Sulla morte dei social network e di Twitter in particolare, ancora su Barbie e Galileo, su Augé e Kim Jong-ul, su Inside Out e la preistoria, sulla letteratura e l'Argentina... il tutto da Praga
Praga mon amour, verrebbe da dire: mi trovo infatti per la seconda volta in quattro mesi nella capitale della Repubblica Ceca, quasi fossi ormai di casa. Non vi preoccupate, però: non mi sto trasferendo all’estero (anche se Praga è molto bella, piuttosto economica e la comunità italiana qui è abbastanza cospicua). Dopo esserci stato con la mia classe quinta in viaggio d’istruzione ad aprile, ho deciso di ritornarci a stretto giro di posta con la famiglia, visto che i figli non ci sono mai stati e la moglie non veniva qui dall’ormai lontano 2002 (quand’eravamo giovani fidanzatini, ancora magri ed atletici).
Siamo arrivati oggi pomeriggio in aereo (dopo aver incontrato una simpatica fan al check-in e due studenti di filosofia in aereo: saluti a tutti, se siete in ascolto!), ci siamo sistemati nell’appartamentino che abbiamo affittato e abbiamo già fatto in tempo a fare qualche piccolo giro in centro. Domani però inizieremo con la visita vera e propria: visto che il meteo sarà incerto per almeno un paio di giorni (oggi sul Ponte Carlo tirava un vento birichino!), abbiamo rinviato il Castello un po’ più in là nella vacanza, mentre domani visiteremo credo il quartiere ebraico, la Città vecchia e la zona di piazza San Venceslao. Se dovesse piovere molto o se dovessimo decidere di premiare i bambini, abbiamo già pensato anche a una visita al Museo delle Leggende del Cinema, che, mi dicono, dovrebbe essere molto adatto ai più piccoli.
Poi ovviamente faremo – meteo permettendo – il solito e classico tour turistico: appunto Ponte Carlo, Orologio astronomico, vari luoghi kafkiani (e magari qualcosa legato a Sc’vèik… vi ricordate quando ve ne parlavo, mesi fa?), Casa danzante, Malá Strana eccetera eccetera (e il Castello e tutto il resto lì vicino, come già detto). Posterò foto, quindi avrete modo di segnarvi qualche meta, se poi vorrete venirci anche voi.
Per quanto riguarda il canale YouTube e le varie iniziative parallele, comunque, non disperate: ho già preparato video e podcast per tutta la settimana, quindi – salvo imprevisti – continueranno ad uscire regolarmente nuove lezioni. Ci fermeremo, forse, solo il giorno di Ferragosto, ma per quella data sarò già tornato in Italia da un po’.
Ora vi lascio come sempre ai libri, ai film e a tutto il resto, sperando che – come molti di voi mi scrivono – vi possano ispirare riflessioni e letture. Cominciamo!
ps.: tra i vari video usciti questa settimana, troverete anche una lezione di una nuova serie intitolata “La mia (anti) filosofia”. È un percorso un po’ particolare in cui sto riversando alcune riflessioni che in parte avevo fatto anche qui e che in parte sono inedite. Se non l’avete fatto, dateci un’occhiata.
Quello che ho letto
Partiamo come al solito dai libri.
