Sull'importanza di essere mentori e ascoltatori, maestri e allievi, ma anche su Assassinio a Venezia, Nietzsche, la Seconda guerra mondiale, Sacco e Vanzetti, Fitzcarraldo e il pensiero critico
La prima settimana di scuola è quasi finita, ormai ho incontrato (in vari casi anche più volte) tutte le mie classi e perfino i progetti pomeridiani hanno cominciato a prendere avvio. D’altronde, questo settembre è partito già con la marcia alta: ci sono in programma incontri, eventi, novità di vario tipo che già mi lasciano col fiato corto.
Anche per quanto riguarda la mia presenza su internet devo dire che le idee e le iniziative sono molte. Mercoledì, dopodomani, prenderà avvio il primo Simposio filosofico online con gli abbonati dei livelli più alti (ne riparliamo brevemente anche dopo, nella sezione Quello che ho pensato); nel giro di un paio di settimane partirà anche il Club del Libro, sempre online, con la discussione su Al di là del bene e del male di Nietzsche (e anche di questo parliamo meglio tra qualche riga); e infine arriveranno ancora altre dirette, oltre a quelle che abbiamo già fatto di recente.
Di altre novità, di altri libri e di altri studi vi parlerò più avanti, quando si definiranno meglio alcune cose sulle quali stiamo discutendo in queste settimane. Intanto iniziamo a parlare dell’oggi, o meglio della settimana, perché di cose da dire ne abbiamo davvero molte. Cominciamo.
Quello che ho letto
Iniziamo come al solito dai libri in lettura, senza che questa settimana io sia in realtà riuscito a finire alcun volume: si tratta quindi di libri di cui vi ho già detto qualcosa in passato, anche se ho messo in archivio molte nuove pagine.
Dio di illusioni di Donna Tartt: e sono infatti diverse settimane, per partire subito col giusto tenore, che vi racconto di Dio di illusioni, il romanzo di Donna Tartt che mi sta tenendo compagnia da un bel pezzo. Come ho già detto altre volte, il libro – uscito per la prima volta nei primi anni '90 – ha secondo me dei pregi e dei difetti. Il pregio principale è che riesce a tenere abbastanza alta l'attenzione e la tensione: racconta infatti prima un rapporto piuttosto morboso tra compagni di università e poi, di fatto, una serie di crimini, che ora qui per ragioni di spoiler non posso più di tanto svelarvi; si intrecciano quindi dinamiche di mistero e di amicizia, di amore e di invidia, ma anche bugie, indagini e mascheramenti. Dall'altro lato, però, c’è anche a mio modo di vedere qualche difetto: e in primo luogo il fatto che il romanzo non mi sembra alla lunga poi così originale. Man mano che la storia procede sembra infatti spesso di incappare in qualcosa di già letto, qualcosa di già visto, qualcosa di già sentito, anche se abilmente mascherato. Come scrivevo già nelle settimane scorse, si sente l’eco de L’attimo fuggente, di Piccoli omicidi tra amici, de Il talento di Mr. Ripley (di cui mi sembra addirittura di rivedere in scena interi personaggi, perfino nella loro descrizione fisica) e via discorrendo. Insomma, un pastiche di diversi elementi che – per carità – stanno anche bene assieme, ma che non ti sconvolgono davvero la mente. Comunque bisogna anche dire che l'autrice sa scrivere e che sa far scorrere le pagine, tanto è vero che ormai inizio a intravedere la fine del volume. Tireremo le somme dunque tra qualche giorno, forse già la prossima settimana. Intanto, se volete acquistarlo, lo trovate qui.
