Sul politicamente corretto nei riguardi del passato, partendo da Hollywood Party e passando per Hamas, Galileo, Marcia su Roma, Feynman, Dio di illusioni, Nimona, Hume, Geymonat
La notizia della settimana è stata indubbiamente l’attacco condotto da Hamas contro Israele e la conseguente reazione di quest’ultimo paese contro la Striscia di Gaza. Una situazione che è scoppiata appena un paio di giorni fa, ma con cifre – per quanto riguarda i morti e i feriti, senza contare gli ostaggi – che sono già abbastanza impressionanti.
Al volo, sabato, ho fatto subito un primo video veloce (lo trovate qui) per spiegare qualcosa di queste prime fasi, in modo che chi non segue spesso le vicende mediorientali possa orientarsi tra le notizie che giungono in queste ore.
E però, devo dire, non so quanto tutto questo serva. Ogni volta che leggo i commenti a questi video trovo idee in parte vere, ma anche in parte riduttive: di nuovo, come sempre, ci si schiera a favore di Israele o a favore dei palestinesi, decidendo in certi casi di fare a meno della complessità. «Non c’è niente di complesso – leggevo proprio oggi, sui commenti di un sito di informazione – e c’è un’unica verità». E il paradosso è che questa frase, pari pari, potremmo trovarla detta sia da un filo-palestinese («La verità è che Israele ha rubato la terra ai palestinesi»), sia da un filo-israeliano («La verità è che i palestinesi vogliono distruggere completamente Israele»).
Il guaio è che entrambe le frasi sono più o meno vere (non proprio precise, a dirla tutta, ma contengono una parte di verità) e proprio il fatto che siano entrambe in parte vere rende complessa e complicata la faccenda. D’altra parte, se non fosse così, se davvero la questione fosse semplice, una soluzione la si sarebbe trovata.
Quando parliamo della questione israelo-palestinese, parliamo infatti di un tema su cui l’ONU ha emanato, negli anni, 20 piani di pace e 700 risoluzioni. Non si può certo dire che non ci si sia provato; eppure si è fallito sempre, per un motivo o per l’altro, perché dirimere quella faccenda non è affatto semplice.
Il che, si badi bene, non vuol dire che tutte le azioni si equivalgano: certe azioni sono ingiuste, orribili, ingiustificabili. E però azioni di questo tipo ne abbiamo viste (anche se con ritmi e frequenze diverse) in entrambi gli schieramenti in conflitto.
Oggi è troppo presto per trarre delle conclusioni serie. La mia impressione è che sarà un conflitto inutile, alimentato perlopiù da interessi stranieri, e che non permetterà di fare neppure un passo in più nella direzione della pace. Vedremo come si evolverà la situazione nei prossimi giorni, ed eventualmente torneremo a parlarne, o qui o con altri video.
Intanto mettiamo tutto in pausa e torniamo, almeno momentaneamente, alle questioni più banali – ma, spero, comunque interessanti – dei libri, dei film, della vita quotidiana. Cominciamo.
ps: se siete di Rovigo, sabato 21 ottobre venite a far festa (gratis, ovviamente) con me, con i miei colleghi e con i miei studenti al centenario del Liceo Scientifico “Paleocapa”. Maggiori info qui.
Quello che ho letto
Partiamo come sempre dai libri, con due titoli che ci lasciano, ormai finiti, e uno che fa ritorno dopo qualche settimana d’assenza.
De Bibliosophia di Fabio Minazzi: la settimana scorsa vi raccontavo di essermi messo a leggere un libro piuttosto impegnativo, anzi per la verità ben due libri piuttosto impegnativi, dedicati alla figura di Mario Quaranta, studioso di origini polesane scomparso qualche anno fa. Mi ero immerso in questa lettura, anche piuttosto accelerata, sostanzialmente perché mi era stato chiesto di presentare questi libri in un paio di incontri, il primo presso l'Accademia dei Concordi di Rovigo, il secondo nella mia scuola. I due incontri si sono svolti piuttosto bene, in modo tranquillo, tra venerdì e sabato, ma ovviamente per tutta la settimana ho letto come un forsennato, cercando di sorbire in fretta tutte le informazioni possibili sugli studi e la vita di Quaranta. De Bibliosophia, il primo dei due libri che sono riuscito a terminare, è proprio una biografia dello studioso che passa attraverso tante esperienze di studio, soprattutto filosofico. Quaranta, come pochi sanno, è stato uno stretto collaboratore di Ludovico Geymonat, il padre della filosofia della scienza italiana, neopositivista di prim’ordine, ma è anche stato uno dei primi a interessarsi al positivismo e al pragmatismo italiani, in particolare con gli studi su Giovanni Vailati, vissuto alla fine dell'Ottocento. Il libro ripercorre tutto questo in modo forse un po’ tecnico e certo non adatto a tutti i palati, ma rimane comunque un’opera interessante soprattutto per il fatto di concentrarsi sulla parte della storia della filosofia italiana che viene spesso trascurata dai programmi sia liceali che universitari. Se vi interessa, lo trovate qui.
