Sul senso di una buona morte, ma anche sull'etica dell'intelligenza artificiale, su Primo Levi, sul Risorgimento, su Bud Spencer e Terence Hill, sui Monty Python, su Erasmo, su logica e matematica
Di scuola si continua a parlare tantissimo in Italia in questi mesi, cosa che di per sé potrebbe e dovrebbe essere qualcosa di estremamente positivo. Purtroppo, però, mi pare che se ne parli sempre in modo estremamente superficiale, usando la scuola semplicemente come strumento di propaganda e poco più.
Prova di questo è anche l'ultima sparata del governo, che fa seguito, per la verità, ad un atteggiamento piuttosto diffuso nell'ambito della politica: quello di fare grandi promesse di rinnovamento che però alla fine dei conti o non servono in realtà a nulla, o si rivelano dei deliri burocratici che annullano perfino i più piccoli propositi positivi che magari potevano esserci nella proposta iniziale.
Nello specifico, la questione della settimana riguarda l'ipotetica nascita di un liceo del Made in Italy, proposto da Giorgia Meloni durante una sortita al Vinitaly di Verona, non distante da casa mia. Una proposta per la verità estremamente vaga: da quel che si capisce, sarebbe una sorta di mix tra Istituto Alberghiero, Istituto Agrario e Liceo delle Scienze Umane con Opzione Economico-Sociale, cioè uno stranissimo indirizzo che prenderebbe qualcosa dal professionale, qualcosa da un tecnico e qualcosa dal liceo.
Quasi sicuramente non vedrà mai la luce ed è stata semplicemente una boutade elettorale, detta davanti a produttori agricoli che vanno in brodo di giuggiole quando si sentono esaltati dalla politica. Come se non bastasse, è arrivata nel giorno in cui è stata resa nota una proposta di legge proprio di Fratelli d'Italia per vietare l'uso di parole inglesi: mentre i deputati della Meloni si scagliano contro le parole straniere, lei stessa ne usa ben due per dare il nome a un'ipotetica nuova scuola incentrata sull’Italia.
In queste proposte, si dirà, non c'è nulla di serio e non vanno prese troppo sul serio: sono solo frasi pronunciate per il proprio elettorato, per raccogliere consensi facili ma senza implicare un impegno concreto da parte del governo in quella direzione. Ne sono convinto anch'io, ma proprio questo è il problema.
Da ormai troppo tempo, come dicevo all'inizio, la scuola è usata solo per raccogliere voti; è il luogo delle “sparate” facili, in cui tutti possono dire tutto, perché tanto quello che conta è solo l’apparenza. Nessuno si vuole occupare davvero dei suoi problemi strutturali, nessuno vuole rinnovarla. È vista solo come un possibile serbatoio di consensi, elargiti o dai professori o dalle famiglie, e tutti vi si appoggiano solo per promettere grandi riforme che però poi nessuno metterà davvero in pratica.
Torna alla mente, così, il classico motto di Tomasi di Lampedusa, che ben si adatta all'Italia nel suo complesso ma, forse proprio per questo, anche alla scuola, che dell'Italia rappresenta in un certo senso l'anima: cambiare tutto perché nulla cambi. Tutti dicono di voler riformare la scuola, ma nessuno la riforma mai davvero.
Ma, come avrete visto dal titolo della newsletter di questa settimana, la scuola non è il tema centrale del giorno. Dobbiamo parlare di tante altre cose: libri, film, video, podcast, e soprattutto di morte. Quindi quest’introduzione serviva solo per mettervi nel mood giusto. Tenetevi forte perché si parte.
Quello che ho letto
Non ci sono grosse novità tra i libri in lista questa settimana: dei primi due ho già parlato proprio sette giorni fa, mentre il terzo è stato discusso varie volte in precedenza. In compenso, però, ho letto molto e ci sono quindi discrete novità su tutti questi volumi.
