Sulla caduta del governo tra Conte e Salvini, su Friends e Only Murders in the Building, sull'ateismo e la transfobia, su Ipazia e Montaigne, su Walter Benjamin e Philip K. Dick
Finalmente sono fuori dal tunnel. Come forse avete già letto se mi seguite sui social, in settimana il mio lungo periodo di quarantena da Covid si è concluso, con l’agognato tampone negativo. E in famiglia abbiamo festeggiato anche la negativizzazione del figlio grande, anche lui risultato positivo qualche giorno dopo di me, ma indipendentemente da me. È stato un luglio un po’ complicato, com’è facile prevedere.
Agosto però si prospetta migliore. Per via di questi impedimenti abbiamo finito infatti per accumulare, in quel mese che si sta avvicinando, varie cose che avremmo preferito fare prima. Intanto a inizio mese partiremo per una settimana a Parigi, ma il flusso di video e podcast probabilmente non si interromperà (sto preparando un discreto archivio per rifornirvi anche dall’estero); già lunedì prossimo, ad esempio, dovrei riuscire a far partire la newsletter (che conto di preparare in anticipo, ovviamente) dalla terra di Cartesio e Pascal. Poi durante il mese dovremmo riuscire anche a fare una capatina veloce in Liguria, e poi chissà dov’altro.
Nel frattempo, qui in Italia non sarà un’estate come le altre. Per la prima volta dalla nascita della Repubblica, ci sarà addirittura la campagna elettorale. E sarà sicuramente un periodo intenso, anche a giudicare da quello che si è visto in questi primi giorni. Se poi non ci avete capito molto, ho preparato anche uno “spiegone” sulla crisi di governo che trovate segnalato più avanti in questa stessa newsletter.
Ultima cosa: qualche settimana fa vi ho parlato del bel film Taxi Teheran del regista iraniano Jafar Panahi. È notizia di questi giorni, purtroppo, che Panahi è stato arrestato e dovrà passare sei anni in carcere in Iran, per il semplice fatto di aver protestato contro la detenzione per motivi politici di un altro regista iraniano. È una triste notizia. Dovremmo apprezzare di più le libertà di cui godiamo noi, qui in Occidente, e difenderle con maggior decisione.
Ultimissima cosa: proprio oggi il collega Alessandro Bencivenni, meglio noto sul web come ProfDigitale, mi ha intervistato all’interno del suo podcast Consigli di classe. Anzi, mi ha intervistato qualche settimana fa, ma la puntata è uscita oggi. Se volete sentirla, la trovate su tutte le solite piattaforme per i podcast, oppure qui.
E ora cominciamo con gli argomenti della settimana.
Quello che ho letto
In lista questa settimana ci sono tre libri diversi da quelli che vi avevo presentato la settimana scorsa. Uno solo però è una novità assoluta: Ubik di Dick. E però è una novità di un certo rilievo, come forse sapete. Procediamo.
L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica di Walter Benjamin (1936): questo saggio lo stiamo leggendo insieme nella rubrica Book Club storico filosofico, e in realtà io l’ho già finito, visto che ho registrato l’ultima puntata della serie che verrà messa online domani, martedì 26. Come ho già detto là, è un saggio breve, a volte anche un po’ contorto (perché la prosa di Benjamin non è sempre limpida, diciamolo pure), ma a suo modo geniale. In questo breve libro degli anni '30, scritto quando il cinema era da poco passato al sonoro e la fotografia stava ancora muovendo i primi passi nel campo artistico, c’erano già tutti gli elementi più importanti per un’analisi completa e intelligente delle nuove arti di massa. Se non l’avete già letto, seguite i video in cui lo leggo e poi compratelo, leggetelo, sottolineatelo e studiatelo. È acquistabile qui.