Le confessioni d’un italiano di Ippolito Nievo: come ho già accennato nelle settimane scorse, da un po' mi sono immerso nella lettura di un classico dell'Ottocento, per la verità abbastanza dimenticato: Le confessioni d’un italiano di Ippolito Nievo. Il motivo di questa scelta un po' strana è duplice: da un lato ricordavo di averne sentito parlare da alcuni storici, in particolare da Mario Isnenghi, dei più grandi contemporaneisti italiani, che più volte menzionava questo romanzo di Nievo – patriota che partecipò alla spedizione dei Mille di Garibaldi – come uno dei più interessanti della nostra storia risorgimentale; dall'altro il fatto di essere quest'estate commissario d'esame dalle parti di Portogruaro, cioè proprio laddove una parte del romanzo è ambientata, mi ha fatto imbattere in vie e palazzi dedicati allo scrittore, e questo ha alimentato inevitabilmente la mia voglia di conoscenza. Come ho già avuto modo di dire, il resto lo ha fatto il romanzo stesso, che è assai godibile e scorre via piuttosto velocemente, anche se all'inizio può sembrare ostico: la storia infatti ci mette un po’ ad ingranare perché, nonostante la prosa ironica, c'è da un lato bisogno di presentare tutta la gran massa di personaggi che poi saranno i protagonisti di un volume che conta comunque circa mille pagine, e dall’altro Nievo indugia subito su una serie di affari giudiziari che certo non hanno un grande fascino. La tendenza a parlar di politica riemerge anche nei capitoli successivi, ma con fare più leggero e sarcastico, e quindi più divertente, e comunque sempre in mezzo a questioni più prosaiche, come l'amore tra ragazzi oppure le avventure di qualche fuorilegge. La faccenda che tiene banco nelle pagine che sto leggendo in questi giorni riguarda anzi proprio l'amore: la più grande delle due contesse, Clara, si è innamorata di un giovane medico (anzi, quasi medico) locale, Lucilio, ricambiata, ma la famiglia la vorrebbe dare in sposa a qualcuno di più altolocato, un nobile (prima un Venchieredo, poi un Partistagno). Ne nascono i soliti contrasti che già ben conosciamo, ma raccontati da Nievo con un tono assai divertito, soprattutto perché queste questioni sembrano ormai fuori dal tempo. Sullo sfondo si sta infatti dipanando la Rivoluzione francese (gli eventi di queste pagine si svolgono infatti nel 1792) e questi nobili che cercano di accasare la figlia sembrano proprio non aver capito cosa stia per accadere loro, che Venezia ormai sia destinata ad una rapida fine e che pure il privilegio di classe diverrà in poco tempo un lontano ricordo. Ho superato la fatidica soglie del primo terzo del libro: mi manca ancora molto, ma già tante pagine sono state messe in archivio. Ve ne parlerò sicuramente ancora nelle prossime settimane. Se intanto vi interessa, potete comprarlo qui.
Il mondo scritto di Martin Puchner: di questo saggio vi ho parlato la prima volta quasi un mese fa, quando l’ho iniziato. Poi non l’ho più menzionato, ma in realtà sto continuando a leggerlo, anche se solo negli ultimi giorni gli ho dato una bella sferzata e sono andato abbastanza avanti con le pagine. Il libro è una sorta di viaggio attraverso la storia della letteratura: l’autore – critico letterario e filosofo che insegna in America, ma che ha studiato anche a Bologna – infatti sembra volerne ricercare il senso tramite l’analisi (più narrativa che filologica) dei grandi capolavori del passato. Si parte, ad esempio, con la Bibbia e i poemi omerici; si passa poi ai libri sapienziali (quelli del confucianesimo, del buddismo, della filosofia greca, del cristianesimo) per poi giungere a Le mille e una notte e a La storia di Genji, forse il primo romanzo nel senso proprio del termine. E per ora sono arrivato fin qui: immagino che poi si proseguirà fino ad arrivare ai giorni nostri. Il racconto è scorrevole, a tratti anche appassionante, anche se per forza di cose su alcuni punti risulta un po’ sbrigativo (per fare un’opera approfondita servirebbero migliaia e migliaia di pagine). Si può acquistare qui.
Allenare il pensiero pratico di Stefania Contesini: nel terzo libro della lista mi sono imbattuto quasi per caso, perché mi è comparso tra i volumi consigliati in una delle app di lettura che uso. Incuriosito dal titolo e soprattutto dal tema – il sottotitolo è Le competenze filosofiche per le persone e per le organizzazioni – l’ho acquistato e ho cominciato a leggerlo, sperando di trovarvi un manuale molto pratico, magari anche qualche suggerimento da applicare a scuola. La filosofia è bella, ma a volte in Italia la viviamo, a mio avviso, in modo monodirezionale: pensiamo che esista solo la filosofia teoretica, che l’unica vera disciplina nobile sia la metafisica, e che tutto il resto sia inutile o dannoso. In realtà però in ogni epoca i filosofi si sono occupati non solo del pensiero nel senso più astratto del termine, ma anche delle sue declinazioni pratiche e concrete, che anzi possono essere ancora più importanti per la vita dell’individuo. L’etica è un esempio di filosofia pratica, ma non è certo l’unico: si può elaborare anche una filosofia del lavoro (della medicina, dell’insegnamento, perfino dell’organizzazione aziendale) e questo non vuol dire che sia meno rigorosa, rilevante o “difficile” dell’altra. La tesi anche di Contesini – l’autrice che lavora da anni su questi temi – è che anzi nel mondo di oggi, soprattutto in campo lavorativo, ci sia sempre più bisogno di un pensiero pratico ben definito, e di competenze specifiche nel settore. Questo è un tema interessante e ancora poco esplorato, e anche per questo mi sono gettato a capofitto nella lettura. Devo dire però che per ora siamo ancora a concetti introduttivi: l’autrice si dilunga sull’importanza di questi temi, ma non entra ancora davvero sulle “tecniche di allenamento” che il titolo sembrava promettere, e che sono le cose che più mi interessano. Speriamo arrivi presto al nocciolo dell’argomento. Ve ne riparlerò. Intanto, se volete portarvi avanti, il libro potete comprarlo qui.