Il sistema periodico di Primo Levi: partiamo dal libro di cui ho iniziato la lettura più di recente, il capolavoro di Primo Levi dedicato alla sua esperienza come chimico. Come vi avevo accennato, il libro è una raccolta di racconti, ognuno ispirato a un diverso elemento della tavola periodica. Quando ne ho parlato la volta scorsa, avevo letto solo il primo racconto, Argon, dedicato alle origini della famiglia di Levi; questa settimana ho proseguito con Idrogeno (in cui l’autore racconta alcuni esperimenti chimici condotti in gioventù con un amico), Zinco (incentrato sulle attività nel laboratorio dell’università), Ferro (dedicato all’amico Sandro, un ragazzo amante più della montagna che della chimica, poi morto durante la Resistenza), Potassio (ancora in laboratorio ai tempi dell’università, al servizio di uno strano assistente) e Nichel (forse quello biograficamente più interessante, perché racconta del primo lavoro ottenuto da Levi subito dopo la laurea, in una miniera in cui non doveva dire il proprio nome, visto che erano già in vigore le leggi razziali). La chimica è, com’è evidente, l'elemento unificante di tutti i racconti, ma forse costituisce più che altro una scusa per permettere a Levi di raccontare la propria vita, soprattutto negli anni caldi del fascismo e della Resistenza. Non mancano infatti, qua e là, riflessioni proprio sul fascismo, sull'ebraismo e soprattutto sulla scienza e sul suo valore anche filosofico, riflessioni che sto alacremente sottolineando (ve ne basti una, per ora, da Zinco: «Perché la ruota giri, perché la vita viva ci vogliono le impurezze, e le impurezze delle impurezze: anche nel terreno, come è noto, se ha da essere fertile. Ci vuole il dissenso, il diverso, il grano di sale e di senape: il fascismo non li vuole, li vieta, e per questo tu non sei fascista; vuole tutti uguali e tu non sei uguale. Ma neppure la virtù immacolata esiste, o se esiste è detestabile»). Quando si legge Primo Levi, l'impressione è più o meno sempre la stessa: si sta ascoltando una persona che sa molto, che ha vissuto molto e che però un po’ si schernisce e si sottovaluta, ritenendo semplicemente di essere passato suo malgrado, quasi per caso, attraverso i momenti più rilevanti della storia. Se vi interessa – e secondo me dovrebbe se vi interessa la storia oltre che la buona letteratura – potete comprarlo qui.
Etica dell’intelligenza artificiale di Luciano Floridi: il libro a cui ho dedicato in assoluto più tempo questa settimana è stato questo volume del filosofo italiano Luciano Floridi, di cui vi ho parlato anche altre volte visto che tratta un tema estremamente attuale: quello del difficile ma importante rapporto tra etica e intelligenza artificiale. Il testo non è di facile lettura: Floridi lo ha scritto per fare in un certo senso il punto su tutta una serie di riflessioni condotte da lui stesso e da tanti altri pensatori in giro per il mondo negli ultimi anni; così, il suo saggio è quasi un manuale che tocca tutti i diversi ambiti e tutti i diversi aspetti della tematica, facendo una rapida carrellata di quali siano i problemi che sono emersi e di quali, allo stato attuale, le possibili soluzioni. Questo lo rende sicuramente un testo indispensabile per chi voglia addentrarsi in questo ambito di ricerca, ma allo stesso tempo un volume molto tecnico, visto che le questioni vengono sostanzialmente solo toccate in grande velocità, presupponendo che chi legge abbia già almeno un’infarinatura di base riguardo a molte problematiche. Detto in termini più semplici: faccio fatica a seguire io i ragionamenti – io che tutto sommato sono uno che di questi argomenti si interessa da tempo –, figuriamoci un profano, che lo troverà di certo molto ostico. In più bisogna anche dire che il libro non affronta solo tematiche generali ma cerca anche di dare delle direttive o dei consigli che poi i vari governi dovranno implementare: questo rende il saggio non tanto una semplice opera di filosofia, quanto quasi un testo giuridico, o una strana via di mezzo tra una proposta di legge e una riflessione etica. E questo, almeno per il mio gusto personale, appesantisce un po' tutta la questione, facendo sì che le tematiche risultino segnate pesantemente da termini giuridici e da un linguaggio “da regolamenti”. Comunque, come detto, Etica dell’intelligenza artificiale rimane un libro indispensabile per chiunque voglia arrivare a comprendere la complessità di questi problemi, e forse il migliore allo stato attuale sulla piazza. Insomma, se volete davvero capirci qualcosa sulle implicazioni di ChatGPT e di tutto il resto, compratelo qui.