Ubik di Philip K. Dick (1969): in questi giorni ho iniziato a leggere anche questo romanzo, che è considerato uno dei capolavori di Dick. Dell’autore di fantascienza americano ho letto negli anni molte cose (e alcune le ho fatte leggere anche ai miei studenti, perché la fantascienza – soprattutto quando è buona – ha evidenti caratteri filosofici), ma ad Ubik per un motivo o per l’altro non mi ero ancora mai dedicato. Sto rimediando, e ne vale la pena. Per ora è sicuramente il più originale tra i libri di Dick che ho letto; non tanto per l’ambientazione (gli psi, i precog, la lotta tra multinazionali e così via sono elementi ricorrenti delle sue storie), quanto per come la storia si sta evolvendo. Senza fare troppi spoiler, credo di potervi dire questo: in un futuro non troppo lontano, le grandi multinazionali si servono di persone dotate di poteri paranormali (perlopiù telepati) per rubare segreti industriali. Per questo, però, esistono anche delle aziende specializzate nel neutralizzare le azioni di questi telepati. Joe Chip, il protagonista della storia, lavora per una di queste aziende e ad un certo punto viene inviato in missione sulla Luna. Lì succede di tutto e non ve lo sto a raccontare, ma sappiate che da quel momento in poi si dipana una trama che alcuni hanno definito (giustamente) psichedelica, in cui i contorni del reale diventano molto nebbiosi, in cui lo scorrere del tempo non procede in un’unica direzione e in cui si fa sempre più fatica a distinguere la vita dalla morte. Insomma, un misto del Dick più classico, di Christopher Nolan, di fantasia e di filosofia. Sono poco oltre la metà del romanzo e sono molto curioso, al momento, di sapere come andrà a finire (e cosa cavolo accadrà a Des Moines). Ovviamente, appena l’avrò finito ve ne darò anche un giudizio più completo e, chissà, magari potremo dedicargli anche un video. Il libro lo si trova qui.
Trattato di ateologia di Michel Onfray (2005): di questo saggio ho parlato già altre volte, perché lo sto leggendo ormai da vari mesi, portandolo avanti a spizzichi. Come ho già detto, me lo aspettavo migliore: le polemiche anti-cristiane e anti-religiose possono essere anche interessanti per un neofita, ma le ho già lette altrove mille volte e francamente quelle proposte da Onfray non mi sembrano dire nulla in più di quanto non dicesse Voltaire già due secoli e mezzo fa. Comunque l’ho ripreso in mano in questi giorni – e probabilmente presto lo finirò – anche per un motivo in realtà un po’ strano: leggendo qua e là mi sono infatti imbattuto in alcune dichiarazioni di Onfray che mi hanno lasciato piuttosto basito. Il filosofo francese, negli ultimi mesi, ha concesso in patria una serie di interviste che hanno lasciato di stucco molti dei suoi vecchi estimatori: da sempre allineato sulle posizioni della sinistra radicale, Onfray pare essersi riposizionato di recente all’estrema destra, con toni iper-sovranisti e complottisti su vaccini, capitalismo, banche e altro. Insomma, sembra diventato qualcosa di simile al nostro Fusaro, molto attento – a quanto si legge sui giornali francesi – anche a trovare spazio mediatico per le sue idee. Un giorno bisognerà indagare anche questa strana tendenza dei filosofi di sinistra (soprattutto della sinistra engagé, molto francese o filo-francese, post-sessantottina) a virare, improvvisamente, verso l’estrema destra, abbandonando l’internazionalismo in favore del sovranismo, la difesa degli oppressi in favore dell’odio o quantomeno del risentimento per gli stranieri. Oggi il libro, comunque, è ormai praticamente introvabile, segno che in Italia non ha lasciato particolarmente il segno.
Quello che ho visto
Anche sul versante visivo ci sono alcune novità. Come vedrete, manca questa settimana un film vero e proprio, ma torneranno presto; intanto gustatevi qualche serie TV e un documentario.