Quello che ho visto
Ora passiamo ai film, anche se come vedrete in elenco questa settimana non ci sono solo film tradizionali.
Inside Out (2015), di Pete Docter e Ronnie del Carmen: credo che Inside Out non abbia bisogno di molte presentazioni: l'avete probabilmente già visto tutti e anche io ho avuto modo di vederlo almeno cinque o sei volte negli ultimi anni, un po' grazie ai miei figli, un po', perfino, grazie ai miei studenti. La pellicola, d’altra parte, è una delle migliori mai realizzate dalla Pixar. Riesce infatti ad affrontare temi delicatissimi e profondi pur mantenendo una narrazione sciolta e leggera, in grado quindi di parlare a diverse platee. Le vicende narrate, infatti, più che quelle esteriori dei vari personaggi sono quelle interiori che si svolgono nella psiche di una ragazzina in una fase difficile della crescita: grazie alla personificazione di alcune emozioni fondamentali, i nuclei affettivi di cui in un certo senso parlava Jung, riusciamo quindi a seguire le difficoltà e la maturazione psicologica della protagonista, con una storia a metà strada tra l'avventura e il dramma. L'umorismo comunque non manca ed è di qualità sopraffina, l'animazione a sua volta è ottima e, insomma, siamo davvero davanti ad un capolavoro che si può guardare anche più e più volte senza annoiarsi mai. Se vi interessa è sempre disponibile, come tutti gli altri film della Pixar, su Disney+.
La dinastia Kim (2018): a proposito di Disney+, qualche giorno fa, entrando nella piattaforma, ho notato un titolo interessante nella sezione Documentari, sezione che tra l’altro di solito non guardo mai. Il titolo era La dinastia Kim e faceva subito comprendere di essere davanti a un documentario sulla Corea del Nord. Mi ci sono lanciato rapidamente, anche perché durava appena 44 minuti. A posteriori, però, non so dirvi granché su questa produzione: è targata National Geographic, ma online non si trovano molte altre informazioni; anzi, se provate a cercarla su Google vi rimanda a Nord Corea: la dinastia Kim, altro documentario quasi omonimo ma più lungo e diviso in più puntate. Quello che ho visto io, datato 2018, è un discreto lavoro pensato però soprattutto per un pubblico di americani; ovvero: è un documentario che spiega dove si trovi la Corea, cosa siano Corea del Nord e del Sud e via discorrendo. Cioè si parte proprio dalle basi, e posso anche capirlo, considerato quanto si interessi di politica internazionale uno statunitense medio. Questo, per me almeno, è però il suo maggior difetto: molti dei 44 minuti del documentario se ne vanno per parlare di cose arcinote, e anche quando arrivano un tocco umano o una intervista un po’ più interessante della media vengono subito messe da parte per tornare a spiegarci che la Corea è divisa e che Kim Jong-un è un dittatore sanguinario. Insomma, se non ne sapete niente o molto poco di Corea forse il documentario può fare al caso vostro; altrimenti lo lascerei perdere. Come detto, è su Disney+.
