Sull'Esame di maturità e su ciò che è successo al Liceo Foscarini di Venezia, ma anche su Aldo Giovanni e Giacomo, Woody Allen, Zygmunt Bauman, i Monty Python, Carlo Galli e la filosofia della mente
E anche luglio è arrivato, veloce come non mai. Queste prime tre settimane di vacanza dalle lezioni sono infatti letteralmente volate: un po' perché non ho praticamente mai smesso di andare a scuola, tra scrutini, riunioni e, subito dopo, gli Esami di Stato, che non ho ancora concluso; un po' perché anche a livello familiare la scuola è continuata, visto che la mia secondogenita ha da poco affrontato gli esami di terza media, peraltro uscendone molto bene.
Adesso però le cose iniziano un po' a cambiare: tra un paio di giorni finirò infatti gli esami e poi inizierò a dedicarmi con un po' più di attenzione alla famiglia, ai soliti video e anche alla promozione di Anche Socrate qualche dubbio ce l'aveva, che sta andando piuttosto bene e che sta ottenendo ottimi riscontri, ma per il quale abbiamo in mente anche molte altre cose. E poi ci sono altri progetti, che non vi posso ancora presentare ma che stiamo imbastendo in queste settimane e che vedranno la luce nel prossimo anno scolastico: si tratta di cose piuttosto grosse su cui avremo tempo e modo di ritornare.
Nel frattempo cominciano ad arrivare i primi giudizi sul saggio uscito all'inizio di giugno. Qualcuno mi ha scritto e me ne ha parlato in privato, e mi scuso se non sono riuscito ancora a rispondere a tutti, ma presto lo farò; qualcun altro ha cominciato anche a parlarne in giro sul web o sulla carta stampata, e in particolare vi segnalo l'articolo di Wired e quello uscito sul Corriere della Sera. Voi l'avete letto, il libro? Come l'avete trovato? Se avete voglia, fatemi sapere cosa ne pensate.
Intanto ritorniamo ai soliti argomenti della newsletter. Se siete nuovi su queste pagine sappiate che ogni settimana qui metto insieme una serie di pensieri su cose che ho letto, che ho visto e più in generale su questioni su cui vale la pena a mio avviso di farsi qualche domanda. Come vedrete il panorama è piuttosto variegato, e così ogni mail risulta piena zeppa di parole: in ogni caso la struttura della newsletter è abbastanza facile da seguire, e si può saltare ai punti che più interessano con una certa facilità.
Se la trovate utile, come so che a volte avviene, diramatela tranquillamente ai vostri amici o familiari; oppure buttatevi, come fanno già in molti, anche sui podcast, sui video, sui social o su tutte le altre cose che quotidianamente proponiamo sul web. E ora cominciamo.
Quello che ho letto
Partiamo come al solito dai libri. In lista questa settimana non c'è nessuna novità particolare rispetto a sette giorni fa, ma ci sono volumi che ho portato abbastanza avanti.
La mente allargata di Riccardo Manzotti: partiamo dalla lettura de La mente allargata, saggio piuttosto impegnativo ma anche molto intrigante di Riccardo Manzotti, di cui vi ho parlato anche nelle settimane scorse. La tesi che viene sostenuta all’interno di questo libro edito dal Saggiatore è, da un certo punto di vista, piuttosto radicale: Manzotti da tempo sostiene infatti che quella che chiamiamo “coscienza” non sia in realtà qualcosa di creato, come sostengono in molti, dal nostro cervello, ma piuttosto il frutto di un'interazione tra i nostri sensi e la realtà, tra noi e gli oggetti, che sono causa costante di ogni manifestazione del nostro pensiero. I sogni, le allucinazioni, le fantasie dunque non sarebbero realmente nostre creazioni, ma solo esempi più o meno complessi di percezioni differite o mescolate; cose forse un po’ strane, certo, ma pur sempre percezioni. E alla fine dei conti la mente – nella teoria di Manzotti – diventa qualcosa, come recita il titolo del libro, di effettivamente molto allargato, che va a confondersi con l'oggetto stesso; non è un caso che in formulazioni più recenti della sua idea lo stesso Manzotti abbia parlato di una sorta di “identità mente-oggetto”, come se la nostra coscienza coincidesse con le cose esterne più che con il cervello. Il libro, se vi interessa, lo potete acquistare qui.