Dio di illusioni di Donna Tartt: questa settimana sono finalmente riuscito a concludere anche Dio di illusioni, il romanzo di Donna Tartt che mi ha tenuto compagnia per diverse settimane e di cui vi ho già parlato ampiamente. La trama, senza rivelare troppi spoiler, verte attorno ad alcuni giovani studenti di una università nordamericana; studenti un po' snob, che frequentano praticamente solo un corso di greco antico con un professore altrettanto elitario e poco inserito. Questi studenti, amanti dell'antica tragedia attica e dello spirito dionisiaco, si lasciano però un po’ prendere la mano e finiscono per commettere dei reati, che poi vengono ampiamente spiegati nel libro, con la trama che diventa quasi quella di un thriller. Di per sé lo spunto può essere anche interessante e intrigante; allo stesso tempo, però, devo dire che gli americani mi sembra abbiano una strana percezione dello studio delle lettere classiche: sembra quasi che per loro, ogni volta in cui lo studente si mette a imparare il greco, debba finire per ammazzare qualcuno, per darsi al sesso sfrenato o comunque per uscire dei limiti della società. È come se il cittadino medio statunitense avesse l'idea che i greci non facevano altro che darsi a pratiche libidinose, sfrenate ed omosessuali, o ad omicidi rituali; e che quindi chi studia quella cultura sia naturalmente portato ad emularla. Insomma, la visione dell'antichità e dello studio dell'antichità che a volte emerge da questi romanzi è perlopiù macchiettistica, e anche Dio di illusioni mi sembra che, nonostante una scrittura anche a tratti ispirata, cada un po' in questo inghippo. Come vi ho già raccontato più volte, infatti, il libro non mi ha convinto fino in fondo: l'ho trovato un po’ sopravvalutato e soprattutto alquanto scontato nella rappresentazione dei personaggi e nell'esito finale della trama. Per carità, non un brutto libro in assoluto: si tratta pur sempre di un romanzo che si legge anche abbastanza tranquillamente; ma niente di veramente memorabile come invece il grande successo che ha avuto lasciava sperare. Se vi interessa, lo potete acquistare qui.
Il mondo scritto di Martin Puchner: la lettura di Nietzsche (terminato la settimana scorsa) e dei libri dedicati a Mario Quaranta negli ultimi tempi mi ha spinto a trascurare alcuni volumi che avevo iniziato durante l'estate ma che non avevo ancora terminato. Desideroso di portare a termine almeno alcune di queste letture, questa settimana ho ripreso in mano Il mondo scritto, un saggio di cui vi avevo già parlato tempo fa ma di cui forse non ricordate granché. In breve, si tratta di un agevole volume, scritto tra l'altro in modo abbastanza accattivante, che riguarda la storia della letteratura mondiale, soprattutto facendo attenzione al ruolo che la scrittura ha assunto nella storia dell'umanità. L'autore infatti si concentra su alcune opere memorabili, come Le mille e una notte, la saga di Gilgamesh o, più avanti nel tempo, il Don Chisciotte o Il manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels, per mostrare come questi testi scritti, tra loro diversissimi, abbiano avuto un peso fondamentale nella storia dell'umanità. Il tutto senza inutili prosopopee accademiche, ma con uno stile concreto, facilmente accessibile, anche perché Puchner ti porta letteralmente nel luogo in cui quei testi furono scritti, raccontando proprio i suoi viaggi in quelle terre molto lontane. Tra l'altro ormai comincio seriamente a vedere la fine, visto che mi manca solo l’ultimo quarto del libro, e quindi sarà presto il momento di trarre le somme di questa lettura. Intanto, se volete comprarlo, vi consiglio di andare qui.