Al di là del bene e del male di Friedrich Nietzsche: come sapete se siete abbonati al canale, in queste settimane sto anche leggendo un libro che sto condividendo con vari follower: a ottobre partirà infatti il cosiddetto Club del libro, una sorta di riunione virtuale mensile in cui appunto gli abbonati dal livello Voltaire in su discuteranno assieme a me di una lettura comune che abbiamo effettuato nelle settimane precedenti. E in questo primo mese, tramite un sondaggio, la scelta della maggioranza è ricaduta proprio su Al di là del bene e del male, un classico di Friedrich Nietzsche. Devo dire che io, nel sondaggio di partenza, avevo proposto titoli abbastanza diversificati: c'erano appunto saggi di filosofia come questo di Nietzsche, ma anche romanzi che forse avrebbero rappresentato un punto di partenza un po’ più soft; la maggioranza, però, si è voluta lanciare subito su uno scrittore anche abbastanza ostico come il pensatore tedesco, e quindi mi sono messo a rileggere un volumetto che non toccavo da diversi anni. In effetti, in questi giorni alcuni degli abbonati mi stanno raccontando di trovare la prosa di Nietzsche piuttosto complessa, e non gli si può certo dare torto: il filosofo tedesco era a volte un vero e proprio fiume in piena, e si faceva trascinare dalle sue stesse parole. Amava non solo sferzare i suoi colpi feroci contro gli avversari polemici, ma anche usare parole complesse, costruzioni del periodo anche arzigogolate, con lo scopo neppure troppo recondito – anzi, lo confessa apertamente proprio nel libro – di rendersi più difficile e inaccessibile. Fedele alla sua idea che solo pochi potessero infatti comprenderlo, Nietzsche ci obbliga ancora oggi ad uno sforzo anche piuttosto importante, per poter essere in un certo senso alla sua altezza. Io sto rileggendo il libro per essere pronto alla discussione e in realtà devo dire che mi sto abbastanza divertendo: del pensatore tedesco ho sempre apprezzato molto il modo in cui riesce di fatto ad umiliare buona parte della storia della filosofia occidentale; e il modo, anche, in cui riesce ad anticipare buona parte dei temi di cui ancora oggi si discute in filosofia, in psicologia e più in generale nell'ambito culturale. Il libro non è facile, certo, soprattutto perché per comprenderlo appieno bisogna saper già dove Nietzsche vuole andare a parare; ma, al netto di queste premesse, questa prosa pur complessa è il modo migliore per avvicinarsi a una mente certo pericolosa, certo estrema, ma anche incredibilmente interessante. Se vi interessa (e se volete aggiungervi al Club del libro, cosa per la quale sareste pure ancora in tempo), potete comprare qui il libro, mentre qui potete abbonarvi al livello desiderato.
Allenare il pensiero pratico di Stefania Contesini: questa settimana, tra i vari video pubblicati sul canale, come forse avrete notato ce n’era anche uno dedicato al cosiddetto “pensiero critico”, tanto alla moda quanto, in realtà, poco compreso. Ebbene, quelle riflessioni sono state in parte ispirate anche dalla lettura di questo saggio, Allenare il pensiero pratico, di cui vi ho parlato anche nelle settimane scorse. Si tratta di un libro piuttosto tecnico, che certo non consiglierei a chi si sta avvicinando alla filosofia per la prima volta e ne apprezzi soprattutto il lato poetico e immaginifico; ma che comunque costituisce una lettura che può essere lo stesso molto proficua e utile. Al centro dell’analisi – a volte per la verità un po’ laboriosa – c’è l’idea che la filosofia possa fornire anche importanti spunti pratici e lavorativi, in ogni ambito: da quello della formazione umanistica, com’è ovvio, a quello però anche del lavoro professionale, d’ufficio, aziendale. E tra le varie competenze su cui s’insiste di più, come anticipato, c’è anche quella del pensiero critico, intesa appunto nella sua accezione più interessante, quella cioè di capacità di revisionare i comportamenti e le idee proprie e altrui sulla base di un confronto costante con il mondo. Insomma, se volete addentrarvi in questi temi e se avete la pazienza di leggere quello che vuole essere sostanzialmente un manuale filosofico per l’attività pratica, forse è il libro che fa per voi. Lo trovate qui.
Quello che ho visto
Parliamo ora anche di film. Sì, di film: questa settimana non c’è nemmeno una serie TV in elenco, visto che qui di seguito troverete solo pellicole lunghe e anche un po’ particolari.