La destra al potere di Carlo Galli: ne avevo già iniziato a parlare la settimana scorsa, ma in questi ultimi sette giorni ho dedicato maggior tempo a La destra al potere, breve volume che può sembrare una sorta di instant book realizzato dal filosofo della politica Carlo Galli. In realtà, però, a leggerlo per bene ci si rende conto che questo libro, nonostante l'esiguità delle pagine, non è per nulla un volume umorale, creato sotto la spinta dell'attualità, quanto piuttosto una riflessione anche abbastanza meditata su questo primo anno e mezzo di governo meloniano. Galli, infatti, oltre ad essere un ex parlamentare, non è certo un giornalista, quanto piuttosto appunto un filosofo, che vanta nel suo curriculum decine e decine di libri molto apprezzati di cui qualche volta abbiamo anche parlato pure qui. Questa sua preparazione di fondo gli permette quindi di analizzare i fatti della cronaca con il piglio di chi la sa lunga e non si lascia incantare troppo facilmente da una polemica estemporanea. Anche per questo, indipendentemente dal fatto che poi si condividano in toto le tesi sostenute da Galli, il libro mi pare molto interessante. E, in più, l'autore mette subito in chiaro qual è la tesi di fondo del suo lavoro: quella secondo cui la destra di Meloni non sia tanto fascista – nel senso più proprio del termine –, quanto l’ultimo prodotto, forse più conservatore e autoritario della media, di un percorso iniziato da parecchio tempo, percorso che verte attorno alla crisi delle liberaldemocrazie occidentali. Devo ancora finirlo, il libro, ma già mi pare valga già la pena di consigliarlo: se volete comprarlo, lo trovate qui.
Felicità di Will Ferguson: ho oramai quasi finito di leggere anche questo bel romanzo che mi è stato regalato da una appassionata fruitrice del canale YouTube. All'inizio non sapevo molto bene cosa aspettarmi, ma fin dalle prime pagine si è capito che il tono dominante della storia era quello dell'ironia, del sarcasmo; ironia e sarcasmo che però vengono utilizzati in dosi corrette, con lo scopo di portarci in un certo senso a riflettere da un lato sull’editoria di auto-aiuto che tanto va di moda, ma dall'altro ancora di più sulla costante insoddisfazione personale che regge non solo le nostre economie, ma la nostra intera società. Per farla breve, il romanzo tenta di rispondere infatti a un interrogativo piuttosto curioso: cosa accadrebbe se all'improvviso sul mercato librario uscisse un volume in grado di risolvere tutti i grandi problemi dell'umanità? Un libro in grado di insegnare alla gente come dimagrire, essere felice, smettere di fumare e via discorrendo? Come detto sono alle ultime pagine e credo proprio che la settimana prossima ultimerò la lettura del romanzo: ritornate quindi qui tra sette giorni per un giudizio complessivo. Intanto, se volete acquistarlo, potete trovarlo a questo link.
Quello che ho visto
Passiamo ora ai film e alle serie TV: come noterete, questa settimana il tono è decisamente leggero, ma comunque a suo modo anche abbastanza filosofico.