Guida perversa al cinema (2006), di Sophie Fiennes, con Slavoj Zizek: eccolo qui l’appena citato documentario, presente su Amazon Prime Video, in cui il celebre filosofo e sociologo sloveno Slavoj Zizek presenta una sua personale – ma interessante – lettura filosofica e psicanalitica di alcuni grandi film. C’è molto Hitchcock (Gli uccelli, La donna che visse due volte e Psyco, soprattutto), molto David Lynch, abbastanza Andrej Tarkovskij, più qualche altra puntata qua e là su Kubrick, Chaplin, le sorelle Wachowski, Bergman e altri ancora. Il risultato è interessante, anche perché immerge letteralmente Zizek in vari film, portandolo sulle location in cui furono girate alcune celebri scene e facendogliele in un certo senso rivivere; poi il filosofo, se lo conoscete, è un discreto personaggio e si presta bene ad illustrare alcuni paradossi del cinema e della psiche umana. Consigliato.
Only Murders in the Building, stagione 1 (2021), di Steve Martin e John Hoffman, con Steve Martin, Martin Short, Selena Gomez: di questa serie si è cominciato a parlare da qualche tempo, sui giornali italiani, ma sulle prime l’avevo bellamente ignorata. Durante la quarantena da Covid ho provato però a darle una possibilità, e devo dire che non me ne sono pentito. Si tratta di uno strano mix tra comedy e crime story, che sembra direttamente ispirato a Misterioso omicidio a Manhattan, il bel film del 1993 di Woody Allen. Steve Martin, creatore anche della serie, vi recita assieme a Martin Short, altro veterano della comicità televisiva americana, e a Selena Gomez, decisamente più giovane ma ben calata nella parte. La trama è intrigante: il giovane inquilino di un affollato palazzo newyorkese si suicida; gli ultimi tre ad averlo visto vivo paiono essere dei personaggi particolari, accomunati dalla passione per i podcast di argomento giallo. Si tratta, per la precisione, di un vecchio attore di serie TV caduto in disgrazia, di un altrettanto vecchio produttore di musical messo ancora peggio sul versante finanziario e di una giovane e misteriosa ragazza. Proprio loro tre, non convinti della tesi del suicidio, si mettono ad indagare sul caso, scoprendo tutta una serie di misteri ed entrando giocoforza nelle vite di altri (inquietanti) abitanti del palazzo. Ben strutturata e ricca di colpi di scena, la serie si sviluppa agilmente lungo le dieci puntate della prima stagione; ne esiste anche una seconda, da poco resa disponibile sempre su Disney+, ma quella devo ancora vederla.
Friends, stagioni 5, 6, 7 e 8 (1998-2002), di Marta Kauffman e David Crane, con Jennifer Aniston, Courteney Cox, Matthew Perry: vi ho già raccontato, la settimana scorsa, come la degenza da Covid mi abbia un po’ abbattuto, e come mi sia in parte tirato su anche con la (ormai prevedibile, dato che l’ho vista e rivista) comicità di Friends. Ebbene, anche nei giorni successivi a quella newsletter, gli ultimi della quarantena, ho continuato a guardare la serie, per la verità anche a ritmo forsennato, sorbendomi rapidamente altre tre stagioni e mezza. Il livello generale, a partire dalla sesta stagione, secondo me un po’ si abbassa, anche perché i personaggi e gli attori stessi tendono ad invecchiare e a perdere un po’ dello smalto degli inizi, ma alcune puntate rimangono comunque memorabili. La trama generale credo la conosciate: nella quinta stagione c’è il dipanarsi della storia d’amore segreta tra Monica e Chandler, nella sesta ci sono le conseguenze del matrimonio da ubriachi tra Ross e Rachel, nella settima Monica e Chandler si sposano davvero, nell’ottava Joey si innamora di Rachel: insomma, un sacco di storie d’amore – per la verità non sempre convincenti – ma anche molte buone gag. Certo, ci sono anche alcuni episodi che oggi suonano stonati e di cui si è discusso molto sui mass media proprio in queste settimane, ad esempio quello in cui Chandler invita al proprio matrimonio suo padre, che però è transessuale (o una drag queen, non si capisce bene), e per questo diventa oggetto di frequenti battute che oggi paiono quantomeno fuori luogo. Devo