Sulla morte di Godard e di D'Annunzio, sugli scritti di Woody Allen e di Foucault, sulla rivoluzione francese e quella americana, sui film che parlano di rock e sui libri che parlano di detective
La prima settimana di scuola è finita, e forse si può fare il punto della situazione. Una situazione che nel mio caso, come leggerete, è piena di “ma”: perché le cose sono andate bene, ma un po’ in tutti i campi c’è stato anche un rovescio della medaglia.
Dopo tre mesi di pausa ho ricominciato a spiegare la storia e la filosofia davanti ad adolescenti in carne ed ossa, ad esempio, cosa che mi ha dato ovviamente una certa soddisfazione, ma al tempo stesso sto anche passando i pomeriggi a preparare programmi, progetti e modulistica varia, nel consueto delirio burocratico che ormai contraddistingue la scuola.
Anche i miei figli sono tornati a seguire le lezioni e studiare, ma c’è già un “caduto”, visto che ne ho uno a casa col Covid (per fortuna niente di grave, anche se ovviamente ci sono tutti gli inghippi organizzativi e familiari del caso).
Sono poi stato contattato in questi giorni da diversi ex allievi/amici/conoscenti che mi hanno chiesto un incontro, cosa che mi inorgoglisce molto, ma allo stesso tempo ho avuto una settimana fin troppo intesa e sto facendo fatica a rispondere a tutti, tanto che alla fine più di qualcuno finirà per odiarmi per i ritardi.
Insomma, tutto bello, ma quello che è bello davvero è anche difficile, com’è giusto che sia. E quindi un rovescio della medaglia c’è sempre.
Ma voi non siete qui per questo, immagino. Siete qui per qualche suggestione storica, filosofica e culturale. E allora cominciamo!
Quello che ho letto
Partiamo come sempre dai libri. Come vedrete nella lista questa settimana c’è un volume che ci ha tenuto compagnia nelle ultime settimane e che finalmente ci lascia e ce ne sono due che ritornano dopo una pausa.
Aristotele detective di Margaret Doody: ecco, il libro che ho portato a termine questa settimana è Aristotele detective, di cui vi ho parlato diffusamente anche la settimana scorsa. Per chi si fosse perso le puntate precedenti, si tratta di un giallo scritto da una autrice inglese sul finire degli anni '70 e ambientato nell’antica Atene. Il protagonista è un certo Stefanos, un giovane capofamiglia che si trova coinvolto in un fatto di sangue, l’omicidio del ricco Boutades, fatto fuori in casa sua con una freccia cretese. Gli indizi e soprattutto le accuse sembrano convergere su Filemone, cugino proprio di Stefanos, e quest’ultimo deve quindi assumerne la difesa, cercando di scagionarlo. Ma per farlo sceglie tra le altre cose di ricorrere ai consigli del suo vecchio maestro di filosofia, appunto Aristotele. Il giallo è interessante soprattutto per l’ambientazione e per il fedele ritratto delle usanze e del modo di vivere dei greci del tempo; l’aspetto più propriamente di indagine, anzi, passa quasi in secondo piano, anche perché di fatto il lettore non ha grandi indizi per provare a risolvere da sé l’enigma. Le cose che all’inizio della lettura mi avevano poco convinto erano essenzialmente due: da un lato, la lentezza con cui la storia si dipana, stentando a decollare; dall’altro, lo scarso ruolo riservato ad Aristotele, che pare davvero un comprimario. Col procedere della storia, come dicevo già la settimana scorsa, le cose migliorano parecchio, perché il ritmo si fa più incalzante e il mistero più appassionante, grazie anche ad alcuni colpi di scena ben calibrati; rimane però il rammarico di un Aristotele che davvero interviene poco nella storia. Sembra quasi che la Doody avesse qualche remora a inventare e fantasticare sul celebre filosofo e abbia quindi preferito mantenerlo un po’ sullo sfondo. Un libro discreto, comunque, che alla fin fine si lascia leggere e ha anche qualche bel momento. Lo si acquista qui.