Amore e guerra (1975), di Woody Allen, con Woody Allen, Diane Keaton, Harold Gould: mi sono accorto che vi ho parlato spesso, nei video e perfino in Anche Socrate qualche dubbio ce l’aveva, dei film di Woody Allen, ma, con la scusa che questi film li ho visti diverse volte e spesso parecchio tempo fa, non mi è quasi mai capitato di parlarne anche qui nella newsletter. Un po' per questo, è un po' anche perché avevo effettivamente voglia di rivederlo, questa settimana ho approfittato della situazione per (ri)guardare Amore e guerra, forse il primo vero film filosofico realizzato dal regista americano nell’ormai lontano 1975. Filosofico, poi, fino ad un certo punto: la storia infatti è una corposa – e a tratti dissacrante – satira del romanzo russo ottocentesco e della filosofia che spesso si cela al suo interno. Mentre infatti la Russia viene invasa da Napoleone, il protagonista, Boris Grushenko, cerca di sedurre la cugina di cui è da tempo innamorato, filosofeggiando sul senso della vita, la morte di Dio, la moralità dell’omicidio politico. A primo impatto il film può sicuramente sembrare caotico e forse addirittura inconcludente; ma quando lo si rivede per la terza o quarta volta (o, come nel mio caso, per la sesta o la settima volta) risaltano tutte le battute, i riferimenti, le parodie intelligenti e argute. Basti dire che per capire davvero tutto il film bisogna aver come minimo la media del 9 in filosofia al liceo, ma forse pure una laurea non farebbe male; ed è un film, comunque, comico, divertente, anche stupido a suo modo. La pellicola la trovate su MGM+, oppure potete noleggiarla sui servizi di streaming.
Il grande giorno (2022), di Massimo Venier, con Aldo, Giovanni e Giacomo: mentre cercavo altre cose, su Netflix mi è capitata nei giorni scorsi la pubblicità dell'ultimo film di Aldo, Giovanni e Giacomo, credo proprio da poco reso disponibile anche sulle piattaforme di streaming. La pellicola si intitola Il grande giorno e vede i tre comici italiani impegnati ad interpretare uomini di mezza età alle prese con il matrimonio dei rispettivi figli. Da tempo, mi sembra che i film del trio abbiano perso un po’ di mordente rispetto ai primi esordi cinematografici, come se le idee più originali fossero finite da tempo e si cercasse di sfruttare vecchi meccanismi più o meno consolidati. Quest’ultimo film, però, mi pare un po’ meglio degli altri; perché di fianco alle solite gag, c’è anche una vena di tristezza e di malinconia che lo rende più interessante della media. Sia chiaro: non si tratta comunque di un capolavoro e la trama è più che prevedibile; ma è bello vedere i tre storici attori impegnati in qualche scena un po’ più intensa, un po’ più drammatica, e mi sembra che in particolare Giovanni Storti in questo campo se la cavi molto bene. Insomma, non un film indimenticabile, ma un po’ meglio di quanto mi aspettassi. Come detto, lo trovate su Netflix.
Monty Python's Flying Circus episodio 2.09 (1970), con John Cleese, Graham Chapman, Eric Idle: dopo due film comici, non poteva mancare anche una serie tv per la verità altrettanto comica, che forse ha ispirato sia l'uno che l'altro. Sto parlando del Monty Python’s Flying Circus, serie di cui vi ho parlato diverse volte nelle scorse newsletter perché la sto recuperando una puntata alla volta, settimana dopo settimana. Si tratta di uno show realizzato addirittura tra la fine degli anni '60 e i primi anni '70 dalla tv britannica, in modo per l'epoca estremamente innovativo. Il gruppo di comici inglesi mise infatti per la prima volta in scena una serie di gang contrassegnate dal non-sense, spesso creando corrosive parodie della società, della televisione stessa o, in senso più ampio, del mondo culturale dell'epoca. Così è anche per il nono episodio della seconda stagione, in cui si prendono in giro gli australiani, le signore che ascoltano gli spettacoli radiofonici, le compagnie aeree low cost (c’erano già all’epoca, pare) e tanti altri bersagli ancora. Se non l’avete mai guardata, recuperatela quanto prima, anche se si è costretti a vederla in lingua originale con i sottotitoli. La trovate su Netflix.
Quello che ho pensato
Questa settimana parliamo di esami di maturità. Come vi ho già raccontato, infatti, per l'ennesima volta sto facendo il commissario d’esame, non troppo lontano da casa; e per la verità tutto sta andando piuttosto bene, con una commissione con cui si lavora in scioltezza, con ragazzi mediamente abbastanza preparati e con voti che mi sembra alla fine finiscano per rispecchiare più o meno fedelmente l'andamento del loro percorso di studi.