Il problema dei tre corpi di Liu Cixin: a questo libro negli ultimi giorni mi sono dedicato un po’ meno, ma devo dire che in realtà è quello che mi sta sconvolgendo di più. Come già vi ho raccontato, si tratta di un romanzo di fantascienza ambientato in Cina, tra la rivoluzione culturale di Mao e i giorni nostri. La Cina che viene ritratta, però, non è la Cina attuale (o almeno spero che non lo sia): la trama infatti si addentra all’interno di un progetto segreto finanziato dal governo, in realtà un po' in accordo e un po' in rivalità con altri governi mondiali, per la conoscenza della realtà fisica più profonda. O almeno così sembra: il mistero è piuttosto fitto e fino ad adesso non si è ancora capito bene cosa il progetto Costa Rossa stesse davvero cercando, tra radiazione cosmica di fondo, strani messaggi cifrati e tentativi di contatto con gli alieni. In tutto questo, inoltre, si insinua anche uno stranissimo videogioco che il protagonista di tanto in tanto affronta, e che sembra nascondere però la chiave di tutto il mistero: un videogioco che un po' alla volta permette di introdurre il problema di tre corpi che dà il titolo all'intera opera. Con quest’ultima espressione si individua, l'ho scoperto proprio leggendo, un celebre problema matematico (qui la spiegazione di Wikipedia) che non ha allo stato attuale una facile soluzione ma che sembra avere un ruolo fondamentale all'interno della trama del libro. Insomma, di stimoli ce ne sono davvero tanti: anche se si fa un po' fatica a seguire tutti i vari personaggi e i cambiamenti di prospettiva, le riflessioni sulla matematica e sulla fisica sono davvero intriganti e non possono lasciare indifferente chi si diletta di queste questioni. Sono a malapena a metà dell’opera, ma mi sento già di consigliarlo caldamente: per farvi trascinare all’interno di questo intrigante mondo scientifico, comprate il libro qui.
Quello che ho visto
Passiamo ora al versante dei film, o sarebbe meglio dire degli audiovisivi, visto che questa settimana vi propongo non solo una pellicola cinematografica (per la verità anche un po' datata), ma pure una serie TV e una conferenza che si può ascoltare online su YouTube.
Monty Python’s Flying Circus episodio 1.06 (1969), di e con Graham Chapman, John Cleese, Michael Palin: dei Monty Python vi ho parlato già varie altre volte, visto che un po’ alla volta sto cercando di recuperare tutte le vecchie puntate del loro show televisivo degli anni '60 su Netflix. Sono arrivato al momento al sesto episodio, forse non uno dei più brillanti della serie ma comunque, come sempre, interessante. La comicità del gruppo britannico era fondata essenzialmente sulla satira e il nonsense, mescolando situazioni di vita quotidiana che rapidamente degeneravano nell'assurdo e ritratti piuttosto cinici della società inglese del tempo. Alcune gag possono risultare oggi forse un po' datate, soprattutto nel caso dei cartoni animati démodé di Terry Gilliam, anche perché molte delle idee del gruppo sono state poi riprese da decine di altri comici, sia in Inghilterra che altrove, ma una volta che ci si mette nell’ottica di uno spettatore degli anni '60, l’impressione di essere davanti a qualcosa di geniale e innovativo non può mancare. Come detto, trovate tutte le puntate (in lingua originale ma con i sottotitoli in italiano) su Netflix. E se vi piacciono, poi passate anche ai loro film, ugualmente memorabili.
Lo chiamavano Trinità… (1970), di E.B. Clucher (Enzo Barboni), con Terence Hill, Bud Spencer, Farley Granger: ci sono poche coppie d’attori, in Italia, che abbiano goduto della popolarità che hanno avuto Bud Spencer e Terence Hill. Come forse saprete, tra gli anni '70 e gli anni '80 il duo di attori recitò in molti film campioni d’incassi, diventando celebre non solo in Italia ma anche in mezza Europa grazie a storie basate all’incirca sullo stesso canovaccio: i due – personaggi di per sé non troppo raccomandabili – si imbattono in un lestofante che sfrutta la povera gente e decidono di fargliela pagare a suon di ceffoni. Un canovaccio che negli ultimi film era probabilmente un po’ stantio e prevedibile, ma che all’inizio aveva funzionato anche discretamente bene. Lo dimostra anche Lo chiamavano Trinità…, forse il loro film migliore, datato addirittura 1970, quando ad ironizzare sul Far west erano ancora in pochissimi. Fu infatti proprio questo film a renderli delle star, anche se oggi la trama pare davvero esilissima. Bisogna però ammettere che i due interpreti se la cavavano più che bene nei loro ruoli e i loro personaggi non erano ancora stati edulcorati dal tempo. Io il film l’ho recuperato in questi giorni soprattutto per farlo vedere ai miei due figli più piccoli, che avevano sentito parlare di Bud Spencer e Terence Hill ma non ne avevano ancora visto nemmeno un film; voi, se volete fare lo stesso, non dovreste avere problemi: questa pellicola infatti al momento in cui scrivo si trova gratuitamente su Netflix, su Prime Video, su Disney+, su Infinity e su Paramount+. Si fa più fatica a perderla che trovarla, insomma. Se poi volete tenervelo in videoteca, lo trovate a pochi euro qui.