Zero Gravity di Woody Allen: in questi giorni alcuni giornali italiani sono tornati a parlare del fatto che Woody Allen abbia deciso di smettere di fare film e di ritirarsi dal mondo del cinema, per dedicarsi eventualmente solo a quello della letteratura. In realtà non è la prima volta che questo discorso finisce sulla carta stampata: a mia memoria sono almeno cinque anni che periodicamente viene annunciato il ritiro dalle scene di Woody (che in effetti ha ormai quasi 87 anni). Magari questa volta è quella giusta. Comunque, forse per prepararsi alla svolta nella carriera, quest’anno il regista di Io e Annie ha fatto uscire una raccolta di racconti umoristici chiamata Zero Gravity, di cui vi ho già parlato in passato. Questa settimana mi ci sono dedicato abbastanza e ormai intravedo la fine. I racconti sono tutti molto brevi (a parte l’ultimo); lo scopo è quello di presentarci una situazione surreale (in cui spesso, non so per quale strano motivo, compaiono anche animali molto intelligenti, forse più intelligenti degli esseri umani) e di ridere un po’ sopra a certe disfunzioni della società contemporanea, soprattutto di quella newyorkese. Vista la brevità non c’è modo, ovviamente, di affezionarsi ai personaggi, ma comunque nei racconti si respira l’aria dei primi film di Woody, quelli completamente comici e ricchi di inventiva. Insomma, non un libro che entrerà negli annali, ma ci sono passatempi molto peggiori. Prima di passare oltre, vi vorrei riportare solo un passaggio che mi ha fatto molto ridere e che ho letto qualche giorno fa (tratto dal racconto Spiacenti, non sono ammessi animali domestici [a parlare è una donna]: «Dopo Porfirio, ebbi una storia con Nat Pinchback, che insegnava filosofia. A lui piacevano i giochi di ruolo. Fumavamo un po’ di erba a casa sua e poi faceva finta di essere Werner Heisenberg, mentre io, indossando solo un perizoma, facevo finta di essere una volta un’onda e una volta una particella, e il fatto che non potesse determinare esattamente la mia posizione lo eccitava un casino». Il libro, se vi interessa, potete comprarlo qui.
A ognuno quel che si merita di Daniel Dennett e Gregg Caruso: negli scorsi giorni ho ripreso in mano anche questo saggio che avevo cominciato addirittura ad aprile ma poi, per un motivo o per l’altro, avevo messo in pausa. Per fortuna, grazie anche alla struttura del libro, si riesce a riprendere il filo abbastanza facilmente. Si tratta di un saggio scritto a quattro mani, nella forma però del dialogo: i due filosofi si alternano alla parola, prendendosi il tempo per articolare il loro ragionamento, portare esempi e deduzioni e magari anche rispondere ai rilievi mossi dall’altro. Probabilmente i due autori si sono confrontati perlopiù tramite lunghe email, poi traslate all’interno del libro. Tra i due, Daniel Dennett è sicuramente il filosofo più celebre: considerato uno dei più grandi pensatori viventi, si è occupato negli anni perlopiù di filosofia della mente, applicando poi spesso i suoi ragionamenti anche in ambito morale. Gregg Caruso è invece un giovane professore universitario (immagino abbia poco più di 40 anni, anche se non riesco a reperire la sua data di nascita) che negli ultimi anni si è occupato molto di libero arbitrio. I due discutono appunto proprio sulla libertà e sul merito o il demerito che di solito associamo a certi comportamenti. La domanda, in fin dei conti, è: è giusto considerare qualcuno meritevole di lode o di biasimo per quello che fa? Fino a che punto siamo liberi, e quindi responsabili dei nostri comportamenti, considerando che agiamo in un determinato modo perché siamo stati educati in certi modi, perché abbiamo una certa capacità di pensare e di controllarci e così via? Quanto pesano i condizionamenti (familiari, ambientali, sociali, genetici) nel nostro agire? I due hanno posizioni abbastanza vicine all’atto pratico ma non coincidenti nella teoria e discutono a lungo anche con esempi e controesempi. Certo si tratta, comunque, di un dibattito molto specialistico. Se vi interessa, lo trovate qui.
Quello che ho visto
Parliamo, ovviamente, anche di film. Questa settimana in lista non ci sono serie TV ma appunto tre lungometraggi, tutti e tre non recentissimi ma neppure troppo vecchi.