Il motivo per cui mi è venuta voglia di parlare degli esami, quindi, non riguarda tanto una mia esperienza diretta, quanto quello che sta accadendo sui giornali relativamente ad alcuni fatti successi al Liceo “Foscarini” di Venezia e al dibattito che ne è scaturito.
I fatti forse li avrete già letti (altrimenti, potete recuperare qui): a quanto pare, tre ragazze del locale liceo classico si sarebbero presentate alla prova orale di maturità rifiutandosi di rispondere alle domande degli esaminatori e leggendo invece una lettera preparata in precedenza, in cui protestavano contro le valutazioni espresse nelle prove scritte. In particolare, il pomo della discordia sarebbero i voti della seconda prova, quella di greco: le ragazze hanno infatti sostenuto che quelle valutazioni non fossero in linea né con il loro percorso, né con quanto scritto nel loro compito.
I commenti davanti a tutto questo si sono ovviamente sprecati, come sempre accade quando avvengono fatti che sembrano contrapporre i giovani ai vecchi: e qui in effetti abbiamo di fronte da un lato ragazze di 18 o 19 anni, e dall'altro l'intera istituzione scolastica veneziana, rappresentata da insegnanti sicuramente piuttosto maturi. Ovviamente nessuno dei commentatori, a quanto è dato capire, è andato veramente a verificare cosa ci fosse di vero nelle proteste delle ragazze e nelle repliche dei commissari d'esame, quindi tutte queste prese di posizione, come sempre accade, non hanno in realtà alcuna legittimità e sono solo parole al vento. Vi segnalo, tra i tanti, l'intervento dell'assessore della mia regione, Elena Donazzan, esponente di Fratelli d'Italia, che ha espresso parole molto dure nei confronti delle studentesse («La disobbedienza va punita», avrebbe detto), lasciando intendere che le ragazze abbiano comunque torto indipendentemente dal fatto che le loro accuse fossero fondate o meno, visto che all'autorità si dovrebbe obbedire e basta.
La posizione del governo su queste questioni, d'altra parte, la conosciamo da tempo: anche il ministro Valditara – che in questo caso specifico è stato più cauto – non ha perso nei mesi scorsi occasione per ribadire che i ragazzi dovrebbero ritornare a rispettare la scuola, l'autorevolezza dell’istituzione scolastica, anche a costo di subire umiliazioni che, a suo dire, sono anzi formative.
Ora, sulle tre ragazze e sull'esame ovviamente non mi esprimo, perché non ne so assolutamente nulla: ignoro se abbiano qualche ragione o se siano completamente nel torto. Faccio però notare che entrambe le cose sono possibili.
Esistono infatti commissioni che lavorano estremamente male, che correggono i compiti in maniera molto discutibile e che quindi danno voti veramente opinabili. Chiunque ha lavorato nel modo della scuola sa che ci sono professori bravi e professori molto meno bravi, professori intellettualmente onesti e professori intellettualmente disonesti, e che dentro alle commissioni possono nascere beghe e vendette di vario tipo. Non sono situazioni comuni, per fortuna; anzi, forse sono addirittura rare, ma niente affatto impossibili: quindi le accuse delle ragazze potrebbero in linea teorica avere anche un qualche fondamento.
D'altro canto, potrebbe anche essere vero esattamente il contrario. Capita anche, infatti, che i ragazzi non si dimostrino minimamente in grado di autovalutarsi e che si convincano di aver fatto benissimo una certa prova quando invece sono incappati in molti gravi errori; e può anche darsi, in certi casi, che quegli stessi ragazzi siano stati abituati a un metro di giudizio fin troppo lassista, che fa credere loro di meritare un nove quando invece magari hanno una preparazione da sei. Insomma, non è impossibile che anche in buona fede le ragazze stiano completamente sbagliando e che le loro prove di greco siano state veramente deficitarie.