Capitalisti che odiano il mercato - Un’introduzione al pensiero di Fernand Braudel: se siete studiosi di storia, conoscete molto bene il peso avuto dal francese Fernand Braudel nello sviluppo di questa disciplina. Membro della celeberrima scuola degli Annales, studioso in particolare del Mediterraneo e dei suoi traffici, è stato uno dei più grandi storici del Novecento. Ancora oggi la sua analisi, anche se per ragioni anagrafiche un po’ datata (Braudel è morto negli anni '80), è fondamentale, e ce lo dimostra anche questa conferenza/incontro online trasmessa qualche giorno fa da OttolinaTV sul proprio canale YouTube. A parlare dello storico francese è stato Marco Bertilorenzi, che insegna storia economica a Padova e che nell’incontro ha cercato di spiegare il tentativo di Braudel di raccontare la storia del capitalismo e le sue caratteristiche, parlando soprattutto di mercato e di contro-mercato. Il video dura un paio d’ore e ha momenti più interessanti ed altri forse meno, ma vale la pena di essere visto. Lo trovate qui. E poi non dimenticate di leggere pure qualcosa di Braudel, che male non fa.
Quello che ho pensato
Questa settimana niente fatti di cronaca, niente fatti di attualità su cui riflettere o su cui utilizzare le nostre categorie interpretative. Vi parlerò, piuttosto, di un fatto molto banale e molto personale. Domenica scorsa, mentre stavo revisionando la newsletter che poi ho fatto uscire lunedì 3 aprile, ho ricevuto a tarda sera una telefonata da parte di mia madre, per dirmi che mio nonno stava male. Nel giro di poco tempo mi sono recato a casa sua solo per vederlo ormai morto nel suo letto matrimoniale, nella sua vecchia e nota camera da letto.
Se vi fate due conti mentali, potreste essere un po’ stupiti dal fatto che io – che quest’anno compirò 44 anni – avessi ancora un nonno così autonomo da vivere in casa sua e da dormire sul proprio letto. Ormai i nonni giovani sono in effetti una rarità, per via di molti fattori sociali e demografici; però io ho avuto la fortuna di averli. Anche se in realtà questo era oramai l’ultimo e non ne è rimasto più nessuno.
Il più longevo di tutti ci ha lasciati a 92 anni e mezzo di età, ma, appunto, era diventato mio nonno ancora piuttosto giovane, a 49 anni (e a dirla tutta non ero neppure il suo primo nipote: ho una cugina di qualche anno più vecchia). Questo ha fatto sì che per tutta l'infanzia io abbia avuto quello che si suol dire un nonno in piena forma, che mi veniva a prendere all’asilo e mi portava in giro sul tubo della bicicletta o che mi teneva nel suo ufficio (ricavato dentro a una stanza di casa sua) mentre lavorava. Un nonno che la domenica – o, meglio, una domenica su due – mi portava allo stadio a vedere la partita e che mi raccontava della Rovigo di una volta, di quando c’era la guerra o, meglio ancora, di quando, finita la guerra, andava a ballare la sera.
Le storie di guerra gli piacevano, ma gli piacevano ancora di più le storie di divertimento, di ballo o di sport (aveva una passione per il pugilato, e fino alle ultime ore di vita era perfettamente in grado di elencare tutti i grandi pugili polesani degli anni '40 e '50, mimandone anche i colpi tipici, visto che quando raccontava si faceva un po’ prendere la mano).
Non voglio fare però la storia strappalacrime: se ne vedono in giro tante, e la mia non avrebbe granché da dirvi. Quando si è davanti alla morte, però, qualche riflessione, a mente fredda, bisogna pur farla, come ci ha insegnato anche Heidegger.