Sacco e Vanzetti (1971), di Giuliano Montaldo, con Gian Maria Volonté, Riccardo Cucciolla, Cyril Cusack: la settimana scorsa vi ho parlato di Giuliano Montaldo, l'importante regista venuto recentemente a mancare, su cui appunto proprio qualche giorno fa avevo visto una sorta di documentario-biografia. Questa settimana ho però deciso in un certo senso di completare il lavoro rivedendo, dopo tanti anni, quella che è sicuramente l'opera più nota del regista genovese, Sacco e Vanzetti. Il film, uscito nel 1971, ebbe all'epoca un importante successo internazionale, sia perché raccontava una pagina oscura della storia statunitense, sia perché capitava anche a fagiolo rispetto al clima che si respirava in Italia e nel mondo in quegli anni. Nel 1969, infatti, era cominciata nel nostro paese quella dura e violente a stagione che spesso viene ricordata col nome di Strategia della tensione: dopo l'attentato alla Banca Nazionale dell'Agricoltura di Piazza Fontana a Milano, il clima si era fatto rovente, anche e soprattutto per la morte dell’anarchico Giuseppe Pinelli durante l'interrogatorio in questura a Milano. Sacco e Vanzetti, pur essendo ambientato 50 anni prima negli Stati Uniti della “paura rossa”, sembra in vari punti ricalcare proprio quelle vicende, in particolare quando fa riferimento alla morte simile, sempre per caduta da un alto palazzo investigativo, dell’anarchico Andrea Salsedo, che ricorda incredibilmente per dinamica proprio quella di Pinelli. Tra l'altro, in quegli stessi anni e proprio ricalcando le stesse vicende anche Dario Fo scriveva e metteva in scena la celebre Morte accidentale di un anarchico, a rimarcare ancora di più quanto le proteste fossero nell'aria. Il film di Montaldo, rivisto oggi, è asciutto e duro, molto efficace nel rappresentare la triste vicenda dei due immigrati italiani, che vennero accusati di rapina e omicidio ma subirono un processo assai ingiusto, in cui la loro condizione di immigrati e attivisti radicali divenne il fattore più importante per la loro condanna. Non credo di fare spoiler quando menziono il finale che conosciamo tutti: Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti furono riconosciuti colpevoli dalla giuria, nonostante le proteste di intellettuali e di personalità del mondo politico e accademico, sia in America che in tutto il mondo, che si schierarono nel fronte innocentista. Queste proteste, che coinvolsero milioni di persone in Europa, in Italia e nelle Americhe, non convinsero neppure il governatore dello stato del Massachusetts a concedere la grazia; e infine, dopo sette anni di agonia, i due furono giustiziati sulla sedia elettrica. Il film, almeno, contribuì a riaprire in parte il caso: grazie anche all'efficace colonna sonora di Ennio Morricone e alla canzone simbolo del film cantata da Joan Baez, la questione ritornò sulle prime pagine dei giornali e pochi mesi dopo l'uscita della pellicola il governatore dello stato chiese perdono per un processo che aveva effettivamente molte lacune e molte falle. Magra consolazione, si dirà; certo, ma è allo stesso tempo emblematico il fatto che, a pensarci bene, potremmo in qualche misura ripercorre l'evoluzione delle nostre società e dei nostri paesi anche proprio tramite gli errori giudiziari: dalla condanna ingiusta di Jean Calas raccontata da Voltaire nel Trattato sulla tolleranza ai processi per stregoneria a cavallo tra Medioevo e inizio dell’età moderna; dal processo a Enzo Tortora nell’Italia di non troppi anni fa all’Affare Dreyfus nella Francia di fine Ottocento, la storia degli errori giudiziari è anche la nostra storia e la storia di come, con molta fatica, abbiamo forse cominciato ad imparare da quegli errori. Un film da vedere, insomma. Lo trovate su Amazon Prime Video.