Capite bene che, davanti a una panoramica del genere, per un politico che deve gestire il mondo della scuola sarebbe bene non esprimersi a caldo; chiedere, piuttosto, un’indagine o un’ispezione e valutare con calma quanto è accaduto, come in effetti pare aver fatto il Ministero. Purtroppo i nostri politici non sono però tutti abituati a ragionare in questo modo e cercano sempre di sfruttare i fatti di cronaca per mera convenienza elettorale.
Ma, al di là di chi abbia ragione o torto, i fatti di Venezia hanno riportato alla luce l'annoso dibattito sul senso degli Esami di maturità nell'anno del signore 2024. In effetti, per molti aspetti, questo tipo di esame oggi può sembrare un anacronismo, un retaggio di un tempo passato che pare superato dalle circostanze.
Io sull'argomento non ho una posizione netta, perché mi rendo ben conto che in realtà ci sono validi argomenti sia a favore che contro questo esame, ma penso valga la pena di rifletterci un attimo assieme e provare a mettere in fila le questioni principali che sembrano sorgere al riguardo.
Quali sono, in primo luogo, gli argomenti per cui vale la pena ancora oggi mantenere l’Esame di Stato? Me ne vengono in mente principalmente cinque:
perché è previsto dalla Costituzione (all’articolo 33), e abolire l’Esame di Stato, dunque, richiederebbe un lungo iter di modifica costituzionale;
perché è comunque un momento di crescita e di formazione, forse la prima vera occasione in cui dei ragazzi ormai diventati adulti si mettono alla prova fino in fondo, davanti a commissari d’esame che possono – giustamente – incutere anche un certo timore;
perché sono previsti dei commissari e un presidente esterno in ogni commissione, che avrebbero il compito non solo di valutare i ragazzi, ma anche di monitorare in un certo senso come si lavora in una data scuola, per creare un minimo di uniformità di giudizio;
perché ultimamente la struttura dell’esame si è evoluta, cercando di valutare sempre più non tanto le conoscenze pure e semplici dei ragazzi, ma le competenze acquisite, il grado di maturazione culturale e pluridisciplinare, che non sempre si riesce a monitorare adeguatamente durante l’anno e con le verifiche solo disciplinari;
perché la presenza dell’esame, con le prime due prove scritte a carattere nazionale, costringe i docenti dell’ultimo anno a lavorare tutti con una stessa direzione chiara in testa, a preparare i ragazzi in modo più o meno uniforme e seguendo le direttive nazionali.
Ci sono però anche delle criticità che moltissimi hanno già evidenziato. Ne ho scelte sei:
l’Esame può sembrare per sua natura ingiusto, perché basa il 60% del proprio punteggio a tre prove molto circoscritte e limitate (su questo dirò di più tra qualche riga);
l’Esame, inoltre, è ingiusto anche per la sua stessa natura, perché non c’è uniformità di giudizio da commissione a commissione, da scuola a scuola, da città a città e da regione a regione;
l’Esame non sembra servire quasi più a nulla, perché le università iniziano a selezionare gli studenti tramite i TOLC già prima che questi sostengano l’Esame di Stato, visto che ormai anche le università stesse si sono rese conto di quanto poco sia veritiera la valutazione;
gli Esami costano poi un sacco di soldi, costringono commissari che non vorrebbero a spostarsi per le province e per le regioni, e tutto per un ritorno piuttosto basso a livello di apprendimenti e sviluppo delle competenze dei ragazzi;
le commissioni vengono allestite poi con criteri basati quasi esclusivamente su questioni algoritmiche (a contare sono i chilometri di distanza e gli incastri vari), cosicché non è affatto impossibile imbattersi in commissari decisamente inadeguati, che lavorano male e creano problemi e danni a tutti i livelli;
infine, all’Esame di Stato ormai non viene bocciato praticamente più nessuno: se un ragazzo o una ragazza devono essere fermati, vengono fermati prima di arrivare a quel momento. Quella prova si trasforma dunque quasi sempre in un “pro forma”, utile solo a elargire 100 a chi ha abbastanza i nervi saldi da reggere all’urto delle prove.