Come si è capito, mio nonno ha avuto un ruolo abbastanza importante nella mia infanzia, soprattutto perché la mia famiglia e la sua occupavano i due lati di una stessa casa bifamiliare. È stato, inevitabilmente, uno dei miei modelli, senza neppure farci troppo caso. Non mi sono mai detto: “Da grande voglio diventare come mio nonno”, o “Da grande vorrei fare il tuo lavoro”, come dicono a volte i bambini. No, non l’ho mai neppure pensato. Eppure, a guardarmi oggi, mio nonno è forse il parente a cui assomiglio di più.
Intanto, era un uomo poco appariscente, o almeno io l’ho sempre percepito così: la persona forte della famiglia era sua moglie, mia nonna, che aveva un caratteraccio e quindi dominava spesso la scena; lui stava spesso in disparte, spesso in silenzio. Però era un uomo calmo, buono, posato, abitudinario. Era una di quelle persone che magari non ti accorgi troppo che ci sono, ma quando mancano ne senti subito la mancanza.
Ecco, io credo di essere diventato così, o forse lo spero. Mi piace questo tipo di personalità: la persona che non si mette in mostra, che lavora un sacco, che tiene in piedi la famiglia nei momenti difficili, su cui sai di poter contare.
Il guaio è che questi discorsi che sto facendo sul carattere e sul ruolo di una persona all’interno di una famiglia sono i discorsi che dovremmo fare tutti (e io per primo) nei confronti della vita. Anche la nostra vita è segnata, spesso, dall’andare in cerca di cose appariscenti ma che non contano poi molto, dal farci sballottare di qua e di là, mentre quello che servirebbe davvero è la calma del ragionamento, la moderazione (non quella politica o d’opinione, ma del modo di essere) di chi riflette e non si fa trascinare come una banderuola al vento.
Vi sembrerà forse strano, ma durante il funerale di mio nonno pensavo a tutto questo: al fatto che è stato una presenza fissa, costante, capace di guardare le cose col distacco dei forti. E – ed è questa la cosa strana – mi è venuto in mente Spinoza. Sì, Baruch Spinoza.
Lo so: andare in Chiesa, per di più a un funerale, e pensare a un filosofo quasi ateo può fare un po’ impressione. Ma Spinoza, anche a ripensarci a freddo, lì era davvero il filosofo più adatto.
Ripenso spesso, ultimamente, ai tre gradi della conoscenza teorizzati dal filosofo olandese (ne ho parlato, tempo fa, in un video apposito), soprattutto all’ultimo: quello della conoscenza intuitiva che corrisponde all’amore intellettuale di Dio.
L’amore intellettuale di Dio, per Spinoza, è il grado più alto della vita, ciò che dà la felicità. E come lo si ottiene? In un certo senso, guardando al mondo dall’alto. Quando ci si accorge non solo che tutto è collegato, che tutto è interconnesso, ma anche che il mondo va così e non potrebbe andare altrimenti, si trova la pace più elevata, la letizia più piena.
Le persone si arrabattano sempre dietro a quello che vogliono e non hanno (né, spesso, possono avere); tutti lottano perché non vogliono accettare la loro vita, le loro fortune e sfortune, e quindi si angosciano nell’invidia, nella brama, nella rabbia, nel tormento. E questo perché non riescono ad elevarsi al di sopra delle loro piccole sventure.
Se guardassimo il mondo dall’ottica di Dio (un Dio come quello di Spinoza, che corrisponde al mondo nella sua interezza), ci accorgeremo che tutta l’umanità ha patito gli stessi problemi e le stesse sfortune, sempre, e che la nostra piccola magagna non vale più di quella di miliardi di altri. Che la nostra piccola e corta vita è un granello di sabbia nel mare magnum del tempo, e che non ha davvero senso arrabbiarsi per come è fatta, oppure sprecarla alla ricerca di qualcosa di irraggiungibile.
Se avessimo questo distacco e questa pace, guarderemmo a noi stessi anche col sorriso, quasi divertiti dalla nostra piccolezza, stupidi uomini che si arrabattano per niente. E troveremmo la serenità di chi ha capito tutto.
Non so, anzi non credo, che mio nonno avesse davvero raggiunto questo grado di pace interiore: anche lui si sarà arrabbiato, quando non lo guardavo; anche lui avrà perso qualche volta la pazienza e avrà di sicuro avuto i suoi momenti di depressione (la morte di sua moglie, mia nonna, qualche anno fa fu un duro colpo).