dire però, su questo punto, che ogni opera è giustamente lo specchio dei suoi tempi; e che va vista con la giusta consapevolezza. Nel senso: accusare Friends di transfobia oggi può essere molto facile, ma non proficuo; a fine anni '90, a essere onesti, Friends era invece anni luce molto più progressista sulle tematiche sessuali della media degli show americani. Ricordo ancora, quando la guardai la prima volta, dello stupore che provai – da ragazzo cresciuto in un’Italia ancora profondamente bacchettona – del vedere una coppia di lesbiche presentate con naturalezza in tv, della tranquillità con cui si parlava delle madri surrogate e così via. Certo, lo show non era perfetto; come non era perfetto il mondo di allora. Ad esempio gli afroamericani erano sicuramente sottorappresentati, e a volte gli stereotipi sessuali abbondavano. Ma le altre serie americane erano anche peggio (per non parlare di quelle italiane). Andiamo avanti, miglioriamo e dobbiamo ripensare anche agli errori del passato, giustamente; ma non dimentichiamo che la sensibilità verso certi problemi o questioni si costruisce un passo alla volta, e anche queste serie – con tutte le loro cadute e incertezze – hanno contribuito a portare, all’epoca, un po’ più in là l’asticella, a farci fare un passo in più nella giusta direzione. Trovate tutto Friends su Netflix, se siete tra i pochissimi che non l’hanno ancora vista.
Quello che ho pensato
So che ho già dedicato un video alle questioni politiche che sono emerse in quest’ultima settimana. Ma quel video, se lo avete visto o lo vedrete, è in un certo senso più “tecnico” (anche se in chiusura qualche valutazione se la concede). Qui vorrei fare, velocemente, un approfondimento su una questione particolare connessa a tutti questi sconvolgimenti.
Sabato mattina ho letto per caso, su Twitter, una serie di post del giornalista Luciano Capone. Lo trovate a partire da qui. In sostanza, Capone sostiene una tesi che mi sembra condivisibile: che i politici che hanno prodotto questa crisi di governo – al di là del merito della crisi stessa – non siano in grado di assumersi le loro responsabilità. Ricorda, Capone, quanti strali siano stati lanciati, negli anni, contro Clemente Mastella, che quando era al governo con Romano Prodi nel 2008 fu responsabile della caduta di quel governo, passando all’opposizione. Ma, come sottolinea il giornalista, Mastella agì in quel modo mettendoci la faccia: si dimise da ministro, prese la parola in Senato e spiegò e motivò la sua decisione. Magari non era una decisione condivisibile, magari anzi era un errore politico anche grave; ma se ne assunse la responsabilità, non andò a nascondersi in gabinetto.
Ecco, paragonati a Mastella i politici di oggi sembrano non tanto dei dilettanti, quanto davvero dei ragazzini, incapaci di assumersi quelle stesse responsabilità. Il secondo stimolo a questa riflessione, infatti, viene da un articolo uscito qualche giorno fa su Repubblica che dovreste riuscire a leggere anche senza l’abbonamento al giornale. L’articolo è firmato dal noto psichiatra Massimo Recalcati e si intitola “M5S adolescenti inguaribili”. Scritto prima del deflagrare della crisi, quando ancora era solo Giuseppe Conte a rischiare di far cadere l’esecutivo, cerca di fare un’analisi psicologica dell’atteggiamento del Movimento 5 Stelle, trovando in esso dei tratti tipici dell’adolescenza.
Ecco, l’analisi di Recalcati io la estenderei anche ad altri movimenti politici (e a una certa parte degli italiani). Gli adolescenti, scrive Recalcati, sono quelli che non sanno assumersi le loro responsabilità, che gettano il sasso e nascondono la mano, che si lamentano sempre di tutto ma poi non si rimboccano mai davvero le maniche per cambiare quel tutto. Si diventa adulti, cioè, quando si supera questa fase (che in un certo momento della vita è normale) e si comincia a capire che i diritti implicano anche dei doveri, che lamentarsi senza fare la propria parte non serve a nulla e che bisogna trarre le conseguenze delle proprie azioni, assumendosene le responsabilità.