Permettetemi però di espandere per qualche riga il concetto che ho cercato di sintetizzare nel primo punto qua sopra. Come vi raccontavo, sto facendo gli esami da commissario esterno, “fuori casa”, ma sto anche monitorando come stanno andando i miei ormai “ex studenti” nelle loro prove nel mio liceo. Molti sono andati bene, o comunque in linea con quanto sono abituati a fare; ma qualcuno – come sempre accade, perché succede ogni anno – è andato meno bene del solito, ha fatto “flop”. Capita ed è inevitabile che capiti: perché sulla prova singola chiunque di noi può fallire.
Quando si parla con questi ragazzi e si tenta di tirar su loro il morale, ci si sente dire, di solito: «Sì, lo so che il voto non conta troppo e tutto il resto, però mi rattrista pensare che per una giornata storta io abbia buttato via cinque anni di studio». Pensate, ad esempio, a un ragazzo che può puntare al 100, perché magari arriva all’esame con 40 punti di credito (il massimo possibile): gli basta prendere un 14 in una delle due prove scritte (ovvero 7 decimi) e il 100 è già bello che andato. Cioè gli basta un tema meno riuscito del solito, oppure qualche errore imprevisto nella verifica di matematica o nella versione di greco, e il duro lavoro di cinque anni sarà in parte andato in fumo.
Ho fatto, a questo proposito, un piccolo esperimento. Ho aperto il registro elettronico di mio figlio, che ha appena finito la classe terza nello stesso liceo in cui insegno. L’ho aperto e ho contato quante verifiche scritte e orali il ragazzo ha sostenuto in quest’anno scolastico appena concluso. Il computo è abbastanza impressionante: i voti sono ben 95. Sì, avete letto bene: il giovane, a fine anno, aveva 95 voti. In un solo anno scolastico. Moltiplicatelo ora per 5 e vi accorgerete che vengono 475 valutazioni, mediamente, nel corso del proprio iter liceale.
Ora, un ragazzo del genere normalmente si presenta alla maturità con dei crediti che sintetizzano, in un solo, opinabile numero, l’esito di tutte quelle 475 verifiche. E quelle 475 verifiche, in un certo senso, valgono però al massimo per il 40% del totale; il resto dipende dalla prova d’italiano (per il 20%), dalla seconda prova (per il 20%), dalla prova orale (per l’ultimo 20%). Insomma, se hai mal di testa per tre giorni, proprio nei tre giorni delle tre prove, rischi di fregarti con tre singole valutazioni quello che hai fatto per cinque anni e 475 verifiche.
Sto, chiaramente, un po’ esagerando, ma per la verità neppure troppo, perché il meccanismo è proprio questo. Poi, una buona commissione riesce a tener conto anche dei mal di testa, a scoprire quello che non sempre emerge, a ragionare in termini un po’ più ampi; ma può farlo solo fino ad un certo punto, e l’esame in sé incide ancora tantissimo.
Uno potrebbe dire: e però è giusto così. Si tratta, infatti, pur sempre di un esame: gli anni precedenti sono solo una preparazione a quel momento, e se si fallisce bisogna accettare il voto che si incassa, anche se non è in linea con quello a cui si era abituati.
Sì e no, mi verrebbe da rispondere. Perché, come sempre, dovremmo chiederci il perché delle cose: ovvero, perché esistono gli Esami di Stato? La risposta credo sia piuttosto semplice: esistono per cercare di attribuire un certo titolo solo a chi ha raggiunto con sicurezza degli standard cognitivi decisi a livello nazionale. Ora, il raggiungimento di questi standard come viene meglio valutato? Con una prova singola, che può essere inficiata da mille fattori fortuiti, oppure con una serie di varie prove magari pure sparse nel tempo?