Quello che ho visto
Passiamo ora ai film: in elenco questa settimana ci sono ben due pellicole lunghe, a cui si deve aggiungere una veloce (ma densa) intervista.
Hollywood Party (1968), di Blake Edwards, con Peter Sellers, Claudine Longet, Jean Carson: ogni tanto mi trovo a pensare al politicamente corretto, tema di cui va tanto di moda discutere in questi anni. Di per sé penso che molte polemiche che si alimentano attorno a queste questioni siano per la verità piuttosto pretestuose, sia da un lato che dall'altro. Da un certo punto di vista, infatti, è importante curare il proprio linguaggio e cercare di esprimersi in modo da non urtare violentemente e inutilmente la sensibilità degli altri, ma dall'altro mi sembra che a volte questo atteggiamento possa diventare un po’ ipocrita, atto a mascherare, dietro al cambiamento delle parole, un atteggiamento che in realtà non sta mutando. Allo stesso tempo mi pare pretestuosa anche la polemica contro il politicamente corretto, perché spesso viene condotta da chi, con la scusa che “le parole sono solo parole”, pretende di poter continuare a discriminare impunemente, senza nessuna presa di coscienza o revisione dei propri vecchi atteggiamenti. Il discorso sarebbe anche molto più ampio da fare di quanto non stia facendo in queste poche righe, e in parte l'abbiamo anche affrontato proprio la settimana scorsa parlando di linguaggio inclusivo, ma queste settimane mi è tornato particolarmente in mente vedendo Hollywood Party, il celebre film di Blake Edwards con Peter Sellers che è uno dei capolavori del cinema comico americano. Si tratta di un film, infatti, che ho visto diverse volte lungo gli anni e che ho sempre amato: certe scene sono incredibilmente divertenti e in generale tutta la pellicola è un piccolo gioiello, un omaggio al divertimento puro, alla risata liberatoria; basti pensare che potrebbe tranquillamente essere un film muto e funzionerebbero lo stesso. Rivedendolo però nei giorni scorsi, mi sono anche accorto di quanto sia politicamente scorretto, se non addirittura inopportuno in certi suoi aspetti. Il protagonista interpretato da Peter Sellers è infatti un indiano molto imbranato che combina un sacco di guai ad una festa a casa di un produttore di Hollywood. Sellers, nel doppiaggio italiano (ma immagino che il problema ci sia anche in lingua originale), parla con un vistoso accento asiatico, in modo molto caricaturale, un po’ come facciamo noi italiani quando deridiamo i cinesi pronunciando la L al posto della R. Inoltre, come se tutto questo non bastasse, Sellers recita per tutto il film con una sorta di blackface: per sembrare realmente indiano, infatti, fu truccato in modo da ottenere una pelle olivastra, cosa che oggi sarebbe problematica. Ma non è finita qui: per non farsi mancare nulla, ad un certo punto un attore ospite della festa porta in camera da letto una giovane collega, tentando non solo di sedurla, ma arrivando vistosamente a molestarla, mettendole le mani addosso; certo questo non viene presentato in una buona luce, ma la ragazza non si ribella a quel meccanismo e anzi, dopo averlo più o meno respinto, ritorna in sala tranquilla, conversando ancora con lui, come se nulla fosse accaduto. Insomma, oggi i problemi di un film del genere sarebbero parecchi: sia verso la comunità indiana, ingiustamente ritratta in modo pesantemente caricaturale, sia nei confronti del movimento Me too, visto che si assiste sostanzialmente a una normalizzazione della molestia sessuale. Eppure all'epoca il film non destò alcuno scandalo e anzi venne salutato un po' da tutti come uno dei più grandi film comici di sempre. Pensate anzi che il film venne in parte apprezzato anche dal primo ministro indiano, Indira Gandhi, che evidentemente non vi percepì nulla di eccessivo. E allora mi sono chiesto: perché oggi io – o meglio la mia società – trovo questa pellicola problematica, quando non lo era affatto cinquant’anni fa? Il fatto che cinquant’anni fa queste questioni non fossero percepite come importanti, come influenza il giudizio che io do su questo film? Pensandoci un attimo, mi sono risposto che quando si guarda al passato è necessario sempre arrivare a rimarcare ciò che è giusto, ma allo stesso tempo usare anche un po' di misericordia