Assassinio a Venezia (2023), di Kenneth Branagh, con Kenneth Branagh, Tina Fey, Kelly Reilly: non si può certo dire che Kenneth Branagh non ce la stia mettendo tutta. Se guardiamo ai tre film che ha finora realizzato su Hercule Poirot, il celebre personaggio letterario di Agatha Christie, si possono ben vedere i suoi tentativi di rendere più complesso il personaggio del detective belga, di tirarlo fuori dalla spirale macchiettistica in cui è stato spesso confinato dagli adattamenti televisivi; e, allo stesso tempo, si vede anche il tentativo di toccare generi diversi, di alimentare la suspense pur all’interno di storie che bene o male conosciamo già molto bene (davvero non sapevate chi era l’assassino in Assassinio sull’Orient Express?). Il problema è che forse l’impresa è quasi impossibile. Anche quest’ultimo film, Assassinio a Venezia, appena uscito nei cinema, è simpatico e carino, ma non indimenticabile: stesso destino che era toccato ai suoi predecessori. Eppure, come detto, Branagh ce la mette davvero tutta: ambienta la storia a Venezia (contrariamente a quanto avveniva nel romanzo che ha ispirato la trama), con riprese all’inizio e alla fine del film davvero suggestive; aggiunge un’atmosfera horror che non siamo soliti vedere nei film tratti dai romanzi della Christie; sfiora perfino il paranormale, proponendo anche tutta una serie di inquadrature e di movimenti di macchina che definirei arditi. Ottenendo però un film discreto, e nulla più; carino, appunto, ma non indimenticabile. E sapete perché? Perché in fondo la trama – cioè il succo di tutto, in un giallo – finisce per essere un po’ prevedibile. Chiedete a mia figlia, che era seduta di fianco a me: pur senza aver mai letto il libro e senza conoscere quindi alcunché, ho indovinato, prima che i fatti accadessero, sia le vittime che sarebbero state uccise, sia il colpevole degli omicidi, più una serie di altri dettagli che poi si sono rivelati esatti. E non perché io sia un genio, ma solo perché ormai la dinamica dei libri della Christie la conosciamo bene, e metterci così tanto impegno nell’adattarli per il grande schermo forse è, oramai, un po’ talento sprecato. Per carità: si passano due ore leggere e anche divertenti, al cinema, tanto più in questi giorni in cui i biglietti vengono venduti ad appena 3,50 euro; ma non c’è nulla di sconvolgente da vedere.
Fitzcarraldo (1982), di Werner Herzog, con Klaus Kinski, Claudia Cardinale, José Lewgoy: qualche giorno fa ho letto sul web un articolo su Fitzcarraldo (l’articolo è qui), vecchio film di Werner Herzog di cui non sentivo parlare da un sacco di tempo. Film che, tra l'altro e a dirla tutta, non avevo neppure mai visto, anche perché non mi aveva mai interessato più di tanto: quando si parla del cinema di Herzog e del cosiddetto Nuovo cinema tedesco degli anni Settanta, ci si sofferma di solito più su altri titoli, come Aguirre, furore di Dio o Nosferatu. Comunque, incuriosito, ho provato a guardare se il film fosse recuperabile su qualche servizio di streaming e l'ho effettivamente scovato su Amazon Prime Video, decidendomi infine a vederlo. Devo dire fin da subito che non è certo un film per tutti: la storia procede lentissima, i dialoghi sono rari e una parte di essi è in realtà occupata da arie d'opera o battute degli indios non sottotitolate. D'altronde, non è neppure un film pensato per il pubblico di oggi. Eppure, nonostante questo, mantiene un certo fascino. Il protagonista assoluto è l'attore tedesco Klaus Kinski, già interprete di molte altre opere di Herzog, dotato di una faccia che non si dimentica (per non parlare dei suoi capelli, soprattutto in questo film); ma proprio quella faccia così dura e scavata ben si abbina a una storia abbastanza incredibile. La trama, in breve, è la seguente: il protagonista, “Fitzcarraldo”, è un irlandese appassionato di opera lirica (e in particolare di Enrico Caruso) che vive nel Sud America a cavallo tra Ottocento e Novecento. Uomo d’affari e desideroso di fare investimenti, inizia a interessarsi al commercio di caucciù, ma soprattutto è affascinato dalle grandi imprese: per un po' aspira addirittura a costruire un teatro d’opera in mezzo alla Foresta Amazzonica, ma poi preferisce riorientare i suoi sforzi. Acquista così una nave per cercare di risalire l’Ucayali, un affluente del Rio delle Amazzoni; impresa piuttosto difficoltosa, che permetterebbe però di arrivare ad un luogo in cui si dice ci siano moltissimi alberi da caucciù, che potrebbero appunto essere sfruttati, facendolo diventare ricco. Il viaggio in nave si rivela però molto più complicato