Vattimo e lo Strutturalismo (video forse risalenti ai primi anni '90), con Gianni Vattimo: l’ultimo punto della lista è dedicato a una cosa di cui non solito non parlerei. Su YouTube, infatti, si trovano spesso spezzoni di vecchie trasmissioni, che è anche carino guardare con un pizzico di nostalgia ma di cui non vale troppo la pena di parlare qui. Gli spezzoni che guardo io perlopiù sono estratti di vecchi programmi comici, come Avanzi e simili, che mi richiamano alla mente quanto fosse graffiante la satira di un tempo, perfino in Rai. Un paio di giorni fa, però, l’home page di YouTube mi ha proposto un estratto di un vecchio programma di Raidue che non conoscevo, forse risalente (a giudicare dalla grafica) ai primi anni '90; un programma in cui Gianni Vattimo, l’importante filosofo italiano, presentava, pare, alcune importanti correnti filosofiche del Novecento. Ne ho guardato con attenzione due filmati dedicati allo strutturalismo (li potete vedere rispettivamente qui e qui), forse non semplicissimi per l’utente medio ma neppure troppo complessi. In dieci minuti ciascuno, il filosofo dava qualche indicazione di massima per orientarsi in quelle correnti, un po’ come cerco di fare io (trent’anni dopo) coi miei video su YouTube. Non si tratta di spiegazioni molto dinamiche o chissà quanto accattivanti, ma sono ovviamente ben condotte e mi sono piaciute. Peccato che sul web non si trovino tutte le puntate e anche questa lezione sullo strutturalismo presenti dei buchi importanti. Ho provato a esplorare RaiPlay, ma non ho trovato nulla al riguardo. Se avete informazioni su quale trasmissione fosse e su come recuperarne altri pezzi (oltre a quelli già presenti su quel canale YouTube), fatemelo sapere.
Quello che ho pensato
Che i social network siano morti da tempo credo sia sotto gli occhi di tutti. Morti non tanto nei numeri, quanto nella loro filosofia di fondo, nella loro ragion d’essere.
Una decina o quindicina di anni fa alcune grandi aziende americane avevano provato a convincerci che il futuro sarebbe stato nella comunicazione dal basso, che ognuno poteva prendere in mano un telefono e creare contenuti per gli altri, che questi contenuti sarebbero diventati virali e avrebbero innescato un meccanismo virtuoso incentivando il dibattito, il confronto e la crescita interpersonale.
Ci avevano creduto in molti, forse quasi tutti, e anche io all’inizio avevo sperato che questa prospettiva fosse realizzabile. Il mondo dell'informazione e il dibattito pubblico erano all'epoca, come d'altronde anche oggi, estremamente imbalsamati. Le uniche voci interessanti della TV erano ormai da tempo quelle dei comici, e anche loro stavano cominciando a tirare i remi in barca; gli intellettuali, salvo alcune rare ma importanti eccezioni, latitavano e in generale si sentiva fortemente la necessità di qualcosa di nuovo all'orizzonte. I social network sembravano pronti a colmare quel vuoto, offrendo contenuti che ognuno poteva scegliere e premiare e creando, almeno virtualmente, una sorta di nuova agorà, un luogo di incontro, una specie di piazza simile a quelle dell'antica Atene.
Cosa poteva andare storto? In realtà è andato storto più o meno tutto e la lenta ma inesorabile agonia attuale sta lì a dimostrarlo. Twitter e Facebook non sono diventati il luogo d'incontro e di discussione che molti speravano, ma si sono rapidamente imbruttiti. Facebook è diventato anzi proverbiale per le panzane che faceva girare, tanto che presto anche i meglio intenzionati si sono stufati di andare a chiarire e correggere le questioni sotto ad ogni post, rinunciando all'impresa, soverchiati dalle idiozie.
Twitter, che è stato a lungo il mio social network preferito, è diventato sostanzialmente un immondezzaio, dove la discussione si evita ed emergono solo di tanto in tanto alcuni influencer magari all’inizio ben intenzionati, ma che finiscono comunque ad un certo punto per bloccare tutti i profili (falsi e non) che li attaccano a ripetizione.
Non è un caso che neppure i proprietari di queste aziende credano più in questi social network: Mark Zuckerberg, dopo aver fatto i miliardi, sta da tempo cercando nuove strade per rendere profittevole la sua società, per la verità senza trovarle; Elon Musk si è imbarcato nella assurda acquisizione di Twitter, solo però per trascinarlo sempre più velocemente verso il baratro, anche con la scelta improvvida di cancellarne nome e logo (che erano tra le poche cose buone rimaste alla piattaforma) in favore di una anonima “X”; e di altri social si sono perfino perdute le tracce.