verso se stessi e gli altri. Intendo dire che tutta la società si evolve e anche noi cresciamo e ci evolviamo; quando va bene facciamo anche dei passi avanti e prendiamo consapevolezza dei nostri errori passati, quando va male no. Se siamo abbastanza onesti dal punto di vista intellettuale, riconosciamo gli errori commessi e cerchiamo di cambiare stile; allo stesso tempo però generalmente sappiamo che quegli errori non sono stati dettati da una malafede, ma semplicemente da una sensibilità che non si era ancora affinata. Se si sono fatti degli errori, insomma, può darsi che all’epoca non ci si rendesse conto che si trattava di errori. Il tema, però, è molto complesso e ci sarebbe ancora molto da dire; per questo, facciamo così: ne parliamo in modo più diffuso più avanti, nella sezione Quello che ho pensato. Intanto vi dico solo questo: Hollywood Party, che potete trovare su Amazon Prime Video, merita comunque un'altra visione essenzialmente perché, nonostante tutto, fa ancora dannatamente ridere.
Mussolini fu costretto a marciare su Roma: intervista a Emilio Gentile | RSI Info: l’intervallo tra i film di questa settimana è costituito da un veloce video che potete guardare su YouTube e in cui mi sono imbattuto per caso: un’intervista concessa dallo storico Emilio Gentile alla Radiotelevisione della Svizzera Italiana circa un anno fa, in occasione del centenario della marcia su Roma. Il video come detto è breve, dura appena un quarto d’ora, ma molto efficace nell’arrivare al punto della questione: nel mostrare come, almeno in quella fase iniziale, Mussolini fosse quasi ostaggio dei suoi ras; nell’illustrare come il fascismo si impose ben al di là di un eventuale “pericoloso rosso”; nell’elencare le cause e le conseguenze di quella fase storica. D’altronde, Gentile è unanimemente considerato il più importante storico del fascismo, e in quest’intervista riesce anche ad essere molto efficace. Fa solo un po’ ridere che, nei commenti al video, spunti ogni tanto qualcuno che crede di saperne più di Gentile: già il fatto che non conosca la caratura di questo storico è prova del fatto che no, di fascismo il commentatore di turno ne sa ben poco. Il video potete vedervelo, se vi interessa, a questo link.
Nimona (2023), di Nick Bruno e Troy Quane: quando si cerca un film da guardare tranquillamente in famiglia, spesso a casa mia si opta per un cartone animato. Ormai ce ne sono a bizzeffe sui vari canali di streaming e, nonostante a volte siano un po' banali e scontati, offrono sempre un intrattenimento di livello quantomeno discreto. Mentre con i film si rischia sempre di imbattersi in storie anche deludenti, con i cartoni animati si va in un certo senso sull’usato sicuro: spesso sanno di già visto, ma almeno sono ben fatti. Così anche qualche giorno fa abbiamo fatto partire l'ultimo cartone animato lanciato su Netflix in queste settimane, Nimona, tratto a sua volta da una graphic novel di cui avevo sentito parlare a suo tempo ma che non ho mai letto. Ebbene, devo dire che nonostante tutto il film è stato anche un po' meglio della media: nonostante qualche eccesso zuccheroso e una morale fin troppo spiattellata e ripetuta fino allo sfinimento, il film ha infatti una buona dose di azione e qualche momento simpatico, tutte cose che hanno fatto la gioia dei miei figli più piccoli. La storia in breve: in un mondo del futuro ma dai tratti quasi medievali esiste una potente casta costituita dai cavalieri, che di solito sono di estrazione altolocata. La regina di questo paese, però, sta cercando di cambiare queste antiche tradizioni, permettendo anche alla gente comune di intraprendere la carriera di cavaliere; il primo di questi cavalieri arrivati dal basso, però, proprio durante la cerimonia ufficiale di investitura finisce per ammazzare la stessa regina. Da lì inizia una fuga che avrà come scopo quello di scagionare il sospettato ma allo stesso tempo di creare una sorta di amicizia tra questo fuggitivo e appunto Nimona, una specie di mostro mutaforma che un po’ alla volta si rivela molto più complessa di come le apparenze lascerebbero pensare. Il film, come detto, non è straordinario, ma può intrattenervi abbastanza piacevolmente per poco meno di un paio d'ore. Lo trovate su Netflix.