del previsto, sia per le rapide del fiume, sia soprattutto per gli indios che si affiancano alla nave e sembrano assai minacciosi. Ad un certo punto – e il credo di non fare spoiler perché è forse il fatto più noto relativo al film – Fitzcarraldo decide addirittura di togliere la nave dall'acqua e farla trasportare dagli indios, tramite un complicato sistema di carrucole, al di sopra di una montagna, per passare così sul versante opposto del monte e scendere su un altro fiume. Questa impresa titanica e insieme assurda è un po’ l'emblema di tutto il film, che rappresenta non tanto lo spirito imprenditoriale, come sembrava all’inizio, quanto piuttosto il desiderio dell'uomo di compiere qualcosa di grande e maestoso, di espletare quella che Nietzsche chiamava la Volontà di potenza o che Jung definiva la libido; di dare sfogo insomma a quell’energia e a quella spinta che si manifesta, in fondo, anche nella grande arte, anche nella musica lirica, ma a volte pure nell’ingegneria e nelle grandi imprese storiche. Il film, non esente da alcuni difetti, presenta così alcune scene veramente memorabili e nel finale riesce a mettere in mostra tutta la sua potenza. Come vi ho detto, però, non è affatto per tutti. Ultima curiosità: anche la realizzazione della pellicola fu un'impresa veramente titanica, visto che i lavori della troupe si interruppero e ripresero più volte a causa di calamità, di abbandoni del set e di problemi di varia natura. Kinski, solo per fare un esempio, all’inizio non era neppure stato scritturato, non doveva interpretare il protagonista, ma venne imbarcato nel progetto all'ultimo momento, dopo la rinuncia di Jason Robards; e Mick Jagger, il leader dei Rolling Stones, avrebbe dovuto interpretare la sua spalla, ma il suo personaggio venne poi completamente cancellato dalla sceneggiatura proprio perché il cantante se ne andò dal set. Se vi interessa, come detto, lo trovate su Amazon Prime Video.
Quello che ho pensato
Questa settimana la riflessione parte da alcuni piccoli fatti molto personali che mi sono accaduti e che ho in parte anticipato nell’introduzione.
Sono stato infatti coinvolto in due nuovi progetti che sto seguendo in parte qui su internet e in parte nella vita vera, quella in un certo senso “analogica”; due progetti che però per certi versi si assomigliano. Di quello qui su internet avete già sentito parlare: mercoledì, per gli abbonati dei livelli Leopardi e Napoleone, comincerà una nuova piccola avventura, quella del Simposio filosofico. Una volta al mese, infatti, ci troveremo online tramite Google Meet per discutere di un argomento insieme, confrontarci, presentarci vicendevolmente le nostre visioni e magari correggerci o migliorare le nostre argomentazioni.
Quest’idea nasce da una duplice esigenza: da un lato, della necessità di vederci – io e i frequentatori più assidui del canale – anche di persona, di uscire dalla dinamica puramente unidirezionale offerta da YouTube; dall’altro, dal bisogno di dialogare di più. Sono convinto infatti che una delle cose che più manchino nella nostra società odierna sia proprio un dialogo franco, aperto ma anche rispettoso con chi la pensa in maniera diversa da noi.
Se ci fate caso, infatti, i social network hanno ampliato enormemente le nostre possibilità di confronto, ma noi abbiamo finito paradossalmente per chiuderci spesso a riccio, per leggere sempre e solo le opinioni di chi la pensa già come noi o al limite per tentare di umiliare o attaccare chi ha una visione differente dalla nostra. Le occasioni di confronto vero, a saperle cercare, da qualche parte ci sono ancora, ma non sono più così comuni come un tempo, quando esistevano tutta una serie di associazioni, luoghi di incontro, perfino partiti in cui la dialettica non solo era tollerata, ma anche incoraggiata.
Insomma, questo piccolo Simposio, come ho deciso di chiamarlo, proverà ad essere un luogo di incontro e di confronto, e sarà anche compito mio far sì che tale confronto sia vero e proficuo.
Il secondo progetto, quello “analogico” (ma solo fino ad un certo punto: ormai non c’è più niente di veramente analogico a questo mondo), riguarda invece un’iniziativa di cui mi sto occupando per conto dell’Accademia dei Concordi, la prestigiosa istituzione culturale rodigina di cui da qualche mese faccio parte. L'attuale presidente, il filosofo della scienza Giovanni Boniolo (qui trovate alcuni suoi libri, se volete capire di chi si tratta) mi ha chiesto di coordinare il progetto che è stato chiamato “Ro45100”, dalla sigla della provincia di Rovigo e dal suo codice di avviamento postale.