Guardate ad esempio come funzionano, oggigiorno, i meccanismi di selezione delle università. Molto spesso i TOLC (cioè i test preselettivi) seguono questo schema: se ne svolgono due o tre in periodi diversi dell’anno, a cui i ragazzi possono iscriversi. Ne fanno uno e ottengono un certo punteggio; hanno poi l’occasione di riprovare, di solito a distanza di qualche mese, per vedere se riescono a ottenere un risultato migliore nel test successivo, tenendo poi, tra i due o tre risultati, solo quello migliore. Ecco, questo è un modo sicuramente migliore per valutare le effettive capacità dello studente, pur con tutte le criticità che comunque sono presenti in prove del genere.
Noi, alla maturità, invece facciamo tre prove ravvicinate, e in ogni caso senza poter mai “rifiutare” il voto, o rifare la prova, o chiedere un’altra commissione: ti devi accontentare di come va, di quello che passa il convento. Ed è anche logico che sia così: ogni anno sono centinaia di migliaia gli studenti che si sottopongono all’Esame di Stato, e se dovessimo offrire a tutti la possibilità di “rifare” la prova, non finiremmo più.
Però capite anche che in ultima istanza il risultato finale non è detto che sia veritiero. Un 100 preso in un certo posto, con certi commissari, in una certa giornata, può non valere affatto quanto un 100 preso in un altro posto, con altri commissari, in altre giornate; anzi, tra i due 100 ci può essere anche un abisso, e a volte c’è davvero.
La soluzione qual è? Intanto dire ai ragazzi che il voto di maturità non conta poi così tanto, cosa che è anche vera: non ha quasi più alcun valore al di fuori della scuola, serve solo per la propria autostima. Ma forse dovremmo anche iniziare una riflessione un po’ più seria sul tema.
Qualcuno dice: aboliamolo, questo esame, questo carrozzone inutile, e lasciamo che siano i Consigli di Classe a dare un voto finale al ragazzo, tenendo conto di tutte le 475 valutazioni che dicevamo all’inizio.
In linea di principio, non è un’idea malvagia. Ma anche qui ci sono delle criticità. Ne segnalo solo tre:
se avete un Consiglio di classe di professori inadeguati, essere valutati da commissari esterni può rivelarsi per voi vantaggioso, perché l’Esame potrebbe essere la prima occasione in cui trovate qualcuno in grado davvero di scorgere le vostre qualità;
questo potrebbe aumentare ulteriormente la variabilità di giudizio, il divario già molto forte tra i voti che vengono dati in certe scuole e i voti che vengono dati in altre scuole;
senza un controllo esterno e delle prove ministeriali, è facile prevedere che certi programmi verrebbero svolti in modo inevitabilmente peggiore.
Forse ci potrebbe essere una soluzione diversa, una sorta di via di mezzo che colga il meglio delle varie proposte. Ad esempio, modificare l’Esame in una specie di colloquio con una sorta di esaminatore esterno, che vada nella scuola a monitorare l’andamento dei programmi, la globale preparazione dei ragazzi e stendere un’opportuna relazione agli organi superiori. Un esaminatore che non dovrebbe sottoporre i ragazzi a ulteriori prove, ma valutare piuttosto il Consiglio di Classe e il suo lavoro, tramite i livelli raggiunti dai ragazzi. Una soluzione del genere permetterebbe, forse, di salvare capra e cavoli, monitorando il lavoro della scuola ma, se tutto va bene, confermando nel maggior numero dei casi il suo giudizio.
Ovviamente ci sono alcuni grossi problemi, in tutto questo. Il primo: un docente che si assume un compito del genere dovrebbe essere scelto con grande cura da parte degli uffici scolastici (e cioè non come si fa adesso). Abbiamo tanti bravi insegnanti e ispettori, esperti, coscienziosi e in grado di valutare come si lavora in un dato istituto; ma abbiamo anche tanti docenti con problemi emotivi, rancorosi, vendicativi, o semplicemente inetti e inadeguati, che sarebbe bene tenere lontani non solo dagli esami ma forse anche dalle aule.