Quello che ho pensato
Torniamo un attimo alla questione che avevo anticipato prima parlando di Hollywood Party, quella cioè delle diverse sensibilità su alcuni problemi capitali del nostro tempo, come il razzismo o il sessismo, soprattutto quando queste sensibilità mutano nel corso del tempo.
Facciamo subito qualche esempio concreto, per capirci. Il primo l'ho già citato sopra: negli anni '60, e per la verità anche in epoca molto più recente, era abbastanza normale che gli attori bianchi si pitturassero la faccia di nero per interpretare persone di colore, e che magari imitassero anche la parlata degli afroamericani o degli indiani calcando parecchio la mano su certi accenti, in modo caricaturale e stereotipato. Oggi tutto questo è considerato abbastanza offensivo, sia perché raramente gli stranieri parlano davvero con quell’inflessione così estrema, sia perché in genere la cosiddetta blackface viene fatta per prendere in giro una minoranza che già sopporta abbastanza problemi senza che ci si metta sopra anche il cinema o la TV, che finiscono per rafforzare determinati stereotipi.
Un altro esempio può essere però ancora più concreto per la mia generazione. Se avete 40 anni o giù di lì, e siete maschi, ricorderete di sicuro quali erano le offese più diffuse e forti che ci si rivolgeva quando si era bambini. Purtroppo – e lo ricordo con una punta di malessere – i bambini della mia generazione, e con essi anche io, usavano di solito epiteti legati all’omosessualità per deridere gli avversari: parole come frocio, ricchione, culattone erano spesso la norma. Il che vuol dire che le dicevamo a volte senza avere neppure piena consapevolezza di cosa significassero, ma soprattutto con una estrema leggerezza, senza pensarci.
Eravamo piccoli e scemi e usavamo le parole che avevamo sentito usare da quelli un po' più grandi di noi. D'altra parte, era il tempo in cui l'omosessualità provocava dappertutto ancora risatine imbarazzate. Anche i film più aperti da questo punto di vista presentavano allora i gay come personaggi da avanspettacolo, da sopportare solo quando erano sostanzialmente delle macchiette.
Oggi tutto questo un po' mi imbarazza, come detto: ho infatti la scusa dell'età e il fatto che all’epoca si comportavano così tutti i miei coetanei, ma allo stesso tempo mi rendo oggi conto di quanto fosse sbagliato e offensivo quello che dicevo. Non ho mai sentito i miei figli a esprimersi in questo modo e se lo facessero mi arrabbierei molto, ma spero credo che le cose da allora siano cambiate.
Questo però ci porta secondo me a riflettere in maniera più profonda sul tema del politicamente corretto e di come lo si possa applicare retrospettivamente. Come forse saprete, infatti, il nuovo atteggiamento nei confronti delle parole scorrette non riguarda sempre e solo il presente, quando secondo me è anche sacrosanto, ma a volte si rivolge pure al passato: così esistono dei novelli “censori” che vanno in cerca di opere letterarie o cinematografiche di 50 o 100 anni fa, chiedendosi se si possono lasciare così come sono, o se vadano emendate dalle parole che oggi sono “tabù”.
Solo per citare alcuni esempi recenti, ricorderete qualche tempo fa la polemica sui libri di Roald Dahl, che sono stati ristampati con qualche correzione proprio dovuta al politicamente corretto. Oppure avrete forse letto anche della questione dell'antisemitismo in certi libri di Agatha Christie, che ancora un po' imbarazza i suoi editori. E, poi, di stanze delle biblioteche a cui cambiare l'intitolazione e altro ancora.
In generale penso che ci siano anche delle differenze da caso a caso, e che quindi sia difficile fare un discorso valido per tutte le situazioni. Ad ogni modo, come anticipavo sopra parlando di Hollywood Party, mi sentirei di suggerire cautela. Anzi, vi dico la verità, vorrei usare una parola ancora più forte: misericordia. Mi sembra il termine più adatto, e vorrei spiegarvene il perché.