Sopravvivono solo quei social che hanno saputo sostanzialmente perdere la loro dimensione democratica e sociale, diventando piattaforme per professionisti o semi-professionisti. TikTok, ad esempio, ha avuto un grande successo, ma non tanto per l'utente comune, che lo usa semplicemente per scrollare contenuti confezionati da bravi creator che magari sono sì partiti dal basso, ma che ormai usano la piattaforma come dei professionisti, con attrezzatura, sceneggiatura, editing, impegno e dedizione.
Lo stesso si può dire per Instagram che sta un po’ alla volta smettendo di essere appetibile per ragazzi e ragazze che vogliono mettersi in mostra e sta sempre più cedendo il passo a professionisti o aspiranti tali; e infine lo stesso si deve dire per YouTube, dove i creatori più seguiti lavorano praticamente come le migliori case di produzione, con tanto di studi di registrazione, uno staff di autori e investimenti cospicui. YouTube è oggi sostanzialmente una piattaforma televisiva, solo un po' più dinamica, leggera e con contenuti più veloci, ma pur sempre una TV.
Non so bene come interpretare tutto questo. A prima vista sembrerebbe un netto fallimento dell'ideale democratico: abbiamo avuto a disposizione delle piattaforme che ci permettevano di discutere di ogni cosa, di confrontarci e di crescere e migliorare e le abbiamo usate per condividere gattini ed ipotesi del complotto, per negare il cambiamento climatico e per attaccare i migranti; segno che forse la troppa democrazia non ci fa neppure molto bene.
Ma forse il discorso è un po’ più complesso di così. Ad aver fallito non è tanto la democrazia in sé, ma l'idea, giusta ma anche pericolosa, che ognuno abbia il diritto di dire tutto, di esporre sempre e comunque il suo punto di vista. Ci siamo cioè dimenticati che ogni diritto implica necessariamente un dovere; e che se è vero e doveroso che ognuno abbia il diritto di esprimere le proprie idee, è altrettanto vero e doveroso che chi esprime le proprie idee debba farlo con impegno, consapevolezza e coscienza, cercando di lavorare per bene di tutti.
La democrazia delle idee non è (o non dovrebbe essere) la democrazia del rutto, cioè del buttar fuori tutto quello che passa per la testa, ma un luogo in cui si deve cercare di sostanziare le proprie idee con studi, analisi, riflessioni, argomentazioni.
Tutti i filosofi che nella storia si sono battuti per la libertà di parola – e per fortuna ce ne sono stati molti – l’hanno fatto perché pensavano alla loro stessa libertà di parola, cioè alla libertà di esprimersi di persone che avevano passato la vita a studiare, a discutere e a pensare per il futuro dell'umanità. Nessuno di loro, da Locke a Voltaire, quando parlava di libertà di parola pensava a quella di un pazzo o di una persona infuriata col mondo che spera che un meteorite ci colpisca e ci annienti.
John Stuart Mill, il filosofo ottocentesco di cui stiamo leggendo il capolavoro in queste settimane nella rubrica Book Club Storico-Filosofico, è stato forse il primo a proporre una libertà di parola totale, ad affermare che anche i pazzi debbano poter esprimere le loro opinioni in pubblico ed avere il giusto spazio per farlo. Partiva però – lui uomo dell'Ottocento positivista – dall'idea che questi pazzi sarebbero sempre stati pochi, una minoranza rispetto alla gran massa della popolazione, e che questa gran massa avrebbe reagito, li avrebbe corretti e avrebbe saputo trarre qualcosa di positivo perfino dalle loro stupidaggini.
Stuart Mill dava per scontato, insomma, che i portatori di discorsi assurdi sarebbero sempre stati pochi e non avrebbero mai rappresentato un pericolo per l'umanità; magari lo avevano fatto in passato, ma adesso, fiduciosi come si era nel dominio della ragione, non c'era neppure troppo bisogno di chiedersi cosa sarebbe potuto accadere.
I social network ci hanno dimostrato che questo ottimismo è stato mal riposto. O, meglio, esagerato: anch'io, come Stuart Mill, penso in realtà che i complottisti e i portatori di discorsi assurdi e pericolosi siano in realtà pochi, ma in un’epoca di grande disimpegno, di grande disillusione e di ripiegamento su se stessi, quei pochi rumorosi rischiano di incidere parecchio e di poter conquistare, in certi ambiti, anche una maggioranza relativa. Non rappresenteranno mai, cioè, il 51% della popolazione totale, ma quando i due terzi o i tre quarti di quella popolazione totale decidono di astenersi dal dibattito e di non occuparsi più della cosa pubblica, basta un 20% molto agguerrito di pazzi per fare la differenza e conquistare il potere (e le leve della discussione).