L’Italia – mica solo i 5 Stelle – in questo senso vive da anni in una perenne adolescenza ideale. Tutti si lamentano, pochi si danno da fare; tutti lanciano il sasso e poi nascondono la mano; tutti vogliono il taglio delle tasse o l’aumento delle pensioni, ma nessuno è disposto a capire davvero da dove si potranno tirare fuori quei soldi se non facendo debito da scaricare sulle future generazioni. Lo si è visto, plasticamente, proprio durante questa crisi. Alla fine il governo Draghi è caduto a causa della non-fiducia di Conte, di Berlusconi e di Salvini, ma nessuno dei tre si è assunto la responsabilità del fatto. Conte, addirittura, nella giornata decisiva si è nascosto nelle stanze parlamentari, senza neppure concedersi alla stampa: è letteralmente scomparso. Berlusconi, nei giorni successivi alle dimissioni di Draghi, ha cercato di far passare la leggenda secondo cui fosse Draghi a volersi dimettere nonostante l’impegno di Forza Italia. Salvini, che era presente in Senato, non ha neppure preso la parola per fare un discorso. Da questo punto di vista, Salvini è stato forse il meno convincente di tutti: è da anni il leader di una forza che è stata (almeno nei sondaggi) la prima forza nel paese; è stato Ministro dell’Interno e mira a tornare ad esserlo; eppure io non riesco a ricordare un suo solo discorso decisivo in Senato. Già col Papeete, nel 2019, fece qualcosa di simile: tentò di far cadere il governo, salvo ripensarci poco dopo e rimanendo ad ascoltare impassibile le critiche che lo stesso Conte (che aveva firmato tutti i suoi decreti) gli rivolse. Ma pure nei giorni scorsi, nel momento più importante della legislatura, non ha voluto parlare, lasciando ad altri esponenti minori del suo partito l’incarico di prendere la parola in Senato (con discorsi che tra l’altro c’entravano molto poco con ciò di cui si stava discutendo).
L’impressione generale – pur con qualche importante eccezione – è proprio questa: al di là del merito delle idee politiche, al di là delle proposte che possono essere più o meno condivisibili, quello che sembra mancare completamente a buona parte di questa classe politica è la capacità di essere maturi, di assumersi le responsabilità. Anche di esser chiari con gli italiani, ovviamente, che è la naturale conseguenza di tutto questo.
E mentre pensavo a queste cose, mi veniva in mente una classica scena che noi insegnanti conosciamo molto bene, perché prima o poi a tutti capita un collega, magari inesperto, che si ritrova in mezzo a una situazione del genere: il caso cioè in cui in una classe c’è uno studente che fa qualcosa di scorretto (una scritta offensiva trovata sulla lavagna, un atto di micro-vandalismo nei bagni del corridoio o qualcosa del genere) e però nessuno sa chi sia stato. A quel punto il prof entra in classe e dice: «Chi è il colpevole? Su, si faccia avanti!» E, invariabilmente, tutti tacciono, o perché non sanno chi sia effettivamente stato, o per la classica omertà, o per non tradire un amico. E lì scattano le minacce, i «Se non salta fuori il responsabile puniamo tutta la classe» e via discorrendo.
Attenzione, però: i politici di cui sto parlando non sono come i ragazzini che fanno una marachella e poi stanno zitti al loro banco. Sono peggio. Immaginate che la marachella la faccia il professore. Che di nascosto entri in una classe vuota, prima dell’inizio delle lezioni, e non visto da nessuno scriva a caratteri cubitali sulla lavagna: «Il preside è un cretino». E che poi, alle 8, quando entrano i ragazzi, faccia “lo gnorri”, e che anzi stupefatto dica: «Che vergogna! Chi può essere stato a fare questo?» Se noi sapessimo che l’autore di quella scritta è il professore stesso che adesso si indigna, non lo riterremmo un personaggio imbarazzante? Un ragazzino mal cresciuto, che non meriterebbe di insegnare a dei ragazzi? Che può solo far danni? E a un tipo del genere daremmo mai la guida non dico della classe o della scuola, ma addirittura dell’intero paese?