Per farlo vi chiedo di fare assieme a me una sorta di esperimento mentale. Pensate di avere a disposizione una macchina del tempo e di poter tornare al momento in cui alcune delle opere che oggi sono incriminate sono state scritte o realizzate. Pensate di poter andare a parlare con Agatha Christie negli anni '20, quando inseriva questi commenti antisemiti nei suoi libri, oppure con Blake Edwards negli anni '60, quando stava realizzando le riprese proprio di Hollywood Party.
Immaginate, a questo punto, di voler avvertire questi autori del fatto che sia meglio per loro censurare quello che stanno facendo, cambiando ad esempio la nazionalità di un personaggio, il trucco applicato alla sua pelle o quelle righe che contengono commenti razzisti. Come vi guarderebbero, la buona Agatha Christie o il buon Blake Edwards, davanti ai vostri commenti?
Per come me li immagino io, strabuzzerebbero gli occhi. Non perché si riterrebbero offesi dalla richiesta, quanto perché non la capirebbero. Quando Agatha Christie inseriva quei vaghi commenti razzisti nei suoi libri, tutta l'Europa era sostanzialmente antisemita e c'era chi scriveva ben di peggio. Quando Blake Edwards faceva dipingere di nero la pelle di Peter Sellers, il razzismo era ben altra cosa: c'era gente che andava a sparare ai neri durante le marce per i loro diritti; la blackface non era considerata da nessuno un problema, perché anzi poteva sembrare quasi una scelta progressista, visto che permetteva di inserire un personaggio nero in una trama. Quello che per noi oggi può sembrare offensivo, allora era invece in certi casi un pregio.
Il problema sta proprio qui: non è tanto che è cambiata la sensibilità e basta, e non è tanto che oggi si sia più attenti di un tempo a certi problemi. La questione in realtà è più complessa: secondo me è cambiato letteralmente il filtro con cui vediamo il mondo. Per usare una terminologia più filosofica, è cambiato il paradigma che applichiamo alla realtà.
Per capire cosa intendo devo richiamarvi alla mente alcuni discorsi che abbiamo trovato in filosofia della scienza e in parte nella filosofia del linguaggio. Pensate a Thomas Kuhn, lo storico filosofo della scienza che si trovò ad operare nel secondo dopoguerra. Questo pensatore americano, in polemica con Karl Popper, sostenne infatti che le teorie scientifiche non sono isolate, semplici leggi che si possono cambiare a piacimento, ma appartengono piuttosto a un paradigma, cioè letteralmente ad un modo di concepire il mondo, a una sorta di filtro costituito da teorie, esperimenti, pratiche, metodologie tutte coerenti tra loro e capaci di costituire una sorta di lente attraverso cui guardiamo la realtà.
Il sistema aristotelico-tolemaico per Kuhn non era solo una teoria, ma una prospettiva sul mondo. Infatti, il sistema copernicano che si impose durante la Rivoluzione scientifica non era a sua volta solo una semplice teoria, ma proprio un diverso approccio, un diverso modo di concepire la realtà.
L'esempio che fa Kuhn a me piace parecchio: per un aristotelico il tramonto è il sole che scende oltre l'orizzonte, mentre per un copernicano è la terra che gira. Lo chiamiamo sempre “tramonto”, ma in realtà per i due studiosi contrapposti si tratta di due fenomeni radicalmente diversi. Potremmo dire che il significante è lo stesso, ma il significato no. Per questo, sottolinea Kuhn, una aristotelico e un copernicano non possono davvero comunicare tra loro, perché quando parlano non hanno in mente due modi diversi di guardare alla stessa cosa, ma hanno in mente proprio due cose diverse.
A me pare che il meccanismo con cui parliamo del passato funzioni alla stessa maniera. Se io potessi tornare indietro nel tempo porterei con me il paradigma del 2023, il modo di vedere la realtà che è figlio del mio tempo, che è figlio delle lotte per i diritti civili, che è figlio delle lotte per l'inclusione, chi è figlio della globalizzazione e di tutto il resto; e però mi troverei a parlare con persone che non vedono solo le cose in maniera diversa, ma che concepiscono letteralmente cose diverse, perché usano un paradigma precedente rispetto al mio. Noi non solo parliamo delle cose in modo diverso, ma ci riferiamo a cose diverse.