Alta fedeltà (2000), di Stephen Frears, con John Cusack, Iben Hjejle, Jack Black: devo partire da una confessione: Alta fedeltà è un film verso cui ho un debole. So bene che non è perfetto e che anzi, per certi aspetti è anche abbastanza convenzionale, ma io ci sono legato. Il libro da cui è stato tratto – sempre intitolato Alta fedeltà, scritto da Nick Hornby e acquistabile qui – è uno dei più divertenti che abbia letto in gioventù e la resa cinematografica è comunque ottima, soprattutto grazie alla buona regia di Stephen Frears e alla recitazione di un Cusack in stato di grazia. E poi nel film ci sono una serie di gustosissimi cameo: compaiono Lisa Bonet, Tim Robbins, Lili Taylor, Catherine Zeta-Jones, perfino Bruce Springsteen. Oltre a un giovanissimo Jack Black che già si fa notare. Il film, quindi, lo conoscevo già molto bene, ma in questi giorni sono riuscito a farlo vedere anche ai miei figli più grandi, ai quali è piaciuto. La storia è quella del proprietario di un negozio di dischi, Rob, che è stato appena lasciato dalla propria ragazza. Rob è immaturo e pure un po’ stronzo, ma ha una sincera passione per la musica: assieme ai suoi amici, passa il tempo stilando liste sulle migliori canzoni per un funerale o i migliori brani di un dato periodo storico. La storia, pertanto, racconta il suo percorso di maturazione, a trent’anni suonati, anche attraverso un’analisi della sua vita e i contatti con le ex fidanzate. Divertente, leggero e ricco di momenti memorabili: lo trovate su Disney+.
Il mio Godard (2017), di Michel Hazanavicius, con Louis Garrel, Stacy Martin, Bérénice Bejo: avrete sicuramente letto, nei giorni scorsi, del suicidio assistito in Svizzera di Jean-Luc Godard, grandissimo maestro del cinema, padre, assieme a Truffaut e a pochi altri, della Nouvelle Vague francese. Una notizia che ha riaperto (brevemente, perché in Italia adesso la scena è presa dalle prossime elezioni politiche) il dibattito su questa forma di morte, ma che ha anche portato alcuni giornali a tracciare un ritratto su Godard, che è stato un personaggio davvero particolare e ambiguo della scena cinematografica. Fino all’ultimo respiro, il suo esordio, è un capolavoro clamoroso; di Bande à part abbiamo parlato solo qualche settimana fa; e poi Questa è la mia vita, Il disprezzo, Agente Lemmy Caution: missione Alphaville ed altri ancora: tutti grandi film, tutti realizzati con uno stile fresco, nuovo, dirompente, che rivoluzionò letteralmente il cinema europeo nel giro di pochissimi anni. Poi però, all’improvviso, sul finire degli anni '60, travolto in un certo dagli eventi del maggio francese e del maoismo, Godard cambiò completamente registro, lanciandosi su film sperimentali (e a tratti inguardabili), estremamente politicizzati e ideologici perfino nelle modalità di lavorazione. Per me la persona Godard è sempre stata un mistero: mi è sempre parso un animo inquieto, un genio incapace di trovare una via d’espressione definitiva, ma anche una chiave di lettura chiara del mondo e della politica. Un personaggio, insomma, che dopo aver raggiunto l’apice iniziò a farsi “sballottare” di qua e di là dalle idee, senza mai dominarle fino in fondo. Spinto dalla notizia della sua morte, quindi, ho recuperato volentieri questo film biografico che mi mancava: realizzato qualche anno fa, si concentra sugli anni che vanno dal 1967 al 1969, cioè proprio sul momento della svolta stilistica, ed è basato sui ricordi di Anne Wiazemsky, in quegli anni sua giovane moglie (lei era poco più che maggiorenne, lui viaggiava verso i quaranta). Il ritratto di Godard che ne esce è assai divertente ma anche impietoso: il regista appare come un burattino nelle mani degli ideologi, desideroso di allinearsi all’entusiasmo dei giovani contestatori ma incapace di farsi amare da loro. Geloso, vendicativo e incerto, sembra un uomo in crisi di mezz’età, saccente e possessivo; e forse Godard era davvero così: considerando con quante persone, in vita, litigò, non doveva aver certo un carattere facile. Il film – che non è stato elogiato dai critici – a me in realtà è piaciuto, sia per il tono leggero di tutta la narrazione, sia per l’interpretazione di Garrel, sia, infine, per alcuni passaggi niente affatto scontati sul ruolo del cinema, della politica e della democrazia. Lo trovate su Amazon Prime Video.