Per farla breve, si tratta di una piattaforma internet tramite cui i ragazzi di Rovigo, soprattutto quelli che stanno finendo le superiori o stanno affrontando i primi anni dell'università, potranno chiedere di confrontarsi con alcuni mentori, cioè altri giovani, solo un po’ più vecchi e un po’ più “fatti e finiti” di loro (ovvero ricercatori, professionisti, docenti universitari), provenienti dalla stessa realtà, anche se in certi casi residenti all’estero da tempo. Questi mentori offriranno un po’ del loro tempo per dare consigli e raccontare le loro esperienze di studio e di ricerca ai ragazzi che devono decidere cosa fare della loro vita.
È un programma un po’ all'americana, quindi, ma che penso in realtà possa essere molto utile soprattutto in questa fase storica in cui i giovani hanno bisogno di chiarirsi un po' le idee anche confrontandosi con chi ha fatto i loro stessi passi qualche anno fa. In un mondo post-Covid in cui il confronto con la generazione precedente è diventato più difficile, cercheremo di sfruttare il web per ridurre queste distanze.
Ora, cos’hanno in comune questi due progetti che, all’apparenza, sembrano molto diversi? Direi due cose, che si legano però profondamente tra loro: l’idea dell’incontro e l’idea del maestro. Abbiamo bisogno di incontrarci, e abbiamo bisogno di incontrarci con dei maestri.
Come accennavo qualche riga sopra, mi sembra che stiamo vivendo un’epoca di passaggio. Un’epoca anche relativamente lunga, in cui i vecchi canali di incontro e di confronto stanno cedendo il passo a canali nuovi, non sempre agevoli, non sempre “democratici” (nel senso che non garantiscono un interscambio bidirezionale), non sempre fisici. E mi sembra che questo passaggio, con tutte le difficoltà che ne derivano, stia gravando soprattutto sui più giovani, che fanno più fatica di un tempo a trovare il loro spazio.
Attenzione: non dico che sia impossibile crescere secondo i dettami dell’incontro e del confronto; anzi, molti ragazzi ci riescono benissimo. Ma le complicazioni ci sono, le difficoltà sono più spesso presenti e per una buona parte dei giovani che riesce a maturare cognitivamente, emotivamente ed affettivamente grazie al confronto con gli altri, ce ne sono altri che invece non ce la fanno. Il Covid, certo, non ha aiutato, ma è una tendenza che si era già sviluppata prima della pandemia e che è legata anche al nostro tempo libero, agli smartphone, ai social network, alla struttura stessa delle nostre città.
I due progetti di cui parlavo prima sono, ovviamente, solo una goccia nell’oceano: non risolveranno di una virgola il problema. Ma tentano di fare qualcosa, da due prospettive diverse, nel loro piccolo. E tentano di farlo tramite un confronto che è sì “democratico” (se vogliamo usare questa parola, in mancanza di meglio), bidirezionale, ma allo stesso tempo non completamente paritetico.
Cerco di spiegarmi meglio e di farvi capire perché credo che questa sia una soluzione da praticare più spesso. Noi – sia noi adulti, sia ancora di più i giovani – abbiamo bisogno del confronto con gli altri: definiamo noi stessi e le nostre idee proprio confrontandole con quelle altrui. Per scoprire noi stessi abbiamo bisogno di un “avversario”, di qualcuno che sia differente da noi; e abbiamo bisogno di scontrarci con lui anche fisicamente, faccia a faccia: non di vedere cosa fa qualcun altro su TikTok o su Instagram, dove la realtà viene falsata dal filtro dei social network; ma di parlarci, litigarci, faticarci assieme. Abbiamo bisogno di vedere anche i difetti altrui per capire i nostri. E sui social network i difetti altrui tendiamo a non vederli mai.