Ad esempio, una vecchia leggenda familiare narra che io da piccolo, con una mia macchinina a pedali, gli abbia distrutto, giocando, l’unghia di un alluce, e probabilmente quella volta qualche parolaccia gli sarà pur scappata (per inciso: sul letto di morte era a piedi scalzi e gliel’ho guardata, quell’unghia, e ho pensato che era bello e triste allo stesso tempo che avesse addosso un segno di me). Ma a me dava spesso l’impressione dell’uomo che è andato oltre e che non si lascia più trascinare sul piano delle piccole quisquilie quotidiane. Dell’uomo che ama il mondo, perché lo conosce e lo accetta per come è; per dirla con Nietzsche, dell’oltreuomo che ha scoperto l’amor fati, l’amore per il destino.
Non dovremmo cercare di essere tutti così, per essere felici?
Quello che ho registrato e pubblicato
È giunto il momento della solita lista dei video e dei podcast pubblicati durante la settimana, così che non possiate dire di esservene persi qualcuno.
Vangelo di Giovanni e Lettere paoline: nella nostra playlist filosofica mancava ancora la presentazione di due figure fondamentali e fondanti per il cristianesimo, quella di Giovanni e di Paolo
Storia dei consumi 1: le origini (‘600-’700): inizia una nuova serie di video dedicata a ciò che forse più caratterizza la nostra epoca contemporanea, ovvero il consumismo
Corso di logica 2 - Breve storia della logica: seconda puntata del corso di logica, con anche una veloce storia della disciplina
Il rinnovamento di Erasmo da Rotterdam (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
I moti del 1820 e 1830 in Italia (per il podcast “Dentro alla storia”)
Le idee politiche di Mazzini (per il podcast “Dentro alla storia”)
Doctor Strange, Leibniz e il Multiverso - La filosofia dietro ai film Marvel
@scrip79La teoria del Multiverso è uno dei temi più affascinanti della cultura pop e del cinema odierno. Ma sapete che il filosofo Leibniz ha già teorizzato l'esistenza di universi paralleli? Ecco come il razionalismo di Leibniz e il Multiverso di Doctor Strange finiscono per intersecarsi #filosofia #multiverso #Leibniz #DoctorStrange #culturaPop #universo #EverythingEverywhereAllAtOnce #EEAAOTiktok failed to load.
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Elogio della follia di Erasmo da Rotterdam: visto che nel podcast filosofico in questi giorni abbiamo parlato proprio di Erasmo, non posso non consigliarvi, questa settimana, il suo libro più importante e più bello, l’Elogio della follia che continua a vendere discretamente bene nonostante i molti secoli sulle spalle. Si tratta di un libro intelligente, acuto e divertente in cui Erasmo metteva alla berlina i comportamenti più assurdi della sua epoca: è quindi importante sia dal punto di vista filosofico, sia soprattutto da quello storico. Lo si può acquistare qui.
Bullet journal creativo per la produttività: se cercate un corso che vi aiuti a liberare la creatività e migliorare la produttività, forse dovreste provare queste lezioni offerte da Domestika. Il corso che vi suggerisco questa settimana insegna come creare un'agenda personalizzata adatta al proprio stile di vita tramite il metodo del bullet journaling, un metodo che mette assieme struttura e libertà creativa. Il corso si compone di 15 lezioni e costa poco meno di 22 euro: lo si può acquistare qui.
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né fare corsi, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Quello che c’è in arrivo
Chiudiamo come sempre anche con una panoramica sui video in arrivo (se tutto va bene) nei prossimi giorni:
subito domani pubblicherò un nuovo video dedicato alla nostra Costituzione, con la presentazione degli articoli dal 5 all’8;
poi dovrei riuscire a realizzare un nuovo video dedicato alla lettura de L’Autunno del Medioevo di Johan Huizinga;
in settimana vorrei poi preparare un nuovo video della serie di filosofia per ragazzi, dedicato all’etica socratica;
inoltre ho quasi pronto anche un nuovo video sulla Primavera araba, in particolare per parlare della Libia degli ultimi anni;
infine, sul versante podcast, sono in arrivo una puntata su Martin Lutero e una sui moderati all’interno del dibattito risorgimentale italiano.
E questo è tutto. Questa settimana cercherò di portarmi molto avanti col lavoro perché in quella successiva lascerò l’Italia per qualche giorno – andrò in gita a Praga con la mia quinta – e vorrei comunque lasciarvi qualche video da vedere: incrociate le dita. Poi vi racconterò, ovviamente, anche della Repubblica Ceca