Il falsario - Operazione Bernhard (2007), di Stefan Ruzowitzky, con Karl Markovics, August Diehl, Devid Striesow: vincitore del Premio Oscar come miglior film straniero, Il falsario potrebbe sembrare l’ennesimo film incentrato sui campi di concentramento nazisti. E in effetti, in buona parte, lo è; però ha dalla sua anche qualche elemento di interesse e novità. Di solito la Shoah al cinema ci viene presentata in termini molto tragici e netti, senza ambiguità morali: da una parte i mostri, cioè i nazisti; dall’altra le vittime, cioè ovviamente gli ebrei. La storia, in realtà, ci dice che le cose furono un po’ più complesse di così: perché certo c’erano questi due estremi, il lupo e l’agnello, ma a volte in mezzo a loro c’erano anche persone che si piazzavano in zone grigie, vittime ma non propriamente agnelli, oppure carnefici ma non del tutto lupi. Il film in questione, per una volta, indaga proprio la sorte di alcuni ebrei che per sopravvivere cercarono almeno in parte di scendere a patti col nemico, chiedendosi però anche se fosse giusto aiutare i nazisti a provare a vincere la guerra e se fosse morale salvare la propria vita senza combattere per quella altrui. Il tutto all’interno di un’operazione che accadde realmente e che è anche interessante: durante la guerra, infatti, i nazisti formarono una squadra di ebrei esperti per cercare di falsificare prima la sterlina e poi il dollaro, in modo da immettere nel mercato un quantitativo talmente grande di quelle monete da far crollare l’economia dei paesi nemici. L’operazione alla fine non riuscì, come ben sappiamo, ma è già interessante capire come fu tentata. Il film lo trovate gratis su RaiPlay.
Quello che ho pensato
Ci sono temi, nella riflessione sulla nostra vita e sul nostro rapporto col mondo, che non costituiscono certo una novità: magari sono stati analizzati in lungo e in largo dalla psicologia e dalla stessa filosofia e quindi, in un certo senso, sono dati per assordati. Però, nonostante questo, il più delle volte ce ne dimentichiamo e finiamo per non dare loro peso, cosa che finisce per condizionarci più di quanto vorremmo.
Con questo discorso che, sulle prime, può sembrare un po’ oscuro mi sto riferendo a una questione che in realtà conoscete molto bene: il fatto di dimenticarci completamente di ciò che non abbiamo sotto agli occhi. Detta in termini più brutali: l’incapacità – comune a moltissimi di noi – di vedere più in là del nostro naso, come direbbe Mary Poppins.
La riflessione è partita, questa settimana, una volta tanto dalla visione di un video su YouTube: alcuni follower mi hanno infatti segnalato il cortometraggio realizzato da Cartoni Morti sull’energia nucleare e sono andato a guardarmelo. Lo trovate qui, se vi interessa. Al di là del tema principale, che da anni è al centro del dibattito, quello di cui vorrei parlarvi qui è però un argomento collaterale che emerge qua e là nel video. La riflessione di Lorenzon alias Cartoni Morti è sostanzialmente questa: abbiamo una grande paura del nucleare quando in realtà i rischi, che ci sono, sono abbastanza bassi, mentre non abbiamo nessuna paura delle centrali idroelettriche quando in realtà i rischi (in termini di morti, inquinamento eccetera) sono più alti. E questo perché ci parlano spessissimo dei rischi delle centrali nucleari mentre nessuno ci ha mai informato dei rischi delle centrali idroelettriche.