Però, allo stesso tempo, credo sia anche bene che l’altro non sia un altro qualsiasi, non sia uno capitato lì per caso. Il confronto è più proficuo quando l’altro ha qualcosa da insegnarci – e quando noi abbiamo qualcosa da insegnare a lui. Dobbiamo pretendere, mi vien quasi da dire, che l’altro ci insegni qualcosa e che apprenda qualcosa da noi.
Il rapporto con gli altri, detta in altri termini, dev’essere un rapporto maestro-allievo. Non tanto, si badi bene, perché uno dei due sia sapiente e l’altro ignorante, ma perché entrambi i dialoganti devono porsi alternativamente nell’atteggiamento del maestro e dell’allievo.
Come accennavo all’inizio, nel mondo di oggi in realtà non è che manchi il confronto con gli altri. Basta accendere la TV, basta andare su YouTube, basta aprire un qualsiasi social network o comprare un giornale per venire inondati dalle opinioni altrui. Gli altri ci parlano continuamente: tutti vogliono dirci cosa pensano. Ma, spesso, non lo fanno per essere maestri, e di conseguenza noi non assumiamo l’atteggiamento dell’allievo, non traendone così alcun beneficio.
Pensateci un attimo: chi parla sui social network il più delle volte non vuole insegnarci qualcosa, non vuole farci riflettere su qualcosa. Tutt’altro: usa internet per sfogarsi, al limite per strappare l’applauso facile, più spesso per ottenere like e condivisioni. Non vuole migliorarci, tanto è vero che tende a dare alla sua nicchia quello che quella nicchia vuole sentirsi dire. Cerca di ottenere lui qualcosa dagli ascoltatori: appoggio, stima, soldi; più che dare, cerca di prendere (anche inconsciamente, per carità).
Un maestro invece parla col preciso scopo di far crescere chi lo ascolta: a volte ci riesce e a volte no, ovviamente; a volte è un maestro bravo e altre volte è un maestro scarso; ma parla non per se stesso, non per pavoneggiarsi o per demolire gli avversari, bensì – se è davvero un maestro – per donare qualcosa a chi lo ascolta.
L’allievo, d’altro canto, si mette nella disposizione d’animo di chi vuole apprendere. Non ascolta per il solo gusto di trovare le falle nel ragionamento altrui, non guarda distrattamente chi gli parla, ma vuole assorbire qualcosa. Poi magari non si troverà d’accordo con quello che gli viene detto, poi magari rifiuterà o confuterà quell’insegnamento, ma almeno, prima di tutto, proverà a dargli una chance.
Ecco, quello che manca non è di per sé il confronto. È il confronto tra maestri e allievi, a mancare. E, ripeto: tutti siamo maestri e tutti siamo allievi. Dobbiamo esserlo. Dobbiamo essere maestri quando parliamo, cercando cioè di donare, di mettere in circolo quel tanto o quel poco che abbiamo; e dobbiamo essere allievi quando ascoltiamo, ponendoci cioè nella posizione di chi vuole capire e vuole dare una possibilità agli altri.
Ecco, dunque: i due progetti – il Simposio filosofico e Ro45100 – provano a modo loro a fare tutto questo: creare un dialogo maestro-allievo che sia un confronto proficuo, sia per chi assume momentaneamente il ruolo di allievo, sia per chi assume momentaneamente quello di maestro. Perché, com’è facile intuire, è spesso la disposizione d’animo a fare la differenza.
Quindi vi lascio, questa settimana, con un compito per casa: provate anche voi, quando vi incontrate con qualcuno, a mettervi di volta in volta nella disposizione del maestro e dell’allievo. Quando vi considererete un maestro, sentirete anche la responsabilità del ruolo: perché chi vuole essere maestro deve percepire anche il peso delle parole da scegliere, dei giudizi da dare, dei consigli da dispensare. E quando vi considererete un allievo, farete vostra la responsabilità dell’ascolto. In entrambi i casi c’è molto da lavorare, c’è molto di cui essere responsabili; ma sono le responsabilità che ci rendono un po’ alla volta migliori.