Quello che ho registrato e pubblicato
Ecco anche i video e i podcast degli ultimi giorni, se ve li siete persi.
La caduta del governo Draghi: visti gli importanti accadimenti di questi giorni, ho provato a fare il punto su quello che è accaduto a livello politico
D’Annunzio nella Prima guerra mondiale: continua il nostro percorso al seguito del poeta vate e delle sue vicende storiche
La storia di Ipazia di Alessandria: la vita e la fine (terribile) di una delle poche filosofe del passato
Gli esiti della disputa sugli universali (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
I progressi della logica nel Medioevo (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
L’India dell’impero moghul (per il podcast “Dentro alla storia”)
La Cina dei Ming e dei Qing (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che facciamo vi piace e volete darci una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che abbiamo implementato per voi. C’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal e, infine, ci sono libri e videocorsi che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco i nostri consigli della settimana.
I saggi di Michel de Montaigne: se siete abbonati da tempo alla newsletter sapete che ogni settimana vi propongo un consiglio di lettura, spesso tratto dai classici della filosofia o della storia. Di solito si tratta di libri relativamente agili, abbordabili. Oggi faccio un’eccezione; non perché I saggi di Montaigne siano scritti in modo complesso, ma perché si tratta di un’opera voluminosa. Ne vale però la pena: Montaigne è stato un grande umanista, capace di coniugare il pensiero antico con una nuova sensibilità moderna, in modo tra l’altro molto originale. E i suoi Saggi, che possono apparire a prima vista semplici, in realtà nascondono una profonda acutezza di pensiero. Li si può comprare qui.
Produzione e video editing con videocamera DSLR e Adobe Premiere: se volete sapere come funziona il “dietro le quinte” dei miei video, questo corso di Domestika può fare al caso vostro. Io in realtà non uso Adobe Premiere (che è comunque il software più diffuso nell’ambiente), ma Final Cut Pro, disponibile solo su dispositivi Apple; per il resto, però, il corso svela molto di quello che bisogna fare per realizzare e montare dei video, qualsiasi sia poi l’obiettivo che avete in mente. Tra l’altro, si tratta di uno dei corsi più apprezzati del sito, costa solo 9,90 euro e offre ben 25 lezioni ben spiegate. Vale la pena di provarlo. Lo trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né fare corsi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Cosa c’è in arrivo
Tra un po’ cominceranno anche per me (finalmente) le ferie, ma, come vi ho anticipato, sto cercando di accumulare un po’ di video e di podcast già pronti in modo che non ci sia una reale interruzione nel flusso dei contenuti. Intanto ecco cosa ho previsto per la settimana che è appena iniziata:
già domani dovrebbe uscire l’ultimo video dedicato a L’opera d’arte nell’epoca della sua riproducibilità tecnica di Walter Benjamin, in modo da completare la presentazione;
per storia, arriverà un ulteriore video (credo l’ultimo) sull’Egitto, mentre con la politica estera inizieremo a vedere le scelte operate dai governi italiani sotto il fascismo;
per quanto riguarda filosofia, dovrebbe uscire un video sullo stoicismo romano;
poi arriverà un video della serie Video Club storico filosofico, ma non vi rivelo su cosa;
infine, per i podcast andremo avanti con la logica medievale e col Giappone dell’età moderna.
E questo è tutto, per il momento. Lunedì prossimo – se tutto va bene, ma viste le recenti infezioni per Covid in famiglia è meglio non dirlo troppo forte – vi scriverò direttamente da Parigi. Au revoir!