È lo stesso discorso che facevamo, un paio di settimane fa, commentando il libro What We Owe the Future di William MacAskill (qui il link per comprarlo), quando il filosofo britannico confrontava quante risorse avessimo investito, prima del 2020, sull’antiterrorismo e quante poche ne avessimo investite sul contrasto alle pandemie, anche se, come la storia ci ha dimostrato, le pandemie fanno molte più vittime del terrorismo. Il problema è che del terrorismo ci parlano sempre, in toni allarmistici e con storie “umane”, vicine a noi, mentre delle pandemie prima del Covid-19 non ci parlava mai nessuno. Le risorse che destiniamo ai problemi non dipendono dalla gravità dei problemi stessi, ma da quanto quei problemi colpiscono il nostro immaginario e, direi, suscitano la nostra paura, stimolando cioè l’idea che anche noi possiamo essere colpiti da quel problema. Non abbiamo paura delle centrali idroelettriche – nonostante siano presenti diffusamente in Italia – perché nessuno ci ha mai detto che potremmo morire per colpa dell’acqua, mentre abbiamo paura delle centrali nucleari perché abbiamo letto di Chernobyl e di Fukushima (a proposito: se volete rivedere il video con la mia storia delle centrali nucleari in Italia, lo trovate qui).
Tutto questo però ci può portare ad allargare anche di molto la riflessione. Se guardiamo bene, ci possiamo facilmente accorgere – come la psicologia ha più volte dimostrato – che il problema della percezione investe tutta la nostra vita e non riguarda solo i problemi energetici. Molti di noi non sono in realtà preoccupati per il clima perché non hanno ancora visto sulla loro pelle gli effetti dei cambiamenti climatici; e negli anni scorsi abbiamo avuto tutti il collega o il parente angosciato dal vaccino perché aveva letto decine di articoli allarmistici (magari neppure sempre veri) mentre non conosceva ancora nessuno che si fosse ammalato di Covid. Davanti a quelle paure non era facile rispondere con numeri e statistiche, perché numeri e statistiche sono freddi e non colpiscono l’immaginario, mentre le storie sono umane e ci fanno sentire vicini ai fatti raccontati. Non è un caso che i no-vax, quando creano post allarmistici su Facebook, non li condiscano praticamente mai con i dati, ma raccontino storie singolari, legate alle vicende di una persona vicina, magari un parente o un conoscente. È la tattica, in un certo senso, del “è successo a mio cugino” (forse in questo caso l’omonima canzone di Elio e le storie tese merita un riascolto).
A fenomeni di questo tipo siamo soggetti tutti, in realtà. Credere più alle storie che ai dati è qualcosa di insito nella nostra natura. Poi magari i più avveduti di noi, che si sono accorti da tempo di questa tendenza, mettono in atto delle strategie razionali per mitigare gli effetti di questo modo di porsi davanti alle cose, ma è un lavoro che parte in un secondo momento: l’istinto è sempre quello di sopravvalutare certi fatti e sottovalutarne altri. Per fare un esempio forse stupido ma molto concreto: quando sono andato a fare la prima dose di vaccino, all’inizio del 2021, non ho avuto alcun dubbio sul fatto di doverla fare, ma quando sono entrato nel centro vaccinale ricordo di aver pensato «Speriamo che tutte le storie che girano siano la solita balla». Un po’ di paura era venuta anche a me, a furia di sentire di gente che moriva a frotte: sapevo che erano fandonie, ma in qualche misura si erano insinuate un po’ nella mia mente. E io sono un tipo molto freddo e razionale: immaginate che effetto possano fare queste storie su chi è meno bravo a dominarsi. E quanto poco, invece, ci rassicurino le informazioni corrette e noiose degli scienziati.
Ma questo atteggiamento lo esibiamo anche in questioni di minor conto. Qualche giorno fa mi sono trovato a discutere con un ex studente della complicata relazione che credo ogni youtuber viva coi suoi follower. Nel mio piccolo ricevo infatti ogni giorno decine di messaggi, mail, commenti. La stragrande maggioranza di essi – penso ben oltre il 95% – è costituita da commenti piacevoli: si tratta di complimenti, ringraziamenti, domande interessanti, richieste. Una piccola parte, forse l’1 o il 2% in media, è invece sgradevole: a volte si tratta di commenti d’odio, perché ci sono anche quelli, ma altre volte si tratta semplicemente di persone maleducate che non trovano miglior modo per impiegare il loro tempo che scaricare la loro rabbia sul personaggio di turno.