Detta in altri termini, tra il 2023 e il 1968 non cambiano solo le parole, perché le parole sono il riflesso della visione che abbiamo della realtà; cambia anche la realtà. I due mondi, quello del 1968 e quello del 2023, sono in una certa misura incapaci di comunicare tra loro.
Questo ci fa capire anche quanto sia difficile per uno storico occuparsi del passato e soprattutto della mentalità del passato. Io credo che sia possibile farlo bene solo quando si conosce tutto il passato, quando cioè si sono visti tutti i graduali cambiamenti di paradigma. Se ad esempio voglio parlare della mentalità degli anni '70, devo essermi avvicinato gradualmente a quel paradigma passando attraverso quelli degli anni 2000, '90 e '80; allo stesso modo, se voglio comprendere e parlare con un minimo di senso della mentalità dell'uomo medievale, devo avvicinarmici con un cammino a ritroso che parte dalla mentalità dell'uomo del Novecento, passa attraverso quella dell'uomo dell'Ottocento e via così, fino ad arrivare all'età desiderata. Altrimenti c'è il rischio di applicare sempre le proprie categorie al passato, di parlare di epoche in cui i fatti erano qualcosa di molto diverso dai nostri con mentalità però che sono troppo moderne.
Per questo prima usavo il termine “misericordia”: dobbiamo infatti capire che gli uomini del passato a volte non vedevano le cose che vediamo noi oggi. Ho raccontato che da bambino qualche volta mi sono trovato ad usare probabilmente anche parole di cui oggi mi vergogno; eppure, allora nessuno percepiva quelle parole come noi le percepiamo oggi. La realtà era davvero diversa e quindi per un bambino era sostanzialmente impossibile accorgersi della pesantezza dei suoi termini.
Ero, insomma, come un aristotelico convinto che fosse il sole a girare, e nessuno mi aveva ancora fatto notare che invece è la Terra a muoversi. D'altra parte, da solo non ci potevo arrivare.
Ero in errore? Oggi direi di sì, ma allora non potevo certo saperlo. Pertanto, pur ammettendo il mio errore, penso di potermi oggi anche tutto sommato perdonare. Usare nei miei confronti, come dicevo prima, misericordia, e ammettere che in fondo ognuno è figlio del suo tempo, è figlio del suo paradigma.
Mi si potrebbe però a questo punto fare un obiezione, anche piuttosto sensata: non è che in questo modo si finisce però per giustificare ogni forma di razzismo? In fondo anche gli esponenti del Ku Klux Klan vedevano le cose dalla loro prospettiva e giudicavano sulla base del loro paradigma: dovremmo perdonare anche loro?
Ovviamente no, non intendo arrivare neppure lontanamente a questi estremi. Quando il Ku Klux Klan seminava il terrore, c'era anche chi, in quello stesso tempo, difendeva i diritti degli afroamericani, li voleva liberare dalla schiavitù, li considerava alla pari dei bianchi. Segno che il paradigma di quel tempo non era in realtà quello incarnato dal Ku Klux Klan, che ne rappresentava forse la parte peggiore. Ogni uomo è e figlio del suo tempo, ho detto: ma in ogni tempo ci sono uomini migliori e uomini peggiori, uomini che sanno anticipare l'evoluzione dei diritti e uomini che invece remano contro e usano la violenza.
Noi dobbiamo usare misericordia con quelli che hanno cercato di migliorare il paradigma del loro tempo, che hanno cercato di espandere i diritti, pur commettendo a volte delle ingenuità o degli errori; e invece dobbiamo essere più duri e condannare quelli che, pur percependo un cambio di paradigma in arrivo, hanno fatto di tutto per bloccare quel cambiamento e per mantenere in piedi una visione del mondo che ormai iniziava ad essere sorpassata.
Di nuovo, per comprendere quest'ultimo tema ci torna utile citare Kuhn: all'epoca di Claudio Tolomeo, nell'antica Alessandria, non c'era nulla di male nel professarsi aristotelico, anche perché quello aristotelico era l'unico modello serio che potesse in qualche misura spiegare l'universo. Ma nel XVII secolo, quando Copernico aveva già spiegato le sue idee, quando Keplero le aveva in parte già confermate e Galileo aveva trovato ulteriori prove, continuare a difendere l'aristotelismo era sbagliato, era un’opera di retroguardia, era un tentativo di bloccare la rivoluzione in atto ed impedire l'avvento di un nuovo paradigma migliore.