Quello che ho registrato e pubblicato
Se vi siete persi qualcosa, ecco anche cosa è uscito questa settimana sui nostri vari canali:
Pensiero critico e neoscetticismo: continua il nostro percorso attraverso una filosofia anche pratica e, spero, attuale, fondata su idee legate al pensiero scettico
Come funzionano dal 2023 gli abbonamenti al canale: un video tecnico, dedicato alle novità legate al programma di abbonamenti del canale YouTube
Il trailer del canale: ho preparato e pubblicato, in questa settimana, anche un nuovo trailer per il canale, pensato soprattutto per i nuovi utenti
Le favorite: le amanti dei re: avete sentito del nuovo film con Johnny Depp? Chiariamo la storia che gli sta dietro
Corso di logica 10 - Modus ponens e modus tollens: il nostro percorso di logica entra nel vivo, con le prime regole di inferenza (tra l’altro importantissime)
La nuova dinamica newtoniana (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
L’ottica e il metodo di Newton (per il podcast “Dentro alla filosofia”)
La situazione politica in Europa nella seconda metà dell'Ottocento (per il podcast “Dentro alla storia”)
Quello che devi fare per seguirmi sui social
Ah, prima di dimenticarci vi lascio anche un veloce “reminder” di dove e come mi potete trovare sui social:
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Quello che puoi fare per sostenere il canale
Se quello che faccio vi piace e volete darmi una mano a farlo sempre meglio (con attrezzatura nuova, libri nuovi ed altro ancora), potete sfruttare alcune modalità di sostegno che ho implementato per voi. In primo luogo ci sono gli abbonamenti, che trovate esposti qui di seguito; poi c’è il merchandising se vi piacciono le magliette, ci sono le donazioni se vi trovate meglio con Paypal (altre info sempre qui di seguito) e, infine, ci sono libri che non fanno mai male e che ci fanno arrivare qualche centesimo di euro. Ecco, a tal proposito, i nostri consigli della settimana.
Storia militare della Seconda guerra mondiale di Basil H. Liddell Hart: se siete appassionati di storia militare, nella vostra libreria non può assolutamente mancare questo classico saggio di Hart, importante storico britannico venuto a mancare ormai una cinquantina d’anni fa. Il libro è considerato a livello internazionale una vera e propria summa delle principali battaglie e strategie del conflitto che ha sconvolto l’Europa e il mondo tra il 1939 e il 1945. Oggi, pubblicato in svariate edizioni anche economiche, ve lo potete portare a casa per 22 euro, il che tra l’altro è un ottimo affare: potete acquistarlo qui.
sui social questa settimana ho segnalato come al solito diversi libri appena usciti che mi paiono interessanti, una sorta di “lista della spesa” che dovrebbe rivelarsi utile anche in primis per me. Ecco i volumi, se ve li siete persi:
Quando il futuro sarà storia di J. Robert Oppenheimer: ne ho parlato qui;
Ripensare i presocratici di Livio Rossetti: ne ho parlato qui;
L’antidoto di Vera Gheno: ne ho parlato qui;
Il grido di Pan di Matteo Nucci: ne ho parlato qui;
C’è poi un nuovo modo per sostenere il progetto ed è quello dell’abbonamento. Sotto ai video, di fianco al classico pulsante “Iscriviti”, ne è comparso uno nuovo chiamato “Abbonati”. Cliccando lì potete consultare tutte le varie proposte e cosa viene dato in cambio: da video-dirette in esclusiva a un vero e proprio manuale di filosofia a puntate. Ulteriori informazioni le trovate qui.
Se poi non volete né leggere, né abbonarvi, si può sempre liberamente usare Paypal. E grazie anche a chi ha già donato nelle settimane scorse!
Quello che c’è in arrivo
E concludiamo come sempre anche con una veloce panoramica su quello che ci aspetta nei prossimi giorni:
come più volte ribadito, in settimana arriverà il primo Simposio per gli abbonati: se volete partecipare, qui vi si spiega a quali condizioni;
poi arriveranno un nuovo video della serie dedicata alla storia dei consumi (in cui parleremo di elettrodomestici) e un nuovo video di storia della preistoria (con l’età dei metalli);
infine, spero di riuscire a realizzare anche una nuova diretta dal titolo “Aumentare i reati e inasprire le pene risolve i problemi sociali?”;
e poi, ovviamente, ci saranno anche i podcast: parleremo ancora di Machiavelli, di Bismarck e della Guerra franco-prussiana.
E questo è tutto. Ci vediamo la settimana prossima, sempre qui. Non mancate!