Nonostante – tra siti web, social network e YouTube – abbia ormai maturato una certa esperienza di internet, non mi sono ancora completamente abituato a tutto questo. Certo, oggi è molto più facile gestirlo, perché l’esperienza insegna, ma ogni volta che mi trovo un commento cafone mi vien da dire: «Ma questa gente, non ha davvero niente di meglio da fare nella vita?»; e passo i successivi 5 o 10 minuti a pensare che non ce la possiamo fare, che la gente è stupida e altre amenità del genere. La cosa peggiora quando pubblico un video anche solo vagamente legato all’attualità: lì i commenti negativi salgono di numero (niente di abissale: arriviamo forse a un 3-4% del totale), perché c’è gente a cui, appena si pronuncia il nome di un politico vivente, parte l’embolo. In genere, dietro a questi commenti, si intravede una grande frustrazione, una rabbia che non dipende certo dal video in questione ma da problemi antichi, e però alla fine in quel momento il modo più semplice per sfogarsi è scrivere allo youtuber che si segue e che non dice le cose che vorremmo sentire.
Al di là di questo, però, quello che mi colpisce è il modo in cui io reagisco. Se mi arrivano tre commenti negativi consecutivi, anche se poi sono seguiti da cento commenti positivi, rimango colpito; se ne arrivano invece dieci sparsi in più giorni non mi fanno né caldo né freddo. Se questi commenti tentano di colpirmi personalmente (ogni tanto spunta qualcuno che mi definisce incompetente, superficiale o stupido) effettivamente mi fanno molto più effetto di altri anche più pesanti che però non riguardano direttamente le mie qualità o i miei difetti. D’altro canto, se non apro YouTube per due giorni sto bello e beato; se ci passo due ore a scartabellare tutti i commenti, uno ad uno, ne esco pieno di pensieri.
Alla fin fine, insomma, è tutto un problema di percezione: facciamo fatica a contestualizzare le informazioni che ci arrivano addosso, a relativizzarle o anche solo a capire quante effettivamente siano. Tre commenti negativi di fila ci sembrano molti di più, ci sembra che siano 10; tre commenti negativi sparsi nel tempo neppure li notiamo, ci paiono 0. Eppure sono sempre tre commenti, non 10 né 0.
L’impatto di ciò che ci tange o ci sfiora direttamente è molto più forte dell’impatto di ciò che non vediamo. Occhio non vede, cuore non duole, come insegnava la saggezza antica. Ma è vero anche il contrario: se l’occhio vede, il cuore duole più del dovuto.
La soluzione qual è? Certo, l’esperienza, come un po’ ho detto, aiuta a mitigare tutto questo: un po’ alla volta, a furia di sbagliare e risbagliare, iniziamo a renderci conto che il modo in cui reagiamo agli stimoli non è troppo affidabile e dobbiamo metterlo sotto il controllo della ragione. Ma l’esperienza da sola non basta, perché porta più che altro ad assuefarci a un certo tipo di stimoli, rendendoci però fragili davanti a stimoli solo lievemente diversi rispetto a quelli a cui siamo abituati.
Penso che una buona tattica sia quella di selezionare meglio questi benedetti stimoli. Cercare non solo di controllare il modo in cui reagiamo alle storie, ma di controllare anche le storie che ci facciamo raccontare. Se entriamo in gruppi Facebook pieni di complottismo, un po’ alla volta ci facciamo prendere da storie di quel tipo; se invece ne stiamo alla larga, evitiamo proprio il problema alla radice.
Lo stesso vale per le storie sensazionalistiche dei giornali: in linea di massima, è sempre preferibile leggere articoli che usano la statistica o che parlano di tendenze sociali più che storie che si riferiscono al caso personale di un unico soggetto. I casi personali ci colpiscono al cuore, ma non hanno di per sé un grande valore. La storia della signora Maria derubata da un immigrato ci può far indignare e far diventare xenofobi, ma di per sé non implica che ci sia un’emergenza furti o un’emergenza immigrazione: un caso singolo non significa nulla. Cerchiamo invece articoli che ci presentino statistiche sui reati, su chi li commette e se siano in calo o in aumento: sono dati che non verranno usati dai politici di turno, ma che rappresentano meglio il quadro reale della situazione.