L'esito dei social network, insomma, non è stato tanto quello di dimostrarci che la democrazia abbia fallito, quanto quello forse, temo, di spingerci a rinunciare, di spingerci a farci da parte, stanchi per il logorio delle discussioni e per il fatto che non sembrino portare comunque da nessuna parte. La democrazia non è in crisi di per sé stessa: è in crisi perché non riesce più a coinvolgere le persone, o almeno le persone che potrebbero davvero contribuire ad essa, e lascia spazio invece alle voci degli arrabbiati, degli infuriati e degli illogici. Un po' come i social network.
Quello che ho registrato e pubblicato
Se eravate in vacanza e in questi giorni vi siete persi video o podcast, ecco il solito resoconto di tutto quello che è uscito:
L’importante è fallire: il primo video di una serie dedicata ai miei consigli (pseudofilosofici) per sopravvivere al nostro tempo
Un'interpretazione di Barbie (il film) (e di Ken): ho visto il film del momento e ho deciso di parlarne, proponendo una mia interpretazione
I nonluoghi di Marc Augé: da poco scomparso, Augé è stato autore di una dottrina sociologica che ha avuto un grande successo negli ultimi anni
Storia della dittatura militare argentina (parte 1): prima parte di una serie di due video dedicati alla dittatura militare di fine anni '70 e inizio anni '80
Preistoria: dagli ominidi all’uomo: prima lezione del Corso di storia, con le origini della vita sulla Terra
Il processo di Galileo Galilei (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
L’igiene, la medicina e la società di massa (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che devi fare per seguirmi sui social
Ah, prima di dimenticarci vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
Il canale YouTube | Instagram | Facebook | Twitter | TikTok
Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono gli abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
Il cibo come cultura di Massimo Montanari: Massimo Montanari è un importante storico emiliano che da decenni ormai ha concentrato la sua ricerca non più solo sulla storia medievale o moderna, ma in particolare sulla storia del cibo. Il cibo come cultura è uno dei frutti più importanti di tutte queste ricerche, che mostra come da quello che si mette in tavola in ogni epoca si possa risalire alla società, all’economia, alla mentalità di un dato periodo storico. Il libro tra l’altro è agile, costa solo 12 euro e si legge velocemente. Lo si può acquistare qui.
sui social questa settimana ho segnalato come al solito diversi libri appena usciti che mi paiono interessanti, una sorta di “lista della spesa” che dovrebbe rivelarsi utile anche in primis per me. Ecco i volumi, se ve li siete persi:
Eretiche ed eretici medievali a cura di Marina Benedetti: ne ho parlato qui;
Homer and His Iliad di Robin Lane Fox: ne ho parlato qui;
Di cose visibili di Giuseppe Bruzzaniti: ne ho parlato qui;
Breve storia dell’Unione Sovietica di Sheila Fitzpatrick: ne ho parlato qui;
Indifferenza di Ugo Morelli: ne ho parlato qui.
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Quello che c’è in arrivo
Siamo arrivati all’ultimo paragrafo della nostra corposa newsletter, dedicato come sempre alle anticipazioni su quello che troverete sul canale nei prossimi giorni. Questa volta saranno anticipazioni molto precise: dovendo partire, ho già preparato tutto e quindi l’ordine dei video (salvo imprevisti, come aerei che non decollano o connessioni internet che ci tradiscono) dovrebbe essere solido. Quindi aspettatevi questo:
giovedì arriverà un video su David Hume, filosofo che abbiamo già ampiamente trattato in passato ma del quale rimaneva ancora qualcosa da dire;
venerdì sarà la volta della nuova puntata del Saggio sulla libertà di John Stuart Mill, letto e commentato per voi;
sabato toccherà quindi al nuovo episodio del ciclo Corso di logica, con nuove cose da scoprire e nuovi esercizi;
negli altri giorni troveranno poi posto i podcast, con l’inizio di Francesco Bacone per quanto riguarda filosofia e l’avvento della società di massa per quanto riguarda invece storia.
E questo è tutto. Ci rivediamo in Italia tra sette giorni esatti, alla vigilia di Ferragosto.