però di riuscire comunque a proporvi i video a cui ho lavorato, e in particolare questi:
domani, martedì, farò la diretta mensile per gli abbonati, quindi se siete iscritti non prendetevi impegni;
mercoledì uscirà il podcast storico, incentrato sulla disfatta di Caporetto;
giovedì vorrei pubblicare la quindicesima puntata della lettura integrale del Saggio sulla libertà di John Stuart Mill, di cui abbiamo parlato anche qualche paragrafo sopra;
venerdì pubblicherò probabilmente uno short, incentrato sul paradosso di Achille e la tartaruga;
sabato e domenica torneranno poi i podcast, sia quello filosofico (con il Leviatano di Hobbes), che quello storico (con la Rivoluzione d’ottobre);
lunedì prossimo, infine, mi piacerebbe realizzare un video su Erasmo da Rotterdam.
E questo, per ora, è tutto. Nei prossimi giorni sarò a Roma, come vi ho già anticipato, per un po’ di vacanza con la famiglia; martedì 30 aprile, invece, parlerò assieme ad altri relatori a Pontecchio Polesine, vicino a Rovigo, in un evento dedicato ai più giovani e incentrato sul tema della “Utilità dell’inutile”: se siete da quelle parti, venite a trovarci al Teatro Comunale alle 21.