Infine, lo stesso discorso può valere anche per i commenti degli hater o come li vogliamo chiamare: leggerli non ci rende persone o autori migliori, perché di solito non contengono consigli utili, ma solo sfoghi. E quindi è meglio evitarli, ad esempio non leggendo più i commenti o filtrando quelli più odiosi (i principali sistemi permettono di impostare delle parole che li bloccano automaticamente).
Siamo cresciuti nell’idea che bisognasse leggere tutto, che dovessimo informarci, che non dovessimo lasciarci sfuggire nulla. E così oggi siamo subissati da stupidaggini, da informazioni inutili o dannose, che alterano la nostra percezione dei problemi. In molti hanno capito come approfittarsi di queste nostre disfunzioni e le usano a loro vantaggio, raccontandoci storie che servono a non farci vedere il quadro generale. Noi invece dobbiamo imparare a selezionare, se vogliamo capirci qualcosa (e stare anche bene, nel frattempo).
Quello che ho registrato e pubblicato
E ora, come sempre, spazio all’elenco dei video e dei podcast che sono usciti questa settimana.
Il Rosatellum: la legge elettorale del 2022: siamo arrivati alla fine del percorso sulle varie leggi elettorali presentando anche quella in vigore oggi
Strutturalismo e De Saussure: a grande richiesta (anche degli abbonati), iniziamo a parlare degli strutturalisti francesi
D’Annunzio al Vittoriale: e si concludere pure la serie di video su Gabriele D’Annunzio, con gli ultimi anni della sua vita
L’Autunno del Medioevo - Audiolibro spiegato parte 6: prosegue, infine, la lettura integrale dell’opera di Huizinga attraverso il Medioevo
Il difficile ritorno di Aristotele in Occidente (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
Le caratteristiche della Costituzione americana (per il podcast “Dentro alla storia”)
Le premesse della Rivoluzione francese (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono i nuovi abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri e videocorsi che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
Sorvegliare e punire di Michel Foucault: tra poco parleremo molto di Foucault. Come forse avete visto dai video pubblicati questa settimana, ho infatti iniziato a presentare un breve percorso attraverso lo strutturalismo, importante corrente culturale e filosofica che si sviluppò in Francia negli anni '60 dello scorso secolo; e tra gli strutturalisti, un posto d’onore lo merita sicuramente Foucault, filosofo interessante e controverso, protagonista di alcune “cantonate” clamorose (come quando esaltò la rivoluzione khomeinista pensando che avrebbe portato libertà agli iraniani) ma anche di intuizioni che sono ancora oggi al centro del dibattito filosofico. La sua opera più bella è forse Sorvegliare e punire, in cui si concentra – con sguardo storico e filosofico – sul carcere e sul suo ruolo: un libro che merita una lettura anche perché la questione della prigione tende ad ampliarsi parecchio, fino ad investire la nostra stessa intera società. Se vi interessa, lo si compra qui.
Creazione ed editing di contenuto per Instagram Stories: le storie di Instagram sono uno strumento molto usato dagli utenti del social network visivo e ormai sfogliarle è un’abitudine per moltissimi adolescenti. Ma come si fa a creare qualcosa di originale in quell’ambito? Come si fa a lasciare il segno? In questo corso – composto da 22 lezioni al prezzo complessivo di 19,90 € – la fotografa spagnola Mina Barrio riesce a dare delle dritte originali per realizzare qualcosa di unico. Il corso è acquistabile qui.
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né fare corsi, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Cosa c’è in arrivo
Ecco infine, per concludere, una panoramica anche di quello che è previsto per i prossimi giorni:
arriverà un video, richiestomi più volte, dal titolo Come invogliare bambini e ragazzi alla lettura, con i miei consigli al riguardo;
si concluderà il ciclo di video dedicati alla politica estera italiana;
in filosofia parleremo ancora di Newton;
in storia presenteremo la nascita del cristianesimo all’interno dell’impero romano;
infine, per quanto riguarda i podcast, ci sarà spazio per l’interpretazione medievale di Aristotele e per proseguire nel nostro viaggio attraverso la Rivoluzione francese.
E questo è tutto, come al solito. Ci vediamo qui tra sette giorni esatti.