Insomma, non possiamo incolpare gli antichi greci di aver prodotto Aristotele, ma possiamo incolpare la Chiesa che processò Galileo, perché in quel momento storico la Chiesa aveva finalmente mezzi per comprendere qualcosa di più, e non lo volle fare. Così Secondo me dovrebbe funzionare anche nel giudizio morale sul passato: quando non c'erano obiettivamente i mezzi culturali per comprendere l'errore, poteva essere una buona scelta semplicemente perdonare; ma quando c'era modo eccome di capire di essere in errore, allora si diventava davvero responsabili dei propri sbagli.
Per chiudere, richiamiamoci al nostro esperimento mentale: se con la nostra macchina del tempo fossimo andati a parlare con quelli del Ku Klux Klan, loro non ci avrebbero guardati senza capire di cosa parlavamo; avrebbero anche capito, perché discorsi sulla parità dei diritti al loro tempo se ne facevano già in abbondanza, Ma pur capendo non avrebbero voluto ascoltarci. Lì sta la differenza, lì sta la responsabilità.
Quando c’è un rifiuto a trattare un tema che si vede, si è in errore; ma quando il tema non lo si vede, c’è poco da fare, se non perdonare.
Quello che ho registrato e pubblicato
Concentriamoci ora sui video e i podcast che sono usciti questa settimana, soprattutto se ve ne siete persi alcuni:
L'attacco di Hamas a Israele nel 2023: una veloce spiegazione di quello che sta accadendo tra Israele e Palestina in queste ore
Tutto Galileo Galilei in un'ora: Galileo Galilei è stato un filosofo e fisico di importanza capitale e vale la pena recuperarne anche sinteticamente il pensiero
Le notizie e la percezione della realtà: una diretta per parlare di come funzionano i mass-media e di come vengono scelte le notizie da dare
La storia e la politica di Guicciardini (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
La Terza Repubblica Francese (per il podcast “Dentro alla storia”)
I bonghi di Feynman in Oppenheimer
Quello che devi fare per seguirmi sui social
Ah, prima di dimenticarci vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
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Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono gli abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
Trattato sulla natura umana di David Hume: il Trattato sulla natura umana di Hume è un classico un po' sottovalutato della storia della filosofia. Hume, infatti, ha avuto in realtà un impatto fondamentale per aprire la strada a Kant e alla riflessione in generale gnoseologica dell'Ottocento e del Novecento; recuperarne il capolavoro, quindi, è una cosa da fare quanto prima, anche se questo capolavoro, pur scritto in un linguaggio accessibile, è particolarmente corposo. Il libro conta infatti quasi 1.300 pagine, ma a questo link lo trovate quasi regalato a 36 euro. Compratelo!
sui social questa settimana ho segnalato come al solito diversi libri appena usciti che mi paiono interessanti, una sorta di “lista della spesa” che dovrebbe rivelarsi utile anche in primis per me. Ecco i volumi, se ve li siete persi:
L’Italia prima di Roma di Paolo Giulierini: ne ho parlato qui;
Curare il mondo con Simone Weil di Tommaso Greco: ne ho parlato qui;
Neuroscienza del corpo di Nazareth Castellanos: ne ho parlato qui;
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Quello che c’è in arrivo
E chiudiamo con una velocissima carrellata sui video in arrivo (forse, perché gli impegni si stanno moltiplicando e sarà così fino al 21 ottobre):
martedì e mercoledì si parte coi podcast, rispettivamente su Botero e sul liberalismo inglese;
giovedì mi piacerebbe preparare un video storico sull’apartheid in Sudafrica;
venerdì, se tutto va bene, vorrei anche riuscire a realizzare un video introduttivo su George Orwell e il suo pensiero;
sabato non so ancora cosa uscirà: forse un video breve, di quelli da un minuto;
domenica e lunedì poi torneranno di nuovo i podcast, con l’inizio di Cartesio e una panoramica sull’autocrazia russa.
E questo è tutto, almeno per questa settimana. Appuntamento di nuovo qui tra sette giorni esatti!