Il secondo grosso problema: quale Consiglio di Classe accetterebbe di essere esaminato? Perché questo modello d’Esame sposterebbe il grosso della valutazione dai ragazzi ai docenti: e uno dei problemi della nostra classe lavorativa è proprio che non ci piace affatto essere valutati, essere messi noi sotto esame. Un po’ perché, effettivamente, è anche molto difficile valutare il lavoro di un docente, ma ancora di più perché siamo refrattari, il più delle volte, al giudizio altrui, perché vogliamo essere intoccabili.
La frase dell’assessore Donazzan, ovvero «La disobbedienza va punita», implica proprio questo: che chi ha il potere non possa essere contestato impunemente. E invece la scuola diventa seria, a mio avviso, nella misura in cui non evita le contestazioni, ma le supera; nella misura in cui non ha paura del giudizio altrui (o almeno del giudizio di docenti o ispettori qualificati), ma si impegna per ottenere una buona valutazione in quel giudizio.
Ecco, forse la cosa più importante per rendere l’Esame serio e funzionale è non scaricare tutto il peso della valutazione sui ragazzi; perché se valutassimo un po’, adeguatamente, anche le scuole, forse alcuni problemi si risolverebbero.
Quello che ho registrato e pubblicato
E veniamo ora anche ai video e ai podcast che sono usciti sul canale questa settimana:
10 libri filosofici per l'estate: qualche consiglio su alcuni volumi da portarvi sotto l’ombrellone, grazie anche al supporto del nostro Club del Libro
OIimpiadi anni '80 e boicottaggi: le Olimpiadi dal 1976 al 1988 furono contrassegnate da alcune particolari crisi politiche
“Sulla libertà” di Stuart Mill - parte 17: ultima puntata della lettura integrale e commentata del saggio di John Stuart Mill
Le idee di George Berkeley (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
Le conseguenze dell’immaterialismo di Berkeley (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
L'Italia dell'immediato dopoguerra (per il podcast “Dentro alla storia”)
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Amore liquido di Zygmunt Bauman: Zygmunt Bauman è stato uno dei più grandi sociologi del Novecento, interprete originale soprattutto dei cambiamenti degli ultimi decenni del secolo. Amore liquido è uno dei suoi libri più famosi e influenti, in cui ha cercato di analizzare la fluidità del nostro tempo soprattutto sul versante sentimentale. Un libro indispensabile per chi vuole muoversi nella realtà contemporanea. Lo si può acquistare qui, a un prezzo tra l’altro molto accessibile.
sui social questa settimana ho segnalato come al solito diversi libri appena usciti che mi paiono interessanti, una sorta di “lista della spesa” che dovrebbe rivelarsi utile anche in primis per me. Ecco i volumi, se ve li siete persi (se vi interessano, cliccate sopra alle immagini per altre informazioni):
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate, passando anche per il Club del Libro e il Simposio. Ulteriori informazioni le trovate qui.
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Quello che c’è in arrivo
E concludiamo anche questa settimana con qualche anticipazione su quello che vorrei pubblicare questa settimana sul canale:
domani partiamo dal podcast storico, con una nuova puntata dedicata all’Italia dell’inizio degli anni Venti;
mercoledì vorrei cominciare con voi la lettura integrale di un altro capolavoro della storia della filosofia, il Manifesto del Partito Comunista di Marx ed Engels;
giovedì probabilmente preparerò un video legato alla serie del Dizionario filosofico, incentrata sul rasoio di Ockham;
venerdì se tutto va bene torniamo a parlare di storia antica;
sabato sarà la volta di Hume, protagonista della prima puntata del podcast filosofico a lui dedicata;
domenica, quindi, vorrei proporvi uno short dedicato addirittura a Sherlock Holmes e alla sua filosofia (perché sarà l’anniversario della morte di Conan Doyle);
lunedì prossimo, infine, tornerà il podcast storico, incentrato sul fascismo delle origini.
E questo è tutto anche per questa volta. Ci rivediamo qui tra sette giorni esatti, con gli Esami di Stato finiti e le vacanze alle porte. Non mancate!